Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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venerdì 30 ottobre 2015

"Memoria" di Federico De Roberto


 Federico senior

Federico De Roberto (Napoli16 gennaio 1861 – Catania26 luglio 1927) . Nacque a Napoli nel 1861, da Federico senior, ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e dalla nobildonna di origini catanesi, ma nata a Trapani, Marianna Asmundo.
Trasferitosi con la famiglia a Catania nel 1870 dopo che il giovanissimo Federico subì la dolorosa perdita del padre, travolto da un treno sui binari della stazione di Piacenza. 


Memoria

Federico De Roberto Maggiore di 1° Classe nel corpo dello Stato Maggiore
Dopo aver retto per sei anni Comandi Militari di Circondario, anché a posto di
Luogotenente Colonnello, per la soppressione di detti Comandi, fu piazzato in aspettativa per
riduzione di corpo, posizione in cui da circa due anni si trova.
Avezzo all'operosità Militare fin dalla puerizia, mal reggeva l'ozio
di detto stato, e privatamente impegnò la superiore benignità, già sperimentata, dall'ottimo
Sign. Generale Gibbonè, da cui legasi dagli Ufficiali dell'arma suddetta, quasi unicamente dipendono, per essere riabilitato in un Comando; ma non lo potè conseguire per non essere fra i primi a richiamarli.
In proseguo vocò il Comando di Catania che, trovandosi sul luogo (…) un viaggio, facendo capo della singolare benignità del prelodato sign.Generale, gli scrisse nuovamente in via privata, se mai avesse potuto conseguirlo; chè, quandunque posto di Luogotenente Colonello talvolta tali posti sono stati surrogati da maggiori anziani.
Ma vi ebbe in garbatissimo riscontro che oltre al trattarvi (…) Luogotenente Colonnello non ancora era prossimo il turno di richiamo del chiedente, che pertanto non poteva essere proposto al comando di una Provincia.

Ora essendosi approssimato detto turno per essere De Roberto il terzo, (…), egli, fruendo di bel nuovo del bel cuore del suo Generale, gli à scritto particolarmente che, se i precedenti a le note caratteristiche non vi si opponessero, avendo retto sei anni Comandi Militari, senza essere stato giammai fra gli Ufficiali Superiori applicati, nella difficoltà di conseguire il Comando di Catania, sperava essere proposto ad altro Comando qualsiasi.

L'esponente è in attesa del risultato di quest'ultima sua richiesta; e, poiché già due Comandanti destinati a Catania ànno ottenuto il loro riposo; ed il terzo già da tempo non raggiunge il suo posto essendo probabile che ottenga al destino, il De Roberto bramerebbe che, senza stancare la bontà superiore, fosse rammentato se mai finalmente, in caso di terza mancanza, potesse conseguire il desiderato Comando di Catania; ed, ove ciò riesca di assoluta impossibilità, gli si conceda quello attualmente vuoto nel grado di Maggiore in Massa e Carrara, ad altro primo a vacare.


E dove pregò

domenica 30 novembre 2014

G. Verga, F. De Roberto e Ricordi - Bozze del contratto per il libretto della Lupa - 1891


Scritto da Simone Ricci

Il "ferro" del Verismo andava battuto finché era caldo: si può forse riassumere con questo modo di dire riadattato la vicenda che ha visto come protagonisti Giacomo PucciniGiulio Ricordi e Giovanni Verga. Una vicenda che si colloca storicamente nel periodo in cui le opere liriche cercavano di seguire l'esempio lanciato nel 1890 da "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni, il cui successo internazionale aveva intensificato la ricerca di soggetti simili. Questo sforzo cominciò prima ancora che "Manon Lescaut", il primo vero trionfo di Puccini, fosse rappresentata per la prima volta al Regio di Torino (1° febbraio 1893). Bisogna infatti tornare indietro al 1891.
Lo stesso Ricordi aveva deciso di siglare un contratto con Giovanni Verga: lo scrittore siciliano aveva il compito di fornire un nuovo libretto, prendendo spunto da una novella tratta da "Vita dei campi", un impegno da portare a termine insieme a Federico De Roberto, altro rappresentate del filone verista. Si trattava de "La lupa", la storia di una donna siciliana piuttosto "vorace" dal punto di vista sessuale (la pubblicazione della novella in questione risaliva al 1880). Comincia in questo maniera la storia di un'opera che non vedrà mai la luce, a causa di una serie di eventi concomitanti, primo fra tutti il maggior interesse nutrito da Puccini nei confronti di quella che poi sarebbe diventata "La bohème".

In seguito alla stesura del contratto, il lavoro era proseguito senza grandi squilli di tromba. Verga era ben immerso nella stesura del libretto, tanto che la sua novella si trasformò rapidamente in un dramma. Nel 1893, il compositore lucchese approvò il primo abbozzo, chiedendo comunque qualche lieve modifica: ad esempio, la parte della figlia della "lupa", Maricchia, aveva bisogno di maggiore tenerezza. Verga andò ben oltre le richieste di Ricordi e nel 1894 l'abbozzo stava prendendo sempre più forma, al punto che Puccini dimostrò un entusiasmo crescente.  "La lupa" aveva buone possibilità di vedere la luce di lì a poco, come testimoniato da una lettera di Verga a De Roberto:

Perché continui a essere felice, ora che sembra così ansioso di cominciare, potresti mandarmi una scena dopo l'altra appena le hai terminate.
Ma cosa pensava esattamente Puccini di questo progetto? A parte qualche scarno riferimento nelle sue lettere (Io per ora lupeggio), il suo obiettivo era quello di mettere in musica un'opera breve, di dimensioni non superiori ai "Pagliacci" o "Le Villi", un atto unico che necessitava di numerosi tagli. Ricordi pensò bene di far visitare Catania al suo pupillo, in modo da assorbire l'atmosfera locale e immedesimarsi meglio. Le distrazioni della Bohème, però, erano troppo forti per fargli pensare a un allestimento del genere. 
La tappa siciliana confuse ancora di più le idee. Una volta tornato a Torre del Lago, Puccini confessò a Ricordi di avere parecchi dubbi sulla Lupa: non voleva accantonare nessun progetto, ma il soggetto di Verga non faceva evidentemente per lui, come spiegato nel viaggio di ritorno alla contessa Blandine Gravina. Il musicista toscano la ascoltò disapprovare lo scioglimento del dramma, vale a dire l'uccisione della protagonista nel corso di una processione. Verga iniziò a sospettare che Puccini lo prendesse in giro, ma attese ben diciassette anni che la sua novella fosse messa in musica, prima di puntare su altri autori. 
Temo che sarà minestra riscaldata. Io e Ricordi parleremo insieme al Puccini, che vuole e non vuole, e lo metteremo al caso di dir netto sì o no.
L'amarezza dello scrittore è più che palpabile (la lettera risale all'estate del 1893), un sentimento che sfocerà in breve tempo in rassegnazione. Bisogna però sottolineare come il tempo perso con "La lupa" non fu inutile e sprecato in senso assoluto. In effetti, Puccini si ispirò a questi abbozzi per comporre il tema di Rodolfo nella Bohème, mentre altre idee e spunti furono sfruttati in seguito per la "Tosca". 
Soltanto nel 1948 (Verga e Puccini erano morti da oltre due decenni), la novella verghiana diventò un'opera, grazie a Santo Santonocito, il quale si avvalse del libretto di Vincenzo De Simone. Chissà come sarebbe stata la Lupa pucciniana: nessuno può dirlo, la vicenda verrà ricordata per i ripensamenti, i sospetti e le indecisioni dei protagonisti, il compositore scartò molti soggetti nel corso della sua vita, ma in questa occasione fu molto vicino a portare a termine il lavoro, prima di metterlo da parte in maniera definitiva.
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Bozze contratto, collezione privata di F. De Roberto (inedito)









lunedì 24 febbraio 2014

Manoscritto di Luigi Capuana, da Saghe & Seghe col senno e con la mano. 1887

All'antica e gloriosa tradizione del genere comico-realistico è ascrivibile il gaio libello, ideato come gioco privato, di Luigi Capuana, Federico De Roberto e Francesco Ferlito, Saghe & Seghe col senno e con la mano, edito su carta pregiata, in soli quattro esemplari, «autograficamente numerati & firmati», uno per ciascun autore ed uno per il munifico editore-stampatore Michele Galatola, di cui residua soltanto il secondo che ora si pubblica. Un cimelio bibliografico che può a ben ragione definirsi «unico». Scaturito dalla mai sopita propensione alle burle di Capuana cui inaspettatamente si associava la complicità derisoria e ironica di De Roberto e del serioso avvocato Ferlito, il «sublime volume» è da leggere come evasione intellettuale dei tre sodali (cui certo non mancava lo spirito salace dei siciliani dell'area orientale), gioiosi d'impegnarsi in una sapiente birichinata alla Rabelais, destinata a suscitare ilarità segrete e compiaciute. (Sarah Zappulla Muscarà)


Saghe & Seghe
L. Capuana, F. De Roberto, Francesco Ferlito

 manoscritti inediti - per ingrandire cliccare

AI   TRE,   IL   QUARTO.

Dunque che fate?
Ve lo menate ?
Nulla stampate,
Nulla mandate !
O ve ne state
Come d'estate
Le sciagurate,
Moltiplicate,
Cicale aurate
Sotto le ombrate
Rame sacrate
D' ulivo ?
Andate !
Non meritate
Che riceviate
Epistolate ! Però sappiate
Che mie giornate
Non son passate
Senza volate
Ver le lasciate
Cataniate
Spiagge bruciate.
Ahi! Sospirate
Con iterate
Brame, ho cercate,
0 mareggiate
Spiaggie, le andate
E le tornate,
Con scarrozzate,
Per le sfilate
Dalle innovate
Vie riboscate
E allineate.

Ho invan cercate Le riposate All' ombreggiate E statuate E pitturate Sedie villate, Quando udivate, Ombre fidate, Le addottrinate Nostre parlate, Spesso sporcate Da ricordate Belle chiavate! Oh Ferlitate, De Robertate, Galatolate, Capuanate ! Volteggiavate Come iridate Farfalle nate Nelle irrorate Siepi frondate!
E voi,  cantate Delle ammirate Figlie ignorate Nidificate Nelle siepate, Rispondavate Alle scapate Nostre risate Con gorgheggiate Ben musicate Perrotteggiate !
Deh, mi lasciate!

Deh, non seccate Le prolassate Mie cordonate, O desiate Belle giornate ! E voi, rimate Epistolate, Laggiù volate; Le addormentate, Triumvirate Genti svegliate; Gridate, urlate, Coi piè pestate, Bestemmiate, Finché stampate Voi non vediate Quelle cazzate Intitolate Saghe segate Tanto aspettate ! Ed annunziate Che d'illustrate Raffaellate Saranno ornate, Qui preparate Con impensate Arti : e annunziate Che, terminate, Le rime in ate Con birbonate, Le addormentate Triumvirate Genti lasciate Insalutate.

***


L'ARTE
Sonetto Liminare
All' Illustrissimo neo-novelliere sciccoso Signor de Roberto (Federico).

O Federico, l'ideal che ride 
Al monocolo tuo serenamente, 
Tanto spazio di ciel da te divide 
Quanto non puote misurar la mente.

Eppur ansio l'affissi, e non s'elide
La tua speranza nel fallir sovente ;
E il raggio che in quel vetro si divide    
Ti si rifrange in cor potentemente.

Beato te che l'Arte ancor lusinga
Coi maliardi suoi fantasmi! Al mio    
Stanco cervello tanto ben si niega.

Ben verrà dì ch' anche per te si tinga 
Di nero quel fulgor, luce di Dio....        
L'Arte dunque che è mai?.. L'arte?.. Una sega!


Scritto il 1° Giugno 1887 nell' Albergo Musumeci in Catania, dopo aver pagata la nota salata dell'albergo {circostanza attenuante) Luigi   Capuana
N. B.—L'autografo inestimabile fu consegnato allo sciccoso novelliere dallo stesso archeologico Autore, come testimonianza di affetto, di rispetto, etc, etc, etc.


Altro:

La Morte di Giovanni Verga - di Federico De Roberto












mercoledì 6 febbraio 2013

Federico De Roberto da ragazzo. (doc.1876/1878 inedito)

Ben pochi sanno e ben pochi hanno avuto l'opportunità di vedere, ciò che di seguito pubblicherò.
Per fortuna o per "magnetismo" ho avuto il privilegio di poter visionare gli "ultimi" documenti di collezione privata, riguardanti De Roberto. . Lascio ai più titolati, l'eventuale giudizio di questi scritti giovanili. 1876-1878.


per ingrandire, cliccare sulla immagine.




segue, tra i tanti visionati, lo scritto "l'abitabilità della luna" di De Roberto.
Inserito solo per il titolo, simpatico e bizzarro.









collezione privata.

Altro:

La Morte di Giovanni Verga - di Federico De Roberto









lunedì 19 novembre 2012

Carteggio F. P. Frontini - Mario Rapisardi


Carteggio Frontini - Mario Rapisardi





6 ottobre 91

Egregio Sig Professore,

Se domenica le fa comodo verrò per farle sentire i il 1° atto della mia Malìa; mi faccia sapere in che ora è disponibile tanto per non tornarle di disturbo.

Ringraziandola distintamente,

Devoto
F Paolo Frontini


il resto del carteggio QUI

*****


Il Pungolo della Domenica
(Milano - gennaio 1884)

Seduto al piano, in disparte, F. Paolo Frontini magro, nervoso, appassionato, ci faceva sentire il suo Paggio e Regina, che il Ricordi aveva pochi giorni addietro stampato, e provava sull'uditorio gli effetti di una ballata indiana che aveva da poco finito di comporre. 

Attraverso i turbinosi passaggi di una melodia nuova e calda e colorita con bizzarra eleganza, una spiaggia malese si svolgeva con la vaporosa trasparenza d'un sogno; e mentre la cadenza, disugualmente affrettata, rendeva assai bene il rullio d'un legno per l'aria tiepida  e sonnolenta e tutta carca d'aromi vertiginosi, degli strilli gutturali come di scimmie, rapivano l'anima a gruppi di banani e di tamarindi, dove gli uccelli dai colori vivi del rubino, del zaffiro e dello smeraldo s'inseguono tra l'ozio ardente del meriggio, e il palpitar d'un canto lungo e lontano faceva pensare a un tempio, a ricami di marmo, dove delle fanciulle ignude a mezzo il corpo e dalla pelle bronzina, invocavano un idolo immoto di metallo.

A un tratto, mentre la signora  Giselda sfogliava le bozze di stampa della sua Maria, che, l'Ottino pubblicava in Milano, il poeta usciva dalla sua biblioteca, dopo aver inseguito con l'estro qualche giovine ebrea dalla bocca di melograno o qualche fila di cammelli incedenti per l'immenso deserto sotto il plenilunio tranquillo: e si mescolava con gli altri a conversare, a celiare, a discutere. 

E con quella giovialità di caricatura onde nacquero i meravigliosi figuri dell'XI canto del Lucifero, o si compiaceva d'imitare i gesti, la voce e l'accento de' venditori fiorentini, o improvvisava qualche feroce epigramma sur un poeta o un novellatore di moda, o leggeva con comica gravità degli squarci di libri che aveva ricevuto in dono, facendone risaltare i luoghi più spropositati.  
Talvolta il Frontini, che allora raccoglieva le melodie popolari della Sicilia, gliene domandava una; e allora Mario, con la sua bella voce intonata, canticchiava una di quelle molle e malinconiche canzoni de' nostri villaggi,che ridestavano intorno la pace dei campi dormenti nel solleone: la cicala, gradita a poeti antichi, stride sugli alberi in fiore: il grano s'incurva biondo sotto l'alito infuocato dello scirocco; gli uccelli tacciono tra la solenne immobilità della selva.
Appunto in quelle belle serate , in cui signore eleganti e artisti e poeti disputavano d'arte e di letteratura e d'amore, si fermarono i criteri di poesia, per i quali i Siciliani hanno un carattere proprio e originale e potente. 
Fu allora dibattuto e affermato l'avvenire del poema scientifico e della lirica, la quale, mettendo da parte il vuoto lusso delle descrizioni e le morbose efflorescenze dell'alessandrinismo afrodisiaco, cantasse l'uomo forte, l'uomo prudente e l'uomo dominatore. 
Nacque allora una parola, ch'è ancora un segno di convenzione tra poeti Siciliani, ma che avrà certo la sua storia; e sarà oppugnata, discussa; e potrà, secondo i casi, trionfare o soccombere, ma gloriosamente ad ogni modo, perché rappresenta un'idea nobile, è il filo che lega molte giovani e ardite intelligenze, e sta scritta, come segno di vittoria, sulla bandiera della cavalleria dell'avvenire: edonismo.



domenica 25 marzo 2012

Federico De Roberto - Dura tu eterna, o Notte! - poesia

Dura tu eterna, o Notte!

Non alitar di vento, non voci: divino silenzio;
già l' Ombra nunziale tutte le cose cinge.

Le vegetali forme, immote nell'aria clemente,
posano anch'esse in braccio al sonno prestigioso.

Il salice argentino che sogna? Che sogna il nebbioso
ulivo, il rovo ardente, la folleggiante vite?

L'anima della pia Desdemona bianca tremante
erra d'intorno al salce, prega, sospira, geme.

Sere lunghe d'inverno, il Ceppo, le fiamme guizzanti,
gli urli dell'aquilone, i baci della neve

sogna l'ulivo; e il rovo un cuor lacerato che gronda
sangue, due rosse labbra, rosse di sangue umano.

Dazar felici amanti al rezzo di folti aranceti,
al carezzoso suono di flauti e di viole,

correr Fauni e Baccanti, disciolte le chiome, roventi
le fronti inghirlandate, vedono l'ebre viti.

E i monti secolari, e l'acque perenni, voraci
sepolcri di viventi, sognano anch'essi l'ere

chiuse senza ritorno, i tempi che l'uomo non visse,
l'albe del mondo, i primi lampi dell'esistenza.

E l'Anima turbata, oppressa, smarrita, perduta,
l'Anima vulnerata, l'Anima senza speme,

l'Anima senza pace or ecco s'acqueta, si placa:
la spasimata veglia tregua ha di sogni alfine.

Sogno! Visione! Ebbrezza! Finiti, dispersi i tormenti;
vinto è l'orrore, vinti i malefizii sono.

Giorni delle speranze ingenue, dei buoni pensieri,
giorni di pura fede, o tramontati giorni,

ecco: sorgete ancora; risorge il Passato, la santa
gioia dell'innocenza, ecco, fiorisce ancora.

Anima tenebrosa, la luce t'inonda; il sorriso
d'una miracolosa Anima sfolgorante

schiara la notte tua, ti trae dagli oscuri perigli,
nitidamente addita le vie della salute.

Tempo, t'arresta! Vita, trattieni il tuo corso fatale!
Sogno, non t'involare! Dura tu eterna, o Notte!

Non altitar di vento, non voci, non suoni, non moti:
alta, soave, sacra, mai più sperata Pace!

Ah! Già si sbianca il cielo; distrutto è l'incanto supremo:
fuggono le visioni, riede il dolor col sole.