Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

martedì 15 novembre 2011

G. Verga e M. Rapisardi, dal Don Chisciotte del 3.4.1881 per il terremoto di Ischia

ISCHIA
ED I RECENTI TERREMOTI


SU questo argomento di attualità per
noi è  richiamata oggi l'attenzione generale della grande   famiglia
Italiana per soccorrere i fratelli miseramente colpiti.


CASAMICCIOLA
QUANDO   giunse   la notizia del   disastro che aveva colpito Ischia mi parve di rivedere l'isoletta, quale mi era sfilata dinanzi agli occhi attraverso gli alberi del battello a vapore, in una bella sera d'autunno.
La mensa era ancora apparecchiata sul ponte, e gli ultimi raggi del sole indoravano il marsala nei bicchieri. Dei viaggiatori alcuni s' erano già levati , e passeggiavano su e giù. Altri, coi gomiti sulla tovaglia, guardavano l' immensa distesa di mare che imbruniva sotto i caldi colori del tramontò; su cui Ischia stampavasi verde e molle, e dove la riva s' insenava come una coppa. Casamicciola, bianca, sembrava posare su di un cuscino di verdura.
A tavola due che tornavano dal Giappone discorrevano di seme di bachi; Una coppia misteriosa era andata a rannicchiarsi a ridosso del tubo del vapore. Un giovane che non aveva mangiato quasi, e stava seduto in un canto, pallido, col bavero del paletò rialzato, guardava l'isoletta con occhi pensierosi e lenti, in fondo alle occhiaie incavate.
Tutt' a un tratto sul profilo dell' isola che spiccava dalla luce diffusa del crepuscolo, apparve netto e distinto un fabbricato, quasi sorgesse d' incanto, e l' ultimo raggio di sole scintillò sui vetri, come l' accendesse.
Quel dettaglio del paesaggio che si animava all' improvviso apparve così chiaro e luminoso come se si fosse avvicinato d' un tratto.
Tutti si volsero ad ammirare lo spettacolo, e i negozianti di cartoni giapponesi tacquero un momento. Soltanto la coppia ch' era andata a nascondersi dietro il fumajuolo non si mosse, e gli occhi del giovane pallido che teneva il bavero rialzato non si animarono neppure.
Così succede ogni di; e due sole preoccupazioni bastano a sé stesse, l'amore e la mattìa, l' origine e la fine della vita. Quasi cotesta riflessione fosse venuta istintivamente a tutti in quel momento, si cominciò a parlare dell' azione benefica che hanno le acque e l'aria di Casamicciola, e dei malati che vanno a cercarvi la salute o la speranza. Invece il giovane dal paletò, pensava probabilmente, come si fa delle cose che si desiderano, alle gioie tranquille e ignorate che dovevano esserci in quell ' isoletta verde, fra quelle casette bianche, dietro quei vetri scintillanti. E quando i vetri si spensero, e la casa si dileguò ad un tratto quasi al mutare di una lanterna magica, e i contorni dell'isoletta sfumarono nel mare livido, il suo volto si offuscò. Adesso quella casetta bianca è forse distrutta, e degli occhi senza lagrime e senza sorriso ne contemplano le rovine, dalle occhiaie incavate, su dei visi pallidi.
                                                                                                                G. Verga.



FEBBRAJO

SEMPRE che con tepor primaverile 
Scote ilvario febbraio i sonnolenti 
Arbori, e desta su' diserti rami 
Tenero verde o intempestivi fiori, 
A voi facili sogni, a voi  speranze 
Lusinghevoli io penso, onde s'ingemma 
Anzi tèmpo l' incauta giovinezza 
Datrice alma d'inganni. Irato a un tratto 
Del concesso governo urla aquilone, 
Stagna i vividi succhi, abbrucia i novi 
Germogli, i fiori isterilisce, e a volo 
Precipitando da l' etnea montagna 
Di subito nevischio i campi inalba. 
Guarda il mite cultore, e con un triste 
Riso scrollando la  lanosa testa : 
Ben, esclama, più ch' altro a te s' addice 
Il morso  di rovajo,  o impaziente 
Mandorlo, a cui si  tarda la stagione 
De' fiori; ben a te, pronta a dar foglie 
O  acacia infruttuosa: un' aura dolce 
Basta a sedurvi. Nascerà fra poco 
Zefiro con aprile, e invan, fra' vostri 
Aridi stecchi lene sospirando, 
Chiederà a l' uno i saporiti frutti, 
A l' altra i mazzi de' nettarei fiori.   
Ma de la vigna, che ancor freddi e brevi 
Dal ceppo screpolato alza i potati 
Salci, simili a dita, e ben fu saggia 
A non destarsi a l' aure ingannatrici, 
Pender vedremo nel pomoso  autunno 
Come mamme caprine i pingui grappi, 
Onde il licore de l' oblio si  spreme.
                                         Mario Rapisardi.

domenica 13 novembre 2011

Stato civile della «Cavalleria rusticana». «La Lettura» 1921, di Federico De Roberto


Stato  civile  della   «Cavalleria   rusticana».  
 «La  Lettura»,   Milano,   1°  gennaio 1921.
di Federico De Roberto
*( le correzioni o gli appunti, scritti nel bordo dell'articolo, sono di F. De Roberto).

Giuseppe Deabate, narrando nel fascicolo dell' Illustrazione italiana  dedicato  a Giovanni Verga il Battesimo della « Cavalleria rusticana», attribuisce a Cesare Rossi, fra le molte altre benemerenze, anche quella « di aver compresa, sentita, ammirata alla prima lettura, la bellezza e la forza del bozzetto drammatico del Verga  e  di  non aver esitato un istante a porlo in scena. Fu, questa la gran, lode che andò dai critici al buon naso del Rossi, per ripetere l'immagine con cui essi amavano scherzosamente alludere al gran naso di quel raro e caro attore ».
Chi, sa come precisamente andarono le cose non può far buone le lodi largite in quell'oc-casione dai critici all'attore e capocomico re-putatissimo ; e poiché la Cavalleria rusticana, è l'opera che più d'ogni altra rese popolare il nome, del grande artista ultimamente festeggiato
 da tutta l'Italia — compresa quella uffiale, che 
finalmente, accorgendosi della gloria, di Giovanni Verga, gli ha riconosciuto anche in 
Senato il posto di Alessandro Manzoni — non sarà fuor di luogo ricostruire fedelmente, la storia del piccolo grande capolavoro.


















venerdì 11 novembre 2011

Per il centenario di Calcedonio Reina (Catania, 4 febbraio 1842 – Catania, 10 novembre 1911) è stato un pittore e poeta italiano


Ntra lu burgu e la marina
C'è un pitturi arrinumatu,
Vecchiu, pricchiu, strascinatu,
Lenzi lenzi la fracchina,
'Nzaimatu, scarcagnatu...
Cu' po esseri ? 'Nduvina ! (di Mario Rapisardi)
 

Maestro Calcidonio

di Mario Rapisardi

Ei fu nella città di Catana, antichissima e famosissima di Cicilia, uno dipintore chiamato Maestro Calcidonio ; il quale e per lo ingegno singolare e per la maniera bizzarra del dipingere e più ancora per la continenza e abito del vivere, fu veramente straordinario e quasi mirabile huomo del tempo suo.

Da fanciullo dette opera alle lettere latine, perciocchè suo padre che era uno cerusico sapientissimo volea piuttosto farne uno dottore che uno artefice ; ma conciosiacosacchè il maestro che gli leggeva lettere era uno calonaco, di molta reputazione appresso dei più, ma di poca scienza e di neuno giudicio, e più gonfio di vento che di dottrina, si che pareva all' aspetto, e tale era nell'animo, uno otre di quelli che Eolo diede ad Ulisse? siccome pone in suo dittato il sommo poeta Omero, così intervenne che il fanciullo prese in odio sì fatto quella prima disciplina, che tanto imparò di umanità quanto quello suo precettore cognosceva ebraico, che mai non lo seppe.

Venuto intanto all'età della discrezione, e avuta qualche notizia delle umane lettere, egli si diede assai felicemente al trovare; e molte rime trovò che furono stimate indizio di buon ingegno. Diede anche mano allo studio della musica e con tal buona disposizione ed ardore, che pareva a tutti dovesse presto riuscire uno musico eccellente.

Ma quello di che maggiormente si piacque fu l'arte del disegnare e dipingere : per l' amor della quale fatta stanza nella meravigliosa Partenope, presto dette argomento di bene sperare ; e, istudiando i modelli dei famosi artefici e ritraendo dal naturale e ispeculando certe sue invenzioni, egli venne in poco a formarsi una sua tal maniera, che non era uno che veduto una volta una sua tavola non dicesse poi vedendo qualche sua nuova storia: ella è opera di Maestro Calcidonio ; tanto era propia e singolare la sua maniera.

Tra le opere ch' egli condusse, degnissima di memoria per la novità e bizzarria dell'invenzione è quella che rappresenta dua giovani amanti che si abbracciano e baciano in uno cimiterio intra due lunghe file di ataùti e di scheletri che pare li guardino non senza invidia di tanta felicità. E un' altra ne fece che è uno scheletro, o sia la morte incappata in uno grande lenzuolo, seduta in uno trono in mezzo d'una grande camera vuota, e tutta intenta a ricamare una coltre nella quale sono scettri, tiare, corone ed altri simiglianti emblemi di potere mondano. E ora pingeva uno giovinetto cieco sicut mors ficcante uno dito nell'occhiaia d'uno teschio; ora una pulzella che porta in voto uno cuore; ora una giovane donna in paramenti nuziali con una testa di morto in uno vassoio con certi occhi spiritati che è uno terrore; e altre simiglianti allegrezze, dalle quali, non che allettar compratori, era più facile trovare chi inorridito se ne fuggisse.

E per questo non fu ignuno che mai gli committesse o gli comperasse una storia; che tutti sapevano quanto ei fusse terribile dipintore ; e avrebbono piuttosto volsuto ricevere in casa la versiera che uno suo spaventoso dipinto. Della qual cosa egli molto a ragione si rammaricava accusando li huomini di poca discrezione e di molta lussuria : avvegnachè secondo il suo giudicio questa loro avversione procedesse unicamente da ciò, che altro nell'arte eglino non gustano che le delizie della carne, e tutto ciò che spetta alla salvazion dell'anima, come viziosi e senza continenza, trascurano.

E non meno che nel dipingere ei fu nuovo e fantasioso nel rimeggiare. I versi che egli andava scrivendo su per li sgualciti e unti fogliolini, raccattati per le vie, non erano mai secondo retorica, nè di purgato stile, nè di puro dettato: aveano si una certa misura, ma non sempre tale che uno accigliato Aristarco vi potesse trovare i debiti piedi. Ma sì vaghe erano le invenzioni sua, e sì nove e inaspettate le immagini, che a leggere le sue rime tu sentivi nel quore, come un misterioso colloquio di spiriti, e romore di ale e scroscio di acque e stormire di fronde, e ti lampeggiava sugli occhi come un barbaglio di lampi, sì che credevi essere trasportato per incanto in un mondo nuovo, e più tosto tra fantasime di sogni, che tra persone vere. E il succedersi delle immaginazioni, e delle incomposte ma originali armonie ti dava come un giramento di cose, da farti venire la vertigine e il capogirlo.

E ora faremo uno brieve ricordo dei costumi e portamenti suoi, che furono quasi tutti istravaganti.

E primamente dirò che tanta fu la sua continenza così nel mangiare e nel bere come nelle altre cose corporali, che ben l' aresti detto uno santo anacoreta di Dio. E del molto che in questo proposito potrei riferire, basti solamente questo: che in città popolosissima e voluttuosissima ei viveasi quasi in uno deserto, senza altra compagnia che dei suoi pensieri; e poco pane bigio e pochissimo pesce salato, o un po' di pillacchera, che gli tenea luogo di fagiani e di starne nelle più straordinarie solennità eragli cibo sufficiente.

E mai occorse vederlo in compagnia di femmine, altro che per intento dell'arte; ma delle femmine ei si valea poco anche in questo, piacendosi più dipingere idee che uomini, e più anime che carne; onde fu detto con qualche fondamento di vero, essere egli troppo stratto dalle condizioni del vivere e in specialità dalla ragione dei tempi sua, che tutto riduceano a materia, anche l'anima immortale, giusta li epicurei: che è una grande istoltezza e bestemmia. Or tornando al proposito della continenza di Maestro Calcidonio, aggiungo, che tanta era la sua virtù in domare la concupiscenza della carne, che di qualsiasi femina ei si tenesse gnuda dinanzi per iscopo dell'arte, ignuna egli toccò mai con le mani in qualtivogli parte del corpo; e questo parea meravigliosa continenza agli amici...

Aveva egli fra i pochi uno amico, uomo assai loico e istrutto nella filosofia naturale e morale, ma più dedito alle umane lettere che alle divine; il quale era uno grande incredulo, il quale diceva che Dio non fosse e tutti lo chiamavano il Marabise (1), che non sapeano che sì chiamare. Ora costui, quale uomo incredulo e mondano, non volle mai aggiustar fede alla istraordinaria castità di maestro Calcidonio, del quale e' soleva dire essere uno mangiapulzelle; ma questo era una diabolica malignità del Marabise.

Circa gli altri costumi di questo singolar dipintore, dico che egli conducea meschina e misera vita, non già che egli fusse povero, ma più tosto per istracuraggine delle cose temporali non disgiunta da una certa passione di avarizia, onde ei solea dire essere più tosto da prezzare il danaro che la sanità; che questa, non ostante i medici, tanto o quanto si suole recuperare, ma il danaro una volta andato non più si racquista.

Abitava in fra poveri, in poverissima stanza a uno soffitto altissimo, più simigliante a uno trespolo da pappagallo che a una casa d'uomo; per giungere al quale bisognava arrampicarsi per più centinaia di gradi tutti sbocconcellati e sdrucciolevoli per lo gran sudiciume, e passare indi per anditi e andirivieni umidi e puzzolenti, che ti parea esser drento a uno budello di maiale. E la casa era come uno covile con arazzi di muffa, tappeti di polvere, portiere e cortine di ragnateli. Una seggiola con tre gambe, uno strapunto di strame, uno tavolino zoppo con due piè e qualche rozza ed imbrodolata stoviglia erano i nobili arredi di quella magione ; e tele, colori, pennelli, stracci e ciabatte gittati e sparsi per ogni parte, che parea uno naufragio.

E in tanta lautezza egli se ne stava solo, non volendo neppure con una fante divider tanto bene, e questo, diceva il Marabise, era il più generoso atto di carità cristiana, che mai gli vedesse praticare.

Stranissimo era oltre ciò il vestire, si che spesso il vedevi in giro con uno stivale di vacchetta e uno zoccolo, uno berrettone di pelle di gatto sul capo e una palandrana fino alle calcagna, che l' aresti preso per uno masnadiero inseguito dal bargello. E nel mutar dei panni ei non guardava alle stagioni, che tutte le stagioni ed i climi ei soleva portarli addosso ad un tempo solo; così che mentre le brache facevano agosto in Garamanzia, il corpetto e la giubba segnavano dicembre per li Britanni.

Anfanava per le vie più frequenti in siffatto arnese; con le mani intrecciate sul petto come in atto di contrizione e di prece, ma le guardature sospettose e quasi ferine, ch'ei gittava qua e là su la gente, e un certo suo proprio ghignare come di satiro lascivetto persuadean tosto esser l'animo suo più lontano dalla pietà che non fosse per avventura dall'odio e dal disprezzo dell'uman genere.

Al conversare era piacevole e motteggevole molto; ma non patìa, che altri tale il tenesse, temendo non la piacevolezza sua fusse malignamente presa per giulleria: tanto che dettogli uno dì una bambinetta, appresso alla cui madre egli era dimestico molto: Restate ancora, maestro Calcidonio, che senza di voi la brigata non ride-; egli s'ebbe tanto a male di ciò, che afferrata con impeto la fanciulla stava per isfracellarla; onde accorsa la madre alle grida e ripresolo gravemente del fatto, non ei si ristette; anzi con maggior veemenza di collera: Voi siete peggior della putta, le gridò, malvagia briccona che Dio vi mandi il cacasangue a tutte e dua. E come furioso partissi di quella casa, nè più volle rimettervi il piede.

Ma oltre a queste furie e bizzarrie, Maestro Calcidonio era il più dolce e diritto uomo che al mondo fosse, e tale almeno, se non da buttarsi nelle fiamme per amor di Dio e del prossimo, da non torcere un capello a chicchessia e da attendere alle faccende sua, che furono mai sempre di fare onore al suo nome e alla sua gente con opere di colore e di inchiostro.

E perciocchè nel presente secolo uno huomo che abbia pochi e leggeri vizj uniti a molte e sincere virtù è cosa piuttosto singulare che rara, per questo ho volsuto scrivere questo brieve comentario a onore del suo ingegno e ricordo perpetuo della sua virtù.


(1) è facile capire come con questa voce che in dialetto lombardo significa « uomo di mal affare », il Rapisardi scherzando alluda a sè stesso. O che non forse il « rinnegato » Carducci aveva osato chiamarlo « cattivo soggetto » ?

* chi meglio di Mario Rapisardi poteva interpretare l'animo del suo migliore amico.



*approfondimento QUI

MARIO RAPISARDI, DALL’OMBRA ALLA LUCE, Antologia a cura di Virgilio Zanolla




IL LIBRO (prossima uscita prevista per i primi di dicembre) 

MARIO RAPISARDI, DALL’OMBRA ALLA LUCE, Antologia a cura di Virgilio Zanolla, Medea Edizioni.
In occasione del centenario della morte del poeta siciliano, il giornalista Virgilio Zanolla ha realizzato un’antologia costituita da una robusta introduzione in paragrafi dove oltre il profilo dell’autore, si tratteggia la storia della sua sfortuna critica. Si presentano le opere poetiche, con i testi più ispirati e si mette in risalto sia le qualità letterarie sia le ignorabili caratteristiche di modernità. Mario Rapisardi è stato saggista, drammaturgo, traduttore e poeta, nacque a Catania nel 1844 e ivi morì nel 1912. Di grande importanza i Poemetti e gli Epigrammi, nonché le impegnative traduzioni delle opere di Catullo, Shelley e Orazio e del poema La natura di Lucrezio.

VIRGILIO ZANOLLA
Nato a Genova nel 1953 è giornalista, saggista e traduttore dal portoghese e dallo spagnolo. Ha lavorato per quotidiani genovesi, fondato e diretto il trimestrale di cultura Il Maramaldo, diretto il Corriere di Genova, Genova per noi e The Horse’s Voice. Autore di guide turistiche e di due libri di poesie, ha pubblicato anche una monografia sul pittore genovese Pellegro Piola (Nuova Editrice Genovese 1993) e una monografia storica su Pizarro (Giunti 2003). Su Rapisardi ha pubblicato vari articoli e scritto alcuni saggi.

Titolo: Mario Rapisardi dall’ombra alla luce. Antologia poetica a cura di Virgilio Zanolla
Autore: Virgilio Zanolla
Formato: 15x21
Pagine: 320
Euro: 25,00
Per info:
Medea Edizioni
via Gobetti 9, 27100 Pavia
Tel: 0382/303878
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