Il principe Karageorgevitch presenta al gran pubblico cosmopolita, traducendolo elegantemente in francese, il romanzo tedesco di Ernesto von Wolzogen intitolato Il terzo sesso (ed. Calmann Lévy). Una scrittrice italiana, Flavia Steno, pubblica un altro romanzo con un titolo diverso, ma di eguale significato: La nuova Eva (ed. Sandron). L'incontro è sintomatico. Il conflitto sessuale occupa talmente gli spiriti, che non bastano gli studi severi e le indagini positive: anche l'arte se ne mescola e vi cerca l'ispirazione. Fu già dato conto ultimamente in queste colonne di un buon numero di pubblicazioni scientifiche ; non sarà fuor di luogo dire qualche cosa di queste composizioni fantastiche, degne entrambe di non passare inosservate.
Il romanzo tedesco è particolarmente notevole per lo spirito satirico che vi è infuso. Nelle tre prime righe il prof. Giuseppe Reithmeyer dice a Clara di Fries: « Chiudi quel libro, Clara. Non è possibile andare avanti così. Ho una seria preghiera da rivolgerti : sposami! » E' il mondo alla rovescia. I due personaggi hanno contratto da tempo una libera unione, e non già là donna ne chiede ora all'uomo la sanzione legale, sociale, divina : l'uomo, anzi, supplica e scongiura la donna, la quale gli dà del « fossile » e lungamente gli oppone un ostinato rifiuto. Si piega da ultimo; ma il giorno delle nozze gl'invitati e lo sposo l'aspettano invano, nè sanno più dove trovarla, quando ella finalmente appare: studiando medicina, alla, vigilia di laurearsi, è andata all'ospedale e vi è rimasta mezza giornata per assistere ad un'importante operazione. « Si può sposarsi un giorno qualunque », dice tranquillamente, per giustificarsi ; « ma un'ovariotomia resa necessaria da un myxoìdcistoma multiloculare dell'ovaia destra non è cosa da trascurarsi... »
Il terzo sesso non è rappresentato solamente da lei : ne fanno parte anche le due sorelle Haider, che alla morte del padre hanno assunto la direzione della sua casa bancaria sotto la ditta: « Figlie di Maurizio Haider. » La maggiore, Ildegarda, ha giurato di non maritarsi, dandosi tutta al suo grave ufficio che disimpegna con una virile accortezza, la quale non le impedisce però di farsi portar via una discreta sammetta da un bel paio di baffi appartenenti ad un finto barone di Kerkove ; la, piccola Marta, è ancora un po' « vecchio stile », ma non riesce, a trovar marito, perchè gli uomini che, consentirebbe a sposare cercano la donna nuova, mentre viceversa ella ricusa, quelli che si contenterebbero di una signorina tutta all'antica. Un buon numero di altre superdonne, di esseri neutri, fondano un « Comitato di agitazione per la evoluzione della psicologia femminile ». La piccola Lilly di Robiceck, pittrice divorziata, non è ammessa a farne parte, perchè le femministe si struggono di gelosia vedendola, scatenare desideri e passioni nel sesso forte; ed ella stessa è desolatissima di possedere un musetto tale, che tutti i maschi le vanno dietro per le vie come altrettanti cagnolini inuzzoliti. Dalla tanta contrarietà, ella vorrebbe sfigurarsi col vetriolo; se avesse la fede, preferirebbe anche farsi monaca piuttosto che vedersi attorno tanti spasimanti; ma, un poco perché si sente perseguitata dall'invidia delle altre donne, un poco per altre più persuasive ragioni, modifica, alquanto le sue opinioni : accetta le offerte non disinteressate di alcuni buoni amici, i quali le spianano la via all'emancipazione per mezzo del lavoro, mettendole su un negozio di mode, col quale ella si vendica delle antiche compagne speculando sulla loro vanità. Le leggiadra modista fa veramente fortuna, nonostante un piccolo inconveniente che scandalizza alcune clienti retrograde: la nascita d'un figliuola, che non si sa precisamente a quale dei molti protettori di lei debba i suoi giorni; ma le donne nuove, appunto al lora, restituiscono tutta la loro stima alla rivale di un tempo divenuta ora loro sarta preziosa, e fanno del piccolino un simbolo: il « Figlio nuovo... »
Non bisogna chiedere verosimiglianza di avvenimenti, nè logica di caratteri all'opera del Wolzogen. E' come si è detto, e come si può vedere da questi accenni, una satira, in alcuni luoghi molto felice e veramente gustosa; talvolta un poco prolissa. E, principalmente, un pretesto per discutere la quistione del femminismo, intorno alla quale i vari attori enunziano opinioni tra il serio ed il faceto; questa, fra l'altre: che l'esempio di una insigne professo ressa di matematiche può essere addotto tanto opportunamente contro la poca levatura femminile, quanto quello di un vitello con cinque gambe o due teste contro l'universalità dei vitelli con quattro gambe ed una testa sola. Alla quale affermazione di un anti-femminista, una femminista risponde che con un analogo ragionamento si potrebbe dimostrare esser l'uomo, e non la donna, il prodotto inferiore della natura: perché, mentre si sono date, per l'appunto, e si danno ancora donne eminenti, sia pure per effetto di una specie di mostruosità, nel campo intellettuale riservato all'uomo, non si è ancora vi sto, reciprocamente, nessun uomo partorire figliuoli. E tra queste ed altrettali burle, l'autore ha cura di far significare quella che reputa verità vere, principalissima quella messa in bocca al bell'Arnolfo Rau, letterato incompreso da tutti, fuorché dalla modista che lo idoleggia nonostante i continui tra dimenti che egli le infligge e addirittura le confida. La verità esposta da cotesto superuomo è che le leggi fisiche regolatrici dei rapporti dei sessi non sono cambiate da che mondo è mondo, nè potranno cambiar mai, mentre invece i rapporti morali si so no venuti modificando e si modificano sempre più : da questa contraddizione nascono gl'inconvenienti, i disagi e i danni che tuttodì si lamentano. E il con cetto dell'autore è quindi che la donna nuova, l'uomo nuovo, il figlio nuovo, le mode nuove, i nuovi costumi e in una parola tutte le novità sono ridicole e pericolose.
Alla dimostrazione di una tesi attende anche Flavia Steno, ma non già tra le bizzarre invenzioni della satira. Il suo romanzo vuol essere ed è opera di osservazione; ad esso si può adattare la definizione che i Goncourt diedero di questa forma d'arte: « una storia che avrebbe potuto essere ». La prima parte, segnatamente, è la fedele, vivace, evidente rappresentazione, della vita che gli studenti, cosmo politi conducono in Isvizzera, nelle pensioni dove amicizie, fratellanze ed amori s'annodano con faci lità e rapidità ignote altrove. Fra le molte figure che popolano la scena emerge quella di Violetta Adriani, disgraziata fanciulla senza madre, quasi abban donata dal padre, avversata da una zia, datasi, quin di, per assicurarsi l'avvenire, agli studi severi. Men tre costei aspetta di conseguire la laurea in lettere, a Zurigo, conosce nella pensione Staubli, fra tanti singolari tipi di giovanette emancipate e di giovanotti professanti le più libere idee, il ginevrino Mau-rizio Boissy, il quale frequenta i corsi d'ingegneria e tanto s'innamora di lei quanto ella stessa è da lui innamorata. Accade ciò che troppo facilmente e quasi necessariamente suole accadere quando mancano i freni morali: la donna amante non resiste alle sollecitazioni dell'uomo ardente: una libera unione è contratta, che presto però entrambi si propongono di mutare in legittime nozze. Se non che, l'impazienza di guadagnare danaro spinge il giovane a tralasciare gli studi per ingolfarsi, con un losco affarista, in una serie di sciagurate operazioni commerciali, nelle quali va rapidamente perduto il capitaluccio di Violetta. Costretto a cercare un impiego, l'infingardo Maurizio ricusa tutti quelli che gli si offrono, e invece di sopportare virilmente la miseria, come la sua dolce e forte compagna, va dietro alle chimere e s'incaponisce a seguire in America, contro le preghiere e gli scongiuri di Violetta, il tentatore che è stato causa della loro rovina. La poveretta resta sola, abbandonata, avvilita, senza mezzi, senza speranze. Un miracolo compito dalla nativa sua energia e dalla mutata fortuna, la trae improvvisamente dal baratro: ella comincia a cogliere i frutti dell'alto ingegno e dei lunghi studi nel giornalismo.
Anche questa seconda parte ha scene efficaci, pagine trascritte dal vero. Si sente un poco l'artifizio nella terza, dove vediamo ad un tratto Violetta celebre, invidiata, trionfante, grazie all'amicizia di una ricchissima straniera che le ha dato i mezzi di fondare in Italia un gran giornale, la Nuova Eva, col quale ella diffonde, aiutata da sole redattrici, reporteresses ed impiegate del suo sesso, il verbo femminista. Ma qui la favola non c'importa più tanto, quanto ci preme la sua moralità.
E senza dubbio Violetta, per la forza dell'animo e dell'intelletto, per l'esperienza della vita e del dolore, è sincera come poche altre quando reclama che la legge e la morale siano, assolutamente eguali per l'uomo e per la donna; che alla donna siano dischiuse tutte le vie e consentite tutte le attività; che le sia, anche accordato di partecipate al governo dello Stato e del Comune; che siano proclamati la rispettabilità del libero amore, il divorzio per volontà di un solo coniuge, la protezione della maternità naturale, la, ricerca della paternità. Tanto più ella merita d'essere ascoltata, quanto che non è, come quasi tutte le sue compagne, una viragine, una creatura dissessuata, una profanatrice della femminilità; è anzi una donna vera, un essere vibrante di sentimento, che non si drappeggia, che non mente, che non professa l'inumano odio dell'uomo, che ha amato — e che ama, ancora una volta. Nel suo trionfo, infatti, qualche cosa le è mancato; ma l'amore concepito per Corrado Valle colma finalmente il vuoto del suo cuore. Anch'egli l'ama, e se non fosse il passato di lei, che ella naturalmente non gli nasconde, non esiterebbe a sposarla. Ma poichè è libera di sè, e fautrice della libera unione, egli non meno naturalmente le propone d'unirsi liberamente,.. Che fare ora ella? Che dovrebbe fare?... Ella riconosce che Corrado Valle obbedisce ai criteri imperanti nel mondo, alla logica della loro situazione; ma l'emancipata, la femminista, si ribella ad un tratto. Ella non vuole più il libero amore del quale ha predicato la dignità: vuol essere sposata secondo le leggi un tempo sprezzate. E nondimeno sa e sente che Corrado non ha torto di rifiutarsi. Non sola-mente ella conviene d'essersi posta fuor delle leggi; ma avverte ora, improvvisamente, che esse non sono tutte false, che qualche cosa di lei fu irreparabilmente perduta quando si diede a Maurizio Boissy, che nella sua carne e nella sua anima il primo amante a cui appartenne impresse qualche cosa d'incancellabile, che tutte le gioie possibili do-po quel primo errore sono frutti di cenere... Ella si è ribellata contro quella che ha giudicata ingiustizia ed iniquità dell'opinione, fabbricata e diffusa dagli uomini; ne ha bollato con parole di fuoco l'odioso egoismo; ed ora s'avvede che la morale del mondo non è creata dall'egoismo maschile, che si impone invece agli uomini ed alle donne, che dipende da fatalità naturali, ineluttabili. Gli uomini potrebbero bensì essere generosi, e perdonare. Non potrà perdonarla Corrado? L'amore non potrà compiere il miracolo dì fargli dimenticare la colpa di lei? Un miracola simile non si è talvolta compito? Ma, intanto che ella lo aspetta, ecco compiersene un altro. Ella stessa dimentica e repudia improvvisamente le sue dottrine, pubblicamente, dinanzi alle compagne scandalizzate. Tutte queste collaboratrici già da lei stimate ed amate, le sembrano ora, alla luce della passione divampante nel suo cuore, creature di gelo, involucri senz'anima, non donne, non amanti, non madri; e in un impetuoso bisogno dì sagrifizio e d'immolazione nel quale tutta la sua femminilità trabocca, ella dà a Corrado la gloria faticosamente acquistata, l'ambizione nobilmente nutrita, l'avvenire ardentemente sognato, tutta se stessa, anima e corpo, senza patti, come egli vuole...
L'altro giorno la provetta Neera conveniva con molti pensatori nell'opporsi alla teoria dell'emancipazione; oggi un'altra scrittrice, esordiente, ma già padrona di molti segreti dell'arte, ci conduce con singolare abilità, dopo averci fatto intravvedere una conclusione prettamente femminista, alla stessa moralità significata dall'umorista tedesco, autore del Terzo sesso. Quella che pareva e si diceva ed aveva ragione di essere la donna moderna, l'Eva novissima, si rivela ad un tratto, per l'immortale virtù dell'amore, l'Eva antica ed eterna.
F. de Roberto.