Il sentimento di una «rivoluzione tradita» dopo l'esaltazione risorgimentale
Chi sono Ferdinando Fontana, Pietro Gori, Giacinto Stiavelli, Edoardo Augusto Berta, Giovanni Antonelli, Luigi Grilli, Mario Rapisardi, Alfio Belluso, Domenico Milelli, Olindo Guerrini e decine d'altri i cui nomi oggi suonano poco familiari alle nostre orecchie? Sono i poeti ribelli, che affidarono alla penna la loro opposizione, e dal 1870 al 1900 fecero risuonare il loro grido patriottico in un'Italia scossa da cambiamenti non sempre condivisi. L'Unità d'Italia, di cui si è celebrato il 150° nei giorni scorsi, si era da poco conclusa, e dalla proclamazione del Regno fino all'inizio del nuovo secolo, gruppi di rivoltosi e di scontenti «che ambivano al ruolo di opinion makers dell'opposizione, furono segnati da un'aggressiva conflittualità intellettuale e da un diffuso sentimento di inquietudine». Lo spiega Giuseppe lannaccone, docente di Letteratura italiana all'Università di Roma Tre, curatore del volume «Petrolio e assenzio. La ribellione in versi (1870-1900)» (Salerno Editrice, 245 pp., 14 €). Molti i nomi quasi sconosciuti di questi poeti ribelli, ma non mancano i grandi come Carducci, Pascoli e Ada Negri.
Perché «Petrolio e assenzio»?
In omaggio al petrolio, l'arma usata dai rivoluzionari sulle barricate della Comune parigina, e all'assenzio, il mitico liquore verde eletto già da Baudelaire come il simbolo della trasgressione.
La poesia, stigmatizzata anche da Mazzini, dopo l'Unità d'Italia divenne politica e contestataria. Come si arrivò a ciò?
La polemica politica dei poeti nasce da una disillusione e da un risentimento davanti allo sbocco deludente che ai loro occhi avevano avuto gli eroici anni del Risorgimento. Le battaglie garibaldine avevano alimentato il sogno di un'Italia repubblicana, popolare, anticlericale e democratica. La soluzione postunitaria si rivelò invece compromissoria, strumento di un ceto politico conservatore e poco interessato alla giustizia sociale. Il risentimento nasceva da una percezione, che si protrasse fino agli albori del Novecento: che il Risorgimento fosse stato, a cos e fatte, una rivoluzione tradita e che gli ideali patriottici e libertari che l'avevano alimentata fossero stati sacrificati da una politica trasformista e corrotta.
Traditi: ma in che cosa e da chi?
Le ragioni del disincanto post-risorgimentale sono diverse, ma possono trovare una sintesi nella rancorosa insoddisfazione garibaldina. L'Eroe dei due mondi, dimettendosi da deputato nel 1880, scriveva ai suoi elettori: «Altra Italia sognavo nella mia vita!». Aveva sognato una patria libera da consorterie e la trovava avvilita da trasformismi e corruzioni; aveva auspicato una politica finalizzata all'eliminazione dei privilegi e invece tanto la Destra quanto la Sinistra storica avevano accentuato la distanza tra ricchi e poveri e favorito lo sfruttamento capitalistico da parte della borghesia affarista che governava l'Italia umbertina.
La sinistra di fine Ottocento, riuscì a stabilire un contatto con le masse?
La sinistra del secondo Ottocento era un calderone animato da istanze profondamente diverse, talvolta perfino antitetiche le une alle altre: mazziniani, garibaldini, repubblicani, socialisti, anarchici.
C'è qualche poeta che andrebbe rivalutato e riproposto ai lettori?
Sicuramente Olindo Guerrini, le cui raccolte poetiche, all'epoca veri best seller popolari, sono uno splendido esempio di anticonformismo e di abilità tecnica. Poi Pompeo Bettini, autore di testi sociali venati da una malinconia quasi crepuscolare; Giuseppe Aurelio Costanzo, il cui poema «Gli eroi della soffitta» è l'identikit di una generazione di intellettuali condannati all'emarginazione da una borghesia gretta e materialista; infine il calabrese Domenico Milelli, da cui ho tratto il titolo del volume.
La partecipazione di Carducci, Pascoli e Ada Negri a questo movimento, fu occasionale o effettiva?
Fu forte e sincera. Carducci, quando ancora usava il nome d'arte di Enotrio Romano, fu punto di riferimento degli irriducibili avversari della borghesia. Il suo «Inno a Satana» rappresentò per molti il manifesto del libero pensiero e del progresso minacciati dall'oscurantismo ecclesiastico. Pascoli trascorse tre mesi in galera per aver inneggiato nel 1879 all'anarchico Passannante, che aveva attentato alla vita del re Umberto I. Ada Negri si meritò l'appellativo di «poetessa del Quarto Stato». Salvo poi ritrovarsi tutti e tre dall'altra parte della barricata: Carducci si convertì alla causa della monarchia, Pascoli concluse i suoi giorni invocando l'intervento coloniale in Libia, la Negri fu nominata nel 1940 da Mussolini membro dell'Accademia d'Italia.
** di Francesco Marinoni
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