"Il culto d’un popolo verso i grandi suoi morti è senza dubbio indizio della sua civiltà; ma, quando si pensi che molti di quei magnanimi a cui s’innalzano monumenti furono perseguitati e calunniati e odiati in tutte le maniere mentre durarono in vita, vien quasi voglia di conchiudere che molte che paiono manifestazioni di animi generosi non sono altro che misere ipocrisie, e gran parte di ciò che diciamo civiltà non è che industria d’inganni, onde un popolo si studia apparire quel che non è, non solo al giudizio degli altri ma di sè stesso.
Sarebbe perciò desiderabile, a decoro di una gente e ad onor vero dei grandi trapassati, che non ci si affaccendasse troppo a commemorare, a statuare, a monumentare coloro che furono grandi, e si guardasse invece di conformare i pensieri e le azioni nostre a quelle dei magnanimi, dico di coloro che tali furono veramente, non di tanti che prima e dopo morte usurparono tal nome, e fama e gloria ebbero di grandi non per fatti [p. 6]propri, ma per capriccio di fortuna che li pose in alto, e per adulazione di servi, che più adorano la fortuna che non rispettino la virtù.
Questa sarebbe da vero opera di nazione civile; ma i popoli, quantunque si dicano civili, seguiteranno probabilmente a far pompa di morti per coprire le miserie dei vivi: chè, inalzar marmi e bronzi costa soltanto danari, quando l’ingegnarsi di imitare i grandi costa tali sacrifici che, tranne pochissimi, nessuno è capace, non che di sostenere, d’immaginare." M.R.
MAZZINI
Sei tu, sei tu, con subito e profondo
Estro d'entusiasmo Edea favella:
Ben t'affiguro al mite aspetto, al fondo
Sguardo, alla fronte pensierosa e bella !
O intemerato cavalier del mondo,
Ben principia da te l' età novella,
Da te, dal cui presago alto pensiero
Raggiò, qual sole dall' oceano, il Vero !
Quando più pura e più sublime Idea
Più puro cor, mente più alta accese ?
Quando in età più tenebrosa e rea
Raggio più bel di libertà discese ?
Quando mai l'ala del Pensier che crea
Finse più mite eroe, più sante imprese ?
Quando sdegno che atterra, amor che molce
Andar congiunti in armonia più dolce?
Dolce armonia, che nel tuo bronzeo petto
Di vaticinj e di dolor nutrita,
Dalle voci cresciuta, onde un eletto
Stuolo agitò la tenebra abborrita,
Alimentata dal perenne affetto,
Per cui sì novi eroi dieder la vita,
Resa divina dal sospir di tante
Madri e dall' ira e dall'amor di Dante,
Nel tuo grido proruppe, e all'aure prave,
Onda oscura intristia l' itala pianta,
Diffuse a un tratto un fremito soave,
Una speranza inusitata e santa;
Dai pigri petti, dalle menti ignava
Fugò la nebbia e la negghienza tanta,
E come squillo di celesti trombe,
Svegliò la terra ed animò le tombe.
Sorsero sette re, pallulàr sette
Venali turbe al mal d'Italia armate,
E industri insidie e perfide vendette
Fra l'erbe ordir dal pianto tuo bagnate;
Il demonio dell'Odio e delle Sette
Ti saettò con Farmi avvelenate;
Ma il vermiglio Guerriero, un contro a tutti,
Sguainò la sua spada e fùr distrutti.
Salve, o dell' Ideal nitido acciaro,
Raggio di libertà puro ed ardente,
Celere qual pensier, come Sol chiaro,
Gloria della ridesta itala gente !
Per te dall' ombre dell' esilio amaro
Rifiammeggiò del Ligure la mente;
Per te l'Idea, che il cor gli arse perenne,
Nella destra d'un dio fulmin divenne !
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La Rivista Popolare ed. 1905 n. 11/12