Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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domenica 7 ottobre 2018

IL CORPO E L’ANIMA DI Frida in fuga dalla Russia, con amore



* di Vania Di Stefano





Di quella ciocca dei capelli materni Mirco, il minore dei figli di Titomanlio Manzella e di Elfride Neuscheler, protagonisti dell’atroce novella Tre bambini sotto una palma (1935), chiese spesso, in mia presenza, alla sorella Myriam, che rispondeva di non saperne nulla. Conoscendo la generosità di mia madre, sono certo che non mentiva. Casualmente l’ho scoperta io, combattendo quell’affascinante, invincibile disordine, chiamato vita, che dal 1960 fa da titolo ai primi volumi del mio zibaldone, abbracciando il panorama del tempo, del mondo riflesso dalla quotidianità e dall’archivio di famiglia.
Fra il 1917 e il 1920 (anno in cui iniziò un appassionato carteggio con Titomanlio) Frida, scampata col padre Edward (Uzwil 1861 - Catania 1926) e le sorelle Nadine e Vera alle fiamme della rivoluzione bolscevica (fuggirono separatamente per un freddo calcolo di


probabilità di sopravvivenza), cercava in Italia lavoro e un luogo dal clima giovevole alla salute del genitore. Lasciata la Svizzera scelsero Catania dove Titom e Frida si sposarono l’11 maggio 1922; in ottobre nacque Igor. 
Il vulcanico figlio di Giuseppa Frontini, dopo la grande guerra trascorsa in prigionia trovò una compagna straordinaria, ma l’alterna felicità durò sino al 16 luglio 1932. 
In quell’arco di tempo maturò un’intensa, frenetica attività letteraria dedicata ai giovani; basterà citare il romanzo Naticchia: storia di un ragazzo qualunque (1921), Farfalle: rivista mensile per ragazzi e giovinette (1923-1924), cui collaborarono anche "Frida Eduardowna" (racconti) e l’ingegnere "nonno Eduardo" (botanica, astronomia, tecnica), infine la commedia Pierrot sui tetti messa in scena a Roma il 18 febbraio 1929 da Anton Giulio Bragaglia per il Teatro degli Indipendenti.
Con impegno e talento Frida si divise tra la famiglia e l’insegnamento al Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali, riuscendo a rifarsi una vita senza rimpiangere la bella casa di Mosca, già abitata dal commediografo Andreieff, e la dacia di Butovo. 
Molto della sua vita resta da scoprire nelle lettere e nei diari scritti in russo, tedesco, italiano, nei ricami.
La dolcezza del carattere, il profondo senso di umanità, la pazienza e la disponibilità generosa verso il prossimo le conquistarono l’affetto di cognati, amici, vicini. Dalle loro malinconiche parole, scaldate dal conforto di bei ricordi, udii bambino rievocare consuetudini della vita quotidiana come l’accoglienza russa dell’ospite con pane e sale, il rito del tè prelevato da una scatola speciale e preparato con l’acqua del samovar che Titomanlio usò finché visse.
Che l’anima sia immortale ce lo dice la ragione meglio della fede, a patto che sappia quantificare la propria inadeguatezza come unità di misura dell’universo e riconoscere che, dopo millenni di sforzi speculativi, il pensiero immaginario non può generare alcuna sensazione o visione capace di rappresentare l’infinito. All’immortalità della propria anima Elfride credette fermamente e poco prima di morire lo disse al marito: "sarò sempre con te”. Nacque allora un evocativo saluto consolatore che accreditava la reale onnipresenza del suo spirito accanto a Titom, Igor, Myriam, Mirco, oggi riuniti in un abbraccio. Questo saluto, "con te”, verbale e scritto, entrò nel lessico familiare ed anch’io lo udii e ne fui partecipe.

**Reality









martedì 6 febbraio 2018

Titomanlio Manzella «l'inventore della Catania picaresca »





MANZELLA Titomanlio - Scrittore e giornalista (Catania 1891 - Roma 1966).

Coltissimo, estroso, sempre animato da un eccezionale fervore organizzativo, amava la natura e la vita agreste: « Adoro le piante, non amo gli animali (...).
Vorrei vivere in campagna, forse perché sono costretto a vivere in città: me ne rifaccio coltivando meravigliosi fiori nella splendida villa, in quel di Cibali, affittatami dal cavaliere Battaglia per una miseria all'anno ».
Professore di tedesco nelle scuole di istruzione superiore, collaborò a molti giornali italiani, tedeschi e americani. Scrittore fecondissimo, pubblicò una ventina di opere.




Molte di esse (Naticchia 1921, Ridi, o Sole! 1924,
La rondine maledetta 1926,
I parenti di Caino 1928,
Testallegra 1930,



Tre bambini sotto una palma 1935) sono dedicate all'infanzia.
Nel 1923 fondò una rivistina per ragazzi, Farfalle, illustrata da Antonio Prestinenza.

      


Diresse, per incarico dell'editore Amantia, la collana dei Migliori scrittori giovani.
Adottò molti pseudonimi (Alessio Karassik, Pedro Maslina Rueda, Victor Ducasse, Coelo Ramiro Delucema, Nikola Karassoff). Villaroel lo definì (Giornale d'Italia del 4 gennaio 1961) «l'inventore della Catania  picaresca ».

Enciclopedia di Catania  Tringale editore, 1987

* fratello di Gesualdo Manzella Frontini

giovedì 20 aprile 2017

Una notte futurista con Marinetti e un filosofo pazzo


Una Myriam Manzella quindicenne scrive la sua serata romana del 1939 tra locali e protagonisti del tempo «a diventar matti dalle risate» sul «sacramentale cosmico»



Myriam


Su 4 foglietti, trovati fra le pagine de “Il poema dei Sansepolcristi”, scrive il 20 luglio 1939 una Myriam Manzella quindicenne: «Ieri sera ò passata una serata che non dimenticherò mai più. Bella, interessante, e strana. In casa di Marinetti il simpatico futurista, abbiamo conosciuto un giovane poeta sardo, direttore di un giornale “Mediterraneo futurista”, Pattarozzi, col quale assieme ai coniugi ci siamo intrattenuti in interessantissima conversazione. Si parlava di arte, di politica, del dolore, di gelosia, di popoli, di costumi; insomma un genere di conversazione che à fatto volare il tempo. Marinetti è un Sansepolcrista idolatra di Mussolini come mio padre e Pattarozzi quindi trovandosi perfettamente d’accordo anche in questo campo la conversazione non languiva. Io ò avuto regalato da Marinetti un suo libro con la dedica che mi à procurato un immenso piacere. Dimenticavo di dire che c’era con noi una simpaticissima ed intelligentissima signora amica nostra. Pattarozzi ci ha accompagnati fino al filobus e coi lui ci siamo puntati per le dieci in caffè. Lì abbiamo trovato un filosofo mezzo pazzo con la moglie, e un architetto amici di Pattarozzi. Mentre si parlava simpaticamente ecco che il filosofo, che oltre ad essere pazzo era anche divertentissimo, ci chiede se ci fossimo mai occupati del “sacramentale cosmico”; ricevendo risposta negativa incomincia a spiegare. Bisognava starlo a sentire. Discorsi senza capo né coda senza un nesso logico, senza una conclusione, c’era da diventar matti dalle risate. Si beveva della birra di cui l’amico non faceva economia; ad un certo punto ci lascia “per andare a bere un calice! ”. La moglie un tipo di gatta infatuata dai discorsi del marito à l’incarico di spiegarci il “sacramentale cosmico” che poi è diventato il mito della serata. Insomma non si viene a capo di niente. Ed ecco che il “pazzo filosofo” dopo un dieci minuti di assenza si fa risentire attraverso il telefono dicendo di trovarsi alla “Rupe Tarpea” invitandoci a raggiungerlo immediatamente. Divertiti da questi contrattempi accettiamo allegramente.
La “Rupe Tarpea” è un ritrovo interessantissimo, che ricorda i tempi degli antichi Romani nella sua costruzione, locale caratteristico Romano, ritrovo di strana gente. Poeti, cantanti, filosofi, donnette stralunate. Tutti bevono a gara e mangiano olive salate. Ci sediamo su delle botti che fanno da sedie accanto ad un rozzo ma bel tavolo di quercia, si sturano parecchie bottiglie di Chianti, Lambrusco, Moscatello, Frascati di cui ne beve in massima parte il filosofo che ad un certo punto invita il poeta a declamare qualche sua poesia, noi approviamo con entusiasmo: versi strani, che non ò mai sentito, forse perché finora non conoscevo poesie futuriste, ma dotate specialmente in certi punti di una grande forza, tratti decisi, sagome stagliate, contorni balzanti. Insomma sono piaciuti a tutti. Il filosofo era già brillo e voleva assolutamente che Pattarozzi recitasse “forte sempre più forte, tutti debbono sentirti! ”. E quello che gli dava ascolto e si riscaldava nella eccellente declamazione esaltandosi un po’ da futurista. Dietro il nostro tavolo attraverso una strana ringhiera di legno lavorato si vedevano seduti tre coppie uomini e donne che cantavano a sfiata polmoni; ancora più oltre, due uomini ad un tavolino, gli occhi negli occhi, tratti nei tratti discutere animatamente interrompendosi solo per bere. Proprio sotto un’anfora antica romana che stava sospesa in un angolo della sala, due uomini ed una donna che rideva e rideva, ubriachi fradici. Rendevano ancora più strano il locale gli impeccabili camerieri che silenziosamente scivolavano attraverso le botti e i tavoli come se fossero stati estranei a tutto ciò. Lucerne ciondolanti dal soffitto volevano forse con la loro luce malata cercare di soffocare quel chiasso. Non so da dove, trapelava a tratti della musica che sembrava quasi cercare d’infiltrarsi nelle brevi pause delle voci... e il poeta cantava i suoi “archi cilestrini” i suoi “coltellacci di sole”, “i porti ansimanti della Sardegna”.
Uscimmo da quel locale a mezzanotte passata. Il “Filosofo” a braccio della moglie completamente sbronzo che con i suoi strampalati discorsi ci faceva letteralmente crepare dalle risate, il poeta eccitato, l’architetto occhialuto che tentava di spiegarci il valore della finestra in una casa. Roma dormiva sotto un cielo incendiato di stelle, vegliavano solo le fontane, i cui bianchi spruzzi baluginavano come bianche braccia di donne sopra un tessuto di notte. E il poeta volle ancora cantare alla città addormentata, forte, che tutta Roma lo sentisse, dimenticammo noi stessi e dove ci trovavamo, ci riportò alla realtà il “filosofo” che voleva assolutamente tornare a casa in carrozza. Ridendo ci muovemmo alla caccia d’una carrozza che finalmente fu trovata. Ci volle un bel pezzetto per convincere il “filosofo” che nella carrozza non ci si stava tutti, e finalmente ci accomiatammo dopo avere ancora una volta pregato “l’ubriaco” di spiegarci il “sacramentale cosmico”. Mentre per via Nazionale si perdeva lo zoccolio del cavallo ci avviammo sotto braccio al nostro albergo. 20 Luglio».
Cara Marussja, quando la memoria tace rimane solo la parola scritta a ricordarti come eri, rimane l’abbraccio di chi ti accompagna e con te condivide la povertà che ci rende fragili: quella del tempo. Ma tu rispondi col titolo della tua ultima raccolta di poesie: “Che importa il tempo”. È vero: ora ci hai trascinato in quella lontana serata futurista e anni fa ci hai nutrito con la bellezza dei racconti pubblicati su “La Sicilia”. Auguri madre. - LUNEDÌ 22 SETTEMBRE 2014


mercoledì 5 aprile 2017

" CRITICA ed ARTE „ in Sicilia, le prime "voci" del Futurismo 1907



ANNO 1, n.1 20 febbraio 1907 Catania


Ad limina...

Ricordo, non senza compiacimento, il fervore gioioso con che iniziammo in una rivista siciliana
la nostra battaglia di idee e di arte, e le accanite scaramucce provocate e i giudizi severi e a volte
taglienti per articoli arditi, mossi più che da risentimento da giustizia.

Forse era nelle mie intenzioni di provocare la vitalità latente d'una frotta vigorosa di energie giovani, avidi d'una voce di richiamo, ma per una vernice di regionalismo ch'io diedi alle mie parole d'allora fui inteso  male.
Si credette ch'io volessi gridare per la smania vana di farmi notare, fingendo di volere imporre nomi e glorificare una regione dimenticata; gridare per raccogliere il buon pubblico ad annunziargli che era un grande ingenuo, che si trovava in errore, non avendo ancora aggiudicato a noi siciliani la corona dei forti, dei laboriosi dei più degni.
Ed anche l'amica Adelaide Bernardini, ora nostra cara compagna di lavoro, mi feriva con una frase ch'io non dimenticherò mai: « Voi siciliani avete la simpatica velleità di credervi superiori a tutti » ; e con altre parole: « Voi siete uguali agli altri forse, ma non avete fatto mai  niente per farvi  valere ».
Proprio così, ma non è stata tutta colpa nostra.
Per diverse condizioni, storiche ed economiche, abbiamo visto i nostri ingegni migliori esulare verso il settentrione d'Italia, disgregando le nostre forze e importandovi i frutti saporosi della loro arte ; cosi che la mancanza d' un centro di cultura, centro di radiazione e di convergimento, à rubato educazione artistica alla nostra regione, à lasciato nell'assonnata inattività l'industria dell'arte, ci à come divisi dal resto del mondo che progredisce, ed à acuito il nostro sguardo e le aspirazioni solitarie verso il settentrione.
Perduto da un canto il tempo aspettando il verbo dall'alto, dall'altro siamo rimasti a lamentarci che. questo non perveniva ai nostri inesercitati timpani auricolari.
E le cose stavano così.
Ad un tratto noi giovani, noi di oggi, spiriti nuovi e arditi per temperamento, spalancando gli occhi al Sole abbiamo con terrore considerato l'enorme e soffocante strato di polvere che pesava sulle case nostre, sui nostri abiti, sulle nostre anime.
Da prima sconfortati ci siam detti su per gli arcaici gazzettini quante tristezze avevamo per atavici vizi accumulate, ed infine, in una rivoluzione gloriosa di vita, più che cedere alla miseria e al magnete di un Sole lontano, emigrando divisi verso di Lui, abbiamo voluta rifare e ritessere, colmando con volontà e potenza di tutte le virtù, l'abisso.

***

L'Arte come manifestazione dello spirito è una libazione diretta del benessere del progresso e dell'attività così col rinascere della vita economica la Sicilia nostra ha risentito il culto ed il gusto dell'Arte.
Mancavano centri di supremazia intellettuale, oggi Palermo è divenuta una città discretamente elevata ; Catania si svecchia per volontà dei giovani, che tutto possono quanto vogliono, purché tutto ardiscano.
Critica ed Arte, fondando le sue salde radici sopra il fermento fecondo di queste anime giovani sarà l'eco della rinascita e del rinnovamento.
Siamo convinti, e ne diamo la prova, di non fare regionalismo, già che pensiamo ad una non lontana arte cosmopolita, in qualche modo annunziata, ma lo sviluppo di tutte le forme superiori dell'attività bisogna che in ogni parte raggiunga il grado opportuno: E noi nasciamo ora.
Vogliamo per questo il contributo di tutte le forze nuove d' Italia e fra queste divulghiamo la nostra parola perchè addimostri che anche da noi, quaggiù, si vuol lavorare, per la coscienza di poter fare.
Innumeri sono i tramonti di astri che dileguano,' sol diradando le tenebre che già squarciarono, ed in contro insanguinati brani di cielo violentano albe freschissime.
         Diane pugnaci !
Gesualdo Manzella Frontini


 “ Nel gennaio del 1907 io lanciavo un manifesto che preludeva la pubblicazione d'un giornale letterario, “Critica ed Arte” forse non ignoto a qualcuno di voi. Il manifesto fu accolto con ostilità molte: esso portava fra le righe frasi stilizzate la rivolta futurista, ma non ne conteneva il nome, né la prepotenza aggressiva. Ebbi pochi aderenti e tra questi un giovane di genio, Filippo Tommaso Marinetti, che fu collaboratore nel mio giornale e che mi divenne amico affettuoso.
Era trascorso un anno quando il Figaro, il giornale diffuso parigino, lanciava al mondo col nome di futurismo un grido di elevazione di rinnovamento di nuovo orientamento, e il Marinetti eroicamente affrontava con la stessa idealità e con mie identiche la lotta ch'io non avevo saputo sostenere ...” 

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Altro 

martedì 21 marzo 2017

"Il ritorno del figlio nel sogno"

Testo di Gesualdo Manzella Frontini pubblicato sul quotidiano di Roma Momento Sera del 4 novembre 1954; vi si ricorda il figlio Ardengo morto in guerra nel sottomarino Corallo nel dicembre 1942. 
"Un testo struggente, bello, bellissimo".

Gesualdo e il piccolo Ardengo

IL RITORNO DEL FIGLIO NEL SOGNO

Io ero entrato nel sogno quando il mio figliuolo era ancora per via, ed ecco, stava davanti la nostra casa, ma s'era poi fermato in una vasta piazza perché la casa non c'era. Io vedevo infatti la madre in cucina e altri in altri posti, come in separate stanze scoperte, dalle mura certo di vetro, trasparenti: non erano stanze.
Egli veniva incontro a me. 
Insolitamente chiuso quel suo volto ch'era stato sempre chiaro e aperto al sorriso: solo una viva fiamma d'oro, come non mai solare: erano i capelli mossi dal vento o forse da una carezza di dita invisibili.
Aveva le mani in tasca, mi sembrava meno alto e camminava lento quasi strisciava sul pavimento i piedi, ch'erano coperti dagli ampi pantaloni marinari che si afflosciavano in basso, oltre le ginocchia, come sacchi. Sul bavero della giubba da un solo lato due stellette.
Ci abbracciammo, stretti. Egli non diceva nulla, io gli carezzavo il volto e le mie mani erano trepide o agitate, come volessi fissare i tratti riplasmare nella memoria i particolari.
Gli dissi — e lo guardavo per un momento distaccandomi da lui —"Stai bene, caro, ma è strano, mi sembri più piccolo, meno alto».
Egli non rispose, ma sollevò le ampie campane dei pantaloni, dispiegandone le pieghe, poco, e li fece ricadere subito, con un gesto di pudore. 
Erano apparse per un attimo due scarpe di riposo, mal ridotte, quasi due pantofole di pelle sciupata e irrigidita dalla salsedine.

Poi disse: "non ho più i piedi per navigare, papa".
Ma non lo disse con parole, ma io tuttavia intesi. 
Lo abbracciai ancora e lo stordivo, che dentro di me risuonavano, come in un auditorium capace, vibrazioni metalliche, le sillabe appena pronunciate.
« Faremo degli arti nuovi, né alcuno si accorgerà di nulla. Tanto tu devi forse correre? 
Andrai piano. Riprenderai la tua statura, sei bello figlio, come prima sei bello e sei sano, stai tanto bene con la divisa fuori ordinanza ».
Egli mi guardò serio poi mostrava il volto più aperto e sorrideva e gli si illuminavano gli occhi leonati.
Disse: «A Taranto i marinai d'una tradotta si divertivano e sogghignavano perché io andavo piano e strisciavo i piedi sul marciapiede della Stazione. E cantavano una canzoncina di scherno. Sono salito nel vagone. Non capivano ch'io ero un ufficiale, vestito così come sono, in malo arnese veramente. Tirai fuori il mio cronometro », fece l'atto: io rividi il cronometro infrangibile e impermeabile che gli avevo regalato al suo primo imbarco avventuroso nel grande sottomarino, e mi era apparso felice del dono inatteso, m'aveva baciato, figlio mio. Poi continuò: « se fra dieci secondi non mi avete chiesto scusa dell'offesa.. Come mi avessero riconosciuto per una improvvisa illuminazione, due o tre per tutti biascicarono: ci perdoni, signor Tenente ».
« Erano bravi ragazzi, sono tutti bravi ragazzi i marinai, e volevano aiutarmi a ridiscendere. Io non volli perché dovevo mostrare di essere in gamba. E sai, papà, quando fummo speronati, uno dei miei ragazzi, ricordo che stette ad ascoltare i palpiti del mio cuore, fino all'ultimo istante della mia morte ».
Io gli chiesi ancora, e lo carezzavo e lo toccavo, e la mamma sfaccendava e le sorelle andavano per le stanze trasparenti, ma senza nulla vedere: 
« Dove avvenne, figlio mio? ».
Come in una sequenza cinematografìca io assistivo alla favolosa straordinaria avventura rievocata dalle sue parole. Vidi un edificio tempestato di borchie d'argento e di bronzo, ch'io non avevo mai notato.
Disse:  « Vedi quell'argento   e   quel   bronzo?   Quelle borchie son fatte delle nostre medaglie ».
Io non capivo.
Mi guardava arguto e stupiva della mia meraviglia. E intanto la facciata del palazzo prendeva l'aspetto d'un sarcofago imponente, immane, interrotto da colonne di scheletri umani che non davano alcun ribrezzo, ma dolci e pietosi alla vista, candidissimi come le immagini inconsistenti delle allucinazioni, quasi ostie intatte.
Ruppe la soffice atmosfera incantata una voce di bimbo.
«Mamma, mamma, è ritornato il figlio della signora: è ritornato Ardengo ».
Io dissi, fra me, e poi volli dire forte: « La Madonna ti ha fatto la suprema grazia che tu hai invocato, ma l'ha voluta pagata la grazia, cara».
Lei infatti doveva avere udito di là dal mondo il mio richiamo.
Sotto le dita, che passarono ancora tra i capelli di mio figlio, sensibilmente, sentivo il calore del suo capo nella carezza.
Così mi svegliai e nelle palme è rimasta viva la sensazione morbida dei capelli biondi.
                                                                Gesualdo Manzella-Frontini




Aci Trezza - i Manzella-Frontini

lunedì 13 marzo 2017

Manzella 1916-1918. Nei lager austro-ungarici della Grande Guerra



Libri prigionieri con Manzella
1916-1918. Nei lager austro-ungarici della Grande Guerra



di Vania Di Stefano

Ho ritrovato la geografia dei lager austro-ungarici della Grande Guerra nelle date autografe scritte sui libri che il sottuffciale prigioniero Tito Manlio Giovanni Manzella (Catania 1 gennaio 1891 - Roma 19 febbraio 1966) ricevette in dono o acquistò nei vari campi di concentramento, usando carte-monete speciali, fra il 30 marzo 1916 e il 18 settembre 1918, data della sua liberazione.
Sulla vita di Titòm (così lo chiamavano i figli giornalisti Igor, Myriam, Mirko; per me era, alla russa, ‘Dieda’, cioè ‘nonno’) ho pubblicato ricordi documenti nel quotidiano La Sicilia, descrivendo il giovane poeta, il ragioniere emigrato in Germania, il collaboratore del Corriere di Catania, il soldato, l’insegnante di lingua tedesca nei ginnasi, lo scrittore; ma sul progetto di una mostra dedicata ai libri della sua prigionia, non potevo che anticiparne qui l’idea, confortato dall’interesse di Nicola Micieli, raffinato artefice di esposizioni, curatore di una rassegna (colpevolmente inedita) di ‘ritratti’ del libro, inteso come creatura viva, sorgente perenne di quell’immaginazione che sa essere salvifica perché è mentale, dunque libera, non seriale e tanto meno tecnologica, virtuale, pubblicitaria, consumistica. 




Il centenario del primo conflitto mondiale lo stanno raccontando le riflessioni degli specialisti corredate dalle fonti di allora: giornali, lettere, diari, romanzi, poesie, articoli, immagini, archivi, oggetti. 


Gli orrori, le stragi, le sofferenze delle anime e dei corpi sepolti vivi nelle trincee, ma soprattutto la follia delle classi dirigenti, dei comandi militari e degli eterni gruppi di potere economico (questi ultimi ancora oggi brindano giurando sul neo-vangelo intitolato Mors tua pecunia mea!), emergono senza i veli dell’elegante retorica patriottica tardo-ottocentesca. Qui non ne scriverò perché mi preme mostrare il già evocato valore del libro, fonte di apprendimento e di terapeutica riflessione, compagno di prigionia e onirico strumento di fuga (dal sogno però ti ridestavano le copertine e le pagine marcate con sinistre timbrature rosso-sangue).  



Catturato nella notte fra il 26 e il 27 marzo 1916 durante un pattugliamento sul fronte di Gorizia, dopo una breve permanenza a Castel di Lubiana e a Mauthausen (sede di un deposito di libri selezionati), il 20 novembre, scriveva a casa da Osstffyasszonyfa (Ungheria): “lavoro e studio le lingue, scrivo e penso a voi”, ma il 3 luglio 1917, conclusasi la decima battaglia dell’Isonzo, l’umore è mutato: “leggiamo i giornali austriaci i quali riportano tutto dai nostri giornali, anche i comunicati di Cadorna... da due mesi non so far più nulla, né leggere né scrivere. Incretinisco, sono ossessionato! Se penso di dover passare qui ancora un inverno mi sento annientare dall’angoscia! Io non ne posso più! Sono vecchio! Non ho conchiuso più nulla. Non ne posso più! Vi bacio! Vi stringo al mio petto. Sogno sempre di voi, le cose più belle e le cose più brutte! È un’ossessione, un disperare e sperare continuo!”. 


Durante la lunga reclusione, paradossalmente molto fortunata perché privilegiata dal grado, la biblioteca illuminò la notte delle morti quotidiane, favorendo la convivenza di lettori e carcerieri, gli uni e gli altri partecipi della comune, fragile condizione umana e rispettosi delle regole imposte da circostanze liberticide. Stando ai manoscritti, non poco di quel che allora abbozzò e in parte pubblicò negli anni successivi maturò sulle pagine degli oltre 150 volumi posseduti, 53 dei quali della collana Universal Bibliothek (Lipsia), 5 della Bibliotheca Romanica (Strasburgo). Li ho schedati e ordinati secondo la data di acquisizione sì da percorrere, a un secolo di distanza e lager dopo lager, l’itinerario di lettura o di semplice consultazione curiosa (sporadici i segni di matita e rare le postille). Non mancano le dediche di compagni di prigionia e di donatori italiani, come Virginia Boggio Lera. Il fratello Gesualdo Manzella Frontini gli spedì Osservazioni e massime di Georg Christoph Lichtenberg, poi gli procurò un “abbonamento al pane” tramite la Croce Rossa svizzera (una circolare proponeva 2 chili settimanali per 5 franchi), iniziativa salvifica quando la fame iniziò a galoppare sui cavalli dell’apocalisse, azzannando anche gli ufficiali e stremando i carcerieri. 

Prevalgono gli autori di lingua germanica fra cui Martin Luther, Froben Christoph von Zimmern, Paul Rohr-bach, Leopold Freiherr von Chlu-mecký, Bruno Busse e molti altri. Sono tradotti in tedesco esponenti celebri della letteratura europea, ad es.: Cervantes, Gogol, Andersen, Sologub. Accanto alle antologie  poetiche  si  segnalano  monografie e raccolte di fiabe, genere letterario preferito: ve ne sono di austro-ungariche, russe, tedesche, svizzere, albanesi, bulgare, serbe, croate, cinesi. Non mancano classici come La Chanson de Roland e le biografie, in maggioranza di musicisti: Bach, Händel, Haydn, Cherubini, Meldessohn, Chopin, Cornelius, Brahms. I manuali, le grammatiche, i dizionari e i testi di linguistica spaziano fra tedesco, ungherese, inglese, spagnolo, russo. Interessanti due almanacchi bellici e pubblicazioni che stigmatizzano il ruolo politico dell’Italia.
Celebrare i libri di questa inconsueta, rara biblioteca sarà utile per mostrare la sola possibile via di fuga da ogni mostruosa macelleria bellica. A dispetto dei mortali angeli sterminatori non mancheranno mai antichi e nuovi libri salvifici, capaci di farci superare persino le attuali, vitalissime, disarmate, subdole guerre invisibili di matrice bancaria, borsistica, burocratica, oligarchica, politica, psicopatica. Tra le pagine ingiallite di allora e le pagine bianche non ancora stampate si perpetuerà per scripturam quel privilegio straordinario, chiamato vita, che ci fa umani, pensanti e necessariamente solidali, spingendoci, se possibile, a condividere in amicizia questo fugace soggiorno terreno.

  STORIA/E R



Marussja Manzella: Io, sorella di Igor Man



sabato 18 febbraio 2017

FRANCESCO PAOLO FRONTINI Nel 50° anno della sua attività artistica

Profili   d'artisti  catanesi :


Quando la sera del 31 marzo 1881 fu rappresentata al nostro Teatro Comunale (allora Massimo) l'opera in tre atti Nella di F. Paolo Frontini, fu un' delirio di pubblico, e un trionfo per l'autore. Il pubblico ebbe subito la sensazione di trovarsi a contatto di un musicista capace di donargli melodie e motivi che travolgono 1' animo degli ascoltatori per la loro intima forza di commozione dovuta al temperamento passionale dell'autore che ha il dono di saper presentare sotto un'eletta forma artistica voci ed aspirazioni dello spirito nostro : voci ed aspirazioni che vagano fluttuanti e indecisi nei precordi dello' spirito umano, e che trovano finalmente, per opera di una mente superiore, il mezzo di liberarsi e di tradursi pienamente in atto con uno sviluppo di motivi ricchi di forme e di ritmi, di toni e di colori capaci di imprimersi nella mente dell'ascoltatore con tale forza da poter essere ad ogni istante rievocati e  più  intensamente  gustati.
Ma lasciamo la parola al critico teatrale del « Plebiscito» giornale dell'epoca: «Quel giovanetto appena ventenne, magro, smilzo, asciutto, bruno e con due baffetti nascenti ; quel giovanetto dallo sguardo ardito ed intelligente, che sino a ieri pochi conoscevano, ieri sera era l'oggetto dello entusiasmo di un popolo acclamante, oggi è l'argomento di tutte le conversazioni 
Perchè — voglio dirvelo subito — prima di parlarvi dell'opera, sento il dovere di rendere omaggio all'ingegno non ordinario, alle preziose attitudini, alle rare doti di un giovanetto, poco più che un ragazzo, che già ci riempie di lietissima meraviglia, mostrandoci altezza di intelligenza, robustezza di componimento, profondi e severi studi ! E' più che una premessa : è una ferma assicurazione di un avvenire splendido e di cui la Patria sarà orgogliosa.
La Nella è un tentativo — scritta due anni fa! — ma è un tentativo di gigante! ».
« Il Corriere di Catania », « La Gazzetta di Catania », « Il Piccolo Catanese», il « Don Pancrazio » e tutti i giornali artistici della penisola scrissero sullo stesso tono, giudicando il successo del giovane catanese. E da quel giorno comincia l'ascesa del giovanissimo maestro, che già nel 1880, aveva ottenuto, alla Esposizione Artistica-lndustriale di Cremona, una medaglia per una Ouverture a grande orchestra, ed ave-va completato un'altra opera in un prologo e tre atti: « Aleramo », rimasta sempre inedita.

Nel 1882 scrisse per incarico del municipio di Catania, una « Azione lirica » in tre parti dal titolo : « Sansone » che venne eseguita nell'agosto dello stesso anno, in occasione delle feste agatine.  Anche questo lavoro ottenne un successo lusinghiero di pubblico e di critica. 

E' in quest'anno che il maestro Frontini riceve l'incarico dalla Casa Ricordi di raccogliere in un volume i canti popolari della Sicilia. Un onore grandissimo per un maestro ventiduenne, una vera consacrazione per il suo nome se la più importante Casa Editrice musicale italiana lo include fra quelli già di sicura fama.
La raccolta di 50 canti siciliani dai titolo « Eco della Sicilia » fu la prima a far conoscere al mondo artistico e al gran pubblico la pura e genuina vena melodica di questo meraviglioso popolo che attraverso i secoli ha saputo mantenere intatto un inestimabile patrimonio musicale, tramandandolo da una  generazione all'altra. 

  
Il  Frontini ebbe il merito grandissimo di mantenersi fedele alle fonti sia nella trascrizione della melodia, come nella elaborazione dell accompagnamento per il quale egli ebbe sempre presenti tonalità, accordi e cadenze genuinemente siciliani. Ciò che non sarebbe possibile dire per la più recente raccolta fatta dal Favara ed edita altresì dal Ricordi. Il Favara ha voluto fare sfoggio di qualità contrapuntistiche le quali hanno falsato spesso il carattere della canzone accoppiando ad una melodia fresca, sincera, squisita ed ispirata, accompagnamenti fatti di accordi artificiosamente elaborati astrusi, dando luogo a contorcimenti armonici che tolgono alla pura melodia tradizionale la sua bellezza naturale.
La raccolta del Frontini fu accolta col più vivo interesse anche e sopratutto da chi si occupava allora di folklore. Giuseppe Pitrè in una lunga lettera diretta al Frontini e pubblicata su l'Archivio per le tradizioni popolari (Palermo 1883) gli diceva fra l'altro: le cinquanta melodie di questa Raccolta sono, per lo più scelte con giudizio, e trascritte con la fedeltà voluta in cosiffatti lavori ».

Nel frattempo il Frontini, instancabile e di facile vena, pubblica con la stessa Casa Ricordi belle e squisite romanze da camera, che conquistano rapidamente tutti i salotti d'Italia e dell'estero. I critici musicali, con a capo il Filippi e il D'Arcais, non esitano a riconoscere in lui qualità spiccatamente personali che lo pongono senz' altro accanto ai rinomati Tosti, Rotoli, Denza che in quell'epoca erano celebrati in tutti i salotti.
Le romanze del Frontini sono innumerevoli, circa un centinaio, ma le più belle, dove all'originalità della frase si accoppia una elevata ed elegante armonizzazione, sono : Paggio e regina, Folchetto, Alla luna, La cieca, Canto di Mignon, I baci, Le nuage, Viole bianche, Povera mamma! Senza baci, Baci mortali, e tante e tante altre che sarebbe lungo enumerare.
A proposito della romanza Le nuage, su versi di Emilio Zola, il celebre romanziere francese scriveva al Frontini :
« Monsieur,
« J' ai enfin recu votre morceau de musique, et je vous envoie tous mes remerciements et toutes mes felicitations.
« Votre melodie est charmante et d'un ca-ractére élevé, qui emporte trés haut les médio-cres vers de ma jeunesse.
« Veuiliez agréer, monsieur, l'assurance de mes meilleurs sentiments.
Médan, 12 novembre 1884
Emilio  Zola ».

Per queste pubblicazioni il maestro ottiene una medaglia alla Esposizione Internazionale di Musica di Bologna nel 1888.

Ma ecco ancora un'altra raccolta che mostra nel giovane maestro il grande amore per la sua Sicilia, ch'egli vorrebbe più conosciuta e più amata attraverso l'incommensurabile tesoro delle sue melodie. Egli riunisce in un volumetto le nenie ed i canti che il popolo siciliano fa rivivere ogni anno davanti al caratteristico presepe durante le feste del Santo Natale che, col mese mariano, è la festa alla quale l'animo devoto del nostro popolo maggiormente si ispira. Così vien fuori il « Natale Siciliano » (ed. A. D. Marchi - Milano, 1893) che conferma sempre più lo spirito di comprensione che anima il temperamento dell'artista, capace di sentire come nessun altro la bellezza e la eternità della vena melodica popolare. Tutto un passato senza volto e senza precise determinazioni trovò nel Frontini un realizzatore ispirato ed abile che lo fermò definitivamente per la gioia dei posteri.

Intanto era stato dato l'annunzio di Malìa, un'opera in tre atti.
L'attesa è insolita e, per una serie di circostanze volute o casuali, l'opera del maestro che esplica tutta la sua personalità di musicista nell'ambito della tradizione classica italiana, vien data proprio a Bologna nel maggio del 1891 nel teatro Brunetti (oggi Duse); Bologna era allora una città tutta presa di Wagner; non è a dire quindi con quanta diffidenza il pubblico si accostasse ai tre atti del maestro catanese. Eppure il successo fu grande e, nonostante certa critica alimentata da princìpi e teorie wagneriani, l'opera ebbe numerosissime repliche e segnò un vero trionfo per il maestro. A Catania, a Milano, a Torino e in altre città ancora il lavoro riscuote sempre maggiori applausi e consensi. Il nome del maestro diventa popolarissimo, la sua musica domina per un certo tempo il gusto e l'animo degli appassionati: Malìa si chiama la nuova opera per cui Luigi Capuana aveva scritto il libretto dietro invito del maestro, suo amico carissimo, nonché concittadino. Erroneamente si crede che il Capuana abbia tratto il libretto dalla sua famosa commedia dialettale. Anche Ugo Fleres (Uriel), che nel 1892 si occupò di Malìa, mentre appunto l'opera passava di trionfo in trionfo per i teatri d'Italia, ebbe a scrivere sul Folchetto di Roma :
«Il Capuana, tuttavia un po' stupito di aver collaborato a un'opera musicale, ripigliò l'idea di quel libretto, la maturò e la sviluppò finchè ne uscì una commedia : Malìa.
« Il caso di un melodramma nato da un dramma è più che ordinario; basta rammentare l'Ernani, il Rigoletto, la Lucrezia Borgia e tante altre opere italiane e francesi. Il caso contrario, cioè di un melodramma, o meglio di un libretto che partorisce un dramma, o più propriamente una commedia, credo sia del tutto nuovo, o almeno straordinario».

Ugo Fleres intanto finiva anche lui col determinare un caso straordinario: non avendo a sua disposizione un ritratto del Frontini, donde trarre un clichè, si trasformò in disegnatore, riuscendo a ritrarre le sembianze dell' amico aiutandosi con la sola memoria che in verità fece fare miracoli alla mano non adusata a simili fatiche. Lo schizzo a sanguina di Ugo Fleres fece il giro di molte riviste dell'epoca che trovavano interessante far conoscere questo caso rarissimo di uno scrittore che s'improvvisava — e con successo ritrattista e contribuiva nel frattempo render popolare la figura del giovane maestro mentre Malìa teneva il cartello per ben sedici sere a Milano e a più riprese veniva data a Catania, a Trapani, a Siracusa e in vari teatri del continente.

Il soggetto verista, di ambiente siciliano e ispirato al Capuana — siciliano anche lui e grande assertore del verismo nel romanzo e nella novella — dall'avere ascoltato i canti popolari siciliani raccolti dal Frontini, aveva provocato nell'animo del musicista maggiore intensità d'ispirazione e una moltiplicata possibilità costruttiva. Dal '95 comincia per il Frontini un periodo di intenso fervore creativo. Mentre prepara l'opera « il Falconiere », pubblica numerosissime romanze di fine gusto e di squisita fattura dove l'arte tutta personale del maestro sente di una elaborazione appassionata e intensa che maggiormente serve a mettere in risalto il suo fondo lirico inesauribile.
Il poemetto lirico « Medio Evo »  riesce proprio un piccolo lavoro di musica da camera. Il già celebre Massenet scrive così al maestro Frontini : 
« ...je suis ravi de vos oeuvres : ravi! Bravo de tout coeur! »
« Medio Evo » fu cantato dalla celebre Corelli in diversi teatri e sale, ottenendo sempre pieno successo.
Nel '99 si rappresenta al Teatro « Pacini » di Catania l'opera in tre atti:  « il Falconiere ».
Questa nuova opera affermò sempre più il nome del maestro ancor giovane, che si univa alla schiera dei valorosi operisti della « giovane scuola ». La critica ufficiale salutava finalmente senza alcuna discordanza il nuovo astro del melodramma italiano.

Ma ecco che la sorte l'abbandona, la fortuna gli volge le spalle: muore l'editore che progettava una tournée in America, fallisce la Casa Editrice e le opere cadono nell'oblìo.
Sopraggiungono tempi tristi per il giovane maestro, che non resiste ai colpi dell'avverso destino e si chiude nel silenzio più angosciato, A nulla valgono gl'incitamenti degli amici il poeta G. A. Cesareo gli scriveva nel novembre del 1901 :
« Caro e illustre amico.
Io non l'avevo punto dimenticata, caro maestro, e fra la musica che mi piace di riudire sovente c'è pure la sua: anche l'altra sera ho fatto sentire a una bella signora il suo « Paggio e Regina », e subito ella ne divenne entusiasta.
Avanti, avanti, caro Frontini: Lei è ancor giovane, ha ingegno e può molto. Io son certo che, s'Ella vorrà, potrà raccogliere la corona di Colui che scrisse la Norma, e rivendicare il prestigio della  musica schiettamente nazionale.
Coi più affettuosi saluti
Suo G. A. Cesareo ».
Passano  ancora cinque anni ...  e  finalmente
l'artista non resiste più al divino richiamo che urge in fondo al suo petto.
La letteratura pianistica che tende ad atrofizzarsi nella vecchia formula del pezzo alla Be-cucci e alla Acton, della sonatina alla Graziani Walter o alla De Crescenzo trova nel maestro Frontini il rinnovatore, che darà a questa specie di composizione l'impronta neo-classica che renderà celebre il nome del maestro catanese. Fin dai primi dieci pezzi che gli Editori Carisch und Janichen di Milano (oggi A. & G. Carisch & C.) lanciano in una volta, la critica musicale delle più grandi nazioni del mondo s'impadronisce di questo nuovo nome e non si stanca di esaltarne loriginalità dei pezzi, la sincerità, l'impronta prettamente italiana. Le serie si susseguono incessantemente. Anno per anno il maestro affida ai suoi editori nuove serie di pezzi. Tutta la stampa musicale della Germania, della Francia, dell'Inghilterra, della Russia e dell'America si occupa dei pezzi musicali di Francesco Paolo Frontini.

Il catalogo speciale delle opere di questo maestro cresce anno per anno di volume.
Nel 1920 una sincera ammiratrice dell'Italia, nota cultrice di musica, dopo una sosta a Catania scrisse del Maestro Frontini sopra una grande rivista di  Boston.  L'articolo fu riportato da diversi giornali italiani, anche da una rivista catanese dell'epoca. L'autrice dell'articolo, Amalia Viola Sedley diceva fra l'altro: Egli vive da tempo appartato dal mondo, pur non avendo mai cessato di lavorare. E il suo valore non poteva non trionfare, ed oggi il suo nome è familiare a un numero infinito di persone che hanno avuto la fortuna di gustare la bellezza della sua musica. Durante le mie lunghe peregrinazioni per il mondo, da Boston a San Paulo del Brasile, da Parigi a Milano, da Berlino a Roma, da Londra ad Atene, ho avuto continuamente l'occasione di osservare quale godimento procuri  nel  pubblico la musica frontiniana.

Oggi moltissimi fra gl'innumerevoli pezzi del maestro Frontini sono penetrati in tutti i salotti, ovunque si faccia musica italiana, ovunque risuoni una radio, un grammofono o un'orchestra.
Cinquant'anni di geniale attività hanno assicurato al maestro catanese una fama che non tramonterà certamente con la sua vita. 

Sappiamo che nella grande manifestazione che Catania prepara al suo genio musicale Vincenzo Bellini, per il prossimo mese di dicembre, si vorrebbe far rivivere la freschissima Malìa, come attestato di riconoscenza verso il Maestro che in cinquant'anni d'indefesso lavoro ha apportato al suo paese onore e vanto, testimoniando che la vena melodica catanese è sempre viva.
Non sappiamo da chi la gradita e doverosa idea sia partita, ma è certo che sarebbe un bell'esempio e una bella arditezza dimostrare alle altre città d'Italia come noi sappiamo onorare, senza bisogno di attenderne il trapasso, coloro che per forza d'ingegno o di genio, lasciano un'orma presso i posteri.

Sovratutto grati saranno i giovani della recentissima generazione che educati alla tradizione, potranno vedere in Francesco Paolo Frontini uno dei rari conservatori della inestinguibile melodia italiana.

Comune di Catania 1931. n2 anno III