Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

mercoledì 28 marzo 2012

Tommaso Cannizzaro - dalla Scena Illustrata del 1899

15.5.1899

La greca Sfinge, mulièbre testa
su leonine forme 
dal millenar sopore si ridesta
mentre la terra dorme.

Brillan sinistri gli occhi suoi spettrali 
e in lungo serpe snoda,
mentre il tempo distrutte ha le grand'ali, 
una superba coda

che in Jdra fosca scindesi e assottiglia;
e a questa nova sfinge 
di serpentelli rabida famiglia
la bella fronte cinge.

Giovine mostro, duplice mistero
ancor nel grembo chiude:
- la forza e la beltà-sparve il pensiero, 
l' ala sublime e rude.

L'antico da la groppa del leone 
venne fuor, dal superno
Pater, da la divina Jllusione 
nel tempo sempiterno.

Da le sue larghe spire ancor si evolve
di tutto l' Esistente 
l' onda e cade e risorge da la polve
quaggiù perennemente.

E tra gli artigli intanto l'uman cuore 
de la forza brutale,
Sanguina crudelmente nel dolore 
sotto il morso letale

delle ceraste in cui gli abbietti istinti 
ardon del senso vile
che avvelena ne l'anime dei vinti 
il palpito gentile.

L'ala non batte più! veggo sopito, 
anzi morto il pensiero,
l' atomo trionfar de l'infinito, 
la menzogna del Vero.

Sol di sè turpe e vergognosa mostra 
fa, qual pavon su l' erba,
con piuma ch.'ors'indora ed or s'innostra, 
la vanità superba.

Novello Edìpo il tuo trasfigurato 
sembiante oggi domanda
da l' uomo, o Sfinge dal gran dorso alato 
già su l'antica landa.

Ma l'età nol consente. Ancor l' enimma 
che tu proponi al mondo
nessuno sciolse e l'uom porta la stimma 
del mistero profondo.

Non mi tentar! non mordermi con l'angue 
che sul tuo fronte vive,
non io cosparsi del paterno sangue 
le mie natali rive !

Non io son quel temuto, ermo Veggente,
Edipo re non sono ; 
Ma saprà l'uom più vil, se Dio consente,
farti sbalzar dal trono !

Lascia al cuore i suoi palpiti e le grida, 
l' ala rimetti e altero
libra il vol negli spazi e l'uomo sfida 
dal monte Ficio.... ovvero

l'uomo saprà doman, l'occhio in te fisso, 
spezzar l' incanto e, ratto,
o mostro, ricadrai nel vecchio abisso 
in polvere disfatto.

*

1.12.1899
**

Al popolo

Odi, o gigante che con lingua muta
Resti, come si resta al cimitero,
Ergi la testa disdegnoso e fiero,
E su la fronte agli uni e agli altri sputa,
Squassa i gomiti e rompi i lacci e fiuta
Quest'aer nero;
Ascolta e udrai dal tuo penoso inferno
L'ora suprema al campanile eterno.

E a te dintorno quelle turbe losche
Dilegueranno allor rapidamente
Come dal capo di leon ruggente
Un importuno turbine di mosche,
S'ei sollevi la zampa tra le fosche
Ombre repente;
E grida alfin, dopo cotanto oblio:
— Venga il mio Regno, il Popolo son io !


AVVENIRE
.......................................................
Cinque mostri banditi 
per sempre questa terra
lasciar : 
di nozze eterne i riti, il boia, il tron, la guerra,
l'aitar.

Giù coscritti, giù preti, 
giù Cresi su i pezzenti
assisi; 
giù satiri e Narseti 
de l'anime,1) impotenti
derisi.

Ne l'odio, ne l'amore 
un sol per tutti e tutti
per un; 
presso a l'altrui dolore 
non resti ad occhi asciutti
nessun.

Largito il desco, il letto, 
il pane, l'acqua, il foco
il sale 
l'ora, il mantello, il tetto 
a tutti e in ogni ioco
eguale.

Mai più l'amor, la tenda, 
quanto è de l'uom bisogno
qua giù, 
niun comperi e niun venda, 
voce diceami in sogno,
mai più!

I teatri, i giardini, 
a tutti i passi aperti
restare, 
le vie senza confini, 
le montagne, i deserti,
il mare.
..........................................
1) giù satiri e Narseti de l'anime: scompariranno dalla faccia della terra i gaudenti corrotti e debosciati, i viziosi privi d'ogni energia vitale (l'eunuco Narsete, generale di Giustiniano, sostituì Belisario al comando dell'esercito bizantino nel corso della guerra condotta in Italia contro gli Ostrogoti).

***

TOMMASO CANNIZZARO
La voce poetica di Tommaso Cannizzaro congiunge la cultura mediterranea della Sicilia a quella europea. Poliglotta (conosceva tutte le lingue del continente, compresi il russo, il magiaro, lo svedese e il boemo), viaggiatore (fu amico ed ospite a Guernesey di Victor Hugo, di cui tradusse in italiano le Orientali), volontario con Garibaldi, sentì anche il richiamo della questione sociale che agitò nei suoi versi come più vasta questione umana. Lo fece non seguendo mode o intenti di propaganda ma come professione di una fede interiore, tanto che le sue poesie venivano da lui stampate in casa in non più di duecentocinquanta esemplari, destinati agli amici e ai rari estimatori. Fu un solitario obiettore di coscienza: In solitudine (1877) si intitolò la prima raccolta e Grido de le coscienze (1910) una delle ultime. (Poeti della rivolta - Rizzoli)

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Tommaso Cannizzaro e Mario Rapisardi, i poeti amici. (QUI)

domenica 25 marzo 2012

Federico De Roberto - Dura tu eterna, o Notte! - poesia

Dura tu eterna, o Notte!

Non alitar di vento, non voci: divino silenzio;
già l' Ombra nunziale tutte le cose cinge.

Le vegetali forme, immote nell'aria clemente,
posano anch'esse in braccio al sonno prestigioso.

Il salice argentino che sogna? Che sogna il nebbioso
ulivo, il rovo ardente, la folleggiante vite?

L'anima della pia Desdemona bianca tremante
erra d'intorno al salce, prega, sospira, geme.

Sere lunghe d'inverno, il Ceppo, le fiamme guizzanti,
gli urli dell'aquilone, i baci della neve

sogna l'ulivo; e il rovo un cuor lacerato che gronda
sangue, due rosse labbra, rosse di sangue umano.

Dazar felici amanti al rezzo di folti aranceti,
al carezzoso suono di flauti e di viole,

correr Fauni e Baccanti, disciolte le chiome, roventi
le fronti inghirlandate, vedono l'ebre viti.

E i monti secolari, e l'acque perenni, voraci
sepolcri di viventi, sognano anch'essi l'ere

chiuse senza ritorno, i tempi che l'uomo non visse,
l'albe del mondo, i primi lampi dell'esistenza.

E l'Anima turbata, oppressa, smarrita, perduta,
l'Anima vulnerata, l'Anima senza speme,

l'Anima senza pace or ecco s'acqueta, si placa:
la spasimata veglia tregua ha di sogni alfine.

Sogno! Visione! Ebbrezza! Finiti, dispersi i tormenti;
vinto è l'orrore, vinti i malefizii sono.

Giorni delle speranze ingenue, dei buoni pensieri,
giorni di pura fede, o tramontati giorni,

ecco: sorgete ancora; risorge il Passato, la santa
gioia dell'innocenza, ecco, fiorisce ancora.

Anima tenebrosa, la luce t'inonda; il sorriso
d'una miracolosa Anima sfolgorante

schiara la notte tua, ti trae dagli oscuri perigli,
nitidamente addita le vie della salute.

Tempo, t'arresta! Vita, trattieni il tuo corso fatale!
Sogno, non t'involare! Dura tu eterna, o Notte!

Non altitar di vento, non voci, non suoni, non moti:
alta, soave, sacra, mai più sperata Pace!

Ah! Già si sbianca il cielo; distrutto è l'incanto supremo:
fuggono le visioni, riede il dolor col sole.



martedì 20 marzo 2012

Arrigo Boito, l'ultima sigaretta - foto con dedica a G. Verga


(Padova24 febbraio 1842 – Milano10 giugno 1918) è stato un letteratolibrettista e compositore italiano. 



Libretti


lunedì 19 marzo 2012

Sotto gli aranci con Giovanni Alfredo Cesareo (versi)

Giovanni Alfredo Cesareo (Messina, 24 gennaio 1860 – Palermo, 7 maggio 1937) è stato un poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo e senatore italiano.




Siciliana
Io nacqui dove il ciel ride sereno 
Sovra l' isola bella, occhio de' mari ;
                        Dove si mescon candide 
Scintillando a' mattini umidi e chiari 
L'onde dell' Ionio e l'onde del Tirreno.


Quivi nel sol sfavillan le campagne 
Tra 'l meridian silenzio susurranti,
                            E polverosi dormono 
I fichi d'India su le rupi innanti 
A una verde catena di montagne.


Sovra i golfi che curvansi incantati 
Si specchian le marmoree ville in giro, 
                               E tra verzieri floridi 
Odon de' rivi queruli il sospiro 
Moreschi bagni dagli aranci ombrati.


O tu che sei più bianca della spuma, 
Vieni: la vela dell'amor ci attende:
                                     I liti azzurri fremono
 Odorando : dall' erta il gregge pende :
 E l' Etna immane all' orizzonte fuma.






All' Etna

O rauco gridi all' ampia notte, e i flammei 
Globi scagliando tra piovose brume, 
Vesti le candide 
Nevi d' un roseo 
Mutabil lume;

O cheto fumi, e per la balza ondeggiano 
Soli i castagni al tremulo gennaio, 
E dalla stèrile 
Vallata il bufolo 
Mugghia al rovaio;

O sfavillante ergi nell' alba il vertice 
Incoronato d' una striscia d' oro, 
E dalle floride 
Selve cinguettano 
Gli augelli in coro;

Te invoco, Etna gigante : i nembi passano, 
Come sfrenati mostri, a te dinante : 
Tu resti immobile 
All' aer fumido, 
Etna gigante.

Te invoco, Etna gigante : a questa Italia 
Bella, ove ride eterna primavera,
E al mar le acacie 
Fiorenti odorano 
Dalla costiera;

A questa Italia mia che varca il tempio 
Sorridendo, e davanti a una colonna,
Tra un salmo e un cantico 
In braccio a Iéova 
Scinge la gonna;

A questa Italia mia che, i cigli languidi 
Della man copre al raggio del pensiero, 
Infondi libero  
Del forte Empedocle 
Lo spirto austero.

Aci balzar vedevi alle risa ilari 
Di Galatea tra i salici fuggente,
Aci, d' un platano 
Ombroso al murmure 
Blando, dormente ;

E le Peri saltar brune sull' arabe 
Cavalle, entro i zancléi portici neri, 
E in arme ferrea 
Lucenti e immobili 
I cavalieri.

Or nulla è più ; ma tra le plebi invigila 
L' odio fatal con funebre richiamo, 
E intanto assidue 
Preci Eva mormora 
Sbirciando il ramo.

Sol dagli orti felici, ove zampillano, 
Susurrando, del ver le fresche linfe,
Ai biondi arcangioli 
Strette s'involano 
Le glauche ninfe.

Tra bronzee lampe, entro marmoreo feretro, 
Citera giace, nelle braccia avvinta 
Della Magdalide, 
D' un candor languido 
Di perla tinta;

E in agil barca, effuse al petto morbido, 
Come a giacinti floride, le anella, 
Su la chet'aura 
Idilli mormora 
Iside bella.

Salute, Etna gigante: i numi passano, 
Volan memorie e sogni a te dinante: 
Tu resti immobile 
All' aer fumido, 
Etna gigante.





PREFAZIONE di Mario Rapisardi

•Mi   par  di  sentirli: i  critici   pachidermi barriranno, presso a poco, cosi:
Ippopotamo. — Un altro libro di versi! Che c'insegna? Che ci prova? Altro che versi ci vogliono a questi lumi! Franklin, Stephenson, Morse, questi sono i poeti della nostra età. Lasciateci dunque in pace, lattonzoli e impuberi ver-saiuoli; noi non abbiamo tempo da perdere nelle   vostre   sciocchezze ,   noi   persone
gravi, noi.
mastodonte. — L'arte è una missione, il poeta un apostolo che le opinioni degli uomini, per mezzo degli affetti, dirige ; nient' altro la poesia che stromento di civiltà, inspiratrice di libertà, sacerdotessa di verità, fiaccola imperitura dell'umanità. Tirteo, Riga, Rouget de l'Isle, Berchet, altri poeti che questi non v' ha, de' quali unquanco la fama non perirà. Ma, per Dio, come si fa a sopportare una poesia che il clipeo, la spada e l'elmo di Scipio non ha?
Rinoceronte antidiluviano — M'andate parlando di patria! Ma Dio forse non c'è più? Una poesia atea! Quale orrore ! Io non so davvero perchè Dio non mandi il diluvio.
E i critici ortotteri di rimando: 
Forficola. — Chi sono questi mostri che osano mettere le zanne e la proboscide in cose d'arte? Il giudizio delle cose d' arte non appartiene di diritto a noi, che abbiamo, fra l' altre, la facoltà d'entrare nelle orecchie e di penetrare nel cervello degli, uomini, per la qual cosa i Francesi, che sanno tutto, ci diedero il nome di perce-oreille? Veri e soli critici siam noi, e non possiamo perdonare a questo nuovo arrivato l'audacia d'imbandirci tali versi che non appartengono nè a questa nè a quella specie; e non sappiamo in quale casella gli abbiamo a mettere. Sono lirici, melici, elegiaci? A che scuola appartiene l'autore? É verista, é idealista? Uhm! chi indovina è bravo.
Blatta. — E non vi pare una sfacciataggine, anzi un vero sacrilegio, il presentarci un libro senza titolo latino e senza minuscole a' capoversi ? Ci fossero almeno di quelle frasi, dirò così, a retrocarica, aggettivi in umido, sostantivi in guazzo, sentimenti color chiaro di luna, strofettine a gocciole, versettini a singhiozzi ! Ma che ! neppur per sogno ! Al diavolo dunque l' arrogantello : chi nor è con noi è contro di noi ; ed io che son blatta cristiana, gli vo' per dispetto deporre le uova in un' orecchia, e dargli tanto fastidio, che, se non impazza, bisogna pur dire che lo pseudonimo di Hierro gli sta proprio a capello.
Locusta onnivora. — Prima di tutto, mio caro, la poesia lirica è lì lì per dare gli ultimi tratti ; poi se c'è uno che può salvarla, quel tale, modestia a parte, son io. E per salvarla, mio caro, altro mezzo non c'è che inocularle in un certo posto una dozzina di versi barbari al giorno, per comporre i quali, secondo l'e-stetica nuova, bisogna avere il sovrumano coraggio o, a dir propriamente, lo stomaco d'ingozzare le cispe d' Orazio, le càccole d'Alceo, le  secrezioni  biliose dell'Heine, le flatulenze dell'Hugo e il récere del Baudelaire. Tu arricci il naso, impertinente ? Va: tu mi fai compassione : codesti tuoi versiciattoli altro non sono che scombiccherature retoriche, esercitazioni arcadiche, defecazioni frugoniane. Puah ! 
Grillo talpa. — Tutto io perdonerei a questo giovanotto, se avesse celebrato sovra tutto i polpacci delle amanti, le scollacciature provocanti, i seni riluttanti., i femori fluttuanti e le voluttà spumeggianti delle donnette. Razza impotente e barbogia noi siamo, e la poesia, se qualche cosa vuol fare, bisogna che si adatti a far da coca, da fosforo e da stricnina.
*
Persisti ancora, mio caro Hierro, nel voler dare alle stampe questo tuo libro? A dirti la verità, io che son timorato, come sai, e rispetto e venero i critici, qualunque sia l' ordine e la famiglia cui appartengano, io ti consiglierei di rimetterti il volume in tasca, e seguitare a vivere in pace. Tu hai le tue buone ragioni, lo so; ma tu le conteresti a' birri, credi a me.
La bellezza delle tue liriche sta spesso nella profondità del concetto: esempio l'Ahasverus e l'Epopea umana, in un sentimento soave della Natura, esempio Per amica silentia lunae, Notte d'estate, In Maggio, Canto d' augelli e tante altre. L'ironia, che flagellando sorride, non ti fa difetto, esempio i Giambi. Hai delle trovate melodiche invidiabili, certe sfumature di sentimento, certe voluttà vereconde che inondano l' anima di soavi misteri. La tua frase è, per lo più, corretta ; la parola propria ; sempre adeguato all' argomento lo stile.
La Sicilia, specie Messina, tua patria, si riflette nell'anima tua giovanile, e l'anima tua si riflette ne' tuoi canti, come viso di fanciulla innamorata nelle acque tranquille di un lago. C'è freschezza di rive incantate, canto di sirene, sorriso di Morgane, aure sane di monti, fragranze di zàgare e d' alghe. L'Etna fa sentire di quando in quando i suoi profondi boati ; l'ombra d'Empedocle s'affaccia tra le fiamme ed il fumo del cratere; quella di Teocrito s'aggira tranquillamente per le valli fiorite. E Venere, l'eterna dea, scorre sulle onde vivaci dell'Ionio, e diffonde un lume sereno, una calma, una pace che tu ritrai grecamente nelle, ultime strofe alla Venere di Milo.
Io non disprezzo né disanimo i giovani dall' arte ; io li amo anzi e li ammiro, quando in secolo bottegaio e pettegolo come il nostro, invece di sciupare il tempo, l'ingegno e il carattere nello stillicidio pernicioso del giornalume , intendono seriamente e religiosamente al culto disinteressato della bellezza. A te poi voglio bene sopra molti, perchè all' ingegno insolito accoppj gravità di studj ed elevatezza d' animo non ordinaria ; sì che ti si possa dire senza scrupoli: Andrai, se te non vince o lode o sdegno, Lungi dell'arte a spaziar fra' campi. Ma, benchè non tema che l' affetto mi faccia velo al giudizio, pure non ti saprei coscienziosamente consigliare la stampa di questi versi, avuto il debito riguardo ai gusti sopraffini ed a' giudizj inappellabili de' sullodati messeri.

**

F. P. FrontiniCanto di carrettiereG. A. Cesareo dal Don Juan
1885
Ricordimilano

F. P. FrontiniNedda - cantilenaG. A. Cesareo dal Don Juan
1887
Venturinifirenze

F. P. FrontiniSogno MaleseG. A. Cesareo
1884
Ricordimilano

F. P. FrontiniOttobreG. A. Cesareo - cantilena popolareA. Pignamilano

lunedì 12 marzo 2012

Vieni Nerina! di Lorenzo Stecchetti, versi in musica. 1877


Melodia di Francesco Paolo Frontini, versi di Lorenzo Stecchetti, ed. Benenati 1877 Catania


Vieni, Nerina! Siediti
 Lieta sui miei ginocchi
 E ti scintilli cupida
 La voluttà negli occhi;

 Vieni , ed il collo cingimi
 Con le soavi braccia,
 Io nel tuo sen che palpita
 Nasconderò la faccia.

 Squarci la terra i fumidi
 Visceri suoi profondi,
 Crollino i cieli e riedano
 Infranti al nulla i mondi,

 A me non cal ! Se il roseo
 Labbro sul labbro mio
 Serri, Nerina, impavido
 Sfido la morte e Dio.





  • Fior di siepe, versi di Olindo Guerrini, musica di Francesco Paolo Frontini, ed. Lucca, 1878





  • Vieni Nerina!, versi di Olindo Guerrini, musica di Francesco Paolo Frontini, ed. Benenati, 1877





  • S'io fossi, versi di Olindo Guerrini, musica di Francesco Paolo Frontini, ed. Lucca, 1883





  • *****


    Scena illustrata, L. Stecchetti . 1.2.1899
    Postscriptum -

    Zerlina mia, la neve 
    Turbina in alto e cade 
    Fitta, noiosa, greve, 
    Sui tetti e sulle strade.

    Invan la notte pesa 
    Sulla città che tace; 
    La coltre bianca è stesa, 
    Ma nulla dorme in pace.

    Rugge di fuori il vento 
    E l' urlo furibondo 
    Si spegne in un lamento 
    Di bimbo moribondo,

    E uscir dall' ombre senti, 
    Dall' ombre paurose, 
    Il pianto dei viventi 
    E il pianto delle cose.


    Ma dall' orror, dai lutti, 
    Dolce un pensier m' invola 
    E fra il dolor di tutti 
    Sono felice io sola!


    Ah, degli umani affanni, 
    Zerlina, a me che importa? 
    Io sento Don Giovanni 
    Che batte alla mia porta!



    Scena illustrata, L. Stecchetti . 15.2.1899  
    Post Prandium -

    Le laudi del convito 
    Canta l'adulatore 
    Ed urla il parassito 
    Gli evviva al suo signore.


    Le donne han lo scaltrito
    Sguardo che finge amore 
    E sovra il sen fiorito 
    Il vezzo tentatore,


    Ma intanto la cervice
    Piega il signor, trafitto 
    Nell'anima infelice


    E l'occhio torvo e fitto 
    Sovra la mensa, dice 
    Che il cor cela un delitto.