Io non posseggo perle o diamanti (dice ad Antonietta)
per fartene un monile o una corona,
quel che ti posso offrir sono i miei canti,
e che poco ti dia, bimba, perdona;
Me l'ispiraro i fior, gli astri rotanti,
di Lesbo i cedri e l'ombra di Dodona,
dell'Ionio tuo mar l'onde sonanti,
e le dolcezze della tua persona.
Questa è naturale ispirazione di canti melodiosi, di leggiadre canzoni, di possenti invocazioni. E' l'anima sua schietta che in ogni verso dischiu-desi qual boccio! di rosa alle aure primaverili : è il suo temperamento franco e leale che si rivela nella dedica ad Antonietta : tutti i suoi carmi commuove e sommuove quel sentimento pieno di freschezza che trabocca dal cuore gonfio del poeta.
Che se per caso gli tocca di ripetere cose già dette, egli le ridice con accento personale come di uno che proprio allora le scopra e le riscopra, se gli tocca di usar frasi logore, egli le riatteggia in modo che riacquistino vigore.
Amor è desiderio di carezze lascive
brama d'ebrezze fervide, di voluttà furtive;
amor le labbra tumide al colmo nappo appende
e i nervi agita e stimola, le tarde linfe accende;
è amor febbre e delirio, è amor peccato e Dio
oblio lungo dell'anima, dolce e penoso oblio.
E' amore, Olga, il tuo petto, che anela avido e stanco,
la tua bocca che brucia e non può dire: io manco.
Così canta all'amata, e in sublime slancio poetico evoca le angeliche visioni di un tempo felice, fantasmi fluttuanti nella glauca marina
E mi stava su gli occhi una figura
bella siccome gli angioli che il Frate
di Fiesole pingea........
le albe rosate, il molle idillio e gl'incantesimi del mare. Ma quelle visioni sono purtroppo larve passeggere e vacui miraggi quegl'incantesimi poichè la realtà presto si disvela... ed allora egli piange di amaro pianto, odio trova dove cercava amore, tutto è deserto intorno a lui e non gli rimane che il cuore della madre. Quel contrasto che aveva permeato la natura intima dell'artista ha così la sua più gagliarda espressione :
Oh, meglio era morir, morir tra i veli
candidi della culla,
come dicevi tu, sognando i cieli,
morir, morir senza conoscer nulla.
Ma allorchè il pensiero della donna amata risveglia al poeta il più dolce dei sentimenti che per un momento gli dona l'oblio che tutto avvince, a lei, mostrando la sua mortal ferita che gli rode l'anima e lo tormenta, esclama
e, se mancasse in me questa infinita
fede nell'amor tuo, credimi, allora
io, come un cencio, gitterei la vita.
Ed ancora :
"Rottami" sono riproduzioni di bellezze antiche e moderne, di certe delicate composizioni dell'Heine o di vcchie ballate straniere : se si sfogliano quelle dolci poesie sì sente a volte il profumo della musa carducciana che vi carezza l'anima come in « Ritorno » :
Ella è tornata e mi ha fatto tremare...
Mi ha fatto orribilmente abbrividire.
Come in « Locomotiva » che ricorda l'« Inno a Satana » :
Ruggite, o folgori, venti ululate
le immani ei svincola braccia ferrate
e fischia; e indomito di loco in loco,
passa terribile signor del foco.
Altre volte vi scuote il fascino dell'arte stec-chettiana bella per la sua vivacità di ritmo e di espressione :
Giace il paese e dorme
nella notte, siccome
un camposanto enorme.
Ma non è vuota imitazione, non è sterile riproduzione : il Poeta, invece, scompone ab imo la materia ed il crivello della sua anima la ricompone, la riplasma dandole l'impronta della propria personalità artistica si che la intonazione del verso rimane originale e le sue liriche vivono di vita propria e non riflessa.
La favola di Giurfredo Rudel e Melisenda di Trìpoli ne è magnifica prova. Il Carducci del racconto poetico heiniano aveva già fatto una mirabile riproduzione, il Milelli rimaneggiando, rifaceva, assimilando, ci presenta la scena tutta nuova di pensiero e di forma, di contenuto e di spirito si che al lettore curioso non potrà capitare di contestarne l'originalità della strofa.
D'altronde anche nelle sue imitazioni è sempre sincero e mette a nudo tutta quanta la sua anima d'artista.
..... io giro
ape leggiera e instabile
di loco in loco e aspiro
i profumati balsami,
onde natura è lieta,
che mi cangia in poeta.
Ed aspirò ancora « le disperate melanconie del Senan, le bizzarre e mordaci ironie dell'Heine, le strane ed affascinanti fantasie del Poe, le ingenue preziosità del Drossinis, le festive spontanee lucentezze del Blemont, così semplici e così belle nella purezza sentimentale delle loro concezioni ».
A Maria (da Bikelas), l'Addormentata (da Poe) nel suo volumetto di traduzioni « Gemme sparse », e poi « il picciolo diamante » da Drossinis :
Talvolta un picciol pezzo di vetro
gittato a caso vien su la via;
del sole un tremolo raggio l'accende
e tutto il picciolo vetro risplende;
un bel diamante crede sia li
talun che il vede brillar così.
Come una stella fulge il mi' amore
e una fanciulla per tutti ell'è
come tante altre; ma angel, ma fiore;
angelo, io splendere la veggio in me;
per gli altri un picciol pezzo di vetro
per me diamante degno di Re!
Ma Domenico Milelli non si contenta delle imitazioni ma vuole dare all'arte il suo io, la sua personalità, vuole mostrare a vivo il suo temperamento che gli fa sprezzare la vita e lo fa inneggiare all'amore, gli dà slanci d'entusiasmo e schianti di uomo disfatto, accenti d'odio e trilli di gioia.
IL RITORNO AL CLASSICISMO
Nella nova Italia, intanto, l'ambiente si veniva allora gradatamente mutando e con la politica spuntavano le questioni sociali, risorgeva il materialismo mentre le scienze aveano nuove e più larghe applicazioni. Tale mutamento lo avevano avvertito artisti come Giovanni Prati ; già gli ultimi romantici contemplatori del mistero dell'esistenza apparivano malati. In conseguenza contro i deliri della scuola romantica sorse in Italia un vigoroso movimento capeggiato da Giosuè Carducci, temperamento poetico, classico ed antiromantico che con la sua opera che doveva rispondere ad un ideale ben moderno, volle e seppe compiere la rivoluzione contro le idee e le forme che dominavano la vita e l'arte, la vita e l'arte di una società languida e molle.
E all'appello del nuovo poeta rispose serrando le file la gioventù italiana che già da alcuni anni lo ammirava e che sentiva ogni giorno crescere il suo entusiasmo pel Vate.
Naturalmente in tale movimento vivificatore delle lettere anche sul nostro Milelli gli scritti del Carducci dovevano avere sensibile influenza, e quando vennero pubblicate le « Odi Barbare », egli, fornito di cultura classica non comune che poteva essergli di buon viatico per salire alle altezze della gloria, al classicismo fece ritorno con le « Odi Pagane ».
« Incominciai così — dice il Poeta — per isva-gare l'animo triste ed annoiato, cacciandomi a rivivere un po' coi miei morti, co' miei cari morti, che io aveva appreso ad amare da giovinetto, e che mi
pareva valesse la pena di ossequiare assai più che non certe burbanze e certe superbie di vivi ...
« Ero nauseato ed uggito di tanta roba, cui
una volgare frenesia di plauso aveva fatto e faceva
largo...
E m'indispettiva la dissennata presunzione di molta gente la quale si arrogava il diritto e la vanteria gloriosa del più compassionevole disprezzo per quanto di veramente grande era stato prodotto tra noi, prima che i taumaturghi della così detta arte moderna si fossero assunta la poco disinteressata e niente difficile missione di bandire alle genti il verbo novello ...
Ero uggito e nauseato ; ecco tutto ».
Lo vediamo così, seguendo il consiglio del Carducci, cercare Orazio e Anacreonte, Catullo ed Omero raccogliendo le versioni in « Verde antico » ove unica si rivela la forza dell'immaginazione insieme con la schiettezza della rappresentazione del pensiero dell'autore.
V'ha la solennità di Omero e la freschezza di Anacreonte, la mitezza di Virgilio, il sorriso scettico oraziano : con la molteplicità dei motivi non comuni insuperabilmente ritratta la bellezza della classica poesia.
Ecco un saggio della versione anacreontea :
Amore un giorno un'ape
non vide, che dormìa
fra le rose, onde quella
a un ditino il feria.
Subito un grido ei mise
dalla man dolorando
e a Citerea la bella
ratto corse volando.
Ahi! Ahi! madre, ch'io moro.
Ahi! ch'io moro, ei piangea,
mi morse un picciol serpe
che ape il villan dicea.
E lei : Se una puntura
d'ape fa tanto danno,
quelle, che dar tu suoli,
o Amor, che cosa fanno?
E da Catullo :
Donna non è che possa amata esser tanto vantarsi
Quanto davver tu amata da me, mia Lesbia, sei,
Fede all'amore suo cotanto nissuno mai tenne
Quanta, per la mia parte, io ne ho serbata al tuo.
Or sento, e tu ne hai colpa, o Lesbia, travolta la mente
A tal che di se stessa perde l'ufficio, ond'io
Quel che chiederti debba non so; nè se amarti ancor
[buono
nè se odiarti, o insieme d'amore e d'odio morire.
In questo torno di tempo ha inizio la prodigiosa attività di Domenico Milelli che da Milano prima e poi da Bologna era venuto a Roma.
Era l'epoca del più vivido fulgore del Som-maruga che nell'81 si era recato nella Capitale per stabilirsi ed era il momento più fortunato dell'Abruzzo nell'arte: Michetti, Tosti, d'Annunzio: la pittura, la musica, la poesia. Essi — così racconta il Chiarini — si univano nei Saloni gialli del Capitan Fracassa (una sala di pochi metri quadrati), che raccoglievano spesso le più note celebrità contemporanee : Giovanni Prati, Pietro Costa, Paolo Ferrari, Giosuè Carducci, Olindo Guerrini, Enrico Panzacchi, Ferdinando Martini, Anton Giulio Barrili, Mario Rapisardi, Girolamo Rovetta, Gabriele
d'Annunzio.
Il Sommaruga ben presto maturò il progetto di una combinazione col Capitan Fracassa per la fondazione di una grande Casa Editrice e, impadronitosi di quel cenacolo, prese in affitto il cantone di via Due Macelli, quel magazzino che poi dovea diventare la famosa redazione della Cronaca Bizantina. Nei nuovi Saloni gialli troneggiava Adele Mai che doveva essere, secondo « Gandolin », la Vittoria Colonna di quella Corte letteraria.
Domenico Milelli fece bella parte di questa Corte letteraria e collaborò nella Cronaca Bizantina distinguendosi ben presto con Edoardo Scar-foglio e con Gabriele d'Annunzio.
La Cronaca procedeva a vele gonfie ed il Som-maruga inondava il mercato librario di una quantità di libri di sua edizione, alcuni dei quali ottennero fortuna straordinaria. In quel periodo favorevole Sommaruga curò la pubblicazione del Canzoniere ed incitò il poeta a scrivere le « Rime » in risposta alle « Rime » della Contessa di Lara, che con entusiasmo era stata applaudita. Il Milelli si volle allora chiamare « Conte di Lara » e sotto tale pseudonimo leggiamo quei versi delicati che
Son di sogni diafani
stanche larve.....
Son di ebrezze e di spasimi
fatue vampe fuggenti
Son di gioie e di lacrime
ombre e memorie vane
...........
Sono i cori di un'orrida tragedia
che tu, bugiarda, ricordasti al mondo
Tu, bugiarda — grida il Poeta — e l'invettiva acre ferisce in pieno l'orgoglio d'una donna che con la sua posa e la sua venustà irresistibile, aveva intessuto il poema d'un amore colpevole a dispetto del marito tradito.
Ma l'avidità del guadagno momentaneo e la smania di réclame ben presto segnarono il tramonto del Sommaruga e col Sommaruga tramontava la fortuna del poeta. Ed allora incomincia la triste o-dissea : da Roma ad Alcamo in Sicilia e da Alcamo a S. Severino delle Marche come un antico rap-soda : una ombra leggera di scetticismo la avvolge ma l'arte — soave lampa — splende sempre, lo attrae col nuovo incanto, si che in nobile slancio offrendole ogni suo intimo dolore prorompe in un grido :
Son tuo, son tuo, possente
Maliarda divina,
Resti tu sola quando
Ogni altro Iddio rovina.
LA PERSONALITÀ ARTISTICA DEL POETA. L'ANIMA DEL POETA. IL SUO CAPOLAVORO.
Sullo squallido ghiaccio di Weroén, nella regione polare, mentre stride il nembo tra le vampe del crepuscolo sanguigno, su quella glauca corazza di cristallo senza un fil d'erba o fiore, Kokodè — fatal mistura di selvaggio e di romito — solo, attendendo ormai l' ultimo suo giorno, guarda cogli occhi sbarrati il mare che freme.
Nessun segno di vita, solo il mugolio del mare, l'ululo eterno del vento che avvolge l'onda che s'innalza e poi stride e si frange schiumando, e poi ribolle su sè stessa fremebonda nel gorgo che spalanca : L'orrore degli antri, lo scintillio argenteo del ghiaccio, il biancor spento della luna, tutta la scena selvaggia d'un paesagio boreale.
E Kokodè impersona tutta la freddezza di questi luoghi che tanto ama mentre la sua figura si stacca man mano da questo sfondo poetico desolante per balzar viva e piena di freschezza quando gli avvampano l'anima i ricordi di bei sogni svaniti.
E il solitario, nella notte, scrive, scrive, scrive le sue memorie ed una leggera aura di dolcezza in contrasto col freddo soffio dello sfondo boreale carezza il racconto di quelle soavi memorie ! E canta il jonio fiammeggiante di topazi e di brillanti che cinge la patria sua, il Jonio sulla cui distesa azzurra un dì ebbe ampio il volo la sua fantasia, e canta il vecchio ulivo che su la materna rupe scuote i rami sotto l'impeto del vento e ripete la sua lunga istoria che è la storia di Sibari, la città dell'amore e dei conviti, come narran gli autori delle vecchie favole greche, e scioglie in ultimo un inno alla sua Calabria dai clivi e rivi diffusi di smeraldo. Poi ricorda il padre la cui ferrea tempra mai fiaccò la notte oscura che la vita intorno avvolge, il padre che tanto amò e venerò, rammenta i verdi anni in cui per la prima volta si schiuse alla dolce poesia : il suo primo spasimo ...
..... chi dentro all'anima
questo spasimo mi ipose?
perchè irido e in cor mi piange
il dolor dell'allegrezza?
perchè piango e in cor mi ride
l'allegria della tristezza?
Chi di voi codesto enigma
può spiegarmi in cortesia? E le genti — è questo il fiore
della dolce poesia.
Ma la tempesta s'abbatte, e schianta ben presto i dolci sogni del poeta ; alla dolcezza del canto della giovinezza si contrappongono i singhiozzi, le lacrime amare della catastrofe che bussa prepotente e spietata alle porte della sua casa : muore il padre, e, come le foglie, il fato terribile stacca dal tetto natio Lidia, cui l'implacata tosse aveva infranto il giovane petto e poi Lelio ghermito alla madre in sì giovane etade e poi Lina, « ultima aurora di pace », e a tanto strazio la madre come pazza scoppia nella tragica interrogazione :
Dio, s'è ver che tu ci sei,
Dio, perchè questo supplizio?
Che ti han fatto i figli miei?
sublime impeto di umano dolore che come un ruggito erompe dall'anima sconvolta e sanguinante... Ricordiamo __
Nè le lacrime a' materni
occhi espresse dagli affanni,
nè i dì nudi ad uno ad uno
noverati in sedici anni
rallentar della maligna
sorte gli odii un'ora sola,
colpa il pianto in sulle ciglia
e sul labbro la parola.
Quante volte, al poveretto
gramo desco il pan mancando,
scarso un obolo ci corse
per le vie limosinando :
Quante volte irrigidito
dal fatal verno inclemente
alle lacere si chiese
coltri il sonno inutilmente,
mentre tu, madre, tremando
della vita de' tuoi figli
t'affannavi a consolarli
di amorevoil consigli.
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Alle fosse avide intanto
spalancate in cimitero
preparava il pasto infame
il bisogno orrido e nero;
e di Lidia macerando
pria le fibre delicate
alla triste iliade schiuse
le miserrime giornate.
Su quel volto a poco a poco
come più si fea nel core
vivo il senso della vita
si effondea letal pallore.
Della luce azzurra il raggio
nei sereni occhi languìa
il sospiro era un lamento,
il sorriso un'elegìa.
Triste larva, ella passava
come nebula d'incenso
della sua dolente casa
pel deserto arido, immenso;
finchè un dì, dalla implacata
tosse infranto il giovin petto
le sue diè, povera martire,
membra bianche al cataletto.
E la madre come pazza :
— Dio s'è ver che tu ci sei,
Dio perchè questo supplizio?
Che ti han fatto i figli miei?
E, qual ramo a giovin faggio,
dalla grandine strappato,
l'esil corpo dalle pustole
del vaiuolo difformato,
dall'attigua, invan pregando,
sua stanzetta, intanto aita,
Lelio il fior vedea perire
della sua giovine vita.
— Oh! levatemi da questo
di carboni orrido letto,
piombo fuso ho nelle vene,
ho l'inferno entro nel petto,
per pietà da questinc'endio
che mi brucia e mi divora
chi mi salva? O madre, aiutami,
per pietà non far ch'io mora! —
E il funesto estremo rantolo
afferrandolo alla gola,
gli togliea tra le sue spire
rabbiose la parola.
Così giacque e gli luceva
nella immobile pupilla
come gocciola gelata
del dolor l'ultima stilla.
*
* *
E soffiando umido il vento
dell'autunno le penose
grigie nebbie dell'ottobre
avvolgea tutte le cose.
E te pur, chiusa ne' loro
scuri e tetri abbracciamenti
te, di pace ultima aurora
tolser, Lina, a' tuoi parenti.
Fur trent'ore di martirio
per te lunghe interminate;
trenta secoli d' anelito
per quell'anime affannate.
Finchè — madre, ahimè! — dicesti:
— Muoio ! — e tacque la tua voce
strangolata dal difterico
uccisor spasimo atroce.
E la madre il macro e lìvido
corpicin forte abbracciando,
nei tuoi spenti occhi i suoi freddi
impietrati occhi fissando :
— Tu — gridò : — Morta tu pure,
Lina, o santo angelo mio;
Ah! Tu sei padre d'infamia,
non d'amor, perfido Dio! —
(Bare, da Kokodè).
Ma finalmente l'alba spunta « la rosea desiata alba dei forti » e ritorna con essa quella dolcezza a carezzare il canto del poeta : insuperabile virtù di contrasto che anima il temperamento artistico del Milelli che con travolgente forza suggestiva passa dal dolore alla gioia, dall'estasi allo schianto, dalla maledizione alla vita all' inno all' amore, dal sorriso del vincitore al truce sguardo del disfatto. Ritorna così il dolore e l'anima ricomincia a sanguinare : epilogo d'una lotta interiore che travaglia l'artista, lotta senza tregua tra una realtà fitta di sventure e la forza smagliante degli ideali che lo spirito umano sublimano : sublime travaglio spirituale finchè quegli ideali lo avvolgono in una fiammata di entusiasmo e nella Trilogia ch'io chiamo a contenuto sociale, (Prometeo - Laocoonte -Ercole) hanno la più alta e bella affermazione.
IL PATRIOTTISMO DEL POETA.
Prometeo è incateanto alla rupe scitica delle ingiustizie sociali, e l'avvoltoio della società gli rode il fegato : sola speranza tra i dolori di quel più antico dei martiri dell'idealità umana ; il canto delle Oceanidi. Non è il Prometeo della tragedia eschilea, simbolo della lotta fra la ricerca umana della verità e della scienza contro la somma potenza del nume offeso e neppure è il Prometeo dello Schelley che in esso impersonò l'ideale supremo dell'uomo, ma è il simbolo della resurrezione delle plebi contro l'oppressione dei privilegiati, resurrezione che trionfa nella fratellanza umana della terza parte della Trilogia.
Tali ideali sociali, però, non scoloriscono affatto nel Milelli l'amore che egli tributava immenso per la Patria e, quando l'aspirazione di un'Italia infiammò i giovani petti, egli combattè con Garibaldi al Volturno dando magnifica prova di grande attaccamento verso di essa. « In giovinezza è tutto un fremito di romanticismo patriottico come essenzialmente romantico fu il nostro Risorgimento :
Viva! — egli grida — omai dall'Alpe al mare
Leva Italia un sol vessillo;
Viva! i tempi ormai ritornano
di Duilio e di Camillo.
Pertanto quei concetti sociali dovettero formarsi nel Milelli proprio quando, realizzato il sogno dell'unità nazionale, si fece strada in Italia un vigoroso movimento di riscossa contro viete costruzioni d'una classe privilegiata che con la rivoluzione francese aveva perduto il dominio politico, movimento di intellettuali cui certo il poeta bohémien, il romantico non potea non partecipare.
Così tale suo atteggiamento spirituale ha la spontanea e sincera spiegazione.
E pur sbattuto incessantemente dalla bufera di loco in loco, il Poeta sempre in core sigillato conserva col ricordo della patria il ricordo della sua terra natale :
Io t'ebbi sempre in core e tu del mio
lavoro, onde levarmi alto tentai,
non di conforto un picciol segno, un pio
segno d'affetto non avesti mai.
E volser gli anni. E poi ch'oltre il desìo
qualche cima dell'arte anch'io toccai,
che dissipasse di sì triste oblio
la nebbia un raggio solo invan sperai.
Forse legge dei fati. Eppur se alcuna
lode concederanno i dì venturi
al mio nome, vincendo la brutale
gara degli odii, io pago di quell'uno
sarò, che almeno a' miei figli assecuri
l'amore della mia città natale.
(Al mio paese)
E ancora in « Notte umbra » :
Del mio Jonio io non so, del mio bel sole
Io non la so scordar la poesia.....
Affascinante Poeta che dei romantici aveva le qualità migliori : l'abbondanza sentita, la melodia colorita, l'abbandono al fantasticar melanconico, tutto amore e gentilezza!
ALTRE OPERE MINORI.
ÌL SENTIMENTO DEL POETA.
IL SUO NAUFRAGIO.
Rifugiatosi nella bellezza della Conca d'oro dopo un pellegrinaggio senza posa, astretto dalla necessità imperiosa, volle raccogliere molte poesie inedite in un volume: « Nell'isola », che poi non potè vedere la luce perchè pazzescamente stampato da un editore siciliano al quale dovette vietare la pubblicazione, in quel torno di tempo abbozzò l'« Ercole », l'ultima parte della Trilogia e raccolse sotto il titolo : Le Cristiane » alcune poesie che rappresentavano il ritorno del Poeta all'antica fede religiosa.
Ma il bisogno lo assillava, lo spettro della miseria batteva tristemente alle sue porte ed in alcimi momenti di terribile sconforto egli aveva accenti di commozione straordinaria :
A me. intorno il deserto, a me davanti
l'ombra e la morte, esco il retaggio mio,
e chiuse dentro al cor, fiere, incessanti,
due voglie, anzi due furie : ira ed oblio.
Ed ancora :
Dentro le tempie il vuoto, entro le ansanti
vene la febbre ed il delirio, ond'io
oltre posar non so gli spirti erranti
che del nulla nel gelido desio
E l'invoco e l'affretto..
Non aveva amato la natura, la Patria, la sua terra natale, la sua famiglia di cui parlava con le lagrime agli occhi? Ed allora perchè tanto soffrire?
Non aveva sì caldo affetto pei figli che finisce col dire :
..... dacchè Guido m'ama
ed Ugo mi sorride e mi accarezza
mi par bella la vita e dolce il mondo?
Non aveva oviunque cuore e gentilezza? Ma a che gli valsero? A che gli valse l'ingegno?
Di parecchi poeti suoi contemporanei che hanno avuto il vento in poppa, più arrisi dalla fortuna egli è certamente superiore e e perciò io credo che il tempo farà a Domenico Milelli giustizia riconoscendo i meriti non comuni che egli ebbe, dopo lo sprezzo che i contemporanei gli gettarono addosso e dopo l'oblìo cui dai contemporanei fu condannato. Le sue poesie non furono, come oggi si usa, declamate nelle sale e nei teatri, ne ebbero quella sapiente reclame che oggi sanno fare i poeti alla merce loro, ecco perchè non vinsero tutte le resi-stense per farsi leggere ed ammirare lungamente.
Fatalmente doveva naufragare e naufragò.
La paralisi che già lo aveva colpito gli dette, sul tramonto del -905, il colpo di grazia : la parola gli morì sulle labbra, e la dolcezza dei suoi carmi coi quali lui, meraviglioso dicitore, avea ottenuto in altri tempi umanimità e deliri di applausi si smorzò fulmineamente nelle tenebre del sogno che non ha più risvegli !...
Pochi, e la più parte giovani, accompagnarono il feretro al Cimitero ove gli stessi giovani che tanto lo amarono, sparsero fronde d'alloro sulla nuda tomba del Poeta.
Ed è tutta un'immensa poesia intorno al cippo che tra le croci di quel Camposanto distingue le ossa dello sfortunato cantore ...
E Palermo soffusa di splendore, in eterna primavera smagliante di luce, olezzante di fiori, gli canta nella bellezza della Conca d'oro l'immortale elegia.
FINE - 1932.
Mori a Palermo nella
notte tra il 22 e 23 Dicembre del 1905, "povero come era sempre
vissuto, realizzandosi quasi con fedeltà sconcertante ciò che lo
stesso Milelli aveva poeticamente sognato in gioventù":
Povero e vagabondo anch
'io vorrei
di terra in terra errar di
gente in gente,
Nè mi dorria se avessi i
giorni miei
a consumar piangendo
assiduamente.
Vorrei provar l'angoscia e
l'irrequieta
febbre, o Torquato, che
struggeati il cor..