Profili di artisti catanesi
Salvatore Juvara riusciva, poco più che ventenne, con un'opera ben costruita — Minatore; — a conquistare la stima di quella benemerita schiera d'artisti che, saliti a rinomanza nei varii centri d'Italia, erano ritornati negli ultimi anni dell'Ottocento nella città nativa, e prodigavano consigli e incoraggiamenti ai giovani, creando cosi a Catania un fervido movimento artistico. Lo Juvara che da ragazzo aveva avuto un discreto avviamento dallo scultore Licata e aveva frequentato la scuola serale operaia « I figli del Lavoro », non trovava altro incitamento a perseverare nella via intrapresa che le lodi dei vecchi maestri. Il suo desiderio di andare a Roma per dedicarsi ad uno studio ordinato e severo rimase sempre inappagato a causa delle strettezze economiche della famiglia che costrinsero per lungo tempo Juvara ad adattarsi alle esigenze dei committenti di ritratti e di monumenti fune-rarii; ma quando egli potè liberamente seguire le sue ispirazioni, diede esaurienti saggi di un felice temperamento.
Le durezze della vita, confessa il nostro scultore — raccontando bizzarri casi in un dialetto stranamente deformato da quella pronuncia che gli è tipica — mi hanno sempre impedito di studiare e di realizzare un'opera mia, concepita secondo il mio sentire.
Ciò se onora l'artefice, che, giunto alla piena maturità — egli è nato nel 1877 — crede d'aver fatto poco o niente, palesa quello che si può chiamare il difetto o il pregio, secondo il punto di vista, di Salvatore Juvara : la scarsa produttività. Egli non entra nello studio se non è animato dall'impeto creativo. Lodevolissima consuetudine se grazie ad essa non ci accade mai di trovare nelle sue opere segni di fatica o di stanchezza, ma bensì la scioltezza e il calore delle cose spontanee. Notevoli per questo riguardo sono alcune composizioni funebri dalle linee armoniosamente svolte, e non pochi ritratti, vibranti di vita, dove è resa con evidenza la verità della carne: mi riferisco particolarmente al medaglione in cui emerge con effetti complessi di chiaroscuro il profilo della madre dello scultore, espresso con commovente linguaggio plastico che direi persino dialettale.
Nel 1904 lo Juvara vinse il concorso nazionale per una targa a Gioacchino Biscari presentando un bozzetto giudicato il solo in cui con nobiltà ed eleganza era stata interpretata l'epigrafe dettata da Mario Rapisardi in memoria del patriotta catanese. La targa non fu compiuta per l'improvvisa decisione dell'autore di allontanarsi dalla Sicilia, dove pare non si sentisse più al sicuro. Egli dice di avere avuto la vera sensazione del disastro di Messina non quando si trovò con la squadra di soccorso De Felice tra le macerie della città distrutta, ma solo nel momento in cui, ritornato a Catania, fece per aprire la porta dello studio e questa oppose una resistenza insolita: per una stretta fessura si vedeva la targa a Biscari ridotta in frantumi. L'artista ebbe allora la visione netta delle conseguenze del terremoto.
Non osò forzare la porta, rigirò la chiave e impressionatissimo si allontanò. Lo stesso giorno partiva per Milano.
Le poche opere ivi eseguite sono di carattere decorativo e risentono dell'influsso bistolfiano. Si pensi alla gran voga che ebbero in quel tempo gli imitatori di Leonardo Bistolfi.
Di carattere ornamentale o commemorativo sono pure i lavori eseguiti a Buenos Ayres, dove lo Juvara dimorò fino al 1911. Il soggiorno in America avrebbe avuto una più lunga durata se la nostalgia della patria non avesse turbato l'artista al punto da non consentirgli di lavorare con serenità. Gli capitò spesso di lasciare le stecche per correre là dove in occasione di qualche pubblico avvenimento gli fosse dato vedere la bandiera italiana.
A Catania essenzialmente si è svolta la parte migliore dell'attività creatrice dello Juvara.
Egli si affermò come valente ritrattista nel busto della madre di Mario Rapisardi (si trova nel nostro Museo Civico)
inteso alla maniera verista, intensamente espressivo e pieno di dolorosa spiritualità. Anche il busto del dottore Testaj, quello del pittore Giuseppe Rapisardi e specialmente il «Condottiero», che qui riproduciamo, son trattati con maschia e solida sicurezza.
Per le stesse qualità sono pregevoli i busti dei professori Carnazza Amari, Nicola Coviello e Salvatore La Rosa, i primi due collocati nel loggiato vaccariniano del nostro Ateneo e il terzo in un'aula del Palazzo di Giustizia.
Dopo la guerra Juvara si è dedicato a figurazioni patriottiche ed è riuscito vincitore in cinque concorsi. La targa per gli studenti della nostra R. Università morti nella grande guerra, l'altra per gli alunni del R. Istituto Tecnico Carlo Gemmellaro e i tre monumenti, eretti rispettivamente per i Caduti di Licodia Eubea, Paterno e Regalbuto, sono sobrie ed equilibrate rappresentazioni delle virtù eroiche di nostra gente. Basterebbero ad attestare il forte temperamento di questo scultore la figura del giovane combattente irrigidita in uno sforzo supremo di sacrificio nella targa dell'Università, e la superba compostezza del fante che lancia la bomba, nel bel monumento dì Regalbuto.
Le opere recenti segnano un altro orientamento al quale non restano estranee le tendenze della scultura modernissima, accolte però con quella moderazione propria di chi si è formato nel clima naturalista del tardo Ottocento. « Cruccio», per esempio, non ha precedenti nelle opere di Juvara e per larghezza di piani e densità di espressione si può considerare uno dei più significativi lavori dell'ultima maniera.
Vanno infine qui ricordati i vigorosi disegni a matita, nei quali è facile riconoscere la mano esperta del modellatore, i pastelli e gli schizzi a penna in cui Juvara rivela squisite doti pittoriche e raggiunge, talvolta, con morbidezza di tocco o con agilità di tratti effetti di singolare interesse.
E' caratteristica la modellatura virile in questo scultore che non sempre si limita all'espressione immediata della realtà materiale, in quanto è proporzione di masse e ritmo di volumi, ma spesso va oltre la superficie.
Spoglio di preconcetti artistici, Salvatore Juvara non ha mai sottilizzato sopra una linea per farle dire cose recondite e profonde: libero da soverchie preoccupazioni di stile e da ogni artificio, ha tratto le sue esperienze dall'attenta e amorosa osservazione del vero, obbedendo senza tormentose ricerche alle sue doti native di plastico.
LUIGI GANDOLFO
Comune di Catania 1931 n1 anno III