Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

giovedì 26 gennaio 2012

Sant'Agata, poesia e musica nella Catania dell'ottocento - di Mario Rapisardi, Pietro Mobilia e Frontini

L'Ode di M. Rapisardi a S. Agata, per il 5 febbraio 1859

(S. Agata - Tela di Francesco Guarini)


Bellezza? a fiore è simile
Che sorge ed appassisce ;
Abbaglia, ma di subito
Nel suo baglior languisce ;
Nasce col sole e chinasi 
Come si china il di.
Scettri, corone, porpore
De l'alma son tormento ;
Ad un leggiero soffio
S'involano qual vento,
Lasciando in core un palpito,
La gloria che svanì.
Ch'è mai la vita ? un calice
Ricolmo di veneno ;
Il vuota il forte, intrepido
Col volto suo sereno ;
Il vuota il vile e l'empio
Pien di rimorsi e orror.
Tutto quaggiuso è labile,
Tutto appassisce e muore:
E' tutto un sogno rapido,
Sogno di sdegno e amore:
Ogni terrena gloria
E vanità del cor!
Là nei superni Circoli
Ove Virtù risiede,
Là il bene incorruttibile
La gloria là si vede,
Ove non regna invidia,
Sciagura e avidità.
Di questo regno agli aliti
Agata fu nutrita :
Sprezzò l'umana gloria,
Celeste fu sua vita,
Serbando senza macula
L'onore e la beltà.
Non valser spine e triboli,
Non volsero catene;
Né il minacciar d'un Preside
A trarla dal suo Bene,
A cui dall'età tenera
Fu sacro il vergin fior.
Ben tutto vince, e all'etere
Spicca i celesti vanni;
Conquide ogni pericolo
Affronta atroci affanni;
Ogni tormento mitiga
L'aita del Signor !
Il figlio dell'infamia
Con labbro pien di tosco
La mira allora impavido
Con guardo torvo e fosco,
La mira, in cor dilaniasi
Pien d'ira e di terror.
E tosto il Cielo un fulmine
Scocca dall'arco Eterno:
Fende fischiante l'aria...
Rimbombane l'Averno,
Impallidisce l'empio,
Trabocca... è più non è.
Agata, oh ! ve' Catania,
Commisera il suo stato:
Ella non ha chi regoli
Il suo funesto fato.
Deh ! Tu, sua figlia, accelera
Ad aiutarla il piè.
Mira... Con strido lugubre
L'alma virtù la lascia.
Già le s'appressa il vizio,
Crescer vi fa l'ambascia...
Se a fato tal sottraggasi
Sarà sol tua mercè !
                                Mario Rapisardi  

Vincenzo Casagrandi riproducendo l'«Ode», titola «Per il dì cin­que febbraio 1859 - Ode»

« Non valser spine e triboli,
non valsero catene;
né il minacciar d'un Preside
a trarla dal suo Bene,
a cui dall'età eterna
fu sacro il vergin fior »
L'«Ode a Sant'Agata» condensa nelle sestine (in totale 72 versi) una gamma di sentimenti e di stati d'animo: un cupo pessimismo di tipo schopenhaueriano espresso inizialmente («Ch'è mai la vita? un calice/Ricolmo di veneno...»//«Tutto quaggiuso è labile, / Tutto appassisce e muore;...»), cui segue l'esaltazione delle virtù eroiche della giovanetta Agata che «Affronta atroci affanni; Ogni tormento mitiga / L'aita del Signor!», e, infine, una richiesta d'aiuto per la città etnea, come una piccola vena affiorante di civismo per la realtà cittadina: «Agata, oh! ve' Catania, /Commisera il suo stato: / Ella non ha chi regoli / Il suo funesto fato / Deh! Tu, sua figlia, accelera / Ad aiutarla il piè».

L'ode a Sant'Agata non solo rappresenta un felice esordio lirico del nostro Poeta, ma significa anche uno spirituale ritorno dell'adolescente al Tempio in cui il suo sguardo innocente si era incontrato con quello divino della Vergine martire catanese. Sì, appunto perché nella chiesa di San Biagio, comunemente chiamata 'a Carcaredda o a' Fumaci, Mario Rapisardi fu battezzato.

L'argomento per l'ode a Sant'Agata era stato dato al pìccolo Mario Rapisardi, per farlo esercitare nel genere sacro, dal canonico Mario Torrisi, uno dei suoi tre maestri, che fu pure maestro di Verga e di Francesco Rapisardi, e che oltre la poesìa amava il vino, le donne e la musica. E il Poeta, mentre non nega che il suo maestro « ci aveva messo lo zampino », afferma con una certa albagia che « la sostanza era tutta roba sua ». Ma, letta l'ode, non solo il R. Revisore « fece gli occhiacci », ma mandò a chiamare il poetino all'Intendenza. Al padre, « uomo onestissimo e paurosissimo », vennero « i brividi della febbre » e voleva che il figlio non andasse. Il figlio, invece, acquietato il padre promettendogli che non sarebbe andato, uscì di casa con una scusa e corse ad affrontare il pericolo. Accolto, però, dal Revisore con un sorriso, si rasserenò. Questione d'un attimo. Perché, quando il Revisore gli disse che se voleva che la sua ode fosse pubblicata doveva sopprimere una strofa o almeno cambiare una « parolaccia », il poetino si incaponì e tenne talmente duro che il Revisore perdette la pazienza e lo licenziò bruscamente. Intervenuto il maestro e appianato il contrasto, l'ode fu pubblicata. Scrive però lo stesso Rapisardi « con qualche lieve mutamento di parole che in fondo dicevano la stessa cosa di prima ». Riprodotta poi in volantini variopinti, essi furono lanciati dai balconi del palazzo Tezzano, in piazza Stesicoro, al passaggio della Santa il 4 febbraio 1857, se si deve credere al Poeta. Se invece si deve credere al prof. Vincenzo Casagrandi e al poeta Alfio Tomaselli, l'anno è il 1859. Nel qual caso il Poeta non l'avrebbe scritta quando aveva tredici anni, bensì quando ne aveva quindici.
Quanto alla « parolaccia », essa era libertà. Il Revisore forse non ricordava o ignorava la « epigrafe angelica », il cui originale, fin dall'anno 568, si conserva, come è noto, a Cremona.

A proposito infine del Casagrandi, vorremmo aggiungere che egli, rilevato che lo « influsso del Manzoni sul Rapisardi è attestato dall'ode a Sant'Agata », afferma che essa « ben merita di essere ridata alla luce », giacché, a suo giudizio, non solo non è, come certa critica sostiene, « una contraddizione spirituale a tutta l'opera poetica di Mario Rapisardi », ma è anzi « una prova della precocità del suo genio poetico »


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A Sant'Agata
INVOCAZIONE

Scendi, invocata, dall' eterea sede
O sovrana beltà, pura, celeste;
O fanciulla, il tuo popolo ti vede
Dei più candidi fior sparsa la veste.
Tu sei l' astro più bello, ed al tuo piede
T' imploriam nell' ore afflìtte e meste:
Qual madre sei che intorno i figli mira !
Vieni, Diva del Ciel, vieni, e c' ispira !
Per te la dolce patria
Solo conforto avrà:
Per te la tua Catania
In Ciel si cangerà.

Dal Sansone di P. Mobilia

Il Figaro (Milano)
Settembre 1882

IL MAESTRO FRANCESCO PAOLO FRONTINI
ed il suo Sansone a CATANIA.

La stampa Catanese rese giustizia alla bravura del Maestro Frontini in occasione delle ultime feste in cui fu eseguito il suo Sansone Riportiamo gli articoli dei giornali locali
Gazzetta di Catania:
Finite le feste sentiamo l'obbligo di parlare di una novità musicale scritta per l'occasione cioè: del Sansone,  azione biblica messa in musica dal Maestro F.P.Frontini.
Il Sansone è un lavoro di polso, specialmente dal lato strumentale, però non mantiene sempre le norme prescritte per la musica sacra, né perciò potrei dare torto al Maestro, che, naturalmente ha voluto sciogliersi dalle pastoie per dare maggiore slancio alla sua giovane fantasia; ecco perché la musica del Frontini arieggia molto la scena ed ha un'impronta spiccata di teatralità.
Venendo ai dettagli dico che il preludio è di una fattura finissima ed imita molto bene il concetto dell'autore, quantunque nella forza ci sia una lontana reminescenza; è bella pure l'aria del baritono ed il seguente duetto col soprano.
Il pezzo più saliente della seconda parte è il brindisi per soprano, ma è pur anche molto apprezzabile il duetto col tenore ed il finale.
La più bella, però, sia per forma come per concetto, è l'ultima parte; essa comincia con un coro assai originale accompagnato con certi arpeggi che imitano perfettamente il suono argentino e monotono della lira dei tempi andati, e poi segue un duetto tra soprano e baritono veramente stupendo, e quindi un magnifico terzetto col tenore.
In conclusione il Frontini ha vinto la sua seconda battaglia col Sansone come vinse la prima con la Nella.
L'esecuzione fu abbastanza lodevole per parte della Signora Giulia Soarez, e dei signori Pignalosa e Guillaume, sia per parte della numerosa orchestra diretta dallo stesso autore.

Don Chisciotte:
Venerdì, primo giorno, c'è stato in piazza degli Studi il Sansone del Maestro Frontini.
Comincio col dire che questi spettacoli di musica in una vasta piazza dove i suoni si disperdono, non lo ho mai capito. Se almeno sovrapponessero una volta sul palco, in modo da riporre all'inconveniente! Ma no: ogni anno quella baracca è sempre più impossibile.
Questo in genere. Venendo poi alla musica del giovane Frontini, per quel che se ne può giudicare da una prima udizione, mi è parsa di una i strumentazione magistrale, ed è un peccato che i finissimi ricami degli strumenti a corda predominanti vadano dispersi in mezzo al mormorio della folla irrequieta. 
Anche la parte corale è espressiva e sapientemente coordinata colle parti a solo; il che aggiunse molto effetto quantunque l'esecuzione, forse pel peccato d'origine della piazza, non contribuisca molto a dare spicco al componimento.
Molti applausi accolsero i punti salienti.
Sono lieto di constatare che il Frontini fa nuovi passi nel cammino difficile dell'arte.



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"Il Martirio di S. Agata"



Antonio Alonzo (sindaco di Catania) diede incarico a Martino Frontini (Catania, luglio 1828-ivi, 7 novembre 1909), padre del più famoso Francesco Paolo, di musicare il libretto dell'oratorio: 
"Il Martirio di S. Agata", rappresentato a Piazza Università nell'agosto del 1863 e che ottenne un tale successo da venire eseguito anche l'anno appresso.


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Inno a S. Agata
parole di Salvatore Nicolosi Sciuto
musica di F. P. Frontini 1886






Bibliografia
«Archivio Storico per la Sicilia Orientale», S. 2a, Anno lll-IV (1927-29), Cata­nia, 1928
* Catania a zig zag, di F. Granata
* Giacomo Sacchero, di G. Pasqualino