| Ntra lu burgu e la marina | 
Vecchiu, pricchiu, strascinatu,
Lenzi lenzi la fracchina,
'Nzaimatu, scarcagnatu...
| Cu' po esseri ? 'Nduvina ! (di Mario Rapisardi) |   
 Maestro Calcidonio
 
di Mario Rapisardi
Ei fu nella  città di Catana, antichissima e famosissima di Cicilia, uno dipintore  chiamato Maestro Calcidonio ; il quale e per lo ingegno singolare e per  la maniera bizzarra del dipingere e più ancora per la continenza e abito  del vivere, fu veramente straordinario e quasi mirabile huomo del tempo  suo.
Da fanciullo  dette opera alle lettere latine, perciocchè suo padre che era uno  cerusico sapientissimo volea piuttosto farne uno dottore che uno  artefice ; ma conciosiacosacchè il maestro che gli leggeva lettere era  uno calonaco, di molta reputazione appresso dei più, ma di poca scienza e  di neuno giudicio, e più gonfio di vento che di dottrina, si che pareva  all' aspetto, e tale era nell'animo, uno otre di quelli che Eolo diede  ad Ulisse? siccome pone in suo dittato il sommo poeta Omero, così  intervenne che il fanciullo prese in odio sì fatto quella prima  disciplina, che tanto imparò di umanità quanto quello suo precettore  cognosceva ebraico, che mai non lo seppe.
 
Venuto intanto  all'età della discrezione, e avuta qualche notizia delle umane lettere,  egli si diede assai felicemente al trovare; e molte rime trovò che  furono stimate indizio di buon ingegno. Diede anche mano allo studio  della musica e con tal buona disposizione ed ardore, che pareva a tutti  dovesse presto riuscire uno musico eccellente.
 
Ma quello di  che maggiormente si piacque fu l'arte del disegnare e dipingere : per l'  amor della quale fatta stanza nella meravigliosa Partenope, presto  dette argomento di bene sperare ; e, istudiando i modelli dei famosi  artefici e ritraendo dal naturale e ispeculando certe sue invenzioni,  egli venne in poco a formarsi una sua tal maniera, che non era uno che  veduto una volta una sua tavola non dicesse poi vedendo qualche sua  nuova storia: ella è opera di Maestro Calcidonio ; tanto era propia e  singolare la sua maniera.
 
Tra le opere  ch' egli condusse, degnissima di memoria per la novità e bizzarria  dell'invenzione è quella che rappresenta dua giovani amanti che si  abbracciano e baciano in uno cimiterio intra due lunghe file di ataùti e  di scheletri che pare li guardino non senza invidia di tanta felicità. E  un' altra ne fece che è uno scheletro, o sia la morte incappata in uno  grande lenzuolo, seduta in uno trono in mezzo d'una grande camera vuota,  e tutta intenta a ricamare una coltre nella quale sono scettri, tiare,  corone ed altri simiglianti emblemi di potere mondano. E ora pingeva uno  giovinetto cieco sicut mors ficcante uno dito nell'occhiaia d'uno  teschio; ora una pulzella che porta in voto uno cuore; ora una giovane  donna in paramenti nuziali con una testa di morto in uno vassoio con  certi occhi spiritati che è uno terrore; e altre simiglianti allegrezze,  dalle quali, non che allettar compratori, era più facile trovare chi  inorridito se ne fuggisse.
 
E per questo  non fu ignuno che mai gli committesse o gli comperasse una storia; che  tutti sapevano quanto ei fusse terribile dipintore ; e avrebbono  piuttosto volsuto ricevere in casa la versiera che uno suo spaventoso  dipinto. Della qual cosa egli molto a ragione si rammaricava accusando  li huomini di poca discrezione e di molta lussuria : avvegnachè secondo  il suo giudicio questa loro avversione procedesse unicamente da ciò, che  altro nell'arte eglino non gustano che le delizie della carne, e tutto  ciò che spetta alla salvazion dell'anima, come viziosi e senza  continenza, trascurano.
 
E non meno che  nel dipingere ei fu nuovo e fantasioso nel rimeggiare. I versi che egli  andava scrivendo su per li sgualciti e unti fogliolini, raccattati per  le vie, non erano mai secondo retorica, nè di purgato stile, nè di puro  dettato: aveano si una certa misura, ma non sempre tale che uno  accigliato Aristarco vi potesse trovare i debiti piedi. Ma sì vaghe  erano le invenzioni sua, e sì nove e inaspettate le immagini, che a  leggere le sue rime tu sentivi nel quore, come un misterioso colloquio  di spiriti, e romore di ale e scroscio di acque e stormire di fronde, e  ti lampeggiava sugli occhi come un barbaglio di lampi, sì che credevi  essere trasportato per incanto in un mondo nuovo, e più tosto tra  fantasime di sogni, che tra persone vere. E il succedersi delle  immaginazioni, e delle incomposte ma originali armonie ti dava come un  giramento di cose, da farti venire la vertigine e il capogirlo.
 
E ora faremo uno brieve ricordo dei costumi e portamenti suoi, che furono quasi tutti istravaganti.
 
E primamente  dirò che tanta fu la sua continenza così nel mangiare e nel bere come  nelle altre cose corporali, che ben l' aresti detto uno santo anacoreta  di Dio. E del molto che in questo proposito potrei riferire, basti  solamente questo: che in città popolosissima e voluttuosissima ei  viveasi quasi in uno deserto, senza altra compagnia che dei suoi  pensieri; e poco pane bigio e pochissimo pesce salato, o un po' di  pillacchera, che gli tenea luogo di fagiani e di starne nelle più  straordinarie solennità eragli cibo sufficiente.
 
E mai occorse  vederlo in compagnia di femmine, altro che per intento dell'arte; ma  delle femmine ei si valea poco anche in questo, piacendosi più dipingere  idee che uomini, e più anime che carne; onde fu detto con qualche  fondamento di vero, essere egli troppo stratto dalle condizioni del  vivere e in specialità dalla ragione dei tempi sua, che tutto riduceano a  materia, anche l'anima immortale, giusta li epicurei: che è una grande  istoltezza e bestemmia. Or tornando al proposito della continenza di  Maestro Calcidonio, aggiungo, che tanta era la sua virtù in domare la  concupiscenza della carne, che di qualsiasi femina ei si tenesse gnuda  dinanzi per iscopo dell'arte, ignuna egli toccò mai con le mani in  qualtivogli parte del corpo; e questo parea meravigliosa continenza agli  amici...
 
Aveva egli fra i  pochi uno amico, uomo assai loico e istrutto nella filosofia naturale e  morale, ma più dedito alle umane lettere che alle divine; il quale era  uno grande incredulo, il quale diceva che Dio non fosse e tutti lo  chiamavano il Marabise (1), che non sapeano che sì chiamare. Ora costui,  quale uomo incredulo e mondano, non volle mai aggiustar fede alla  istraordinaria castità di maestro Calcidonio, del quale e' soleva dire  essere uno mangiapulzelle; ma questo era una diabolica malignità del  Marabise.
 
Circa gli altri  costumi di questo singolar dipintore, dico che egli conducea meschina e  misera vita, non già che egli fusse povero, ma più tosto per  istracuraggine delle cose temporali non disgiunta da una certa passione  di avarizia, onde ei solea dire essere più tosto da prezzare il danaro  che la sanità; che questa, non ostante i medici, tanto o quanto si suole  recuperare, ma il danaro una volta andato non più si racquista.
 
Abitava in fra  poveri, in poverissima stanza a uno soffitto altissimo, più simigliante a  uno trespolo da pappagallo che a una casa d'uomo; per giungere al quale  bisognava arrampicarsi per più centinaia di gradi tutti sbocconcellati e  sdrucciolevoli per lo gran sudiciume, e passare indi per anditi e  andirivieni umidi e puzzolenti, che ti parea esser drento a uno budello  di maiale. E la casa era come uno covile con arazzi di muffa, tappeti di  polvere, portiere e cortine di ragnateli. Una seggiola con tre gambe,  uno strapunto di strame, uno tavolino zoppo con due piè e qualche rozza  ed imbrodolata stoviglia erano i nobili arredi di quella magione ; e  tele, colori, pennelli, stracci e ciabatte gittati e sparsi per ogni  parte, che parea uno naufragio.
 
E in tanta  lautezza egli se ne stava solo, non volendo neppure con una fante  divider tanto bene, e questo, diceva il Marabise, era il più generoso  atto di carità cristiana, che mai gli vedesse praticare.
 
Stranissimo era  oltre ciò il vestire, si che spesso il vedevi in giro con uno stivale  di vacchetta e uno zoccolo, uno berrettone di pelle di gatto sul capo e  una palandrana fino alle calcagna, che l' aresti preso per uno  masnadiero inseguito dal bargello. E nel mutar dei panni ei non guardava  alle stagioni, che tutte le stagioni ed i climi ei soleva portarli  addosso ad un tempo solo; così che mentre le brache facevano agosto in  Garamanzia, il corpetto e la giubba segnavano dicembre per li Britanni.
 
Anfanava per le  vie più frequenti in siffatto arnese; con le mani intrecciate sul petto  come in atto di contrizione e di prece, ma le guardature sospettose e  quasi ferine, ch'ei gittava qua e là su la gente, e un certo suo proprio  ghignare come di satiro lascivetto persuadean tosto esser l'animo suo  più lontano dalla pietà che non fosse per avventura dall'odio e dal  disprezzo dell'uman genere.
 
Al conversare  era piacevole e motteggevole molto; ma non patìa, che altri tale il  tenesse, temendo non la piacevolezza sua fusse malignamente presa per  giulleria: tanto che dettogli uno dì una bambinetta, appresso alla cui  madre egli era dimestico molto: Restate ancora, maestro Calcidonio, che  senza di voi la brigata non ride-; egli s'ebbe tanto a male di ciò, che  afferrata con impeto la fanciulla stava per isfracellarla; onde accorsa  la madre alle grida e ripresolo gravemente del fatto, non ei si  ristette; anzi con maggior veemenza di collera: Voi siete peggior della  putta, le gridò, malvagia briccona che Dio vi mandi il cacasangue a  tutte e dua. E come furioso partissi di quella casa, nè più volle  rimettervi il piede.
 
Ma oltre a  queste furie e bizzarrie, Maestro Calcidonio era il più dolce e diritto  uomo che al mondo fosse, e tale almeno, se non da buttarsi nelle fiamme  per amor di Dio e del prossimo, da non torcere un capello a chicchessia e  da attendere alle faccende sua, che furono mai sempre di fare onore al  suo nome e alla sua gente con opere di colore e di inchiostro.
 
E perciocchè  nel presente secolo uno huomo che abbia pochi e leggeri vizj uniti a  molte e sincere virtù è cosa piuttosto singulare che rara, per questo ho  volsuto scrivere questo brieve comentario a onore del suo ingegno e  ricordo perpetuo della sua virtù.
 
(1) è facile  capire come con questa voce che in dialetto lombardo significa « uomo di  mal affare », il Rapisardi scherzando alluda a sè stesso. O che non  forse il « rinnegato » Carducci aveva osato chiamarlo « cattivo soggetto  » ?
* chi meglio di Mario Rapisardi poteva interpretare l'animo del suo migliore amico.






