Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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martedì 4 luglio 2023

Giovanni Verga ritratto da Antonino Gandolfo

 




Rivista del comune di Catania – anno III, n. 5 – settembre-ottobre 1931

art. di Saverio Fiducia 

[…] Verga non aveva mai posato per ritratti, salvo che davanti all'obiettivo fotografico e quando si pensi che qui nella sua città c'era Antonino Gandolfo, il quale era a lui legato da antica amicizia e non aveva ottenuto che qualche quarto d'ora per uno schizzo, di cui dirò fra poco; quando si pensi altresì che il romanziere, a Firenze, a Milano, a Roma era stato, cotidianamente a contatto del Corcos, del Carcano, del Fattori e di tanti altri, la cosa pare straordinaria. E' tale parve anche al Bianchi, talchè quando meravigliato il pittore gliene chiese la ragione, Verga rispose: « Già... ma non lo so neppur io ».

Probabilmente quel signore dalle maniere aristocratiche e dalle parole contate, così indolente da sembrare accidioso, riconosceva in sè stesso quella tal quale insofferenza a star fermo in una posa di finto riposo, forse per ore, che a molti appare ostacolo insormontabile; o pure la sua signorilità, ch'era innata, gli vietava di accettare un dono ch'egli non avrebbe potuto ricambiare che con un libro; quando invece, per molti dei suoi amici pittori e scultori, a parte che per essi dipingere o modellare era una gioja, una gioja sarebbe anche stata il fermarne sulla tela o nel marmo, le fini sembianze. Sta di fatto che il ritratto del Gandolfo, a cui accenno più sopra, l'attuale possessore l'ebbe dallo stesso pittore, e non può dirsi che al Verga non debba essere piaciuto.

Antonino Gandolfo schizzò, credo, questo piccolo ritratto, da noi riprodotto sulla copertina, verso il 1888, l' anno di «Mastro don Gesualdo», E' a penna, leggermente acquerellato e se non può gareggiare nelle finalità e nel risultati con un olio, esso è pur sempre opera notevole, di fine indagine psicologica.

Bastarono pochi tratti al pensoso pittore della « Cieca » per fissare sul primo pezzetto di carta capitatogli sotto mano, il più somigliante ritratto di Giovanni Verga. I lineamenti spirituali dello scrittore, al quali un nervoso ma sicuro virgolato dà, ora un risalto scultoreo ora una vellutata delicatezza di mezze tinte, sono fermati con l'anima amorosa del poeta che penetra nell'anima di un altro poeta. Ci vorrebbe una lente d'ingrandimento per comprendere appieno tutto l'inarrivabile magistero con cui sono ottenute nell'originale l' umida trasparenza delle iridi, la profondità delle pupille, la molle linea della bocca ombreggiata dai folti baffi spioventi. Una leggera acquatinta, ultima risorsa del maestro, distesa sul disegno stabilisce i toni e dà a questo schizzo il colore. E' firmato ed appartiene a F. P. Frontini. Rimpiangiamo, nondimeno, che il più artista dei pittori dell'ottocento catanese non abbia fermato l'effige del poeta di Bianca Trao e di Mena Malavoglia, in una delle sue teste portentose, tutte ombre impenetrabili e guizzi luminosi.[…]


Scrisse una volta Saverio Fiducia "che pensando alla Catania dell'ultimo Ottocento, anche senza chiudere gli occhi, gli pareva di sognare"

Saverio Fiducia - Cantore di uomini e cose


Lo studio e galleria collezione Frontini

giovedì 8 maggio 2014

Saverlo Fiducia - Cantore di uomini e cose

Scrisse una volta Saverio Fiducia che pensando alla Catania dell'ultimo Ottocento, anche senza chiudere gli occhi, gli pareva di sognare. Chi lo conobbe, può credergli. Perché Catania l'amava veramente e più di tutti. E guai a chi osava disprezzarla o contraddirlo.

Saverio Fiducia, Catania 1878/1970 

Ricordava con precisione e minuzia ineguagliabili tutta la infinità di cose, di uomini, di avvenimenti visti e vissuti e per cui, fin da ragazzo, aveva sempre avuto sguardi non solo attenti, ma da vero innamorato. La sera del 31 maggio 1890 suo padre lo portò all'inaugurazione del Teatro Bellini. Non aveva ancora dodici anni e, dopo ottant'anni, Saverio Fiducia non aveva dimenticato nulla di quel sogno incantevole. Suo padre era impiegato al Comune. Naturale, quindi, che il piccolo Saverio vi si recasse spesso.                                 
Che cosa facesse di preciso non saprei dirlo. « Giovinetto lavoravo all'Archivio », ha lasciato scritto in certi suoi appunti di diario. Certo, l'amore per l'arte, per la storia, per i monumenti dovette germogliare in lui fra le montagne di carte, in mezzo agli austeri saloni e scaloni, ai monumentali archi e alle possenti colonne del sontuoso palazzo Vaccariniano. Perciò, quando nel 1944 lo incendiarono, Saverio Fiducia ne soffrì più di tutti. Aveva frequentato solo le tecniche, compagno e coetaneo del poeta Giovanni Formisano. Avrebbe poi voluto recarsi a studiare pittura a Napoli, o a Roma, o a Firenze. Non fu possibile. Si accontentò di frequentare la scuola serale di disegno « Figli del lavoro ». Vi insegnava, fra gli altri insegnanti, Francesco Toscano, disegnatore e acquarellista dell'architetto Carlo Sada. E Fiducia, alla fine dei quattro anni di corso, vinse il primo premio. In gioventù non solo disegnava, ma dipingeva bene. E chi, come il sottoscritto, ha potuto ammirare suoi disegni e dipinti, sa quello che dice. Frequentò anche una scuola di scherma e divenne amico di Agesilao Greco.
Mentre come giornalista Saverio Fiducia esordì nel 1923 con gli articoli apparsi in « Siciliana », la rivista fondata e diretta da Natale Scalia e poi, morto Scalia, dallo stesso Fiducia; la sua passione per il teatro, che s'era rivelata in lui quando ancora quinquenne il padre lo portava agli spettacoli di lirica e di prosa, aveva dato i primi frutti nel 1912 con due atti unici in lingua: « La nube » e « Il singhiozzo nell'alcova », che però non furono mai rappresentati. La prima affermazione l'ebbe con la commedia in dialetto « Notti senz'alba », la quale, presentata nel 1914 da Giovanni Grasso jr. al Politeama Garibaldi di Palermo, riscosse un gran successo. Il 2 luglio 1921 Grasso senior la fece trionfare anche al Lirico di Milano. E ciò nonostante, come ebbe a scrivere lo stesso Fiducia, fosse stata « stroncata da Renato Si-moni, plagiata da Ugo Betti e poi lodata da Saverio Procida ». Nel 1929 lo stesso Grasso senior ne farà una delle sue migliori interpretazioni in una sua serata d'onore al Rojal Theatre di New York.
Altri notevoli successi sono all'attivo di Saverio Fiducia: nel 1928 « Li du' surgivi » (Siracusa, interprete Turi Pandolfini); nel 1929 « Dòmini » (Palermo, interpreti Giovanni Grasso jr. e Virginia Balistrieri); nel 1930 « Vicolo delle Belle » in lingua e col commento musicale del maestro F. P. Frontini (Catania, interprete Turi Pandolfini).
A proposito de « Li du' surgivi », quando nel giugno del 1968 furono riprese nel nostro Teatro Rosina Anselmi con la regìa di Carmelo Molino, che suggerì a Fiducia, e Fiducia accettò, alcuni tagli e variazioni, il successo si rinnovò. Specialmente alla fine del secondo atto, quando escono di scena, muti e sotto lo scampanio festoso della vicina chiesa, i due vecchietti (massaru 'Nniria e 'a matri scanusciuta), il pubblico andò in delirio. E Saverio Fiducia, commosso e felice come un giovane autore alle prime armi, disse che mai quel suo lavoro era stato recitato così stupendamente.
Ma per il teatro non scrisse soltanto codesti lavori. Ne scrisse molti altri che per brevità non elenchiamo e che non tutti furono rappresentati. Ricordiamo soltanto « Solitudini », tre atti scritti nel 1936, che piacquero a Maria Melato e che li avrebbe rappresentati se intanto, per ragioni politiche, non fosse stata sciolta la sua Compagnia.
Per la RAI, oltre il bozzetto in un atto « Caffè notturno » e a svariate conversazioni e riduzioni, tra cui « La lupa » e « La caccia al lupo » di Verga, « San Giovanni decollato » di Martoglio, « U spirdu » di A. Russo Giusti, tradusse « Bellavista » di Pirandello e, dal napoletano, « Addio mia bella Napoli » di Ernesto Murolo, che, giudicata « felice », fu data nel nostro Teatro Coppola la sera del 12 febbraio 1920 con un discorso introduttivo di Francesco De Felice. 



A eccezione delle cento e una « Passeggiate sentimentali » raccolte nel volume edito dal Giannotta, la produzione di Saverio Fiducia è rimasta disseminata e dispersa in giornali e riviste, e, per la parte teatrale, nei copioni i quali, insieme con i racconti in gran parte inediti, sono custoditi, con non pochi altri ricordi e manoscritti del padre, da una delle sue due figlie, la signora Santuzza Cambellotti.
Dopo il suo esordio in « Siciliana » Saverio Fiducia collaborò al « Giornale dell'Isola », allora diretto da Gioacchino Di Stefano; fu dal 1929 al 1935 con Luigi Gandolfo segretario di redazione della rivista del Comune « Catania », diretta da Guido Libertini, e, chiamatovi da Piero Saporiti e Vito Mar Nicolosi, fu critico cinematografico del « Popolo di Sicilia », incarico poi passato, con grande amarezza del Fiducia, a Ottavio Profeta. Nel 1952, riprese le pubblicazioni la rivista del Comune, vi fu richiamato e vi rimase, spiegando grande impegno e amore, fino alla cessazione, avvenuta nel dicembre del 1962. Sorta, anzi risorta, nel 1947, « La Sicilia », vi iniziò la collaborazione. Qui, in queste colonne, apparvero tutte le sue « Passeggiate sentimentali » (l'ultima rimase incompleta nella macchina da scrivere), diecine e diecine di articoli vari d'interese storico, civico, artistico, nonché racconti e novelle e, inoltre, delle rubriche come « Echi », « Cartoline illustrate ». Rubriche simili aveva tenuto anche in altri quotidiani. Ricordiamo: « Periscopio cittadino », « Itinerario sentimentale », « Le luci della città » e altre.
In merito ai racconti e alle novelle, ecco un particolare che nessuno o solo pochi ìntimi conoscono. Ne aveva preparato un volume, per lo più inediti, ma non ebbe il tempo di vederlo stampato. E fu questa, certo, un'amarezza che si portò nella tomba. Lo aveva consegnato circa un anno prima di spirare a un libraio, che voleva iniziare la sua attività editoriale proprio con un volume di Fiducia. Ma poi, per varie ragioni, le cose andarono alle lunghe, Tutte le volte che Fiducia andava a sollecitarne la stampa voleva che lo accompagnassi io, non per altro che per l'amicizia che ci legava. Ma quando il male si rivelò inesorabile, volle (rammento con angoscia ancora la telefonata di casa sua) che andassi io a ritirare il manoscritto. E quando lo riebbe, provò tanta gioia che sembrava guarito.
Un'altra cosa conosciuta da pochi, è questa. Le « Passeggiate » non dovevano essere raccolte in volume dall'editore Niccolò Giannotta, bensì dal prof. Venero Girgenti, direttore de « La Tecnica della scuola ». L'accordo tra Fiducia e Girgenti era stato raggiunto. La spesa sarebbe stata divisa a metà. Ma, a un certo punto, entra in scena Giannotta, e riesce, consenziente però Girgenti, a guadagnare Fiducia alla sua casa editrice. E così, il primo volume delle « Passeggiate sentimentali », anziché Girgenti, lo stampò Giannotta. Girgenti ne ebbe una copia con la seguente dedica: « A Venero Girgenti, artefice principale della pubblicazione di questo libro, memore e grato Saverio Fiducia ». Chi volesse saperne di più, vada a leggersi, nel fase. n. 8 di giovedì 25 gennaio 1973 de « La Tecnica della scuola », l'articolo di Venero Girgenti.

"Vicolo delle belle" commedia di Saverio Fiducia con commenti musicali di F.P. Frontini (1930)



La mia amicizia con Saverio Fiducia nacque subito dopo la guerra '15-'18, quando io, giarrese, venni a stabilirmi a Catania. E se anch'io, non catanese, mi sono innamorato di Catania, lo devo principalmente a Saverio Fiducia. Fu il suo amore che infiammò il mio. Del resto, non si poteva essere suo amico se non si amava Catania.

* La Sicilia, 13.05.1975 Francesco Granata 

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ll dramma di una vita - Francesco Paolo Frontini 1860/1939



domenica 7 aprile 2013

ll dramma di una vita - Francesco Paolo Frontini 1860/1939

"Eppure quest'uomo non lo vidi mai triste".

Io giovinetto, lui adulto, lo incontravo di tanto in tanto in qualche strada secondaria della tranquilla Catania dei primi anni del secolo, sempre solo e sempre vestito di scuro, gli occhi grandi e scrutatori, che più grandi parevano sotto la larga tesa del cappello, di quei cappelli che gli spagnoli chiamano sombreros, da sombra, ombra; ed io guardavo lui sapendo chi era, e lui guardava me vedendosi guardato, immaginavo.


Mi guardava, invece (me lo disse molti anni dopo, quando gli fui presentato e parlammo) perchè, malgrado nel mio abbigliamento non fosse alcunchè di ricercato o di stravagante, gli sembravo un mezzo artista.

Nel vestire, Frontini seguiva la moda, ed alla figura di lui, esile, un po' più alta della media, ma diritta e mirabilmente tagliata, bene si adattavano i doppio-petto ed i calzoni leggermente ad imbuto la cui piega cadeva perfetta sulle scarpe quasi sempre di vernice.
A ben guardare però, in quel suo severo vestire una deviazione c'era, ed era, oltre il sombrero, la cravatta nera alla Lavalliére (a fiocco) svolazzante sotto il pizzo bipartito: una deviazione romantica, sicura reminiscenza dei contatti giovanili con l'ultima "scapigliatura" milanese; della quale egli, col Fontana col Marenco col Praga junior, era stato per alcun tempo non soltanto spettatore, ma attore; chè durante la sua permanenza a Milano e dopo il successo ottenuto dalla prima raccolta di canti popolari Eco della Sicilia che lo rivelò, in ispecie il Marenco gli si era affezionato e gli aveva offerto un libretto tratto dal suo Il Falconieredi Pietra Ardena.

La mia prima conversazione col Maestro dovette avvenire negli ultimi mesi del 1929, io non più giovine, egli avanti negli anni.
L'attore Turi Pandolfini gli aveva dato a leggere, perchè ne componesse i commenti musicali, il mio atto unico Vicolo delle belle, e Frontini aveva consentito.
Lo rividi con gioia; mi ravvisò subito.
Abitava in quel tempo in via Maddem, al primo Piano di una casa che quattordici anni dopo un inglorioso bombardamento aereo doveva quasi distruggere.

Confesso che di Frontini io non conoscevo che pochissime musiche: qualche pezzo per piano ed, alcune suonate «di colore» divulgate, bontà sua, dalla Radio; ignoranza che per quanto non sia tutta da addebitare a me, mi mortificava parecchio.
Com' è naturale, comunque, fin da quel primo contatto col Maestro, trattandosi di un mio collaboratore e di uno che doveva trasportare nel mondo astratto della melodia e dei suoni, sia pure con semplici commenti, le creature «terrestri» nate dalla mia fantasia, ansiosamente cercai di penetrare nell'intimo di lui, indovinare i suoi gusti, le sue predilezioni artistiche.

Ma Frontini, schivo come era e come sempre fu, disposto più ad ascoltare che a parlare, almeno quel giorno restò per me il signore col sombrero sui grandi occhi scrutatori che molti anni prima incontravo in qualche strada secondaria della sua e mia Catania post-ottocentesca; e chi, almeno in parte, me lo rivelò fu la sua casa, che tenterò di descrivere.

Penetrandovi, mi sorprese. Per il netto contrasto con la via non larga e tortuosa, popolare e popolosa, che nessuno avrebbe immaginato potesse fare da anticamera alla casa di un musicista e di un musicista come Frontini, aristocratico e raffinato, mi trovai ad un tratto in un mondo diverso, superiore, ed il mio piacere fu grande.
Nelle stanze, per le chiuse vetrate dei balconi, fortemente schermate da spesse ed eleganti tendine che le coprivano per intero, si diffondeva una luce tranquilla e discreta, una luce che in omaggio al Maestro avrebbe potuto dirsi «in tono minore»; e poi, sebbene sorretta ed avvivata da qualche ramo fiorito posto in vasi di terso cristallo, un'aria che mi parve da cenòbio e che tutta permeava di silenzi la casa.

Nello studio, al posto d'onore il pianoforte, chiuso; cascate di quadri e quadretti alle pareti, ed in robusti scaffali di legno scuro e di gusto ottocentesco, volumi e volumi di musiche, vistosamente rilegati.
Notai subito tra i quadri un grande ritratto di Bellini (il Deus loci, pensai), ed in alcune fotografie chiuse in cornici e posate sul coperchio del piano, riconobbi il profilo arcigno di Verdi, il volto grave di Rapisardi e quello bonario di Massenet, le lenti di Boito, il basco di Wagner, la folta chioma e gli occhi un tantino cansonatori di Mascagni.

Alle pareti, cascate di quadri e quadretti ho detto. In maggioranza erano piccoli olii, doni fatti al Maestro da ammiratori ed allievi; ma vi erano anche fotografie di cantanti, col solito pavone in corpo ed in costumi approssimativi che avrebbero fatto allegare i denti a Caramba: il quadretto sociale accanto a quello aneddotico il paesaggio e la natura morta, l'acquerello ed il disegno a penna, una rude fotografia di «paesana» siciliana accanto al dolciastro ritratto di un Manrico verdiano con la spada nel pugno ed i capelli arricciati. "Non guardi quei ritratti mi disse ad un certo punto il Maestro —, sono ricordi remoti: ma con i quadri.. ve ne sono dei belli, sa! non una raccolta, ma il mio piccolo mondo".
Quadri belli, difatti, ve ne erano; e come si distinguevano bene dagli altri! Ricordo due o tre piccole tele di Antonino Gandolfo, i soliti miseri "interni" di questo poeta-pittore, le solite figure di
di popolane desolate e rassegnate; due abbaglianti nudi femminili di Zenone Lavagna; una dolce e pensosa testa di fanciulla di Francesco Longo Mancini: un vigoroso «studio» di vecchio, di Roberto Rimini; un piccolo autoritratto, che non dipinto ma scolpito parea, di Natale Attanasio; due «bozzetti» di Calcedonio Reina, nei quali il doppio tormento tecnico e spirituale di questo pittore di eccezione era espresso con strana ma estrosa efficacia; un piccolo ritratto a penna, infine, di Giovanni Verga, eseguito dal Gandolfo, lo stesso da me illustrato in un articolo sulla iconografia verghiana, del quale scritto Nino Cappellani riprodusse un brano nella sua Vita di Giovanni Verga. Insomma, alcuni gioielli fra conterie, che Frontini, vedendo il mio interessamento, ebbe l'amabilità di indicarmi, uno ad uno direi, con mio grande diletto.

lo studio


« Questi quadri — aveva detto il Maestro sono il mio piccolo mondo ». In questo suo ingenuo pensiero lessi il dramma interiore di Frontini, il suo chiuso dolore per essere solo conosciuto come l'autore del Piccolo montanaro e della Serenata araba e per gli storiografi della musica, l'autore di una remota Malìa e di un remotissimo Falconiere; per questo suo ingenuo pensiero compresi la solitudine del Maestro. Per quale misteriosa e fatale circostanza, di tante musiche squisite e profonde, raffinate e toccanti; di tanti notturni e serenate, minuetti e preludi, romance e canzoni, marce, intermezzi, quartetti — per non dire delle cinque pazienti ed intelligenti raccolte di melodie siciliane —- solamente due ne debbono essere ricordate?
Nel trigesimo della morte, avvenuta il 26 luglio del 1939, allievi ed amici organizzarono un concerto per pochi strumenti, in memoria. In quella occasione un giornalista-scrittore, prima che s' iniziasse il concerto, con molta leggerezza sentenziò: «Di musicisti come Frontini. oggi ve ne sono cinquanta». Quelle parole mi irritarono; l'amico, giacchè era un amicot non conosceva che la Serenata araba ed Il piccolo montanaro. «Togli lo zero!», gli rimproverai. Finita la celebrazione, mi cercò e mi disse: "Avevi ragione! ".

In questo episodio vi è, nella sua desolata tristezza, tutto il dramma della vita di Francesco Paolo Frontini.
Eppure quest'uomo non lo vidi mai triste.

LA SICILIA - Catania, 5/04/1957


Domani sera, alle ore 20,30 andrà in scena al teatro Massimo Bellini « Malìa », di Francesco Paolo Frontini. nella revisione di Francesco Pastura. Lo spettacolo si inquadra nelle manifestationi aventi carattere siciliano sovvenzionate con recente provvedimento regionale.
L'opera sarà diretta dal maestro Ottavio Ziino e avrà per interpreti Luisa Malagrida (Jana). Carmelo Mollica (Cola), Aida Londei (Nedda), Angelo Lo Forese (Nino) e Antonio Zerbini .(Massaro Paolo). Maestro del coro sarà Gaetano Riccitelli. La regia e stata affidata a Carlo Maestrini, il quale si avvarrà di scene appositamente realizzate da Sormani su bozzetti originali del pittore catanese Francesco Contraffatto, nonchè dei costumi eseguiti da Triolo su bozzetti di Roberto Rimini.



domenica 30 ottobre 2011

"Vicolo delle belle" commedia di Saverio Fiducia con commenti musicali di F.P. Frontini (1930)

Catania, Vicolo delle Belle 

Commedia in un atto. 

Rappresentata la prima volta, la sera del 31 maggio 1930, all'Anfiteatro Comunale di Catania, dalla Com pagnia diretta da Turi Pandolfini. I commenti musicali sono di P.P.Frontini, e la scena venne dipinta da 
E.Fanìa, scenografo del S.Carlo.
Personaggi
ZACCARIA                              35 anni: amante di
ANNUNZIATA                        30 anni, padrona della "casa".
LUCIO RAFFADALI               studente ventenne.
RAFFAELE                              servo. Nano alla Velasquez; "innocente" alla francese. Età imprecisabile; forse venticinquenne. 
LINA                                        cioè. Carmela,
OLGA                                       cioè Teresa,
EMMA                                      cioè Francesca e
AGRIPPINA                             ancora tale; "inquiline".
DONNA ROSA                        madre di Annunziata; cinquanta.
ONOFRIO e COSIMO            amici di Zaccaria.
DUE SUONATORI                  del "guarda e salva", uno dei quali cieco. 
IGNAZIO                                 operaio: frequentatore della "casa"; 23 anni.
VENDITORE                           di arancie.
VOCE di una venditrice di piselli, Coro dei mandolinai. -Oltre voci delle strada.
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L'interno di una casa di tolleranza di infimo ordine.
Salone squallido. Sofà sgangherati; un tavolo; delle sedie; uno specchio in cornice alla parete, contornato di carte da visita. In fondo un usciuolo che dà nell'interno della casa, e l'entrata principale , dal la quale si scorge la scala sudicia e buia. A destra finestre chiuse da gelosie inchiodate, e un àndito celato da una tenda a fiorami. A sinistra porte che danno nei camerini.
Penombra greve, umidiccia, maleolente; malgrado fuori sia maggio. Manca poco a mezzogiorno, dalla strada salgono rumori di opere, voci di venditori ambulanti, gridi di bimbi che giocano al sole, richiami di mamme.
- Epoca: sul finire del secolo XIX, in una grande città Siciliana.

Nello stesso anno, nel mese Febbraio, F.P. Frontini aveva scritto altri commenti musicali per la commedia "U Spirdu" di Russo Giusti.