Una sciagurata tendenza ha torturato e tortura ancora l'umano pensiero. È l' oscurantismo, che vuole, ad ogni costo, nascondere il vero, ma inutilmente, perchè, presto o tardi gli infami artifizi vengono smascherati, e la verità, bella della sua luce, risplende e trionfa. Il Messo celeste pien di sdegno rimprovera la gente dispetta, la quale alletta questa oltracotanza, ricalcitrando, sebbene sempre sconfitta, al bene, come dice l'Alighieri nel Canto IX dell'Inferno.
Francesco Voltaire, quando disvela il metodo maledetto con le parole : - Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà ! —, addita tale tendenza. Essa fu quella, la quale divulgò che la gran Costanza fu monaca, e così abilmente asserì, che lo stesso Dante credette, e cadde nell' inganno. La mala voce introdusse destramente, come canta don Basilio nella celebre Aria La calunnia del Barbiere di Siviglia, che Costanza era stata monaca, e non fu giammai disciolta dal velo del core; il padre non si può garentire, e così, insultando una gentildonna e il regale marito di lei, era possibile affermare che il terzo vento di Soave, fosse l' Anticristo.
Altro esempio: Il 4 Gennaio 1912 cessò di vivere Mario Rapisardi. Qualche tempo dopo si sparse la voce che un certo cappellano, vecchio, fosse, con inverisimile acrobatismo, entrato da un balcone nella stanza del Poeta morente, il quale era stato lasciato solo (e dire che erano ansiosi attorno a Lui non pochi amici !), e l'avesse confessato. Con ciò si mirò a divulgare la voce che il Rapisardi fosse morto da credente. In vita di Lui, molti anni or sono, un sacerdote conferenziere, per dimostrare la superbia del Poeta, disse, con faccia fresca, tosta, dura, bronzea e cornea, che il Rapisardi usava una scrivania del costo di lire sedicimila! Chi scrive, discepolo e amico del Genio catanese, non aveva visto mai in casa del Rapisardi una siffatta scrivania ; nondimeno ne parlò all'Illustre Alfio Tomaselli e al valentissimo Avvocato Monterosso, i quali risero della pretesca invenzione (1).
Non faccio il nome del maligno inventore, il quale, quando poi una Signora, già esemplare mia allieva e allora e ora valentissima Collega, l'Egregia Signora Linda Magnani Rapisarda (la quale, trovandosi per poco tempo, in Catania, il giorno 8 Settembre, onorandomi di Sua cara visita, consentì che io la nominassi; e di ciò La ringrazio con paterno affetto), osservò al conferenziere che quella scrivania non era mai esistita, citando i testimoni, quegli rispose che egli aveva detto in quel modo, perchè così gli era stato detto da persone, di cui, prudentemente non disse nomi!
Si asserì, adunque, che il Rapisardi fosse morto da credente, fingendo di ignorare le due ultime affermazioni di Lui, l'una rievocante Argante, l'altra di disprezzo ai critici, appartenenti alla congrega impura.
Chi scrive questa Nota si reputa onorato di aver viaggiato in automobile, nello scorso autunno, recandosi da Catania a s. Giovanni la Punta e viceversa, con l'egregia Signora Santina Patamia vedova Chiarenza, proprietaria del bel palazzo di via Etnea, 575. Al secondo piano abitò il Rapisardi, ed ivi si spense. La Signora Patamia Chiarenza, seria, onestissima, dignitosa, gentile, energica, di non comune intelligenza, dinanzi alla quale chiunque deve levarsi il cappello ed inchinarsi, certamente non sospetta di essere una settaria, parlò, con chi scrive, del Rapisardi, di cui egli fu, ed è, umile discepolo e devotissimo.
La Signora, chiesta, rispose esser vero che il cappellano venne, ma arrivò alla scala, perchè non fu fatto entrare.
Anche l'illustre Alfio Tomaselli, richiesto pure da chi scrive, escluse qualunque possibilità della presenza di un cappellano in casa di Mario Rapisardi, che morì qual visse.
La stessa tendenza cercò, ed anche oggi cerca, di falsare la vera luce del Leopardi, sia con buona intenzione, caso raro, sia con proterva intenzione di infamare di incoerenza la santa Memoria di un Uomo grandissimo. Mi addolora che l'egregio Vincenzo Schilirò si sia fatto trascinare da siffatta tendenza. Ma, sia detto a discolpa dello Schilirò, questi è uno studioso di Dante, come prova la poderosa opera La Divina Commedia di Dante Alighieri, annotata e volta in prosa da Vincenzo Schilirò (Soc. Ed. Internazionale).
Questo Lavoro ha qualche non lieve menda, ma dimostra la buona volontà e l'erudizione dell' Autore. La detta opera io adotto nella mia Scuola. E se il Poeta, a cui lo Schilirò dedicò tanta parte della Sua Mente, fu ingannato dai Guelfi, che maraviglia se il valente studioso di Chi cantò Beatrice, si sia fatto ingannare dai discendenti di coloro, che opposero al pubblico segno i gigli gialli, e furono asserviti alla malvagia lupa ?
Non dobbiamo fare come i poeti e come, secondo il Tolstoj, i medici: - Abbi il coraggio di ingannarti e di sognare; ma respingiamo le lusinghe dell'inganno, e rinunziamo ai sogni ! Sia anche così la nostra vita notte senza stelle a mezzo il verno (Leopardi, Aspasia).
(1) Dico pretesca non per offendere i preti: noi, liberi pensatori, siamo tolleranti, (chi più intende, più compatisce, e fà apparire possibile l'amore di Empedocle, se un sogno esso non è), ma letteralmente, perchè uscita dalla bocca di un prete, padre F. F., il quale mirava a dimostrare l'indole aristocratica del Rapisardi e la superbia di Lui. Sono preti anche buoni e sinceri, e di tali non pochi ho conosciuti, e conosco, e della cui amicizia sono lieto, e mi vanto.
* Capitolo tratto da Commemorazione Rapisardiana, 4 Gennaio 1942 - XX - di Francesco Marletta.
Catania, tipografia Fratelli Nobile 1943 - XXI