Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

martedì 29 maggio 2012

COSA É IL FUTURISMO ? Commento al decalogo di Gesualdo Manzella Frontini (1910)


COSA É IL FUTURISMO ? Commento al decalogo di Gesualdo Manzella Frontini



I. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità — Il coraggio l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
E perciò, o signori critici, nessuna impennata: in ogni caso quest'affermazione è restrizione del mondo poetico non già allargamento di confini.
Senz'essere futurista la buon'anima di Tirteo piantava gli acuti speroni ai fianchi dei muscolosi guerrieri spartani cantando l'amor del pericolo e della temerità: l'abitudine all'energia erasi assimilata e s'esprimeva nella bellezza plastica di quei corpi, che il ginnasio aveva foggiati, mirando lontano ad un ideale di forza bella.
O gli speroni acuti del canto bronzeo volante di Tirteo.
O gli Hypothékai, o gli Embatéria.. pulsanti e forti di temerità !
Ma la critica non à il dovere di saper leggere le intime relazioni e le mutue rispondenze che trascorrono tra i balzi del tempo, legandolo in anella possenti e sotterranei la corona delle esistenze, ed in onde il mare agitato dei commovimenti umani.

IILa letteratura esaltò fino ad oggi, l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febrile il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Meritatissimi schiaffi e meritatis-simi pugni, o pacifici borghesi, che avete condannato l' anima a far le pulci entro la berlina aperta agli scaracchi del primo venuto! Poi avete riso al Poeta che osava ribellarsi con incomposti movimenti ed impetuose scosse e divincolamenti, con la scusa ch'era ridicolo.
Per tutti i capelli di San Pietro, meglio, assai meglio il verso che avesse l'agilità d'un salto mortale, la sonorità d'uno schiaffo, la velocità appena percepibile d'una corsa e la persuasione.... d'un buon pugno alla Johnson, che la putrida velma verminosa d'un sonettaccio contemplativo, laudativo, inneggiante... alla cocolla o al panno chiazzato d'una qualunque bimba di clorotica salute!
Ed ora l'avete anche con me! Badate alla pesca e alle adunche branche dei granchi... (che serie di gruppi... gutturali-nasali) !
Io  non sono un avvocato futurista! Figuratevi che il Marinetti ad un
certo punto del suo proclama dice: « Ci opponete delle obiezioni?.. Basta! Basta! Le conosciamo... Abbiamo capito!.... La nostra Bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. Forse!... Sia pure ! Ma che importa? Non vogliamo intendere!....
Guai a chi ci ripeterà queste parole in faccia!... » 
Ebbene io tante volte gli ò ripetuto in faccia quest' accusa ed ancora ritorno ad accusarli... Quindi non sono sospetto di... partigianeria.
Il   secondo comma del decalogo però mentisce: signori critici, e cosa mai cantava l'Unico, l'enorme, l'irriducibile Pindaro?
Inni, peani, ditirambi, epinicii! Eternità del Kallinicos, consacrata dalle ampie volate delle strofi palpitanti!

Voi, signori, che non avete osato parlare del Futurismo mentre dall'imo fegato la bile per la via dei polmoni v'urgeva irruenta alla gola, conglobata in triviali insulti, in fulminanti parolacce pesanti come un poema rapisardiano, voi, signori, avrete naturalmente inteso che gli epinicii di Pindaro esaltavano il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto... il lancio del disco, la lotta violenta corpo a corpo....
E allora anche Simónide e allora Pindaro furon futuristi?
Tutto ciò non potrà magari piacere al Marinetti, ma i signori critici non dicano che ò torto....
In tutti i casi si difenderanno, che ne àn diritto, distinguendo futurismo da futuristi! Io per tanto son con loro: Non tutti gli spartani eran valorosi e coraggiosi allo stesso modo; ne tutti i poeti di Italia àn cantato una Divina Commedia!...

III. — Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una nuova bellezza: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
Questioni di gusti. È stato forse determinato da alcuno, che ne abbia avuto formale incarico dall'Umanità, l'ambito entro cui la ispirazione dell'Artista s'abbia a contenere? Non può forse la fantasia del Poeta sferrare per l'eccelse plaghe dei cieli intentati ?
Un solo monito ed una sola legge: Seguire ed imporsi un sogno di bellezza. Allora quando sentirà intensamente ed in egual misura saprà riprodurre le  sue sensazioni, l'Artista à creato opera vitale, e gli uomini avranno da Lui preteso non ingiustamente e non oseranno chiedergli oltre.
Massimo Bontempelli elogiava l'automobile e la sua donna scalmanata nella corsa, quando ancora il futurismo non aveva proclamato i suoi diritti; ed il maltrattato Monti — or è molti anni — tesseva una sua classica ode al signor di Mongolfier, speranzosa e profetica, come tutto ciò che s'abbandona con fiducia al futuro.
Ciò non pertanto la Vittoria di Samotracia resterà a significare l'espressione d'uno stadio di bellezza oltrepassato, non condannato, nè irriso, e maraviglioso. Si deve per ciò incancrenire ed immarcire la energia nuova con innesti anacronistici? Non crediamo.

IV. — Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la terra, lanciata a corsa,  essa pure, sul circuito della sua orbita.
Bella ed efficace figura retorica per dire che tirate le somme pànta réi! Tutto scorre, si muove, agisce; che la dinamica par sia per sostituire, nella esatta concezione dell'universo, la statica, Energheia: ecco la decima Musa. Non è forse la filosofia bergsoniana che tanta fortuna solleva in Europa, poggiata sulla mobilità del reale ? E perchè solo ai futuristi, contro i cui petti luccicano occhi sgranati di sdegno e di irrisione, s'à da reclamare il foglio di via della loro origine?
Ma lasciate che gli episodi della vita si compiano, senza intralci: niente è più sacrilego ed infecondo che il sopruso e la violenza perpetrata a danno dell'entusiasmo.

V. — Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sforzo e munificenza, per aumentare l'entusiastuo fervore  degli  elementi primordiali.
Né alcun passatista, come direbbe il Marinetti, negherà l'approvazione a questo numero.... del proclama.
Infatti l'Artista è come certe ruote d'ingranaggio, le quali ànno un congegno tale da centuplicare il primitivo impulso e restituire una forza attiva, avendo ricevuto l'urto con l'energia latente. Egli elabora con ardore la materia grezza ed aumenta il fervore dell'elemento primo.

VI. — Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.
Tutte le consorterie sono esclusiviste: il futurismo come tutti gli aggruppamenti letterari, che in buona fede credono d'avere risolto il problema estetico, é una consorteria, intesa nel senso benevolo ed originario della parola. Epperò io — il quale sono una quantità come un'altra, forse negativa per molti — sarò futurista quando il Marinetti avrà dichiarato esplicitamente le sue vere intenzioni nell'atto di dettare il proclama, or mai celebre, e quando per conseguenza avrà risciacquato nel puro lavacro originale l'unica etichetta che — in questo caso solo — avrebbe una ragione d'esistere, futurismo: cioè negazione di tutte le etichette, scuole, cenacoli, accademie, consorterie.. Proclama di grandi verità, benissimo sintetizzate in una felice, semplice e vecchia frase.... fatta: l'Arte è la Vita, per dire fra l'altro che il Passato anche glorioso non è la Vita, ma l' antitesi di essa.
Quando poi il carattere aggressivo imposto dal futurismo all'opera d'arte perchè possa essere un capolavoro, avesse avuto nell'intenzione dello scrittore significato di intensità suggestiva noi sentiremmo la verità alzar la voce a suo vantaggio: nè alcuno potrebbe dar torto.

VII. — Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell' impossibile? Il tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.
Questa mia è opera di divulgatore ed illustratore, cerchiamo perciò di ridurre in più democratica forma il pensiero dei miei illustri amici : né conto d'interpretare esattamente quello che àn voluto dire....
Noi siamo sul promontorio... cioè: Noi siamo il risultato di una somma d' esperienza tale da permetterci  un atteggiamento di superiorità innanzi alle vicende della specie. Noi abbiamo superato le possibiliià umane e ci avviamo energicamente a scassinare le porte dell' Impossibile, per trafugarne il mistero... Frattanto siamo l'assoluto onnipresente, cioè oltre la storia ed oltre... la Terra: nessun colore di tempo né di razza impronterà le nostre concezioni.
O io mi sbaglio, ed allora ò torto, o non mi sbaglio, allora non ò ragione, poiché m'è saltato sul naso il grillo di discutere anche questo.... degli articoli il più spurio, così come certi numeri di programma dai quali l'impresario s'aspetta un trionfo e vi cadono ch'è un piacere.
Qui i miei amici scattando sull'acciaro dei loro muscoli corsero per afferrare la mosca bianca da collocare sul làbaro e si trovarono d' aver colto un pappo.

VIII- —Noi vogliamo glorificare la guerra—sola igiene del mondo — il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
Sia gloria alla guerra... patriottica quand' essa si trascina dietro anche il militarismo, così leggero del resto in grazia delle corazzate di Terni ; sia laude al libertario che sul formidabile ordegno d'una macchina infernale pone il fiore rosso della propria vita per il più rosso fiore dell' Idea esaltata ; siano prodighi i Poeti di canzoni a chi muore per un sogno fantasioso...
Epperò — e vorrei scriverlo con tre p — permettete, o Marinetti, che entro l'alone d'un bel gesto io possa, e con me, le retroguardie del Futurismo, scorgere la linea incerta della concreta bellezza, la figlia prediletta dello spirito dell'uomo. E se di quest'uomo voi mi fate un clown che ridicolosamente vi balli sopra un filo di ferro per divertivi... la folla, questa è azione da dilettante, da snob, non da Grande Poeta, quale io sento che voi siete. Credete ch'io vi predichi morale?... Bel pulpito la sconfinata mia coscienza per una predica!...
È ch'io non capisco l'incomposto arrabbattarsi d'una falange geniale per un frivolo istinto di rappresaglia. Chè la vostra guerra — igiene del Mondo — ed il vostro militarismo mi sanno di tendenza antisocialista lontano.... molto lontano!
E credete voi sul serio che una scuola letteraria — come vi piace chiamare il futurismo—possa concretarsi su basi, le quali non abbiano nelle profondità dell'essere il primo e più forte piano? La sincerità, ecco la sola   igiene del mondo! tranne non vi sorrida una   umanità  che  sia  la  resultante degli invalidi, dello scarto delle leve e di vecchi e di donne..... Delle quali pare ci si debba guardare come dalla... spinite: del resto è caso tipico in cui la causa per l'effetto calza, e come calza. Scherzi a parte sotto certi aspetti il futurismo l'à piantata giusta sull' affare della donna.
I belati, i piagnucolamenti, i deliqui e gli svenimenti ci àn rammollita un pò la colonna vertebrale, ed è tempo che l'uomo ritrovi il midollo della sua naturale vigoria maschia di propulsore e dominatore, specie quando una innumere turba di suffragettes à imposto alla tradizionale serietà britannica una veste da camera mostruosa, per arrivare più svelta, in mutandine, a carpire l'arma micidiale e sovvertitrice: il voto!... E l'à carpita!
Nè centro dell'universo, nè macchina da far figli, e s'intende non a torto oggi dal futurismo messa alla gogna, quando s'inveschia a farla da pepe in ogni minestra... la più spiccia della mensa politico-sociale.
Dice il futurismo: meno carne e più... nerbo. E sia!

IXNoi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
La bufera degl'improperi s'è avventata contro l'innocente grido di rivolta, quado classicisti degni dell'umanesimo— e valga uno per tutti Ettore Romagnoli, mio illustre maestro—già da anni non pochi, s'armano dell'acuta amara satira, densa d'attico sale, per colpire la turba degli accademici, musoni topi miserabili, tignole bibliofile....
Dice: È la forma, il modo che offende !... Non li credete ! È che àn trovato da far bene il lor gioco su quattro audaci, audacissimi, ma giovani e di questi, alcuni ribelli per istinto, perché inesperti di.... materiale storico (ahi! quanto... materiale!) e ci si son messi col silenzio agghiacciante, coll'ironia sboccata e col ridicolo....
Ah, in quanto a questa positura di guerra benedetto tre e quattro volte e anche sette il futurismo del più irresistibile ed imponderabile futurista... Servirà anche dal suo canto a sbarazzarci la via troppo ingombra di materiale... 

X Noi canteremo le grandi folle agitate dal  lavoro, dal piacere o dalla sommossa ecc. ecc.
Cantate, cantate, o ardenti cicale, di questa estate rossa, purchè non veniate a schiacciarci innanzi le tignole raccolte fra i palinsesti o i codici adespoti e a gabellarci quell'esercitazione poco pulita per... un dattilo acatalettico in flagrante furto d' una sillaba!...
*Critica al Manifesto del Futurismo - Le Figaro - 20 febbraio 1909

***
(Critica...)
romanzo africano



Avendo finito di leggere, la mia grande curiosità gelosa s'era rilasciata in una stanchezza d'esasperazione.
Non ci si avvicina ad un libro d'un uomo d'ingegno, specie se quest'uomo è un nostro amico, con serenità né tanto meno con indifferenza. Anch'io ò creduto spesso alla cara illusione d'una critica impersonale, ma oggi più che altra volta, mi son trovato uomo di parte, chè se l'irritazione prodottami da «Mafarka-el-Bar» il romanzo futurista di F. T. Marinetti, mi fosse venuta da altri e per l'altra via, son certo che non avrei scritto queste note per paura dell'art. 295 del C. P.
Curiosità !
Io volevo sentire la prosa di romanzo del Marinetti, ma non potevo concepire fino a che punto possa trascinare il fanatismo d'una idea fissa o la coscienza della propria magnifica sostanza intellettiva, ed il Marinetti ch'è un milionario non avrebbe dovuto sprecare tanto fior di sangue e di nervi per colmare le mani, non piene mai, di coloro che àn bisogno esca onde dar fuoco alla paglia fumosa... soffocante.
D'un altro avrei forse detto che s'era sbagliato a suo mal grado, ma per il Marinetti ò la presunzione di affermare che Egli à scritto un libro per èpater le bourgeois (scandalizzare la borghesia).
Che si possa discutere un'opera di arte dal punto di vista della sua significazione etica e sociale, sebbene ancor oggi lo si pretenda e quel ch'è peggio lo si faccia, io non credo.

Infatti se, ad esempio, la Patria lontana del Corradini, di cui ò parlato, è stata posta allo strazio della discussione, anche da giovani di alti criteri d'arte, non è avvenuto già perchè la Patria lontana intenda combattere una battaglia, ma perchè il suo autore più che al titolo d'Artista, di cui d'altronde è degnissimo, tiene a quell'altro d'uomo d'azione.
Ed è per queste mie speciali vedute che io non indendo condannare a priori « Malarka », ma è pur troppo dalle stesse ch'ei vien condannato. Mi spiego.
Se un libro dovesse rispondere del corso ch'esso si compiace di assegnare ai valori della vita, e se dovesse subire lo strazio d'una inchiesta, ordinata a rivederne le alterazioni, nessun artista potrebbe dislacciarsi dalle strette tòrtili. L' artista crea, e la sua, ch' è in fondo una rievocazione dalle più scure ed insondate profondità dello spirito, è opera sacra, già che a volte parla strane voci per i mortali sensi degli uomini, mentre è in Lui una corrispondenza ideale con le forze occulte della natura.
Chi non à inteso ripetere almeno una volta nella sua vita che non è prudente richiedere all'Artista donde venga e a che miri ? Eppure c'è tanta gente la quale facendosi un dovere di appellarsi alla tradizione condanna le opere d'ingegno, cancellando ed insultando quella tradizione alla quale si appiglia perché la ignora, e vituperando d'immoralità tutto quanto non risponde ad una misura stabilita.
Ingenuità delle ingenuità, direbbe uno scrittore biblico, ma non è naturale che le opere d'arte siano tutte amorali se vogliono rispondere ad solo fine, all'Arte? E intendiamoci: amorali nel senso più comprensivo; vale a dire logiche nella loro logica fittizia, naturali nella loro artifiziosità di luci, di scorci e di profili per cui ne risulta una illusione di realtà più vera della verità stessa, poi che non suscettibile di decadenza; etiche nella loro etica opportunistica. Ma prima e sopra tutto pervase da quel senso di indefinibile e complessa elevazione ch'è nell'opera d'arte, cioè la bellezza.
E così non preoccupandomi della balorda ed imponderabile accusa di oltraggio al pudore, per cui il libro del Marinetti è stato sequestrato dalla Procura Generale di Milano, ritorno al mio pensiero: il romanzo del Marinetti non à ragione d'essere poi che non è opera amorale, ma tende sin dalle prime pagine ad una esaltazione che è poi una tesi.
Ripeto non ò il diritto di preoccuparmi della tesi, ma ò quello di sviscerare il valore quantitativamente, in ciò ch'è la sua ragione d'essere, la ragione estetica.
* *  *
Gran poema di barbarie, ove le parole son  orde  selvagge di negri, che rispondono al ritmo d'un fragoroso rombo di tuoni per lanciarsi nella mischia fulminei, sui cavalli sfrenati, il « Mafarka » nella sua prima metà, sarebbe bastato alla gloria d'un poeta primìparo. Infatti senza le posteriori volute avremmo dimenticato le inopportune fila della tesi esposte sin dall' inizio.
Procede il romanzo per grandi quadri non altrimenti d'un poema, epperò un sol pensiero di quella vita intensamente fittizia cui accennavo poco fa, troppo spesso mal frenato, mal chiaro entro il bronzo del periodo, traluce.
Bisogna oltrepassarsi per poter fissare tutti gli strati inferiori della vita senza rimpianti, e nessun mezzo migliore di temprare questa volontà di elevazione, che il rappresentare la bétise degli uomini, crudamente, nella sua debolezza e nella sua istintiva irruenza.
Questa la  sintesi  del  romanzo,  e questa io penso la ragione delle frequenti imaginì lussuriose e delle scene carnali e della macabra, maravigliosa tregenda fallica, Lo stupro delle negre, degna di chi à concepito Re Baldoria, vale a dire del poeta più imaginoso, visionario, originale contemporaneo.
Egli à mezzo di contrapporre cosi' la granitica tagliente volontà di dominio e di purezza, alla molle flessibilità di schiena degli esseri inferiori che s'armano di verga e per essa vivono battendo i fiori sanguigni delle due bocche femminee.
Intorno a « Mafarka », al fratello suo Magamol, che finisce miseramente con la promessa sposa Ourabelli-Charchar per essere stato morso da un cane idrofobo, intorno a Coloubbi, che pretende essere stata la madre e l'amante del figlio di Mafarka Gazourmah, poi che lo stato dionisiaco, in cui Egli concepì il mostro alato e lo fuse e gli die moto, pretende Coloubbi d'averglielo essa prodotto con un suo sguardo possente, s'agitano le turbe schiave di Mafarka e del suo rivale condottiero di negri Brafane-el-Kibir.
O, le arse e spasimose cavalcate pel deserto dietro un'ombra o dietro un sogno del Marinetti, truccato da re barbaro!.... O, le onde di sabbia infoncata che morde le carni lucide, l'ansito caldo dei petti larghi, le grida strazianti dei feriti, o i gemiti delle negre stuprate in un'orgia titanica! Pagine di impeto e di concezione superiore.
L'estetica del futurismo è puramente e semplicemente dinamica, ma nel suo condottiero assurge alle irrequietezze più folli dell'azione.
E può parere un controsenso che in questo romanzo del Marinetti manchi proprio l'azione del senso più elementare.
Vi manca infatti una linea di svolgimento, quando invece attorno a Mafarka tutto vive una vita intensa. Egli vuole, sa ottenere, s' oltrepassa ma non ci persuade, già che la sua volontà d'elevazione sconfina dal senso umano di visione del mondo. Almeno sino a quando non sarà più ridicolo pensare ad una ideale umanità che faccia dei figli « sans le secours de la vulve! » tranne che non si voglia pensare ad una serie d'esperienze ultravulvari....
M'ero proposto di non discutere il romanzo nella sua tesi.
Mafarka enuncia una sua serie di affermazioni, e nel discours futuriste arriva a questa conclusione « Il est possible de pousser hors de sa chair, sans le concours et la puante com-plicité de la matrice de la femme, un géant immortel aux ailes infail-libles! » Date a questa idea delle premesse e sottoponetela a conseguenze e troverete l'uomo-areoplano, l'uomo-macchina.
Per questo fine, solo per questo fine, ch'è il punto ultimo dalla vita mortale, l'eroe Mafarka-el-Bar acumina l'acciaio delle sue membra e lo stile della sua volontà di dominio sulla cute ossea delle schiene umane.
Gl'istinti primitivi della specie ricondotti alla espressione di una razza eroica: potremmo magari discutere sino a che punto gl' ideali della nuova società democratica si possano e si debbano anzi accordare con questi istinti: la loro contraddizione appar-rebbe meno irriducibile di quanto si pensa. Ma non sarà mai lo sforzo della gente universa teso alla conquista d'un sogno poetico ultra-umano, contro natura.
Belle le sante battaglie dell'ideale, ma fino a quando avranno premesse e finalità umane, come quasi tutti i capisaldi del movimento futurista, ma quando trascendono e danno un balzo a capofitto nell'irrisorio, quale il figlio inorganico di Mafarka,  allora non   entrano   nemmeno   nel   mondo delle visioni.   
E per questo e per ragioni meno fondamentali, ch'io non son uso apportare quando parlo d'un'opera d'ingegno non comune, Mafarka-el-Bar non è un libro riuscito.

***
Vedi anche:  

LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a Gesualdo Manzella Frontini 


"Volare - Il tema della sfida allo spazio aereo attraverso il volo meccanico, con le relative opportunità che essa offre di avventura umana e di sogni imperiali, viene aggiudicato nella collana della Bemporad al poeta futurista Gesualdo Manzella Frontini. Il quale ha tutti i titoli, come futurista, anche se nel corso degli anni Venti viene prendendo le distanze da certe radicalizzazioni dei giovani compagni di strada e viene sottoscrivendo le riserve critiche degli ex futuristi fiorentini, Papini, Soffici, Palazzeschi, ma anche come fascista della prima ora, come reduce della Grande Guerra, come portatore di una fantasia estrosa e generosa, per confrontarsi con questa prova."
G. Manzella Frontini e Carlo Carrà

mercoledì 23 maggio 2012

Mario Rapisardi - di Giuseppe Villaroel

Gente di ieri e di oggi - di Giuseppe Villaroel


Mario Rapisardi
In alcuni temperamenti c'è una forma di timidezza spirituale e psichica che reagisce con espressioni verbose e modi aggressivi puramente fantastici; una forma orgogliosa, e vorremmo pur dire letteraria, di spavalderia. Certe volte si tratta di rare e irrazionali impulsi istintivi che sfociano in traslati iperbolici, come, per esempio, nel caso Leopardi (« l'armi, qua l'armi — combatterò, procomberò sol io »);e certe volte, invece, di soprastrutture culturali e mentali, che finiscono per deformare la personalità e il carattere di un artista. Ecco il caso Rapisardi.
Il poeta, che cantò « Lucifero », la ribellione, l'anarchia e scrisse i più feroci versi dinamitardi e rivoluzionari dell'età sua, il poeta, che ebbe immagini grasse e truculente nella satira, nella polemica e nell'invettiva, era, di converso, il più mite e bonario e morigerato uomo del mondo. Già, bastava guardarlo in viso. Con quella sua chioma molliccia e ondulata di antico bardo, con quegli occhi languidi, quasi svenevoli, con quel nasetto petulante e femineo, con quei mustacchi pènduli, ovale di volto, èsile ed alto di statura, non dava sicuramente l'idea di un temerario sanculotto o di un temibile regicida. Ebbe, inoltre, il gusto di aggeggiarsi in nero, con cravatte lugubri e svolazzanti, colletti alla robesbierre, berretto bicorne e babbucce con fibbia: un modo tetro e romantico d'acquistare rilievo sulle folle, che parve geniale bizzarria ai fanatici e manierato esibizionismo ai nemici. Molti credettero, insomma, ch'egli si concedesse alla platea. Era rimasto, invece, casalingo e borghese quant'altri mai; e, tòlti siffatti paramenti, l'uomo viveva in esemplare e modesta semplicità. Tanto è vero che alla moglie (la Giselda), venuta in Sicilia dai climi eleganti e leziosi del nord, risultò trascurato e borghigiano. Forse, così, la donna volle attenuare, dopo il distacco, una colpa, che, ad esser sereni, non può avere altre attenuanti se non quelle della fragilità e della leggerezza di certe nature femminili. Giudizio dispettoso e ingiusto, dunque; e mal rispondeva agli accenti di gentile malinconia e di umana pena che il poeta ebbe per lei. Perché, diciamolo ad alta voce, Rapisardi fu di cuore sensibilissimo, generoso e indulgente. Ma, ironia della sorte, sembrò del tutto l'opposto. Sembrò gravido di rancore, selvatico e grossolano. Ed era, viceversa, un timido e un buono, cui spesso l'ira toglieva il senso della misura; più nelle parole, che nei fatti. E, se difetti egli ebbe, altri non furono che quelli di un eccessivo orgoglio e di un'ombrosa suscettibilità. « Poetae irritabile genus ». In fondo, la polemica con il Carducci nacque da ciò. Se il maremmano si fosse attenuto alle buone regole di cortesia (allora in uso), e non avesse ricambiato col silenzio i primi omaggi del catanese, probabilmente quel duro, spiacevole scontro non sarebbe avvenuto. Il Rapisardi cadde nella scatologìa, com'ebbe a scrivere il Carducci. Già, già; ma il Carducci non aveva tolto, mica, termini e immagini dal « Florilegio per le educande ». Ed è lecito, al sentir dire che la propria arte ha « le brache puzzolenti », che un uomo possa rispondere, come rispose il Rapisardi:

La fama che con lui fornica in piazza, 
posto il trombon tra l'una e l'altra lacca, 
ai quattro venti il nome suo strombazza.

*  * *

Del resto, prima che movesse decisamente all'assalto del Carducci, il Rapisardi tentennò alquanto e agì in modo da mettersi dalla parte del torto, mentre, in sostanza, aveva ragione; aveva, cioè, i suoi buoni motivi per dolersi della inciviltà del Carducci. Agì insufflato dal Fanfani: il famoso Fanfani delle « postille ». E, se, da un canto, volle far vedere al suo dotto amico di Firenze, che non risparmiava le frecce contro l'« idrofobo cantor, vate da lupi », dall'altro, sperò che il Carducci non si accorgesse del coperto strale. Ingenuo ! Si mise in moto la scuola bolognese, e il Carducci, avvertito, chiese perentoriamente al Rapisardi l'esplicita conferma dell'allusione. Il Rapisardi negò (ecco l'errore, ecco il timido) e fece la figura dell'insidioso e dello sleale.

* * *

Usciva di casa, difilato verso l'Università, dove — dicono — svolgeva le sue lezioni con grave e dotta modestia. Nessuna aria, nessuna albagìa, nessun tono aggressivo. In casa, passava i suoi giorni ad elaborar poemi e canti, deambulando, nelle buone stagioni, lungo la balconata prospiciente sull'ultimo tratto della via Etnea, là, in alto, nei quartieri del vecchio borgo. E, di là, con la fantasia, costruiva quei mondi farraginosi, di personaggi, simboli, mostri, scene, profezie, cavati dalla Bibbia, dal mito, dalla classicità, dalla filosofia, dalla storia; di là, abbatteva nemici, avversari, tiranni, troni; di là, evocava Satana sulla terra e prediceva l'avvento del proletariato.
Era il tempo delle rivendicazioni popolari.
A Catania: i socialisti al potere. E Mario Rapisardi, solitario, chiuso, lontano da ogni pratica della cosa pubblica, aveva dovuto subire, suo malgrado, il ruolo di cantore e interprete delle nuove ideologie.
Il primo maggio, i lavoratori, in tumultuose colonne, assiepavano la casa del poeta, con canti, evviva e spiegamenti di bandiere rosse, e richiedevano, a gran voce, un discorso d'occasione.
Negato all'oratoria di piazza, scontroso, impac-ciatissimo, sospinto dai soliti scalmanati, terreo, funereo, con quel suo tradizionale berretto nero, in bilico sulle chiome agitate dal vento, Mario Rapisardi si sporgeva dalla ringhiera e, senza mover labbro, rientrava precipitosamente in camera.
Ecco, nella sua realtà, l'uomo che le beghine superstiziose credevano posseduto « dalle dimonia ».
Questa contraddizione fu, secondo noi, il dissidio segreto (e, forse, inconscio) della vita e dell'arte di Mario Rapisardi. Egli non si accorse che, sul suo vero mondo spirituale (che era di natura elegiaca, idillica e meditativa) si attaccarono incrostazioni dottrinali, politiche e filosofiche di carattere problematico e programmatico. In altri termini: egli era nato lirico e volle fare l'epico, proprio, quando l'epica, come genere letterario, era già morta e sepolta da un pezzo. L'annuncio funebre l'aveva pur dato il Carducci. Ma il Rapisardi non vi credette. Sugli schemi dei grandi e dei piccoli poeti classici, pensò, lo stesso, di potere immettere nella poesia lo scìbile, senza riflettere che, come la storia aveva sostituito i poemi eroici, la scienza e la filosofia avevano sostituito ormai, per sempre, i poemi didascalici, gnomici e parabolici. Entrò in questa immane fatica senza riuscire a districarsi dalle ri-miniscenze e dai modelli, anche dal punto di vista prosodico e linguistico. In questo senso i richiami del Croce sonò inoppugnabili. Per fortuna del Rapisardi, quando la vitalità lirica del suo mondo interiore, superato il gravame delle costrizioni sociologiche, dialettiche e speculative, riuscì ad aver libero sbocco nel sentimento e nella fantasia, ecco il poeta ritrovar se stesso e consegnare al tempo, qua e là, nelle « Religiose », nei « Poemetti » (e persino in alcuni brani dei suoi pletorici poemi) un'arte durevole. È questo il Rapisardi elegiaco, desolato e scettico (ma di uno scetticismo che non si essicca e ripone fede nelle forze eterne e nel mistero della natura); è questo il Rapisardi nostalgico. Allora il poeta coincide con l'uomo; e i suoi tristi occhi stupiti interrogano la vita, le stelle, l'infinito. Allora le chiome lunghe si addicono alla sua grande solitudine spirituale e le parole combaciano col suo temperamento di trasognato amante della libertà e della giustizia umana.

* * *

L'ultima volta che lo vidi era infermo da tempo. Affondato nella poltrona, con una coperta sulle gambe, pisolava. Cèrea la faccia smagrita, grigi e radi i lunghi capelli riversi sulle spalle, scarne e ossute le mani. La Poniatowski (l'affettuosa compagna che lo assisteva) entrò piano piano, gli pose sul tavolinetto, ingombro di libri e carte, una tazza fumante;   e   scomparve.
Il poeta sollevò le palpebre e le richiuse. Era abituato a sentir gente attorno. Quando si svegliò, del tutto, sorrise e cominciò a sorseggiare la bevanda.
« Come  state,   maestro? ».
« Parliamo d'altro —, disse. — Oggi, sfogliando alcuni miei vecchi appunti, ho trovato questa nota. Leggete ».
Era un biglietto lógoro e gialliccio. Di sbieco, con calligrafìa nervosa, v'era scritto: « Incontro a Firenze, all'angolo di via Tornabuoni, Giosuè Carducci... ».
« Vi sembra una postilla oziosa, è vero? ».
« Oziosa, no; ma non c'è nulla di strano ».
« Nulla di strano? Era solo. Ci siamo quasi strisciati spalla contro spalla. Procedeva borioso, massiccio,  duro.  Finse di non vedermi.  Ed io mi son sentito salire il sangue al cervello. Frugo, convulsamente nelle tasche. Per fortuna non trovo più il mio solito coltello-tempera-lapis. Dico: per fortuna. Glielo avrei  conficcato  nel cuore... ».
Salto su, sbalordito: « Maestro, voi non lo avreste fatto. Non era possibile ! ».
Mi osserva, stanco, esangue, con l'occhio opaco, lontano. Strappa in minutissimi pezzi il cartoncino e sospira: « Sto male. Molto male; bisogna distruggere questi brutti ricordi. Avete ragione, amico. Non era possibile... ».



lunedì 7 maggio 2012

Il pittore Natale Attanasio - Catania 1846 - Roma 1923

 Natale Attanasio — Artista, pittore di solida fama, nato in Catania il 24 dicembre 1846

Da ragazzo dimostrò una spiccata attitudine al disegno e alla colorazione, ed ottenne dal Comune una borsa di studio per frequentare a Napoli l'Accademia. Fu allievo del Morelli e riuscì artista di gusto fine e di genialità notevole.
Nel 1881 espose a Milano due lavori: Un accattone alla porta della chiesa e La Sibilla in ritardo, giudicati una buona promessa.
Due anni dopo presentò alla Mostra di Roma un altro quadro che fu premiato, e nel 1884 portò al­l' Esposizione di Torino due grandi lavori: Le pazze in orazione che oggi trovasi nel museo civico di Catania, e Bernardo Palissy nell' atto che riesce ad inventare una nuova maniera decorativa della ceramica.
Dal 1886 al 1889 fu docente di disegno nella Scuola d'arte e mestieri di Catania.

Per commissione del Municipio di Catania eseguì i ritratti dei Sovrani d'Italia, Umberto I e Margherita di Savoja, che decorano una delle sale del Palazzo civico.
I lavori dell'Attanasio sono sparsi in molte città d' Europa. Le sue opere si snodano su una tematica di dolore e di disperazione.
Si ricordano con queste tele: Il pensiero dominanteLagrime e delittiLe vittime Ricchezza e miserieCorinna L' Orfana dell'Annunziata Una figlia dell'Etna Dopo la messa.
All' Esposizione di Venezia presentò il quadro Lachryme rerum(Le pazze in orazione - il capolavoro). 

Attanasio, che aveva allora trentott'anni si era defintivamente stabilito nella capitale e in un manicomio femminile studiava le espressioni e gli atteggiamenti delle ricoverate, annotandoli, di volta in volta, in uno schizzo a matita o a pastelli colorati. Ne son rimasti, di questi « appunti », centinaia. Un neuropsichiatra può distinguervi a colpo d'occhio la paranoica, la psicastenica, la ne­vrotica, la schizofrenica. Il quadro fu esposto a Torino nell'84 e otto anni dopo a Palermo, Attanasio  sperava che la acquistasse la Galleria d'arte moderna di Roma; ma le trattative non andarono e regalò il quadro al Comune di Catania, la tela si trova al Castello Ursino.
(Suonatrice di krar)
All'Esposizione Nazionale di Palermo, presenta nel 1892: Una cucina economica e Una scuola industriale.
Inoltre ha eseguito molti ritratti anche per commissione di personaggi stranieri.

(I parenti dei carcerati)

Bibliografia
* La Sicilia intellettuale - Catania 1911 
* Enciclopedia di Catania - ed. Tringale

ritratto di Federico De Roberto

domenica 6 maggio 2012

Salone di Torino: Regione Sicilia rende omaggio al poeta Mario Rapisardi

Salone di Torino: Regione Sicilia rende omaggio al poeta Rapisardi



Palermo, 4 mag. - (Adnkronos) - Dal 10 al 14 maggio, l'assessorato dei Beni culturali e dell'Identita' siciliana, partecipa con la Biblioteca centrale della Regione al Salone di Torino, vetrina internazionale dell'editoria, con uno stand che ospita una nutrita rappresentanza di editori siciliani, coordinati dall'Associazione siciliana editori. Quest'anno, la galleria dei "grandi siciliani" rende omaggio a Mario Rapisardi nel centenario della morte. Poeta e letterato catanese, i suoi versi si collocano ai livelli piu' alti della poesia italiana del secondo Ottocento. Nello stand ci sara' anche spazio per la presentazione, sabato 12 maggio alle 12, della prossima riapertura della Villa del Casale di Piazza Armerina, inserita dall'Unesco nella World Heritage List, in vista della conclusione dei lavori di restauro. Saranno inoltre esposte per la consultazione del pubblico le recenti pubblicazioni scientifiche e divulgative prodotte dagli Istituti dell'amministrazione dei beni culturali in Sicilia (soprintendenze, biblioteche, musei, parchi archeologici), con particolare attenzione agli strumenti divulgativi multimediali che verranno proiettati su un grande schermo al plasma.