Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
Visualizzazione post con etichetta poesie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta poesie. Mostra tutti i post

lunedì 18 agosto 2014

La Rivista Popolare ed. 1905 - a Giuseppe Mazzini


"Il culto d’un popolo verso i grandi suoi morti è senza dubbio indizio della sua civiltà; ma, quando si pensi che molti di quei magnanimi a cui s’innalzano monumenti furono perseguitati e calunniati e odiati in tutte le maniere mentre durarono in vita, vien quasi voglia di conchiudere che molte che paiono manifestazioni di animi generosi non sono altro che misere ipocrisie, e gran parte di ciò che diciamo civiltà non è che industria d’inganni, onde un popolo si studia apparire quel che non è, non solo al giudizio degli altri ma di sè stesso.
Sarebbe perciò desiderabile, a decoro di una gente e ad onor vero dei grandi trapassati, che non ci si affaccendasse troppo a commemorare, a statuare, a monumentare coloro che furono grandi, e si guardasse invece di conformare i pensieri e le azioni nostre a quelle dei magnanimi, dico di coloro che tali furono veramente, non di tanti che prima e dopo morte usurparono tal nome, e fama e gloria ebbero di grandi non per fatti [p. 6]propri, ma per capriccio di fortuna che li pose in alto, e per adulazione di servi, che più adorano la fortuna che non rispettino la virtù.
Questa sarebbe da vero opera di nazione civile; ma i popoli, quantunque si dicano civili, seguiteranno probabilmente a far pompa di morti per coprire le miserie dei vivi: chè, inalzar marmi e bronzi costa soltanto danari, quando l’ingegnarsi di imitare i grandi costa tali sacrifici che, tranne pochissimi, nessuno è capace, non che di sostenere, d’immaginare." M.R.




MAZZINI
Dall' Atlantide  di Mario Rapisardi - Canto  undecimo

Sei tu, sei tu, con subito e profondo 
Estro d'entusiasmo Edea favella: 
Ben t'affiguro al mite aspetto, al fondo 
Sguardo, alla fronte pensierosa e bella ! 
O intemerato cavalier del mondo, 
Ben principia da te l' età novella, 
Da te, dal cui presago alto pensiero 
Raggiò, qual sole dall' oceano, il Vero !

Quando più pura e più sublime Idea 
Più puro cor, mente più alta accese ? 
Quando in età più tenebrosa e rea 
Raggio più bel di libertà discese ? 
Quando mai l'ala del Pensier che crea 
Finse più mite eroe, più sante imprese ? 
Quando sdegno che atterra, amor che molce 
Andar congiunti in armonia più dolce?

Dolce armonia, che nel tuo bronzeo petto 
Di vaticinj e di dolor nutrita, 
Dalle voci cresciuta, onde un eletto 
Stuolo agitò la tenebra abborrita, 
Alimentata dal perenne affetto, 
Per cui sì novi eroi dieder la vita, 
Resa divina dal sospir di tante 
Madri e dall' ira e dall'amor di Dante,

Nel tuo grido proruppe, e all'aure prave, 
Onda oscura intristia l' itala pianta, 
Diffuse a un tratto un fremito soave, 
Una speranza inusitata e santa; 
Dai pigri petti, dalle menti ignava 
Fugò la nebbia e la negghienza tanta, 
E come squillo di celesti trombe, 
Svegliò la terra ed animò le tombe.

Sorsero sette re, pallulàr sette
Venali turbe al mal d'Italia armate, 
E industri insidie e perfide vendette 
Fra l'erbe ordir dal pianto tuo bagnate; 
Il demonio dell'Odio e delle Sette 
Ti saettò con Farmi avvelenate; 
Ma il vermiglio Guerriero, un contro a tutti, 
Sguainò la sua spada e fùr distrutti.

Salve, o dell' Ideal nitido acciaro, 
Raggio di libertà puro ed ardente, 
Celere qual pensier, come Sol chiaro, 
Gloria della ridesta itala gente ! 
Per te dall' ombre dell' esilio amaro 
Rifiammeggiò del Ligure la mente; 
Per te l'Idea, che il cor gli arse perenne, 
Nella destra d'un dio fulmin divenne !




*****
La Rivista Popolare ed. 1905 n. 11/12




lunedì 4 giugno 2012

Angioletta Frontini - 1882 / 1974


Con queste poche righe voglio ricordare la zia Angioletta che, da donna di carattere, seppe sostenere il peso della famiglia Frontini, dopo la morte prematura della madre.


***

Note critico biografiche (1912) di Costantino Catanzaro:  "Questa giovine figlia del celebre Maestro Francesco Paolo Frontini, è nata a Roma. Le diverse poesie sparse senz'ordine su riviste e giornali ella ora ha riunite in elegante volume, Fantasie (ed. Giannotta, Catania). 



.........sono speranze deluse, sono documenti di un'anima giovanile, che, disdegnosa da qualsiasi ipocrita involuzione di frase e di pensiero tutta quanta si schiude e si mostra nella sua completa nudità e perciò bisogna ascoltarla. ........ 

....Angioletta Frontini fa parte di quei pochi che piangono non per correr dietro alla moda, per mostrar sentimenti emotivi che in verità non si hanno, ma per ubbidire a un irresistibile bisogno di sciogliere in canti, tutto lo schianto de la loro anima rattristita.

Oh ! così l'amor mio 
si cela lentamente 
fra i veli de l'oblìo.

......La forma non ha pretese auree; è modesta e d'una semplicità sorprendente; e ciò si deve all' ispirazione che non manca, se si tolgono pochi versi che sanno di voluto e di stentato; anzi qualche sapore arcadico non manca, come in Dissero i fiori; ma in cambio Grido di Morte, e Rose spiccano voli che s'accostano a una classica bellezza. Del resto Angioletta Frontini è ammirevole per la sua naturale e spontanea franchezza e per l'esuberanza di sentimento che ora è amore:

amore cullami tutta ridente, 
fra amplessi teneri, forti, tenaci,

or è pietà verso i derelitti:

Ingrata sorte
ancor che aspetti '?... dammi la morte !
cade sfinito
irrigidito !

ed ora è un senso di orrore per la morte ch'ella crede le sogghigni a distanza :

Deh ! non mi prendi fra' neri lacci,
                          tutta m'agghiacci.



L'ultima lirica, Sogno di Primavera, ci fa sperare che ella gitti il nero velo del dolore e torni alla vita, e sorridente, e orgogliosa della propria giovinezza.

e fremiti di amore 
mi cullano di sogni 
m'avvincono a la vita !
***
Lettera di Mario Rapisardi del 1911


se oggi "scriviamo" è anche merito suo.

domenica 6 maggio 2012

Salone di Torino: Regione Sicilia rende omaggio al poeta Mario Rapisardi

Salone di Torino: Regione Sicilia rende omaggio al poeta Rapisardi



Palermo, 4 mag. - (Adnkronos) - Dal 10 al 14 maggio, l'assessorato dei Beni culturali e dell'Identita' siciliana, partecipa con la Biblioteca centrale della Regione al Salone di Torino, vetrina internazionale dell'editoria, con uno stand che ospita una nutrita rappresentanza di editori siciliani, coordinati dall'Associazione siciliana editori. Quest'anno, la galleria dei "grandi siciliani" rende omaggio a Mario Rapisardi nel centenario della morte. Poeta e letterato catanese, i suoi versi si collocano ai livelli piu' alti della poesia italiana del secondo Ottocento. Nello stand ci sara' anche spazio per la presentazione, sabato 12 maggio alle 12, della prossima riapertura della Villa del Casale di Piazza Armerina, inserita dall'Unesco nella World Heritage List, in vista della conclusione dei lavori di restauro. Saranno inoltre esposte per la consultazione del pubblico le recenti pubblicazioni scientifiche e divulgative prodotte dagli Istituti dell'amministrazione dei beni culturali in Sicilia (soprintendenze, biblioteche, musei, parchi archeologici), con particolare attenzione agli strumenti divulgativi multimediali che verranno proiettati su un grande schermo al plasma. 

mercoledì 28 marzo 2012

Tommaso Cannizzaro - dalla Scena Illustrata del 1899

15.5.1899

La greca Sfinge, mulièbre testa
su leonine forme 
dal millenar sopore si ridesta
mentre la terra dorme.

Brillan sinistri gli occhi suoi spettrali 
e in lungo serpe snoda,
mentre il tempo distrutte ha le grand'ali, 
una superba coda

che in Jdra fosca scindesi e assottiglia;
e a questa nova sfinge 
di serpentelli rabida famiglia
la bella fronte cinge.

Giovine mostro, duplice mistero
ancor nel grembo chiude:
- la forza e la beltà-sparve il pensiero, 
l' ala sublime e rude.

L'antico da la groppa del leone 
venne fuor, dal superno
Pater, da la divina Jllusione 
nel tempo sempiterno.

Da le sue larghe spire ancor si evolve
di tutto l' Esistente 
l' onda e cade e risorge da la polve
quaggiù perennemente.

E tra gli artigli intanto l'uman cuore 
de la forza brutale,
Sanguina crudelmente nel dolore 
sotto il morso letale

delle ceraste in cui gli abbietti istinti 
ardon del senso vile
che avvelena ne l'anime dei vinti 
il palpito gentile.

L'ala non batte più! veggo sopito, 
anzi morto il pensiero,
l' atomo trionfar de l'infinito, 
la menzogna del Vero.

Sol di sè turpe e vergognosa mostra 
fa, qual pavon su l' erba,
con piuma ch.'ors'indora ed or s'innostra, 
la vanità superba.

Novello Edìpo il tuo trasfigurato 
sembiante oggi domanda
da l' uomo, o Sfinge dal gran dorso alato 
già su l'antica landa.

Ma l'età nol consente. Ancor l' enimma 
che tu proponi al mondo
nessuno sciolse e l'uom porta la stimma 
del mistero profondo.

Non mi tentar! non mordermi con l'angue 
che sul tuo fronte vive,
non io cosparsi del paterno sangue 
le mie natali rive !

Non io son quel temuto, ermo Veggente,
Edipo re non sono ; 
Ma saprà l'uom più vil, se Dio consente,
farti sbalzar dal trono !

Lascia al cuore i suoi palpiti e le grida, 
l' ala rimetti e altero
libra il vol negli spazi e l'uomo sfida 
dal monte Ficio.... ovvero

l'uomo saprà doman, l'occhio in te fisso, 
spezzar l' incanto e, ratto,
o mostro, ricadrai nel vecchio abisso 
in polvere disfatto.

*

1.12.1899
**

Al popolo

Odi, o gigante che con lingua muta
Resti, come si resta al cimitero,
Ergi la testa disdegnoso e fiero,
E su la fronte agli uni e agli altri sputa,
Squassa i gomiti e rompi i lacci e fiuta
Quest'aer nero;
Ascolta e udrai dal tuo penoso inferno
L'ora suprema al campanile eterno.

E a te dintorno quelle turbe losche
Dilegueranno allor rapidamente
Come dal capo di leon ruggente
Un importuno turbine di mosche,
S'ei sollevi la zampa tra le fosche
Ombre repente;
E grida alfin, dopo cotanto oblio:
— Venga il mio Regno, il Popolo son io !


AVVENIRE
.......................................................
Cinque mostri banditi 
per sempre questa terra
lasciar : 
di nozze eterne i riti, il boia, il tron, la guerra,
l'aitar.

Giù coscritti, giù preti, 
giù Cresi su i pezzenti
assisi; 
giù satiri e Narseti 
de l'anime,1) impotenti
derisi.

Ne l'odio, ne l'amore 
un sol per tutti e tutti
per un; 
presso a l'altrui dolore 
non resti ad occhi asciutti
nessun.

Largito il desco, il letto, 
il pane, l'acqua, il foco
il sale 
l'ora, il mantello, il tetto 
a tutti e in ogni ioco
eguale.

Mai più l'amor, la tenda, 
quanto è de l'uom bisogno
qua giù, 
niun comperi e niun venda, 
voce diceami in sogno,
mai più!

I teatri, i giardini, 
a tutti i passi aperti
restare, 
le vie senza confini, 
le montagne, i deserti,
il mare.
..........................................
1) giù satiri e Narseti de l'anime: scompariranno dalla faccia della terra i gaudenti corrotti e debosciati, i viziosi privi d'ogni energia vitale (l'eunuco Narsete, generale di Giustiniano, sostituì Belisario al comando dell'esercito bizantino nel corso della guerra condotta in Italia contro gli Ostrogoti).

***

TOMMASO CANNIZZARO
La voce poetica di Tommaso Cannizzaro congiunge la cultura mediterranea della Sicilia a quella europea. Poliglotta (conosceva tutte le lingue del continente, compresi il russo, il magiaro, lo svedese e il boemo), viaggiatore (fu amico ed ospite a Guernesey di Victor Hugo, di cui tradusse in italiano le Orientali), volontario con Garibaldi, sentì anche il richiamo della questione sociale che agitò nei suoi versi come più vasta questione umana. Lo fece non seguendo mode o intenti di propaganda ma come professione di una fede interiore, tanto che le sue poesie venivano da lui stampate in casa in non più di duecentocinquanta esemplari, destinati agli amici e ai rari estimatori. Fu un solitario obiettore di coscienza: In solitudine (1877) si intitolò la prima raccolta e Grido de le coscienze (1910) una delle ultime. (Poeti della rivolta - Rizzoli)

****

Tommaso Cannizzaro e Mario Rapisardi, i poeti amici. (QUI)

mercoledì 15 febbraio 2012

Alfio Belluso - le poesie nella Scena illustrata del 1899

Alfio Belluso (Augusta1855 – Catania, 1903) è stato un poeta e scrittore
*****
"Signori, chi dei poeti nostri amò e cantò così la Sicilia ? Il Belluso senza esagerazione dopo Lionardo Vigo che da erudito poeta scrutò ogni angolo dell'Isola, è il più siciliano dei nostri minori poeti, e sarebbe per questo lato il più vicino al Meli, se della vita e della natura campestre siciliana egli cogliesse le forme e gli spiriti con più immediato e più vario sentimento di arte, e troppe volte non si dilettasse di cogliere suoni e colori che dileguano e sfumano..." N. Vaccalluzzo
*****
Scena illustrata  1.4.1899  
Una povera Bara

Nell' umida invernal grigia mattina, 
Era più triste 'l monastero : fuori 
Usciva dalla bassa porticina 
Una povera bara senza fiori.

L' avean seguita fino all' uscio, in muto 
Raccoglimento, le compagne, e quando 
Diero alla salma l'ultimo saluto, 
Qualcuna si ritrasse singhiozzando.

Poi rientraron tutte entro la cella, 
E pregaron per lei che se n'andava, 
Sola, cosi come una poverella, 
E ancor nell'ombra e nell' oblio tornava.

L'avean composta colle bianche  mani 
Nella cassa... Com'era anch'ella bianca! 
Mirato non avean sguardi profani 
Quella sua faccia rassegnata e stanca.

E se n' andava e trascorrea da morta 
La via lucente che ignorò da viva ; 
Ma il dolce sol non c' era, e stretta e corta 
Era la via... — Presto laggiù s'arriva,

O buona, e quando l'ultima palata 
Di terra t' han gittato, e del compianto 
Appena la dolente ora è passata 
Di te non pensa chi t' amava  tanto ! —

Forse la vita sua fu come un sogno 
Tranquillo, senz'ardori e senza brame, 
E non sentì la mite alma bisogno 
D' espandersi o di stringere un legame.

E tanti anni passar lenti e quieti 
Fra le preci, e gli uffici umili e casti, 
Sempre il silenzio pio delle pareti, 
E mai le lotte torbide e i contrasti.

Ardea la debol vita, come 'l fioco 
Lume della candela sull'altare, 
E così, come cera, a poco a poco 
Si vedea quella vita consumare.

E 'l trepidante vol del suo pensiero 
Verso Dio, verso il ciel correa perduto... 
Oh questo mondo e questo atro mistero 
Meglio ch' ella non l'abbia conosciuto !
                                                     

Commemorazione fatta a cura del Municipio nel Teatro comunale di Augusta il giorno 8 Maggio 1904 dal prof. Nunzio Vaccalluzzo 

"....Alfio Belluso, del quale , o Signori, voi avete voluto dare a me l'onore di parlarvi. E di tale onore io vi ringrazio dal profondo del cuore, non perché per speciali meriti io mi creda idoneo a ciò, ma perché di calda e sincera amicizia io fui legato ad A. Belluso, e mi è però dolce immaginare che all'amico mio, se di là della morte giunge voce di quaggiù, non sarà discaro il sapermi commemoratore della vita e dell'opera. Vita ed opera modesta, o Signori; senza nè ambizioni nè pretenzioni. Ma, se è vero che noi italiani siamo troppo seri e furbi per esser poeti, Alfio Belluso fu poeta vero, perché fu un ingenuo e un idealista nella vita e nell'arte. E fu un autodidatta, perché studi non ebbe, di nessun genere; e non ebbe nè lauree nè diplomi;  e la mente agile e sveglia venne nutrendo di letture moderne, così come gli venivano alla mano, nei ritagli di tempo che il modestissimo ufficio gli permetteva (segretario alla provincia di CT)...."

*****
   Scena illustrata 15.9.1899

***** 

Opere 

  • Primi versi - Tip. di G. Pastore, 1875
  • Ultimi - ed. Niccolo Giannotta, 1882
  • Sursum corda - N. Zanichelli, 1886
  • Uomo: Canti - Niccolò Giannotta Edit.1896
  • In solitudine: [versi] - Niccolò Giannotta Edit.1889
  • Raggi e ombre: versi - N. Giannotta, 1892
  • Sicilia: sonetti, ed N. Giannotta, 1894
  • Uomo: canti - ed N. Giannotta, 1896
  • Cerere - N. Giannotta, 1899
  • Piccola morta: versi - N. Giannotta, 1901

Romanze [parziale]


*****



A' pie' dell'Etna 


*****
Sursum corda, Zanichelli, 1886. "Immagini sinistre, odori mefitici, atmosfera nauseabonda, suoni lamentosi: sulle macabre ritualità cattoliche aveva speso versi celebri già Ugo Foscolo nei Sepolcri (1806). Qui, con più modeste pretese, a Belluso interessa solo fuggire verso il sole e la vita. Cioè, il più possibile lontano dalle chiese."
In una chiesa


* Pagine scritte per wikipedia e wikisource

*****
Sole (inno)

Gloria cantate o rive.
Per la luce infinita
Del sol, aquila altera,
Il vol spicca la vita,

Sembra un altare il monte,
Sembra un altar l'oriente,
Donde il sol benedice
Questa terra fiorente.

Al dio tendon le rame
Gli alberi verdeggianti,
A lui si levan fremiti,
A lui si levan canti.

Ei sale, sale il trono
Del ciel fiammante e terso,
Ovunque guarda e penetra,
Occhio dell'Universo !

Gl'increspamenti argentei,
L'azzurro e la bonaccia
Dona egli al mar, co'grandi
Fulgori il mare abbraccia.

Alla terra dà il forte
Germe, che mai non muore,
L'aurora ed il crepuscolo.
Da la vita e l'amore.

Ea l'uom dà l'ardimento
Nobile e battagliero,
La robustezza, l'impeto
E il gagliardo pensiero.

Che si disfrena e irrompe
Con forza di leone,
Arcngelo di pace,
Spirto di ribbellione;

Che corre, corre, corre
Onnipotente e grande,
Che meraviglie nove,
Che nova luce spande
................................

Fissar dio sole, quella
Tua sfera che sfavilla,
Vorrei, come d'amante
Si fissa la pupilla.

E come in essa scrutansi
I misteri d'amore,
L'eternità, l'origine
Scrutare del tuo splendore.