Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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lunedì 28 novembre 2011

Come amò Garibaldi la patria, di Francesco Perez -1882


Come amò Garibaldi la patria
(Estratto  dall'Orazione pronunziata nel Politeama di Palermo il 2 luglio 1882).

.....   Perigliando più anni così nell'altro emisfero, per la difesa di stranieri popoli oppressi, non per questo gli uscì mai dal pensiero la patria lontana.
La patria, quale intendevala Garibaldi, quale la intesero le più grandi anime italiane — Dante e Mazzini su tutti — era ben altra da quella che idolatrarono gli antichi. Per costoro straniero e nemico furon sinonimi, e la stessa parola, hostis, valeva a significar l'uno e l'altro. Al modo stesso che ciascuna gente voleva avere i propri suoi Dii, nulla aventi che fare con que' d'altra gente, così pur della patria. 
Amare la patria valeva odiare, o per lo meno sprezzare chi di quella non fosse. E ci vollero i tempi maturi e inoltrati della romana civiltà perché si udisse il motto, solitaria aspirazione a tempi futuri « son uomo, e nulla di umano reputo alieno da me; », e perché Lucano potesse dir di Catone « non sentirsi nato a se stesso, ma a tutto il genere umano. »
Il concetto della patria repellente, esclusiva dominò non solo ne' tempi degli Dei speciali a ciascun popolo, ma ed anche, e forse più, nel medio evo, quando già a quegli Iddii erano succeduti i Santi protettori e patroni di ciascuna città e d'ogni singola classe.
E questo sì egoistico e meschino concetto di patria fosse pur anco mutato ne' tempi odierni! —Ma no. Prepotere con egoismo sulle altre nazioni è tuttavia l'ideale di certi uomini di Stato, che osan deridere noi fautori della pace universale e dell'arbitrato internazionale ; noi liberi economisti, che sentiamo la grande solidarietà del genere umano; che sentiamo e pensiamo come la natura stessa, spartendo inegualmente i suoi doni, non tutto concedendo ad ogni nazione, le costringa tutte ad affratellarsi, a scambiare reciprocamente i lor prodotti materiali e morali, per raggiungere tutte il gran fine della vera civiltà, la pace e l'universale benessere.
Né così lungamente inteso l'amore di patria, l'amore della propria nazione, cesserà d'avere ragione d'esistere, o riuscirà meno vivo. 
La razza, le indelebili speciali attitudini, che da essa e da' vari climi e territori derivano, la storia e le tradizioni proprie di ciascun popolo è, sintesi di tutto ciò, la lingua comune, resteranno pur sempre vincolo di distinta nazionalità, creeranno doveri e diritti speciali e precedenti a quelli universali e comuni a tutto il genere umano. 
Ond'è che il cittadino dell' èra nuova, che rifulgerà quandocchessia dalla vetta del Campidoglio, se amerà fortemente la patria, se sarà pronto a dare il sangue per essa, a volerla indipendente da qualsiasi servaggio interno od esterno, non vorrà per questo soggiogare la patria altrui, ingerirsi negli affari propri di quella sotto i mille pretesti che gli odierni sofisti hanno saputo inventare; non  pretenderà preminenza alla sua; non vorrà con armi e dogane far guerra alle altre, ma le amerà tutte sorelle; e solo vedrà nemiche e combatterà fino all'ultimo sangue le prepotenti che osassero negare indipendenza alla sua, insultarla, avvilirla, ingerirsi nelle sue faccende domestiche, foss'anche con ridicole propagande che pretendessero recare libertà a chi ne ha tanta da farsene ad altri imitabile esempio!
Tale era la patria che idolatrò Garibaldi.  E mentre per essa non era ancora suonata l'ora del riscatto, mentre i più generosi suoi figli apparecchiavansi alla riscossa, ei sentì commuoversi al grido degli oppressi di là dall'Atlantico. Pugnò e vinse per essi, levando ad altissima stima dovunque il nome italiano. 
E apparecchiava così gli esuli alle patrie battaglie, e creava, senza saperlo, intorno a sé quell'aureola di gloria, quel fascino su' suoi seguaci, che fu la più valida tra le sue forze, e che più tardi in Italia potè fargli dire :
« Soldati! Io vi offro fame, sete, fatiche, pericoli, morte. Chi ama la patria mi segua. »
E tutti il seguirono!
                         Devmo Francesco Perez.

*(tratto da Caritas strenna per gl'inondati 1882.83)

- Una patria, a cui sia limite il polo,
una famiglia, a cui sia fede il vero. - Mario Rapisardi