"Eppure quest'uomo non lo vidi mai triste".
Io
giovinetto, lui adulto, lo incontravo di tanto in tanto in qualche
strada secondaria
della
tranquilla Catania dei
primi
anni del secolo, sempre solo e sempre vestito di
scuro,
gli occhi grandi e scrutatori,
che
più
grandi parevano
sotto
la larga tesa del cappello, di quei cappelli che gli spagnoli
chiamano sombreros,
da
sombra,
ombra;
ed io guardavo lui sapendo chi era, e lui guardava me vedendosi
guardato, immaginavo.
Mi
guardava, invece (me lo disse molti anni dopo, quando gli fui
presentato
e parlammo) perchè,
malgrado nel mio abbigliamento non fosse alcunchè
di ricercato o di stravagante, gli sembravo un mezzo artista.
Nel
vestire,
Frontini seguiva la moda, ed alla
figura di
lui,
esile, un po' più
alta della media, ma diritta e mirabilmente tagliata, bene si
adattavano i doppio-petto ed i calzoni
leggermente ad imbuto
la cui piega cadeva perfetta sulle scarpe quasi sempre di vernice.
A
ben guardare
però, in quel
suo severo vestire
una deviazione c'era, ed era, oltre il sombrero,
la
cravatta nera alla
Lavalliére
(a fiocco) svolazzante
sotto il pizzo bipartito: una deviazione
romantica,
sicura reminiscenza dei contatti giovanili
con l'ultima
"scapigliatura"
milanese; della
quale egli, col Fontana col Marenco col
Praga
junior,
era stato
per alcun tempo
non soltanto spettatore,
ma attore; chè
durante la sua
permanenza
a Milano e dopo il successo ottenuto dalla prima raccolta di canti
popolari Eco della Sicilia che
lo rivelò,
in ispecie il Marenco gli si era affezionato e gli aveva offerto un
libretto tratto dal suo Il Falconieredi Pietra Ardena.
La
mia prima conversazione col Maestro dovette avvenire negli ultimi
mesi del 1929, io non più
giovine, egli avanti
negli anni.
L'attore Turi Pandolfini gli aveva dato
a
leggere, perchè
ne componesse i commenti musicali, il mio
atto
unico Vicolo
delle belle, e
Frontini aveva consentito.
Lo
rividi con gioia; mi ravvisò
subito.
Abitava
in quel tempo in via Maddem, al primo Piano di una casa che
quattordici anni dopo un inglorioso bombardamento aereo doveva quasi
distruggere.
Confesso
che di Frontini io non conoscevo che pochissime musiche: qualche
pezzo per piano
ed,
alcune suonate «di colore» divulgate, bontà
sua, dalla Radio; ignoranza
che per quanto non sia tutta da addebitare a me, mi mortificava
parecchio.
Com'
è
naturale, comunque, fin da quel primo contatto col Maestro,
trattandosi
di
un mio collaboratore
e di uno che doveva trasportare
nel
mondo astratto della melodia e dei suoni, sia pure con semplici
commenti, le creature «terrestri»
nate dalla mia fantasia,
ansiosamente
cercai
di
penetrare nell'intimo
di lui, indovinare i suoi gusti, le sue predilezioni
artistiche.
Ma
Frontini, schivo come era e come sempre fu, disposto più
ad
ascoltare che a parlare, almeno quel giorno restò
per me il signore col sombrero
sui
grandi occhi scrutatori che molti anni prima incontravo
in
qualche strada secondaria della sua e mia Catania post-ottocentesca;
e chi, almeno
in
parte, me lo rivelò
fu la sua casa, che tenterò
di descrivere.
Penetrandovi,
mi sorprese. Per il netto contrasto con la
via non larga e tortuosa, popolare e
popolosa, che nessuno avrebbe immaginato potesse fare da anticamera
alla casa di un
musicista e di un musicista come Frontini, aristocratico e raffinato,
mi trovai ad un tratto in un mondo diverso, superiore,
ed il mio piacere fu grande.
Nelle
stanze, per le chiuse vetrate dei balconi, fortemente schermate
da spesse ed eleganti tendine che le
coprivano per intero, si
diffondeva una luce tranquilla
e discreta, una luce che in omaggio al Maestro avrebbe potuto dirsi
«in tono minore»; e poi, sebbene sorretta ed avvivata da qualche
ramo fiorito posto in vasi di terso
cristallo,
un'aria che mi parve da cenòbio
e che tutta
permeava di silenzi la casa.
Nello
studio, al posto
d'onore il pianoforte, chiuso; cascate di
quadri e quadretti alle pareti, ed in
robusti scaffali di legno
scuro e di gusto ottocentesco,
volumi e volumi di musiche, vistosamente
rilegati.
Notai
subito tra i quadri
un grande ritratto di Bellini (il Deus
loci, pensai), ed in alcune
fotografie chiuse in cornici e posate sul coperchio del piano,
riconobbi il profilo arcigno di Verdi, il volto grave di Rapisardi e
quello bonario di Massenet, le lenti di Boito, il basco
di Wagner, la folta
chioma e gli occhi un tantino cansonatori di Mascagni.
Alle
pareti,
cascate di quadri e quadretti ho detto. In maggioranza erano piccoli
olii, doni fatti al Maestro da ammiratori ed allievi; ma vi erano
anche fotografie di cantanti, col solito pavone in corpo ed in
costumi approssimativi che
avrebbero fatto allegare i denti a Caramba: il quadretto sociale
accanto a quello
aneddotico il
paesaggio e la natura morta, l'acquerello
ed il disegno a penna, una rude fotografia di
«paesana» siciliana accanto al
dolciastro ritratto di un Manrico verdiano con la spada nel pugno ed
i capelli arricciati. "Non
guardi quei ritratti —
mi disse ad un certo punto il
Maestro —,
sono ricordi remoti: ma con i
quadri.. ve ne sono dei belli, sa!
non una
raccolta, ma il mio piccolo mondo".
Quadri
belli, difatti, ve ne erano; e come si distinguevano bene dagli
altri! Ricordo
due o tre
piccole tele di
Antonino Gandolfo,
i soliti
miseri "interni"
di questo poeta-pittore,
le solite
figure di
di
popolane desolate e rassegnate; due abbaglianti nudi femminili
di Zenone Lavagna; una dolce
e pensosa testa di fanciulla di Francesco Longo Mancini: un vigoroso
«studio» di
vecchio, di Roberto Rimini; un
piccolo autoritratto, che non dipinto ma scolpito parea,
di Natale Attanasio; due «bozzetti»
di Calcedonio Reina, nei
quali
il doppio tormento tecnico e spirituale di questo pittore di
eccezione era espresso con strana ma estrosa efficacia; un piccolo
ritratto a penna, infine,
di Giovanni Verga, eseguito dal Gandolfo, lo stesso da me illustrato
in un articolo sulla iconografia verghiana, del quale scritto Nino
Cappellani riprodusse
un brano nella sua Vita
di Giovanni Verga. Insomma,
alcuni gioielli fra conterie, che
Frontini, vedendo il mio
interessamento,
ebbe l'amabilità
di indicarmi, uno ad uno direi, con
mio grande diletto.
lo studio
«
Questi quadri — aveva detto il
Maestro —
sono il mio
piccolo mondo ».
In questo suo ingenuo pensiero
lessi il
dramma interiore di Frontini, il suo
chiuso dolore per essere solo conosciuto
come l'autore
del Piccolo
montanaro e della Serenata
araba e per gli storiografi
della musica, l'autore
di una remota Malìa e di un remotissimo
Falconiere;
per questo suo ingenuo pensiero
compresi la solitudine del Maestro.
Per quale misteriosa e fatale circostanza, di tante
musiche
squisite e profonde, raffinate e toccanti; di tanti notturni e
serenate, minuetti e
preludi, romance e canzoni, marce, intermezzi, quartetti — per non
dire delle cinque pazienti ed intelligenti
raccolte di melodie siciliane —-
solamente due ne debbono essere
ricordate?
Nel
trigesimo della morte, avvenuta
il 26 luglio del 1939, allievi ed amici
organizzarono
un concerto per pochi strumenti, in memoria. In quella occasione un
giornalista-scrittore, prima che s'
iniziasse il
concerto, con molta leggerezza
sentenziò:
«Di musicisti come Frontini. oggi ve ne sono cinquanta». Quelle
parole mi irritarono; l'amico,
giacchè
era un amicot
non conosceva che la Serenata
araba ed Il
piccolo
montanaro. «Togli lo zero!»,
gli rimproverai. Finita la
celebrazione, mi cercò
e mi disse: "Avevi
ragione! ".
In
questo episodio vi è,
nella sua desolata tristezza, tutto il
dramma della vita di Francesco Paolo Frontini.
Eppure
quest'uomo non lo vidi mai
triste.
LA
SICILIA - Catania, 5/04/1957
Domani
sera, alle
ore 20,30 andrà
in scena al teatro Massimo Bellini « Malìa
», di Francesco
Paolo Frontini. nella revisione di Francesco
Pastura. Lo
spettacolo si inquadra nelle manifestationi
aventi carattere siciliano sovvenzionate con recente provvedimento
regionale.
L'opera
sarà
diretta dal maestro Ottavio
Ziino e avrà
per
interpreti
Luisa Malagrida (Jana). Carmelo
Mollica (Cola), Aida Londei
(Nedda), Angelo Lo Forese (Nino) e Antonio Zerbini .(Massaro
Paolo).
Maestro del coro sarà
Gaetano
Riccitelli. La regia
e stata affidata a Carlo Maestrini, il quale si avvarrà
di scene appositamente realizzate da
Sormani su bozzetti originali del pittore catanese
Francesco
Contraffatto,
nonchè
dei costumi eseguiti da Triolo su bozzetti
di Roberto
Rimini.