Per incanto d'amor, giovine torno". M.R.
Lettere di Amelia 7 — Ad A. De Gubernatis.
Chi lo conosce intimamente il Rapisardi, non può che ridere della fosca leggenda che gli ha tessuto intorno l'ignoranza e la malignità di alcuni gazzettieri.
È superbo come Lucifero, dicono; fa l'aquila; fa il Nume;« si ride di tutto e di tutti; non vuol vedere nessuno; scaccia anche quei pochi che si avventurano a visitarlo. Niente di più falso di tutto questo. Coloro che hanno il coraggio di avvicinarlo si accorgono subito che la leggenda è maligna; l' orso che si aspettavano di trovare è il più affabile e il più modesto degli uomini : " pare una dama „ suol dire il suo editore Giannotta a quei forestieri che hanno paura di essere accolti male. Con le signore poi, specialmente con le giovani, è di una gentilezza... eccessiva. Se gliene faccio carico, mi si scusa coi noti versi del Parini :
A me disse il mio genio....
Il popolo che lo venera e lo chiama : U patri ranni (il padre grande), e, negli avvenimenti solenni viene ad acclamarlo, deve contentarsi di vederlo soltanto. Egli non è buono a fargli dei discorsi ; un saluto, una parola affettuosa di conforto e di consiglio, e basta.
Nei due giorni delle sue onoranze, o delle sue esequie, com'egli le chiama, pareva un condannato. Anche il leggere all' Università, dopo trent'anni d'insegnamento, lo agita come la prima volta. Quando trova la sala molto affollata, egli è tentato di svignarsela.
Non si è mai aggregato a nessuna scuola, a nessuna accademia, a nessun partito ; vuol vedere coi propri occhi, egli dice, pensare con la sua testa. Forse per questo ha nemici ed amici in tutti i partiti. Mentre, un R. Proc. di Milano sequestravagli un' ode per delitto di lesa maestà, e un giornale socialista l' offendeva stupidamente a Roma, un senatore illustre s'adoprava in sua difesa e Cesare Lombroso lo proclamava un genio autentico, il Lucrezio e il Giovenale di Italia.
Egli ha un'adorazione selvaggia per la libertà- Per questo vive fuori di città, in una casa aperta a tutti i venti, dalla cui terrazza può vagheggiare l'Etna e il mare, i suoi due grandi amici. Il suo sguardo, come l'anima sua, ha bisogno di spaziare nell'infinito. I liberi orizzonti, mi diceva l'altra sera, alimentano in me l'amore alla libertà e la religione dell'Infinito. E ai giovaci dell'Università romana, che gli chiedevano una conferenza, diceva : « Sono uccello di bosco : per cantare ho bisogno di solitudine e di libertà „.
La sua vita è semplicissima. Esce di casa raramente : ora che i malanni lo assediano, passa dei mesi senza mettere il piede fuori dell'uscio. Si leva di tutte le stagioni alle quattro. È di una frugalità e d' una sobrietà straordinarie. Lavora ad intervalli; ma quando ci si mette, non fa altro; mangia meno del solito, dorme quasi punto. Eppure egli non si sente mai così bene come in questo periodo di lavoro febbrile ; dimentica e disprezza gli acciacchi ; è perfino ilare e giovanile, egli, ordinariamente malinconico ed austero.
Nel concepire ed abbozzare è d'una rapidità meravigliosa ; ma nel limare e finire i suoi lavori, d' una lentezza e d'una incontentabilità disperata. Per correggere, ricopia ; ricopian do, suol dire, le correzioni non vengono a freddo, si fondono col testo, paiono di primo getto. Copia, ricopia, torna a copiare, in calligrafìa chiara, fino a cinque e sei volte, non solo i componimenti brevi, ma anche i più lunghi : del Lucifero, del Giobbe, dell' Atlantide fece una mezza dozzina di copie.
Ai periodi di febbrile attività succedono periodi d' ozio forzato e quasi di letargo. Allora sta malissimo. Tutti i suoi malanni, la muta dei cani infernali, lo assalgono e lo tormentano in tutti i modi. Passa le giornate ciondolando per casa o dondolandosi in una poltrona. Non legge, non scrive neppure una lettera ; vorrebbe non pensare ; ma pensa, purtroppo, e fantastica e sì tormenta. Bovio lo chiama autofago, ed egli è davvero un mangiatore di sé stesso.
Ai periodi di febbrile attività succedono periodi d' ozio forzato e quasi di letargo. Allora sta malissimo. Tutti i suoi malanni, la muta dei cani infernali, lo assalgono e lo tormentano in tutti i modi. Passa le giornate ciondolando per casa o dondolandosi in una poltrona. Non legge, non scrive neppure una lettera ; vorrebbe non pensare ; ma pensa, purtroppo, e fantastica e sì tormenta. Bovio lo chiama autofago, ed egli è davvero un mangiatore di sé stesso.
Dei poeti non rilegge con entusiasmo che Omero e i tragici greci. Ama ed ammira Lucrezio, che, secondo lui, è il solo poeta grande che ebbero i latini. Studia Virgilio e Orazio quali maestri di stile. Ammira Dante, ma non lo idolatra, come fanno certi dantisti o dentisti, come egli li chiama. Legge spesso l' Ariosto, ma predilige il Tasso.
Degli stranieri ama Shakspeare, ama Schiller; ha un culto speciale per lo Shelley e per Victor Hugo. Molto si compiace di libri scientifici : Darwin, Moleschott, Lubbock, Spencer, Ardigò ed Haeckel sono i suoi santi Padri.
La sua biblioteca è poco numerosa di volumi ; ma ricca dei capolavori di tutte le letterature, e di antiche e pregiate edizioni. Ha tutti i classici latini cum notis variorum; molte aldine, fra cui tutte le opere di Cicerone ; un Sallustio e un Lucrezio del 1515, e, di questo stesso anno il dantino, curato dal Bembo. Ha inoltre un bellissimo Orazio del 1483 ; l' edizione principe del Petrarca ; la Gerusalemme liberata del 1583, oltre a quella con le figure di B. Castelli; un buon Orlando Furioso del Valgrisi. Molti di questi suoi libri sono stati da lui stesso rilegati, un po' stranamente se vogliamo, specie nei colori del taglio e dei tasselli del dorso, ma cuciti stupendamente e d' una solidità eccezionale.
A coloro che lo hanno beneficato e difeso serba gratitudine e culto quasi religioso. Tiene sulla scrivania i ritratti di Victor Hugo, che lo battezzò poeta precursore ; di Garibaldi la cui lettera, dopo letto il Lucifero, egli chiama la sua medaglia al valore; di Francesco De Sanctis che lo nominò professore ordinario ; del Trezza che lo difese a viso aperto, attirandosi le ire dei criccaiuoli. Degli amici e di sé stesso mette volentieri in canzonatura le debolezze e disegna le caricature con troppa vivacità spesso, onde alcuni pauperes spiritu, se n' hanno a male.
Da coloro che lo corteggiano per secondi fini si guarda quanto può e se li tiene lontani; qualche volta però è cascato nella rete, e più d'uno ch' egli amava come fratello e figlio, ottenuto l'intento, gli ha voltato le spalle, non solo, ma s' è ascritto apertamente tra le file dei suoi nemici. Di queste defezioni e perfìdie si rammarica, ripetendo i versi del Rosa :
Più d' un Pietro mi nega e m' abbandona
E più d' un Giuda ognor mi veggio a lato.
Molto ama e molto odia ancora, non ostante i suoi 64 anni; ma gli amori e gli odi suoi sono oramai rivolti più alle idee che agli uomini. Degli uomini non odia se non coloro che crede nemici di quelle sublimi idealità a cui egli ha consacrato, con somma abnegazione, la vita.
Da un pezzo il Rapisardi non iscrive più versi; ha però scritte molte epigrafi monumentali pubbliche e private, e ne ha raccolto un centinaio.
Il ritratto che Le mando è opera pregevole del Di Bartolo e mi pare che corrisponda ai suoi desideri.
Aggiungo altre cosette che mi tornano a mente.
Ai giovani liberisti che gli fanno carico della forma classica dei suoi poemi, risponde che la poesia viva, quella cioè che dà vita a tutto ciò che tocca è di tutti i tempi e di tutti i paesi, e che per questa qualità divina il poeta più moderno di tutti i tempi è sempre Omero.
Accusano generalmente il Rapisardi di tenersi troppo in disparte. Il De Sanctis lo classificò fra gl' ingegni solitari, come il Leopardi. I pappagalli, anche i più benigni, ripetono che egli è fuor della vita. Il poeta se ne scagiona dicendo che, per amare gli uomini, è necessario tenersene lontano, e per osservare bene le battaglie sociali non bisogna buttarcisi dentro.
Egli però crede, a ragione, che la solitudine e lo starsene in disparte come il Saladino è necessario al pensatore e all' artista. " Voi siete troppo idealista „ gli disse un giorno la signora Iessie Withe Mario, che venne a visitarlo; " Voi vivete fra. le nuvole „ ... "Come i fulmini „ soggiunse prontamente il poeta.
Se altro Le occorre, mi faccia l'onore di rivolgersi a me...
*Epistolario di Mario Rapisardi a cura di Alfio Tomaselli 1922