Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

martedì 21 ottobre 2025

Musiche popolari siciliane fra salotti e campagne

 

Musiche popolari siciliane fra salotti e campagne: Francesco Paolo Frontini 

 di Giuseppe Giordano 

 Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della no stra terra. La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti, perché soltanto nella musica e nel canto noi si ciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo. (Francesco Paolo Frontini) 

 Francesco Paolo Frontini nacque a Catania il 6 agosto 1860. Sin da bam bino venne iniziato allo studio del pianoforte e del violino direttamente dal padre, il cavaliere Martino Frontini (1827-1909), anch’egli musicista e stima to compositore formatosi presso il Reale Ospizio di beneficenza di Catania, uno storico ente nato come Collegio gesuitico nel 1555 e trasformato in Reale Ospizio nel 1834. Scopo dell’ente era quello di istruire la “bassa gente” affin ché «apprender possa le arti corrispondenti alla sua condizione e stato e sia allontanata dall’ozio e dalla pigrizia» (Sciuto 1895)1. Martino Frontini divenne in seguito direttore delle scuole musicali del Reale Ospizio di beneficenza e fu inoltre fondatore e direttore per circa trent’anni della Banda civica della città etnea, allora chiamata anche Banda nazionale (cfr. Danzuso e Idonea 1985: 327). Dopo avere ricevuto le prime nozioni musicali dal padre, Francesco Paolo fu ammesso nel 1875 al Conservatorio di Palermo, dove iniziò a studiare pianoforte con il maestro catanese Pietro Platania (1828-1907), celebre con trappuntista e amico del padre. Nel 1878 si trasferì al Regio Conservatorio di Napoli dove completò gli studi di composizione sotto la guida del maestro Lauro Rossi (1812-1885). 

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1) Nel 1778, due anni dopo l’espulsione dei Gesuiti dal Regno delle Due Sicilie, l’istituto fu tra sformato in “Casa di educazione per la bassa gente” e nel 1834, con decreto reale di Ferdinan do II, divenne “Reale Ospizio di beneficenza per le province di Catania e Noto” (cfr. Imbert 1897). L’istituto rimase in vita fino al 1967, quando decadde la convenzione con lo Stato e i pochi allievi-corrigendi furono trasferiti in altre strutture (cfr. Danzuso e Idonea 1985: 326) 

 L’esordio di Frontini come compositore avvenne all’età di quindici anni con l’esecuzione nella Cattedrale di Catania di un Qui tollis per tenore e orchestra, diretto dal maestro Pietro Antonio Coppola (1793-1877). La composizione viene così recensita sulla “Gazzetta cittadina” di Catania del novembre 1875: Il Qui tollis del giovane quattordicenne [in realtà aveva quindici anni] Francesco Paolo Frontini, allievo del Reale Conservatorio di Palermo, rivela un giovine gran de ingegno di cui la patria può andare superba per avergli dato i natali. Le sue note melodiose sono anch’esse bene interpretate dal sentimento religioso e siamo sicuri che continuando come nel principio sulla via intrapresa il giovane saprà ben meritare dai suoi concittadini. L’attività del musicista fu certamente influenzata dal notevole fermento culturale che animava la Catania di fine Ottocento, dove si trovarono contem poraneamente a operare tra l’altro scrittori di primo piano come Giovanni Verga, Federico De Roberto, Nino Martoglio e Luigi Capuana, e valenti pittori come Giuseppe Sciuti, Antonino Gandolfo, Calcedonio Reina e Michele Ra pisardi. In ambito musicale, oltre allo stesso Frontini, erano attivi tra gli altri Gianni Bucceri, Giovanni Pennacchio, Santo Santonocito, Antonio Savasta. Frontini delinea pertanto la propria personalità artistica in un contesto sociale pervasivamente stimolante, che di certo contribuisce a modellarne il pensiero musicale2. Il musicista – non diversamente dal padre – insegnò anche presso il Reale Ospizio di beneficenza, divenendone direttore nel 1886 e conservando la cari ca per ben trentasette anni. Si può ipotizzare che qui Frontini ebbe occasione di entrare in contatto con suonatori ciechi, i cosiddetti orbi, che proprio in scuole simili si formavano nella prospettiva di esercitare il mestiere di suona tore ambulante (cfr. Guggino 1980, 1981, 1988 e Bonanzinga 2006). Al tipico repertorio dei cantastorie ciechi appartengono infatti alcuni canti del Natale che Frontini inserisce nelle sue raccolte di musiche devozionali. Pare che Frontini usasse talvolta firmare le sue opere con pseudonimi, fra cui: Onorato Piccini, Franz Gotthardmann, Oscar Fleuranges, quest’ultimo presente nelle edizioni Pistorio Tomaselli di Catania (si veda il sito web http:// frontini.altervista.org/index.htm). Se la fama di Frontini è soprattutto affidata a produzioni operistiche che riscossero discreto successo, quali Nella (1881), Malìa (1893) – su libretto del suo amico fraterno Luigi Capuana – e Il Falconiere (1899), a lavori sinfonici, come a esempio la Serenata araba (1898), oppure al celeberrimo componi- 

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2) Fra i contributi biografici più rilevanti su Francesco Paolo Frontini si segnalano: Balbo 1905 (il primo profilo biografico sull’autore); Salomone Marino 1913: 210; Pastura 1968: 151-155; Tavčar 2013: 148-157. Una breve nota sul musicista è anche presente nel Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti (DEUMM), vol. III (Le Biografie), p. 50. Si veda anche la voce “Frontini” in Enciclopedia di Catania (cfr. Consoli 1987)

 mento pianistico Piccolo montanaro (1914), il suo nome è anche profondamen te legato alle tradizioni musicali siciliane, cui si dedicò per lungo tempo con entusiasmo ed energia. Più volte il musicista nelle sue composizioni fa uso di temi popolari (non esclusivamente siciliani) più o meno rimaneggiati ed enfatizzati secondo le consuetudini del periodo. In alcuni casi gli stessi titoli (a esempio Nenia, Sal tarello siciliano, Canto di carrettiere, Melodia popolare siciliana ecc.) lasciano già ipotizzare rapporti con melodie popolari, mentre in altri casi il materiale mu sicale viene tacitamente trattato dal musicista, come a esempio nella romanza La fanciulla e il pesce (1885), composta sul tema di un canto tradizionale slavo3. Quale esempio di un diverso impiego di temi popolari valga qui considerare la Sonata dell’orbo (1931) che Frontini compone a commento di una scena della commedia Vicolo delle belle (1930) di Saverio Fiducia. Qui, più che altrove, il compositore sembra infatti allontanarsi da più artificiose elaborazioni mu sicali, scrivendo il brano per solo violino (strumento che più di ogni altro identificava quella categoria di suonatori ambulanti), trascurando perfino la richiesta dell’amico drammaturgo che desiderava invece inserire in quella sce na il “canto di un cieco” (es. mus. 1)


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3) Sulle romanze da salotto di Francesco Paolo Frontini si veda Pistone 2008 e Senfette cd 2016.

 1. L’eco della Sicilia nelle antiche canzoni popolari 

 Sulle orme di una moda molto diffusa in Europa, a partire soprattutto dai primi decenni dell’Ottocento, anche Frontini rivolse il proprio interesse alla musica popolare pubblicando cinque raccolte di canti rielaborati per voce e pianoforte. Altri esempi di canti siciliani, più o meno “tradizionali” (di taglio soprattutto popolaresco) e talvolta anche “popolareggianti” d’autore, sempre armonizzati per voce e pianoforte, avevano già visto luce nelle cronache dei viaggiatori stranieri, nelle opere dei primi folkloristi e anche in album musica li prodotti con specifiche finalità commerciali, come quelli pubblicati a Napoli dall’editore Cottrau nella serie dei Passatempi musicali o quello dato alle stam pe dal nobile palermitano Giuseppe Burgio Villafiorita (cfr. Bonanzinga 1989 e 1995). La maggior parte di questi esempi è tuttavia poco rappresentativa ai f ini della reale conoscenza dei repertori folklorici, mentre offre significativa testimonianza riguardo ai gusti musicali del periodo, fornendo anche preziosi spunti di riflessione sui processi di costruzione e definizione del concetto di “popolare”, fortemente mitizzato, specialmente grazie al movimento romanti co, soprattutto attraverso la cosiddetta poesia popolare (cfr. Cirese 1982: 15-23). Il contributo di Frontini si caratterizza, fin dalla prima esperienza, per una duplice natura: se da un lato si allinea sulle consuetudini del tempo, concependo arrangiamenti pianistici a fini didattico-divulgativi o comunque destinati a essere eseguiti al pari di altri repertori “da salotto”, dall’altro egli manifesta invece una esigenza specificamente documentaria, non limitandosi a operare su materiali già editi ma raccogliendo anche esempi di prima mano. Gli “arrangiamenti” di Frontini sembrano difatti aderire a una precisa volontà di rappresentare il mondo popolare siciliano attraverso una scelta piuttosto definita, e per certi versi preventivamente orientata, anche in relazione agli studi sulla cultura tradizionale e sul canto popolare che intanto si andavano affermando in epoca positivista. Non casuale, per esempio, è stata la scelta di inserire nelle raccolte sia repertori provenienti dalle campagne sia cantilene ascoltate nelle città o brani d’autore di carattere “popolareggiante”, nell’intento di offrire un quadro più completo sul canto popolare etneo (es. mus. 2). Così infatti scriveva alcuni anni dopo il musicista catanese Francesco Pastura, di scepolo di Frontini, a proposito delle scelte compiute dal suo maestro, per cer ti aspetti distanti dai criteri adottati da altri studiosi contemporanei – primo fra tutti Alberto Favara – che si erano dedicati alla ricerca e alla divulgazione del canto popolare siciliano: «Il Frontini, spirito più complesso e più aristo cratico, volle affrontare il problema per intero e volle mostrare completamente tutta la natura musicale della gente etnea, attraverso le raffinate melodie citta dine e le spontanee cantilene campagnole» (Pastura 1937). La sua prima raccolta, Eco della Sicilia, venne pubblicata nel 1883 dalla Casa Editrice Ricordi di Milano e comprende cinquanta canti popolari sicilia ni «raccolti e trascritti da Francesco Paolo Frontini», secondo quanto recita il frontespizio. Si tratta in realtà di armonizzazioni per voce e pianoforte – con tre esempi arricchiti da parti corali4 – di canti appartenenti a diversi generi poetico-musicali: canzuni (in endecasillabi), arii e canzunetti (in metri brevi), stornelli, canzoni di intrattenimento su tema amoroso e canti riconducibili a mestieri diversi (contadino, carrettiere, mulattiere ecc.) o al contesto domesti co (ninnananne, filastrocche ecc.)5. Sono del tutto assenti brani di argomento religioso, cui l’autore dedicherà negli anni successivi due specifiche raccolte (vedi infra). Frontini si preoccupa inoltre di realizzare una «interpretazione» dei testi poetici siciliani, fornendone una traduzione italiana che mantenesse invariate la forma metrica e la struttura rimica. Seppure non espressamente dichiarato, sappiamo tuttavia che questa operazione venne affidata dal musici sta a diversi suoi amici catanesi6. L’intento era quello di presentare una raccolta che potesse destare interesse anche tra i non siciliani, i quali, secondo quanto dichiara lo stesso Frontini, avrebbero potuto eseguire ciascun canto seguen do il testo italiano disposto nel pentagramma sotto quello siciliano. Il giovane musicista contava in questo modo di ampliare la vendita e guadagnare fiducia presso il prestigioso editore con il quale collaborava per la prima volta7. Non a caso pensò anche di chiedere a Giuseppe Pitrè – che era stato fra l’altro suo professore di lettere presso il Collegio di musica di Palermo (l’at tuale Conservatorio) – di scrivere la presentazione del volume, anche «per impreziosire l’opera con una così autorevole approvazione». Il musicista, pe raltro, aveva chiesto aiuto al suo ex professore sin dall’inizio del suo lavoro, ottenendo preziosi consigli principalmente sulla scelta dei brani da pubbli care e su come trattare i materiali poetici in relazione alle melodie8. Pitrè, da


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4)  La Canzuna di li carritteri (n. 2) presenta nel ritornello un esteso bicordo per terze parallele con inizio e conclusione all’unisono; il Canto de’ contadini etnei (n. 30) prevede la possibilità di essere eseguito a due voci maschili o femminili; nel brano Alla fontana (n. 13) la linea del canto è affidata ai soprani mentre a un coro maschile (tenori I e II e bassi I e II) è affidata la realizzazione di segmenti accordali monosillabici nelle cadenze intermedie e finali delle strofe (probabilmente nell’intento di ricalcare le consuetudini esecutive del canto polivoca le) e l’esecuzione del ritornello per esteso. 5 Si segnala qui il cd curato da E. Failla e G. Pappalardo (1996) che contiene quattro ro manze estratte da questa raccolta: Malatu p’amuri; Pri tia diliriu e spasimu; Canzuna di li carritteri; La vucca. 6 Informazione ricavata da una lettera dell’1 agosto 1883 spedita da Frontini a Giuseppe Pitrè, oggi custodita presso la Biblioteca del Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe Pitrè” di Palermo (collocazione P.A.6, lettera n. 6). 7 La versione italiana dei testi dialettali non era al tempo consueta fra i maggiori raccoglitori siciliani di poesia popolare (Vigo, Pitrè, Salomone Marino, Avolio, Guastella), fatta eccezio ne per il letterato messinese Letterio Lizio Bruno che nelle sue due raccolte di canti popo lari, proprio per favorirne la diffusione in Italia e Oltralpe, include traduzioni in francese (1867) e in italiano (1871). 8 Informazioni personalmente ricavate dalla consultazione di 22 lettere spedite da Frontini a Pitrè (che vanno dal 4 ottobre 1882 all’1 ottobre 1891) custodite nell’Archivio del Museo Etnografico Siciliano “G. Pitrè” (collocazione P.A.6). Sul rapporto epistolare tra Frontini e Pitrè si rinvia inoltre al lavoro pubblicato nel 1968 dalla demologa catanese Carmelina Naselli  (1894-1971). Sebbene in questo contributo non siano specificamente esaminati diversi aspetti di ordine musicale, vi si trovano numerose informazioni rilevanti basate sulle lettere spedite da Pitrè a Frontini, che Naselli poté allora consultare presso gli eredi, oggi purtroppo non più rintracciabili, nell’archivio di famiglia (ringrazio per l’informazione il dottor Pietro Rizzo, pronipote di Francesco Paolo Frontini, che ha recentemente riordinato i materiali custoditi dalla famiglia, rendendoli in gran parte disponibili anche on line, cfr. sit. n. 1. Lo ringrazio inoltre per avere concesso in maniera del tutto disinteressata le immagini qui riprodotte insieme ad alcuni materiali musicali). 9 Lo stesso Pitrè rivela l’originale destinazione che avrebbe dovuto avere la lettera, speci f icando che la pubblicazione avveniva sulla rivista a causa di un ritardo con cui era giunta all’editore (1883: 435, nota), sebbene un altro fosse stato realmente il motivo (cfr. Naselli 1968: 279). 10 In una lettera del 6 novembre 1882, Pitrè consigliava infatti a Frontini di non occuparsi del canto Supra ’na navicella, che era «un’imperfetta importazione estera», ma di presentare esclusivamente quelle melodie «genuinamente siciliane» (Naselli 1968: 271)

parte sua, era ben lieto di vedere finalmente messo in pratica quanto aveva più volte auspicato durante le sue lezioni al Collegio di musica, raccomandando agli allievi di accostarsi anche alla musica popolare. Pertanto accettò l’invito scrivendo una lunga lettera che avrebbe dovuto costituire la presentazione al volume. Ritenuta tuttavia troppo estesa dall’editore, come si apprende dalla corrispondenza fra Pitrè e Frontini, fu nello stesso anno pubblicata sul perio dico “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”9. Nella lettera-presentazione Pitrè lodava anzitutto l’impegno di Frontini nell’avere finalmente accettato il suo invito a occuparsi di canti siciliani, ma nifestando preferenza nei confronti «del canto veramente tradizionale, della melodia qualche volta aritmica e non di rado indocile di un ritmo esatto e ben f igurato» anziché a quella «melodia nata ieri che è l’espressione più o meno felice di un uomo che, con la grazia della sua ben trovata nota, seppe scen dere nell’animo del popolo». Pitrè ribadisce insomma la priorità del sapere musicale collettivo, e in qualche misura storicamente “sedimentato”, rispetto ai prodotti di tono popolaresco o popolareggiante d’autore che pure sono pre senti nella raccolta. Frontini, sollecitato dall’editore, dovette allora scrivere di fretta una breve presentazione in cui, più che descrivere il carattere generale della raccolta, si limita a giustificare la presenza di canti riconducibili a qualche «melodia del continente», probabilmente in considerazione di alcune critiche che gli erano state mosse da Pitrè10. Questo il testo integrale:

Nel presentare al pubblico questa Raccolta di Canti Popolari Siciliani, intendo solamente dare un saggio delle più caratteristiche fra le canzoni dell’isola. Epperò è da notare, che se qualche melodia del continente si riscontra fra quelle da me raccolte, non è da farmene una colpa. È risaputo, come molte delle più briose ed allegre canzoni del napolitano e dell’Italia meridionale, vanno e fanno il giro dell’isola con delle false forme dialettali;  e così si dica anche di qualche patetica ed amorosa cantilena siciliana, che va nel vicino continente – da ciò, il facile inganno di crederle del paese ove si cantano. Devo, intanto, la mia più affettuosa riconoscenza all’illustre professore Cav. Giuseppe Pitrè da Palermo, che tanta parte ha speso al completamento della mia rac colta, che mi onoro dedicargli.

 L’Eco della Sicilia vantò un ulteriore privilegio, essendo stato l’unico album musicale di canti popolari siciliani che in occasione dell’Esposizione Naziona le di Palermo del 1891 fu esposto all’interno della “Mostra Etnografica Sicilia na”, assumendo pertanto carattere emblematico insieme a strumenti musicali popolari, armamentari dell’opera dei pupi e oggetti della cultura tradizionale isolana (cfr. Pitrè 1892). Valga riportare quanto ne scrive il letterato-folklorista palermitano Girolamo Ragusa nel catalogo generale dell’Esposizione pubbli cato da Treves a Milano nel 1892: 

 […] havvi pure un volume di musica edito dal Ricordi, contenente cinquanta dei migliori canti popolari siciliani, trascritti dall’egregio maestro F. P. Frontini da Ca tania, e intitolato: Eco della Sicilia. V’è nella musica del popolo siciliano una nota melanconica e dolce insieme, che la rende diversa dalla musica degli altri paesi. Di canzoni allegre in Sicilia ve ne sono poche. Sembra che il siciliano non senta il bisogno di espandersi, se non quando soffre. La sua poesia è appassionata e nella sua musica c’è sempre un lamento. In quasi tutte le canzoni che cantano gli amanti sotto le finestre delle loro belle, i carrettieri negli stradali, i prigionieri dietro le sbarre del carcere, le mamme nel cullare i bambini, ci è qualcosa che esprime il rammarico di un popolo che sente profondamente i dolori della vita. [cit. in Bonan zinga 1991: 102] 

 Anche per Ragusa Moleti l’immagine della musica tradizionale e del cantore popolare risultano quindi uniformarsi a una rappresentazione del “mondo siciliano” orientata da ragioni prevalentemente ispirate al “popolarismo romantico”, non diversamente da quanto caratterizzava l’operato di molti stu diosi e letterati dell’epoca che si interessavano alla cultura folklorica (cfr. But titta 1974 e Bonanzinga 2015). Sono d’altronde i medesimi criteri che reggono l’essenza stessa della raccolta frontiniana: non a caso affermava Pastura che in quei canti «è riflessa l’anima del cantore siciliano [e vi sono impressi] i carat teri della razza e l’afflato della terra a cui appartengono» (1937). La considerazione della raccolta di Frontini in relazione ad analoghe pro duzioni musicali del tempo permette di gettare luce su alcune interessanti dinamiche connesse alla stessa genesi dell’opera. Va anzitutto osservato che tra i cinquanta canti «raccolti e trascritti» nell’Eco, si trovano diverse com posizioni d’autore in stile popolareggiante e parecchi esempi ricavati da pre cedenti raccolte di canti popolari siciliani (in ispecie da Vigo 1857 e da Pitrè 1870-71). Di questo aspetto nel volume non viene dato conto in termini chiari e omogenei. Nell’intestazione ai canti vengono esplicitamente menzionati solo gli autori, ove esistenti, di alcuni brani musicali: Salvatore Torrisi (n. 21), Salvatore Pappalardo (n. 33), Giovanni Pacini (n. 40), Bernardo Geraci (n. 41), Martino Frontini (n. 42). È inoltre indicata l’attribuzione di alcuni testi poetici a Giovanni Meli (nn. 11, 17, 23, 40), Giuseppe Guardo (nn. 21, 39) e Giuseppe Bianchi (n. 33). Non si fa invece cenno ai casi in cui l’autore si è basato su fonti riprese dalle antologie dei folkloristi né – almeno in termini espliciti – a quei casi che si può supporre siano collegati a personali esperienze di raccolta. La cosa non deve apparire anomala dato che non si trattava di un’opera a carattere scientifico ma di un album musicale destinato soprattutto a un pubblico di appassionati, per i quali la “originalità” dei componimenti rappresentava comunque un valore aggiunto, senza contare la questione dei “diritti d’autore” che nelle opere di carattere musicale incideva particolarmente. Una lettura più attenta della corrispondenza fra Frontini e Pitrè ha in par te rivelato il percorso intrapreso dal musicista nel “raccogliere” queste melo die. Frontini conosceva ovviamente l’antologia di canti pubblicata da Pitrè nel 1870-71, con la preziosa appendice contenente trentadue “melodie popolari” fornite da vari musicisti locali (cfr. Bonanzinga 1995: 11). Già nella prima let tera inviata da Catania il 4 ottobre 1882 Frontini infatti, nell’illustrare al suo ex docente il lavoro che stava iniziando e chiedendogli espressamente aiuto e consiglio, così tra l’altro scriveva: «Dai canti popolari da Lei raccolti ho potuto raccogliere alquanti motivi delle nenie, ma queste mancano dei versi che fan seguito alla prima strofa». A seguire riporta quindi l’incipit di sette canti: Iu pi li fimmini la vita dugnu; Tricentu pàmpini fannu na rosa; Bedda mia lu tempu vinni; Si pi disgrazia iu perdu Rosa; Pi tia diluru e spàsimu; Mi votu e mi rivotu suspirannu; Avi sett’anni ca fu maritata. Dei sette canti elencati nella lettera soltanto uno (Tricentu pàmpini fannu na rosa) non verrà poi incluso in Eco della Sicilia, mentre gli altri verranno inseriti con accompagnamento di pianoforte aggiunto alla linea del canto lasciata pressoché inalterata. In realtà la vicen da presenta ulteriori sfumature piuttosto interessanti. Va anzitutto osservato che nel proporre l’accompagnamento strumentale a cinque di questi canti (C’è na figghia di massaru; Nici non pozzu esprimerti; Si pi disgrazia iu perdu a Rosa; Giustizia, giustizia miu signuri; Avi sett’anni ca fu maritata, quest’ultimo pubblicato col titolo Canto de’ contadini etnei), Frontini fa di certo riferimento al volume Canti popolari siciliani di Lionardo Vigo del 1857, dove sono incluse cinque melodie per voce e pianoforte fornite da Francesco Flavetti, maestro della Cappella del Senato di Acireale, grazie all’esecuzione di «Sebastiano Pennisi da Aci, cieco appena nato, […] conoscitore non volgare della musicale scienza» (Vigo 1857: 58). Queste trascrizioni coincidono con i canti sopra elen cati, che Frontini afferma di aver «raccolto» dal volume di Pitrè. Il folklorista palermitano si era però limitato a ripubblicarli, sfrondandoli dell’accompa gnamento pianistico e senza fare alcun cenno alla fonte originaria, salvo indi care Acireale come luogo di provenienza. Frontini, che certamente conosceva la raccolta di Vigo, arrangia i cinque canti riprendendo quasi letteralmente l’accompagnamento per pianoforte a suo tempo fornito da Flavetti. La richie sta dei testi a Pitrè appare quindi esclusi vamente motivata dall’esigenza di riprodurre per intero i testi poetici, non riportati neppure da Vigo, fatta ecce zione per il canto C’è na figghia di massaru, pubblicato per esteso (19 strofe) al numero 1391 della sezione Arie della Raccolta amplissima (1870-74), da dove le pagine musicali sono state tuttavia inspiegabilmente espunte11 e che Frontini  non utilizzò o forse consultò superficialmente (altrimenti non avrebbe avuto motivo di chiedere anche questo testo a Pitrè).


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Su tutta questa intricata vicenda si veda in particolare Bonanzinga 2015

 Nel “comporre” l’Eco della Sicilia Frontini ricorre quindi anche a fonti di se conda mano, senza a volte dichiararne l’origine. Ma se per i canti tratti da Vigo il ricalco è del tutto evidente, in altri casi le modalità attraverso cui elabora esempi ricavati da altre fonti risultano più sfumate. Questa procedura si può soprattutto rilevare in alcuni brani che presentano elementi di connessione più o meno evidenti – nella linea melodica e/o nell’armonizzazione – con i materiali editi nella serie Canti popolari siciliani di Giuseppe Burgio Villafiori ta data alle stampe a Milano nel periodo 1870-80 (vedi nn. 8, 23, 26, 29 e 38 dell’Eco). Si rileva inoltre che i titoli assegnati da Frontini ai canti differiscono talvolta da quelli indicati nelle fonti utilizzate. La presenza di composizioni d’autore insieme a canti provenienti da prece denti volumi di folkloristi (Vigo e Pitrè) o da album musicali (Burgio Villafiori ta) spiegherebbe anche perché fra le pagine di Eco della Sicilia – a volte accanto al nome del presunto autore dei versi – soltanto in sei casi si legge «Trascritto da F. Paolo Frontini» (nn. 11, 17, 21, 23, 38 e 39). Molto verosimilmente que sti sono infatti gli unici canti realmente “trascritti” dall’autore, nonostante il termine possa indicare sia l’aver riportato (“trascritto” appunto) su penta gramma un canto di tradizione orale sia l’averlo composto ex-novo, magari a partire da una melodia popolare. Peraltro questa ipotesi chiarirebbe anche il significato di quella espressione «Raccolti e trascritti da F. Paolo Frontini» che figura sul frontespizio, attribuendo al termine «raccolti» il significato di “messi insieme” o più precisamente di “riuniti” in riferimento proprio alla diversa provenienza dei canti. Considerati gli ampi consensi riscossi dall’Eco della Sicilia, nel 1890 Fron tini dà alle stampe una nuova raccolta presso la casa editrice fiorentina For livesi, che allora rivaleggiava con Ricordi e che aveva già pubblicato altri suoi lavori di ambito “classico”: Canti della Sicilia / Canzoni siciliane con interpre tazione italiana / Raccolti e trascritti da F. Paolo Frontini. L’idea di proseguire nella pubblicazione dei canti siciliani era viva in Frontini già dal 1884, come si deduce da una lettera spedita a Pitrè il 14 gennaio di quell’anno da Sesto San Giovanni, località lombarda in cui il musicista si trovava per contrarre ma trimonio con Matilde Moroni. Frontini, dopo aver ringraziato il “professore” palermitano per la «lusinghiera lettera» pubblicata nell’“Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, così scriveva: «Dietro felice risultato della mia prima pubblicazione mi balena nel cervello l’idea di formarne un’altra con le nostre caratteristiche cantilene, e così farle conoscere ai cultori dell’arte di Euterpe. E a Lei che tanto gentile è meco, sono a domandarle su di quale soggetto io mi devo studiare per riuscire nell’intento» (P.A.6, lettera n. 18). Il volume – che vide la luce sei anni dopo – in realtà è formato da venti canti già editi nella precedente raccolta e si configura pertanto come una sorta di edizione ridotta di Eco della Sicilia. Anche questa raccolta fu tuttavia molto apprezzata, tanto da essere ristampata nel 1933 (sempre da Forlivesi). Della prima edizione di Canti della Sicilia il musicista fece dono anche a Elena di Montenegro, Regina d’Italia, «con reverente omaggio» come si apprende da una dedica manoscritta apposta nella copia oggi custodita presso la Biblioteca del Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma (coll. GB 296/37)12.


 12)Devo questa indicazione a Eleonora Di Cintio che ringrazio sentitamente. 

Alle raccolte del 1883 e del 1890 (rist. 1933), se ne aggiunge nel 1936 una terza composta da materiali del medesimo genere: Antiche canzoni di Sicilia, questa volta affidata ai tipi della casa editrice Carisch di Milano. L’opera è de dicata al professore Guido Libertini – archeologo, docente dell’Università di Catania, ma anche appassionato di musica e fondatore della Società Catanese “Amici della Musica” – con il quale Frontini intratteneva sinceri rapporti di amicizia. In una breve nota, posta in basso alla prima pagina, così l’autore presenta il volume:

Questa nuova raccolta di Canti e di antiche canzoni popolari siciliane, integra le mie due precedenti raccolte del genere pubblicate dal Ricordi (Milano 1883) e dal Forlivesi (Firenze 1890). La parte più cospicua dei Canti appartiene alle province orientali della Sicilia e il maggiore numero delle canzoni sono della fine del Sette cento e dei primi dell’Ottocento catanese.

La raccolta contiene venticinque elaborazioni per voce e pianoforte di canti in parte ripresi dall’Eco e in parte inediti. Nell’ordinare i canti Frontini opera in questo caso una suddivisione in base ai generi poetico-musicali così arti colata: Canzoni (1. La pàmpina di l’alivu, 2. Giustizia, 3. Cantu campagnolu, 4. Quannu nascisti tu, 5. Cantu di minera, 6. Cantu di Vicarìa, 7. A la finistra nun ti cci affacciari, 8. ’Mmasciata, 9. Amuri, amuri quannu si luntanu); Arie d’amore (10. Custanza, 11. Nici, ricordati, 12. La rosa, 13. La ficu, 14. La nespula, 15. Celu comu mi lassi); Ninna-nanne (16. Sant’Antuninu quann’era malatu, 17. Figghiu miu, ti vogghiu beni); Stornelli (18. Ciuri di ciuri); Arie giocose (19. Lu ’ngui, lu ’nguì, lu ’nguà, 20. Mi pozzu maritari, 21. N’avemu una, 22. Catarina, Catarinedda, 23. Ju pi li fimmini, 24. Trilla e trilla); Gioco cantato da bimbi (25. Olè, olè, olagna). Con questa pubblicazione il musicista conclude l’opera di rac colta dei repertori, continuando invece nell’interessante ricerca dei repertori religiosi, come meglio sarà di seguito illustrato. Va inoltre ricordato che le raccolte di Frontini furono prese in considera zione anche in ambito nazionale e perfino all’estero da studiosi e musicisti che si dedicarono al canto popolare. Nel Saggio di 40 melodie che conclude la prima parte del volume La Sicilia musicale di Leopoldo Mastrigli, pubblicato a Bologna nel 1891, sono contenute – insieme a ventuno trascrizioni presenti nella raccolta di Pitrè – diciannove melodie (nn. 17, 21-28 e 31-40) estratte dall’Eco della Sicilia e riprodotte prive dell’accompagnamento per pianoforte, talvolta trasportate in altre tonalità (cfr. Mastrigli 1891, Saggio: 1-30). Sono in vece complete di accompagnamento le nove melodie estratte dall’Eco e ripub blicate a New York da Eduardo Marzo nella raccolta Song of Italy (1904: nn. 57-65), volume destinato soprattutto agli emigrati italiani in America. È inte ressante sottolineare – anche al fine di evidenziarne il rilievo – che le raccolte di Frontini (1883 e 1890) furono le uniche testimonianze riguardanti la Sicilia prese in considerazione nella raccolta americana del Marzo.

 La tavola che segue offre un quadro sintetico del repertorio attestato nelle tre raccolte di canti “profani” editi da Frontini, con indicazione dei riscontri con le precedenti fonti edite implicate



2. Le raccolte di canti religiosi 

Frontini dedica due specifiche raccolte ai “canti religiosi”. Sia per il contenuto sia per le modalità di reperimento dei canti e per il modo in cui sono stati trattati in fase di elaborazione, queste due pubblicazioni presentano un inte resse maggiore rispetto a quanto attestato nelle tre raccolte di canti profani13. Nel 1904 viene pubblicata a Milano, presso l’editore Giudici & Strada, la raccolta Natale siciliano, dedicata all’ormai anziana madre Angioletta Sènia, che morirà nel 1908. Il volume comprende le seguenti sei trascrizioni di canti e brani strumentali: 1. Litania e Pastorale della cornamusa; 2. Canzone di Natale; 3. Zampognata; 4. Pastorale; 5. Il Natale cantato dagli orbi;  6. Cantu di vicaria 18. Ciuri di ciuri! Si fussi apuzza cugghirìa lu meli 17. Figghiu miu ti vogghiu beni Frontini dedica due specifiche raccolte ai “canti religiosi”. Sia per il conte nuto sia per le modalità di reperimento dei canti e per il modo in cui sono stati trattati in fase di elaborazione, queste due pubblicazioni presentano un inte resse maggiore rispetto a quanto attestato nelle tre raccolte di canti profani13. Nel 1904 viene pubblicata a Milano, presso l’editore Giudici & Strada, la raccolta Natale siciliano, dedicata all’ormai anziana madre Angioletta Sènia, che morirà nel 1908. Il volume comprende le seguenti sei trascrizioni di canti e brani strumentali: 1. Litania e Pastorale della cornamusa; 2. Canzone di Natale; 3. Zampognata; 4. Pastorale; 5. Il Natale cantato dagli orbi; 6. Canzonetta per la Novena (i numeri 1, 3 e 6 sono brani strumentali). Il titolo del brano che apre la raccolta richiama il canto delle Litanie laure tane, ma si tratta di una versione esclusivamente strumentale che rivela nella tessitura armonica lo stile musicale tipico delle novene di Natale eseguite con la zampogna. Gli zampognari usavano difatti adattare sul loro strumento l’intonazione canonica della Litania, giustapponendola ad altre melodie tipiche


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13 Sulla questione si veda in particolare Bonanzinga 1995: 22.

del Natale, come appunto la Pastorale. Frontini in questa circostanza riproduce quindi nel suo arrangiamento un’associazione fra temi musicali tuttora ricorrente nel repertorio degli zampognari della Sicilia orientale (che usano strumenti a canne melodiche di eguale misura che si usa definire “a paro”)14.


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14 Sulle tipologie di zampogna presenti in Sicilia si vedano in particolare: Guizzi e Leydi 1983; Staiti 1986; Bonanzinga 2006a.

Piuttosto interessante risulta il brano Natale cantato dagli orbi (es. mus. 3), che esplicitamente rinvia alle novene eseguite dai cantastorie ciechi, catego ria di suonatori ambulanti allora fiorente nei paesi e nelle città dell’Isola15. Il testo poetico riportato sul pentagramma coincide con la prima strofa di uno fra i più diffusi canti natalizi siciliani: A la notti di Natali, tuttora eseguito in numerose varianti. Il musicista non riporta il testo integralmente, limitandosi ad annotare: «Segue la lunga storia della nascita del Bambino Gesù, sempre sulla stessa melodia» (Frontini 1904: 14). Alla parte cantata segue un interlu dio strumentale che riecheggia i motivi delle pastorali. Non è da escludere che Frontini abbia potuto ascoltare direttamente questo canto da suonatori-canto ri ciechi conosciuti nell’Ospizio di beneficenza di Catania. I due brani Canzone di Natale (n. 2) e Canzonetta per la novena (n. 6) sem brano invece rientrare nel tipico repertorio chiesastico: l’accompagnamento strumentale – con sequenze di accordi fissi e suoni tenuti al basso – richiama infatti quello normalmente realizzato con l’organo o l’armonium nei repertori liturgici e paraliturgici. A proposito di questa raccolta Pitrè in una lettera rivolse a Frontini parole di affetto e apprezzamento16

 […] Tra gli artisti e compositori dell’Isola voi siete, se non il solo, uno dei pochissi mi che comprendono la bellezza e la grazia delle melodie del popolo. Pur compo nendone di belle e di graziose, Voi sapete apprezzare queste vaghe e dolci reliquie d’un passato che non ebbe storia, e serbate a durevole monumento, delle note piene di sentimento squisito e di candore verginale. Altri non penserà neppure a ringraziarvi dell’opera patriottica da voi compiuta; io Vi ammiro. 

Il volume è inoltre impreziosito da una copertina a colori in cui compaiono due “schizzi dal vero” acquerellati. In alto a sinistra è riprodotto uno zam pognaro in abiti tradizionali che regge uno strumento di grandi dimensioni, del tutto simile alla grande zampogna “a chiave” (con canne melodiche asim metriche) presente in Sicilia soltanto nel territorio di Palermo-Monreale (cfr. Bonanzinga 2006a). In basso a destra è invece raffigurato un momento della novena degli orbi, in cui si distinguono tre suonatori di violino – uno dei quali intento a declamare o cantare – e un suonatore di citarruni (bassetto o violon cello) dinanzi a una edicola votiva (cona) dedicata ai santi Cosma e Damiano. 


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15 Sui cantastorie ciechi in Sicilia si vedano: Garofalo e Guggino d1987; Guggino 1980, 1981, 1988; Bonanzinga 2006b. Riguardo alle tradizioni musicali del Natale in Sicilia si rin via in particolare ai lavori di Girolamo Garofalo (d1990, 1997) e Sergio Bonanzinga (1999). 16 Nel già ricordato contributo di Caterina Naselli (1968: 285) questa lettera viene datata 1 gennaio 1894. Riponendo fiducia esclusivamente sul contributo della studiosa (non poten do verificare direttamente in assenza delle lettere oggi scomparse) si escluderebbe l’ipotesi che il pensiero espresso da Pitrè potesse fare riferimento a una delle precedenti raccolte, e che pertanto si sia trattato verosimilmente di un errore di trascrizione o di stampa, conside rato che la raccolta sul Natale venne pubblicata nel 1904.

 L’immagine rispecchia pienamente la tradizione catanese degli orbi, ancora vitale fino agli anni Settanta del secolo scorso (cfr. Bonanzinga 2006b: 85-88). La verosimiglianza della raffigurazione trova conferma in questa descrizione fornita da Carmelina Naselli

Davanti alle cone la novena si fa o col suono delle ciaramelle o con quello degli strumenti a corda, ossia con la partita. Nella sua forma completa e tipica la “partita” è una piccola orchestra di due violini, un violoncello, un contrabbasso, una chitarra; il canto di rito è la Litania della Vergi ne. Il pueta, generalmente cieco, canta i nanareddi, intramezzando ad essi qualche battuta scherzosa […]. Le “partite” più semplici risultano di un violino, di un vio loncello e di una chitarra, o anche solo del violino e della chitarra, ma non sono per ciò meno poetiche: udite la sera tardi o la mattina di buon’ora suscitano un’onda di commozione inesprimibile. [1931: 66]

 Trascorsi due anni dalla pubblicazione di Antiche canzoni di Sicilia, nel 1938, ancora presso Carisch, Frontini pubblica l’ultima sua raccolta: Canti Re ligiosi del popolo siciliano «raccolti e armonizzati» e con note illustrative del musicista e musicologo catanese Francesco Pastura (1905-1968). Scompaiono quindi dal frontespizio il termine «trascritti» e il riferimento al pianoforte quale strumento d’accompagnamento, presenti invece in tutte le precedenti raccolte. L’immagine di copertina raffigura un suonatore di violino di fronte a una edicola votiva posta sulla facciata di una casa: scenario analogo a quello sopra descritto da Naselli e confermato nella nota di Pastura (vedi infra). In basso a destra si legge chiaramente la firma Molino, con l’iniziale del nome poco chiara17. Il volume comprende ventidue trascrizioni di brani vocali sia di carattere popolare-devozionale sia di genere specificamente liturgico. Due di questi canti (nn. 5 e 6) erano già stati pubblicati nella precedente raccolta sul Natale, ma qui vengono riproposti con titolo diverso e nuovo accompa gnamento: 4. La nascita del Bambino Gesù (Catania); 5. La nascita del Bambino Gesù (Palermo).  Il volume è diviso in due parti. Nella prima sono compresi undici canti re lativi al Natale: 1. Litania e Pastorale della cornamusa; 2. Canzonetta natalizia (I); 3. Canzonetta natalizia (II); 4. La nascita del Bambino Gesù (Catania); 5. La na scita del Bambino Gesù (Palermo); 6. Pastorale; 7. Canzone di Natale; 8. A Gesù Bambino (I); 9. A Gesù Bambino (II); 10. Canzonetta di Pastori; 11. Tantum ergo “pastorale”. Nella seconda, intitolata Canti vari, sono invece inclusi: 12. Litania; 13. Preghiera a Maria Vergine; 14. Un saluto a Maria SS.; 15. Alla Regina del cie lo; 16. E viva Maria; 17. Canzoncina dopo la Benedizione Eucaristica; 18. Al SS. Sacramento; 19. Rosario del SS. Sacramento; 20. Gloria Patri; 21. Pange lingua (I); 22. Pange lingua (II). Come si vede sono inspiegabilmente assenti i repertori connessi alla Settimana Santa – dai canti polivocali a quelli monodici o ai rosari – che non dovevano certo essere meno significativi e diffusi degli altri18.


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17 Potrebbe trattarsi di quel Walter Molino (1915-1997) che diverrà uno fra i più noti illustra tori italiani e che al tempo viveva a Milano, dove aveva sede l’editore Carisch

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 18 Sui canti della Settimana Santa in Sicilia si vedano in particolare Macchiarella 1993 e Giordano 2016: 237-309.

 A eccezione del già segnalato esempio palermitano (n. 5), Frontini raccolse tutti i canti a Catania e provincia (in due casi indica la località di provenienza), come lui stesso dichiara in chiusura alla sua breve introduzione al volume:

Con questi “Canti religiosi”, in cui si rispecchia l’aspetto mistico dell’anima del popolo siciliano, completo la raccolta dei canti popolari della mia Isola, iniziata nel 1883 (Eco della Sicilia - Ed. Ricordi) e proseguita nel 1890 (Canti della Sicilia - Ed. Forlivesi), nel 1904 (Natale Siciliano - Ed. De Marchi) e nel 1936 (Antiche canzoni di Sicilia - Ed. Carisch S. A.). Il testo italiano di alcune canzoncine sacre – o per Natale o in lode della Vergi ne Santissima – deve attribuirsi principalmente al rapido diffondersi nelle chiese, delle poesiole sacre che S. Alfonso M. De’ Liguori racchiuse nel suo libretto di devozione “Massime Eterne”; l’esempio del santo non tardò di essere imitato da ignoti poeti. È da notare però, che ogni melodia – sia monodica che corale che riveste il testo italiano – rispecchia intatti i caratteri etnofonici del canto popolare siciliano. Anche questa – come le mie precedenti raccolte – comprende canti in prevalenza della provincia di Catania, e la maggior parte di essi appartengono al secolo XIX.

 È interessante notare il carattere per certi aspetti decisamente diverso che questa raccolta assume rispetto alle precedenti. Anzitutto si rileva che sul frontespizio non appone nessuna dedica, diversamente da quanto fatto nelle precedenti raccolte e in numerose altre composizioni, perlopiù offerte a per sonaggi illustri dell’epoca. Con molta probabilità si è trattato di una volontaria scelta del musicista che, principalmente a causa dell’età ormai avanzata, si distacca sempre più dal contesto culturale che lo circonda. Frontini ha or mai infatti 78 anni – morirà l’anno successivo, nel 1939 – e sembra oltretutto avere maturato un diverso approccio al canto popolare, soprattutto nel caso di questi repertori legati alla dimensione devozionale e che, nella sua visio ne, «rispecchiano l’aspetto mistico dell’anima del popolo siciliano» (Frontini 1939). Questa raccolta costituisce quindi, in qualche misura, il riflesso di un percorso spirituale avviato già da tempo dal musicista, anche in ragione della sincera amicizia che lo legò all’arcivescovo di Catania, il cardinale Giuseppe Francica Nava. Il fatto non era peraltro sfuggito ai più attenti osservatori di quegli anni, tanto che il musicista dovette perfino subire gli strali del locale periodico satirico “Il Dartagnan”, ove apparse un articolo dal titolo La conver sione al cattolicesimo del Maestro Francesco Paolo Frontini (1898). Per la redazione delle note illustrative che introducono le due parti del vo lume, Frontini si affida al suo allievo Francesco Pastura. Questi descrive sin teticamente le occasioni associate ai canti, offrendo un’idea piuttosto chiara dei contesti rituali del Catanese negli anni Trenta del secolo scorso. Riguardo ai canti del Natale scrive a esempio:

 In questa prima parte sono compresi i Canti natalizi che vengono eseguiti nelle chiese, nelle case e sulle strade durante i nove giorni che precedono il Santo Natale. Le laude al Bambino nel testo italiano, rivestite delle melodie tradizionali, vengono cantate nelle chiese delle città e dei paesi accompagnati dall’organo o dall’harmo nium. Nelle chiesette di campagna il testo diventa dialettale e le ingenue melodie vengo no accompagnate dalla cornamusa; nelle località sperdute nella vasta Piana di Ca tania o nel bosco etneo, frequentemente l’accompagnamento viene improvvisato col friscalettu (zufolo) e il tamburello. Nelle case della città, durante la novena, il ciaramiddaru (suonatore di cornamusa) esegue davanti al Presepio le tradizionali Litanie seguite dalla Pastorale che qui inizia la raccolta. Nelle strade, davanti alle icone, la novena viene eseguita da un gruppo di suonatori (un violino, un violoncello e una chitarra) che cantano le litanie alla Vergine uno alla volta. Ma c’è ancora un’altra celebrazione del Natale, più umile e più devota; quella fatta dai suonatori ciechi, i quali, nelle prime ore dell’alba, passano per le case dei de voti, ed eseguono il loro semplice canto accompagnato dal solo violino, come gli antichi rapsodi, dietro la porta.

Da queste righe emerge pertanto che non vi è stato in questo caso il re cupero di reper tori ormai prossimi alla scomparsa o ripresi da altre raccolte (come era avvenuto per le prece denti pubblicazioni). È invece verosimile che questi “canti religiosi” siano stati effettivamente documentati in contesti ce lebrativi pienamente vitali. Una conferma giunge dalla recensione pubblicata nel novembre del 1938 dallo storiografo Guglielmo Policastro sul periodico “Il popolo di Sicilia”, dove tra l’altro si fa esplicito riferimento alla novena degli orbi raccolta da Frontini:

[…] Degna di un particolare accenno è la riproduzione del canto dei ciechi nella novena del Santo Natale, caratteristica tradizione popolare che ha in quasi tutti i paesi della Sicilia una espressione musicale presso a poco identica. Tale consuetu dine del resto non può dirsi del tutto tramontata ed estinta, giacché oggi giorno, in pieno secolo ventesimo, nel secolo cioè del velivolo e della radio, questo rito non è ancora scomparso e durante la novena natalizia, nelle città e nelle campagne, si vedono dinanzi alle icone parate a festa o agli altarini improvvisati nelle rivendite queste compagnie erranti di orbi che sono contemporaneamente suonatori di violi no e di contrabbasso e poeti improvvisati di versi celebranti la natività.

Nella stessa recensione si fa anche cenno al canto Aduramu in ogni stanti (es. mus. 4), sottolineando che «tuttora si canta nella sua primigenia inge nuità sia nelle chiese di città che di campagna». In effetti fino agli anni Cin quanta del secolo scorso era consuetudine abbastanza diffusa in molti paesi della Sicilia quella di sostituire il Laudate Dominum previsto al termine della benedizione eucaristica che di norma concludeva il rosario pomeridiano, con questo canto: lo stesso più volte riscontrato ancora oggi – e peraltro con me lodia pressoché uguale – in diverse località con varianti melodiche e testuali (cfr. Giordano 2016). 

Anche la nota illustrativa che Pastura antepone alla seconda parte della raccolta (Canti vari) offre interessanti informazioni sui modi di esecuzione e sulle occasioni rituali:

Questa seconda parte raccoglie canti sacri in onore della Vergine e canti eucaristici. La massima parte dei primi si esegue durante il mese di maggio nelle chiese o in feste particolarmente dedicate a Maria SS. come per es. il canto “Evviva Maria”, è un canto processionale che il popolo esegue nella festa dell’Immacolata Concezione. Il Rosario al SS. Sacramento viene cantato durante le Quarantore nelle chiese e la prima parte di esso durante le processioni del Corpus Domini, con o senza accom pagnamento. Del “Pange lingua” si eseguono generalmente le ultime due strofe (“Tantum ergo” e “Genitori”) prima della Benedizione Eucaristica. La laude dialettale, Aduramu in ogni ‘stanti, segue sempre nelle chiese dei paesi, la Benedizione.

Sono tra l’altro presenti anche alcuni canti in italiano fra i più noti della tradizione popolare, quali il celeberrimo Tu scendi dalle stelle e il canto mariano Mira il tuo popolo, che qui compare col titolo Alla regina del cielo. Sulla scelta, forse poco comune per la moda del momento, di includere anche questi canti in una raccolta di melodie popolari siciliane, lo stesso Frontini – come già ricor dato – chiarisce che indipendentemente dalla lingua impiegata l’intonazione musicale «rispecchia intatti i caratteri etnofonici del canto popolare siciliano» (cfr. supra). All’impiego della nozione di “etnofonia” sarà dedicata la parte con clusiva di questo contributo, ma valga qui intanto segnalare che con l’espres sione «caratteri etnofonici» il musicista intende alludere allo stile esecutivo dei canti e anche alle variazioni che melodie o testi poetici di origine culta su biscono in seguito alla loro “discesa” in ambito folklorico. La scelta di inserire anche questo genere di canti viene così illustrata da Pastura in un altro articolo apparso nell’ottobre del 1938 nel già citato periodico “Il popolo di Sicilia”:

In queste melodie che chiameremo cittadine, che tradiscono la mano di un com positore se non esperto almeno smaliziato, l’andamento è più agghindato da re miniscenze profane – e però anche se la linearità del canto rimane sempre inte ressante – all’orecchio esperto non può sfuggire la derivazione sia pure abilmente adombrata.  

Dal punto di vista della trascrizione musicale e dunque della loro armo nizzazione, rispetto alle precedenti raccolte, sembra che il musicista abbia qui avuto un maggiore controllo nel trattare il materiale di cui disponeva. A questo proposito è interessante quanto scrive Guglielmo Policastro nella sopra citata recensione:

 Anche in questa fatica […] il maestro non si scosta un momento dal suo obiettivo artistico, cioè non aggiungere nulla di suo, o soltanto qualche correttivo a quella o a questa liberale licenza di contrappunto, perché la trascrizione riesca più esatta alla fertile fantasia da cui ebbero a germogliare queste espressioni originali della fede popolare.

Ai fini di una più generale contestualizzazione di quanto scrive Policastro è bene ricordare la polemica che Pastura aveva innescato nei confronti del già defunto Alberto Favara (1863-1923) in un articolo pubblicato nel 1937 con il titolo Gridi e cantilene del popolo siciliano. Noterelle di un catanese. L’allievo di Frontini critica anzitutto Favara per il fatto che nei Canti della terra e del mare di Sicilia (1907-1921), opera divulgativa contenente rielaborazioni per voce e pianoforte, non era rappresentata l’area del Catanese, mentre figuravano canti di tutte le altre province, concludendo col seguente:

E se il Favara raccolse esclusivamente le cantilene melodiose dedicando tutta la sua passione e tutta la sua sapienza a restaurarle e ad ingemmarle di preziosismi armo nistici, se egli, col suo paziente lavoro, mirò soltanto a conservare il canto limpido e puro del popolo, si accorse che il carattere della raccolta frontiniana era un poco diverso da quello che egli volle dare alla sua?

Pastura si riferiva al fatto che Favara «aveva raccolto soltanto i canti della gente che vive nelle campagne», mentre Frontini si era occupato anche dei repertori musicali in uso negli ambienti cittadini, per concludere affermando in tono perentorio: «Francesco Paolo Frontini fu, per la Sicilia, il primo rac coglitore di canti popolari», rivendicando così il primato cronologico dell’Eco della Sicilia, in chiara polemica con Favara che aveva, dal canto suo, liquidato le prime due raccolte di Frontini con un giudizio del tutto negativo in un arti colo pubblicato nel 1898 sul periodico palermitano “Arte musicale”:

Buon numero di canti che ci dà il Frontini sono apocrifi, non hanno di popolare che la veste, in alcuni vi è perfino il nome dell’autore; e non sono naturalmente i più belli! Il Frontini addossò loro un accompagnamento di pianoforte, che quasi sempre deturpa il canto. Il canto popolare, nato vergine di armonia polifonica, per de, se lo si accompagna, la sua libera andatura, la sua originale fisionomia; tutt’al più può sopportare i più semplici e tranquilli accordi, o la riproduzione fedele nello strumento del suo giro melodico. [Favara 1959: 21]

Va qui naturalmente ricordato che, al tempo in cui scrive Pastura, erano soprattutto note le due già menzionate raccolte di canti elaborati per voce e pianoforte, mentre scarsa circolazione avevano avuto gli altri scritti di Favara sul canto popolare (poi riuniti in Favara 1959) e restava del tutto ignoto l’enor me lavoro di raccolta che sarà poi sistematizzato da Ottavio Tiby nel Corpus di musiche popolari siciliane, pubblicato postumo soltanto nel 1957 (si veda in questa stessa sede il contributo di Sergio Bonanzinga). Un altro aspetto che merita di essere posto in evidenza, sebbene non trovi riscontro in nessuna dichiarazione esplicita da parte di Frontini, riguarda una ulteriore possibile destinazione della raccolta Canti religiosi del popolo siciliano. Appare infatti lecito ipotizzare che il musicista – forse incoraggiato dall’amico Arcivescovo o da altri personaggi di ambiente ecclesiastico – abbia pensato a un possibile impiego didattico di questo materiale. Alcuni aspetti stilisti co-formali suggeriscono infatti che la finalità del lavoro possa essere stata an che quella di offrire uno strumento “pratico” per l’esecuzione in contesti cele brativi, se non di tutti, almeno di alcuni di questi canti tanto cari ai fedeli del luogo: operazione che tra l’altro rientrava nel più generale clima di risveglio pastorale che la Diocesi di Catania stava vivendo nell’attuare le disposizioni f issate nel Sinodo del 1918 (cfr. Di Fazio 1982). Non a caso, per esempio, in questa raccolta Frontini inserisce due canti natalizi (La nascita del Bambino Gesù e Pastorale), già presenti nella precedente pubblicazione del 1904, ma qui trasportati in una tonalità più “adatta”, per così dire, alle voci di un coro di fedeli e oltretutto fornendo un nuovo accompagnamento semplificato. Quasi tutti i brani della raccolta presentano in realtà accompagnamenti pensati per essere eseguiti all’organo o all’armonium, come dimostra tra l’altro la ricor rente presenza di suoni tenuti, poco consoni alle risorse espressive del piano forte che, come ricordato, non viene neppure menzionato nel frontespizio. L’ipotesi risulta rafforzata dalla presenza nella raccolta di alcuni canti in latino di carattere prettamente liturgico: le Litanie lauretane a due cori (n. 12); un Tantum ergo “pastorale” (es. mus. 5) eseguito – come Frontini segnala in nota – durante la novena di Natale (n. 11); due Pange lingua (nn. 21 e 22), di cui il secondo, a due voci, attribuito a Vincenzo Bellini e – allora come oggi – canta to il Giovedì Santo durante la processione eucaristica della reposizione, sia nel Duomo di Catania sia in altri paesi del circondario etneo (es. mus. 6). Non è infine casuale che il volume si chiuda proprio con la composizione attribuita al “Cigno catanese”, quasi a suggello di qualità musicale e marca identitaria, come sottolinea Policastro nella sopra citata recensione: «Noi esprimiamo la nostra viva e commossa ammirazione a Francesco Paolo Frontini, sia per l’o pera compiuta che è una prova d’amore verso questa terra sia per aver messo quasi la sua preziosa fatica sotto la luce immortale di un nome glorioso quale è quello di Vincenzo Bellini»


 3. Frontini e i nuovi orientamenti “etnofonici”

 È significativo che Frontini abbia affidato la stesura delle “note illustra tive” dei Canti religiosi al discepolo Pastura: un giovane musicologo che si era formato in un’epoca segnata da un radicale rinnovamento dei metodi di studio e di ricerca sulla musica popolare, grazie soprattutto all’apporto fornito tra le due guerre da studiosi quali Mario Giulio Fara, Cesare Caravaglios e Francesco Balilla Pratella (si vedano i contributi relativi pubblicati in questa stessa sede). L’impiego della nozione di “etnofonia” nella breve premessa ai Canti religiosi rivela d’altronde che Frontini aveva recepito in qualche misura questi sviluppi metodologici, pur non arrivando mai ad applicarli in termini sistematici. Appare tuttavia rilevante, in questa prospettiva, il coinvolgimento del mu sicista catanese nella compilazione della sezione dedicata alla Sicilia nel Primo documentario per la storia dell’etnofonia in Italia: un’ambiziosa opera che approda alle stampe in due volumi solo nel 1941 per la cura di Francesco Balilla Pratella19, ma la cui preparazione si avvia già nel 1933 per iniziativa del Comitato Nazionale Italiano per le Arti Popolari (CNIAP). È questa anche l’ul tima indagine sulla musica popolare condotta senza l’impiego di strumenti per il rilevamento sonoro «ed è significativo che essa venga spesso ricordata quale esemplificazione del ritardo teorico e tecnico che ha contrassegnato in Italia questo settore di studi» (Bonanzinga 1995: 35). Frontini vi contribuisce fornendo sei trascrizioni musicali: due canzoni satiriche legate al mondo con tadino (1. E la pàmpina di l’olivu; 2. A calata di li tenni), una ninnananna (3. Sant’Antuninu quann’era malatu), un gioco cantato (4. Olè, olè, olagna) e due richiami di venditori (5. Gridi di venditori di sale; 6. Gridi di venditori di pomo doro). Queste “trascrizioni”, realizzate a scopo esclusivamente documentario e quindi prive di accompagnamento pianistico, sono corre date da informazioni sulle occasioni, sugli esecutori e sul modo di esecuzione. L’unico con tributo di Frontini a una già pressoché esausta “etnofonia” italica risulta quindi dall’in terferenza fra questi materiali e i commenti che vi aggiunge Pratella, che per questa ragione vale la pena riportare per esteso insieme alle trascrizioni (Pra tella 1941: II, 462-464)

 1. E la pampina di l’olivo Canzone di lavoro, corale a due voci per terze parallele, trascritta a Catania il 6 agosto del 1933, avendola appresa dalla viva voce del popolo, che la cantava per tradizione. Il trascrittore avverte: «Pubblicata già nella raccolta Eco della Sicilia di F. P. Frontini (Ed. Ricordi), esaurita».

Il M. Frontini, benemerito raccoglitore di etnofonia siciliana, pur dichiarando que sta canzone già edita da lui, ma in pubblicazione esaurita ed introvabile, ha creduto  opportuno mandarcela ed in via eccezionale. E noi, a nostra volta, l’abbiamo senza esitazione riportata qui, data la sua rarità e bellezza particolare. La poesia ha carattere di stornello. La melodia, di gusto schiettamente regionale, di modo maggiore, e a due voci per terze parallele, è piena di fascino e presenta aspetto settecento-ottocentesco. Essa si incontra anche, e molto rimaneggiata, in Le più belle canzoni d’Italia di Geni Sadero: quaderno n. 1010, Pampina, pampinedda, che l’elaboratrice definisce: Canzone delle vendemmiatrici siciliane; facendola seguire, per aggregazione, a un distico in endecasillabi su melodia differente, la qual melodia corrisponde a quella n. 39, che si trova a pag. 29 dell’Appendice Saggi di 40 melodie in La Sicilia musi cale di Leopoldo Mastrigli (Bologna, Schmidl, 1891), sulle parole: Mamma nun mi mannati all’acqua sula. Da notare che nel distico e nel ritornello: Oh! la pàmpina, pampinedda! Oh! la pàmpina, pampinà della lezione della Sadero – pubblicata nel 1921 – non viene mai fatta allusione alcuna, né diretta, né indiretta, alla vendem mia e alle vendemmiatrici.


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19 Si veda in questa stessa sede il contributo di Cristina Ghirardini.

2. A calata di li tenni Canzone satirica, corale monodica trascritta a Catania il 6 agosto del 1933, avendo la appresa dalla viva voce del popolo, che la cantava per tradizione.  Strofa di canzonetta borghese. La sua melodia di modo maggiore e di aspetto otto centesco, ha molte affinità con quella tipica del Maggio toscano. [Si vegga: Toscana, provincia di Pistoia, 38°, Il Maggio: È finito il crudo inverno e canti del Maggio che vengono in seguito. Si veggano pure in altra parte i raffronti melodici]. Da notare l’alterazione della terza – da maggiore a minore – alle parole sorti... ppi putìriti..., da attribuirsi certamente, come in altri casi già incontrati, ad oscillazione involontaria della voce di chi canta. 3. Ninnananna: Sant’Antuninu quann’era malatu Canto familiare, solistico, trascritto a Catania il 6 agosto del 1933, avendola appresa dalla viva voce della madre.

Si tratta certamente di un’antica orazione trasformata in ninna nanna e scelta come scongiuro contro una reale od eventuale malattia. La melodia, di modo minore e di antica origine sei-settecentesca, si discosta dal ge nere “motivi circolari”, molto comune nelle orazioni, nelle ninna nanne e nelle can tilene infantili, per avvicinarsi ad altro, in cambio di carattere meridionale e di cui s’incontra un saggio affine nella melodia dell’Orazione della Madonna di Sessa Au runca (Caserta), raccolta e trascritta dall’Avv. G. Fiore. (Si vegga in Bibliografia etnofo nica della Campania: Pubblicazioni interprovinciali. In altra parte i raffronti melodici). Anche in questa melodia è da notare, nella quarta misura di tempo, alla parola Santi, l’alterazione anormale della terza – da minore a maggiore questa volta – fatto di cui ci siamo già occupati più di una volta, precedentemente. 

4. Olè, olè, olagna Canto infantile, corale monodico, trascritto a Catania il 6 agosto del 1933, avendolo raccolto dalla tradizione. Cantilena per gioco infantile. La melodia partecipa del genere “motivi circolari”, con codetta di chiusura. Presenta il caratteristico modo maggiore. Se ne vegga una variante palermitana in Canti popolari siciliani di Giuseppe Pitrè – Appendice mu sicale al Volume 2° (II Ediz. 1891), n. 15: Olè, olè, olè: ha vinutu lu Viciarè. In altra parte i raffronti melodici.

5. Gridi di venditori di sale Gridi di venditori, trascritti a Catania il 6 agosto del 1933, e raccolti dalla viva voce dei venditori stessi. L’intonazione melodica si dimostra, per i suoi intervalli, di gusto schiettamente orientale. 6. Gridi di venditori di pomodoro Gridi di venditori, trascritti a Catania il 6 agosto del 1933, e raccolti dalla viva voce dei venditori stessi.

Intonazione melodica di gusto greco-orientale antico, dati i suoi intervalli croma tici e la nota finale.

 Le osservazioni di Pratella prendono in considerazione aspetti relativi alla f ilogenesi dei canti, inscrivendo ciascun brano all’interno di un genere specifi co (canti di gioco, orazione, stornello ecc.) e soffermandosi anche su questioni più specificamente musicali (l’impianto tonale, le alterazioni, i cromatismi). Nel canto di gioco Olè, olè, olagna (n. 4) il musicologo individua il “motivo circolare”, ovvero vi riconosce una formula melodico-testuale «di frase breve e ripetentesi melodicamente all’infinito» (Pratella 1941, II: 485), con la coda f inale. Altrettanto interessanti sono le relazioni che Pratella individua fra gli esempi siciliani (non soltanto quelli forniti da Frontini) e altri repertori atte stati altrove e inclusi nel volume da lui curato. Il contributo di Frontini allo studio del canto popolare, sebbene resti so stanzialmente ancorato a schemi tardoromantici, presenta pertanto una certa evoluzione, dovuta anche al lungo periodo entro cui si dispiega (1883-1938). Negli ultimi decenni dell’Ottocento prevaleva, com’è noto, soprattutto l’inte resse per l’aspetto verbale del canto popolare, mentre il musicista catanese è fra i primi ad avere trattato i canti nella loro reale dimensione poetico-musi cale20. Già a partire dall’Eco della Sicilia appare chiaro come l’autore, pur non dichiarandolo espressa mente, abbia avuto in mente un progetto preciso di “raccolta” di canti popolari finalizzata a presentare un quadro rappresentativo dei vari generi presenti in Sicilia, nei contesti sia rurali sia urbani. Inoltre, se nei primi volumi emerge soprattutto il desiderio di Frontini di affermare la propria “sicilianità” acquisendo notorietà in campo artistico, nelle due raccolte di canti religiosi affiora invece il progetto di realizzare un corpus circoscritto tanto sotto il profilo territoriale (l’area del Catanese, con due sole eccezioni ri ferite al Palermitano) quanto in ordine ai repertori indagati (devozionali, litur gici e paraliturgici). Una specifica ed esclusiva finalità documentaria emerge infine nelle trascrizioni incluse nella silloge curata da Pratella, che egli non farà tuttavia in tempo a vedere edita.


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 20 Si vedano in particolare: Carpitella 1992; Cirese 1982; Bonanzinga 1995.



* vedi anche La canzone siciliana - Raccolte


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