Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

lunedì 24 febbraio 2014

Manoscritto di Luigi Capuana, da Saghe & Seghe col senno e con la mano. 1887

All'antica e gloriosa tradizione del genere comico-realistico è ascrivibile il gaio libello, ideato come gioco privato, di Luigi Capuana, Federico De Roberto e Francesco Ferlito, Saghe & Seghe col senno e con la mano, edito su carta pregiata, in soli quattro esemplari, «autograficamente numerati & firmati», uno per ciascun autore ed uno per il munifico editore-stampatore Michele Galatola, di cui residua soltanto il secondo che ora si pubblica. Un cimelio bibliografico che può a ben ragione definirsi «unico». Scaturito dalla mai sopita propensione alle burle di Capuana cui inaspettatamente si associava la complicità derisoria e ironica di De Roberto e del serioso avvocato Ferlito, il «sublime volume» è da leggere come evasione intellettuale dei tre sodali (cui certo non mancava lo spirito salace dei siciliani dell'area orientale), gioiosi d'impegnarsi in una sapiente birichinata alla Rabelais, destinata a suscitare ilarità segrete e compiaciute. (Sarah Zappulla Muscarà)


Saghe & Seghe
L. Capuana, F. De Roberto, Francesco Ferlito

 manoscritti inediti - per ingrandire cliccare

AI   TRE,   IL   QUARTO.

Dunque che fate?
Ve lo menate ?
Nulla stampate,
Nulla mandate !
O ve ne state
Come d'estate
Le sciagurate,
Moltiplicate,
Cicale aurate
Sotto le ombrate
Rame sacrate
D' ulivo ?
Andate !
Non meritate
Che riceviate
Epistolate ! Però sappiate
Che mie giornate
Non son passate
Senza volate
Ver le lasciate
Cataniate
Spiagge bruciate.
Ahi! Sospirate
Con iterate
Brame, ho cercate,
0 mareggiate
Spiaggie, le andate
E le tornate,
Con scarrozzate,
Per le sfilate
Dalle innovate
Vie riboscate
E allineate.

Ho invan cercate Le riposate All' ombreggiate E statuate E pitturate Sedie villate, Quando udivate, Ombre fidate, Le addottrinate Nostre parlate, Spesso sporcate Da ricordate Belle chiavate! Oh Ferlitate, De Robertate, Galatolate, Capuanate ! Volteggiavate Come iridate Farfalle nate Nelle irrorate Siepi frondate!
E voi,  cantate Delle ammirate Figlie ignorate Nidificate Nelle siepate, Rispondavate Alle scapate Nostre risate Con gorgheggiate Ben musicate Perrotteggiate !
Deh, mi lasciate!

Deh, non seccate Le prolassate Mie cordonate, O desiate Belle giornate ! E voi, rimate Epistolate, Laggiù volate; Le addormentate, Triumvirate Genti svegliate; Gridate, urlate, Coi piè pestate, Bestemmiate, Finché stampate Voi non vediate Quelle cazzate Intitolate Saghe segate Tanto aspettate ! Ed annunziate Che d'illustrate Raffaellate Saranno ornate, Qui preparate Con impensate Arti : e annunziate Che, terminate, Le rime in ate Con birbonate, Le addormentate Triumvirate Genti lasciate Insalutate.

***


L'ARTE
Sonetto Liminare
All' Illustrissimo neo-novelliere sciccoso Signor de Roberto (Federico).

O Federico, l'ideal che ride 
Al monocolo tuo serenamente, 
Tanto spazio di ciel da te divide 
Quanto non puote misurar la mente.

Eppur ansio l'affissi, e non s'elide
La tua speranza nel fallir sovente ;
E il raggio che in quel vetro si divide    
Ti si rifrange in cor potentemente.

Beato te che l'Arte ancor lusinga
Coi maliardi suoi fantasmi! Al mio    
Stanco cervello tanto ben si niega.

Ben verrà dì ch' anche per te si tinga 
Di nero quel fulgor, luce di Dio....        
L'Arte dunque che è mai?.. L'arte?.. Una sega!


Scritto il 1° Giugno 1887 nell' Albergo Musumeci in Catania, dopo aver pagata la nota salata dell'albergo {circostanza attenuante) Luigi   Capuana
N. B.—L'autografo inestimabile fu consegnato allo sciccoso novelliere dallo stesso archeologico Autore, come testimonianza di affetto, di rispetto, etc, etc, etc.


Altro:

La Morte di Giovanni Verga - di Federico De Roberto












domenica 19 gennaio 2014

Dall' " Elogio di un pazzo „ di Mario Rapisardi - 1880

" Elogio di un pazzo „
Giunto all'età di cinquan'tanni ei si ridusse pacificamente in campagna, dove non volle altra società che d'un cane vecchissimo e cieco, il quale egli stimava miglior filosofo di tutti, non perchè fosse fedele, non parendogli questa una gran virtù, anzi una qualità nemica se non della saggezza, della felicità; ma perchè per grida e bastonate che gli desse, mai non volle perder l'abitudine di pisciare altrove che nella stanza dei libri : come se lo volesse con questo ammonire che la sapienza dei mortali raccolta e custodita in tanti gelosi volumi non merita niente di meglio che quella tiepida benedizione. Del quale avviso ei pur finalmente si accorse, e a compensarlo di ogni mal trattamento avuto per siffatto procedere, lo ricolmò poi di carezze e gli diede profenda di buoni cibi ogni qual volta gli ripetesse quella saggia ammonizione.
Con questo cane e con gli alberi dell'aperta campagna egli s'interteneva spesso in profondissimi ragionari ; onde quei delle circostanze lo tennero presto in conto di mago o di matto. E dei matti egli ebbe sempre grandissima considerazione; ed essi, non so per qual secreta attrattiva,  lo  avvicinavano   senza  sospetto  e gli diceano parole ch'egli scrupolosamente scriveva in un taccuino   che   portava sempre con  sè, e stimava   più   prezioso   dei   memorabili   di   Socrate.
Oltre a tale strana raccolta, io non credo conservasse altra sua scrittura : e dico così, perchè io so certo che egli si dilettò sempre dell' arte sua; ma le cose composte nella solitudine, e che egli chiamava le sue figliole, consegnò sempre al fuoco appena le avesse finite, scusandosi, che mandandole per il mondo, gliele avrebbero certamente stuprate.
Delle donne amò più presto la bellezza che la virtù, onde preferiva Frine a Lucrezia. Nelle madri la tenerezza dolcissima della sua, che ricordava sempre con passione, parevagli più virtuosa dell'eroismo delle Cornelie e d'altre famose, i cui fatti lodatissimi dagli storici egli attribuiva in gran parte ad animo snaturato da vanità.
Di qualche mia visita si meravigliava come di singolar bizzarria, e, citando un poeta  tedesco, dicea che fra l'altre stravaganze io aveva quella di esser fedele.
Quando l'ultima volta ammalò e si sentì vicino a morire, essendo io tristissimo al suo capezzale e il cane ai piedi del letto, egli mi prese tristamente la mano, additò con l'altra quella povera, bestia che mugolava, e parodiando la parola del figliolo di Dio : Amico, esclamò, ecco il tuo figlio; figlio mio, ecco il tuo babbo.
Scorgendo poco dopo certi vecchi stivali schierati sotto un cassettone: Ascolta, mi disse, e scrivi religiosamente la mia ultima volontà : Io sottoscritto, etc. etc, sano di spirito ma non di corpo etc. (e giù giù tutte le altre formole, come s'egli non avesse fatto altro al mondo che il tabellario) lego e lascio spontaneamente ai miei critici tali dei tali (e qui una filza di nomi, che io per discrezione tralascio) per ciascuno un paio di quegli arnesi, sulla cui punta leggerà, chi ben guardi, la risposta e la gratitudine ch' è loro dovuta.
Avvicinatosi intanto il momento fatale e sentendosi egli venir meno, raccolse come potè meglio le ultime forze e pronunziò solennemente in latino le parole che disse in simile istante Gregorio VII. * Ma vedendo che io prendeva troppo in afflizione quel suo parlare, diede subitamente in una gran risata, e, voltatosi dall'altro lato, spirò. (* Dilexi   iustitiam, odi iniquitatem :  propterea morior in exilio.)

* * *
Queste cose ho voluto raccogliere e riferire dell'amico mio, intendendo a mio corto giudicio di fargli onore. 
Ma se io sono riuscito per avventura al contrario e le ire non anco sopite sul suo sepolcro si scateneranno sul mio povero capo o vero un sogghigno crudele risponderà alle parole pietose dell'amicizia, io non me ne terrò meravigliato ed offeso : parendomi stoltezza il far carico agli asini, di aver lunghe le orecchie, e ai lupi di perdere più tosto il pelo che il vizio.
                                                               Febbraio 1880. Mario Rapisardi.


* Tratto da Mario Rapisardi - Sherzi - Versi siciliani _ ed. Etna 1933




domenica 27 ottobre 2013

Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta Mario Rapisardi

"La storia della letteratura è rettilinea: chi non va sulla via maestra sarà falciato come una mala erbaccia".



Oblio e odio, di Lorenzo Vigo - Fazio


Pregai un mio amico adulto, il Prof. Giorgio Buscema, d'accompagnarmi, e andai con lui a bussare alla porta dell'appartamento, che fu l'ultima abitazione dello scrittore.




La Signora Amelia Poniatowski e il Dr. Alfio Tomaselli, a cui ella, da pochi giorni, era andata sposa, ci accolsero garbatamente e mi fornirono le notizie che desideravo.

Così, «Il Tirso» di Roma, periodico d'arte fondato da Gabriele D'Annunzio, nel n. 36 della decima annata, il 16 Novembre del 1913, pubblicò, in prima pagina, su quattro colonne, il mio articolo: «Oblio e odio alla memoria di Mario Rapisardi (Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta ».

Ne riproduco, qui appresso, alcuni passi salienti: 

«- Oh, come sono contenta della loro visita!... Avrei dovuto mandare io qualche cosa ai giornali del continente, per protestare contro questa indegna congiura d'odio e d'oblio... Ma giacché loro hanno avuto la bella idea di venirmi a trovare, non ne fa più d'uopo. - Ci dice la Signora Poniatowski ».
...« - Come hanno veduto, la casa ha perduto la fisionomia di prima, perfino la terrazza, così cara a Mario, scompare... »

« - Ma ci dica: non ha reagito ella contro questa violazione? »

«- S'io abbia reagito!... - esclama calorosamente. - Ma se io mi sono votata a tutti i santi... del potere: a sindaci, a deputati, a municipi, a giunte... ».

« E non le hanno dato ascolto? »

«Neanche per sogno. Il padrone di casa mi ha risposto che s'era messo d'accordo col Municipio. 
Ne ho parlato ad artisti, a letterati, a politici. Nessuno ha saputo impedire... quest'accordo. »
«Sarà stato forse perchè Mario, ch'era un'anima alta e nobile, ed ebbe sempre il torto di dire la verità - la quale certe volte riesce amara - scrisse qualche parola frizzante contro municipi, sindaci, onorevoli, giunte comunali, amministrative, ecc. Ed ora se ne vendicano... »
« - E' la vendetta dei vili! - soggiunse il mio amico. »
« - Con l'odio, il disprezzo, l'oblio... Ma Mario resta sempre quello che è; io lo chiamo l'Uomo della verità. »

« - E sanno cosa se n'è fatto del cadavere? - ci chiede il dottore. » 

« - Ecco, lo spiego loro subito. - soggiunge la Signora Amelia - Il 4 Gennaio, farà due anni che il Grande e scomparso. Ed è da quasi due anni, perciò, che il suo corpo giace, non ancora tumulato, nell'ufficio del cappellano del cimitero... Quel povero dottore che l'ha imbalsamato, affinché i sorci non lo mangiassero, ha usato tutti i mezzi... Perché le mosche non cadano nel piatto, ci mettiamo sopra una coppa di rete metallica, così hanno fatto con lui... »

« - E nessuno reclama? - gridai. »

« - L'altro giorno, un gruppo di giovani, in segno di protesta, venne ad apporre quella lapide - ci dice ella, mostrandoci col dito, appoggiata ad una sedia, una lastra di marmo d'un metro quadrato circa. -
Trascrivo quello che vi sta scritto:

RICORDANDO L'IMMORTALE MAESTRO MARIO RAPISARDI
GLI STUDENTI UNIVERSITARI
XX Settembre 1913


« - Si figuri che costoro che si dicono discepoli di Mario, attaccarono la lastra sul muro del domicilio del Signor Chiarenza!... E che chiasso fecero!... »


« Appena io mi fui accorta dell'errore, dissi: - Non sono ancora due anni che Mario Rapisardi è morto, e non vi ricordate più dove è vissuto! - »

« Ed ordinai subito che togliessero quella lapide. ».

Ed i mobili?

« - Sono rinchiusi la dentro - ci dice, indicandoci la porta a tramontana (quella dello studio), che è chiusa con diversi lucchetti. - Un numero rilevante di volte ho mandato a dire al Municipio che li tolgano, e non li lascino rodere dai tarli, ma coloro fanno orecchio da mercante. Anzi, ogni volta, hanno mandato qualcuno, per aggiungere un altro lucchetto; e l'ultima volta, fecero ricoprire esternamente di latta le imposte dei due balconi dello studio. »

« I manoscritti, almeno, sono al sicuro? »

« - Ma che! Sono pure la dentro, gettati per terra, alla rinfusa... »
« Dio voglia che i topi li abbiano rispettati. Se ne trovano fra essi alcuni inediti, che Mario scrisse, adolescente, fra la vita e la morte. Anche quelli della "Palingenesi" e d'altre opere. »
« - Perché il Municipio non li rileva? E tutti gli oggetti sono catalogati? »
« - Niente affatto. Prima di morire, Mario mi diceva sempre: "Cataloghiamoli! Cataloghiamoli!" E loro: "C'e tempo! C'e tempo!" ».

...« Loro che sono liberi scrivano, scrivano tutte queste cose che il pubblico non sa! »

« Promettiamo di dire tutta la verità ai nostri lettori, e ringraziando, ce n'andiamo, con nel cuore, un sacro impeto di sdegno. »

La pubblicazione di tale mio articolo suscitò uno scalpore più grande del previsto. Numerosissimi furono i quotidiani, le riviste, i periodici che lo riprodussero o lo riassunsero; e tutti, prendendo le mosse dalla vibrante nota di protesta, che il Comitato di Redazione del « Tirso » vi aveva posto in calce. Anche taluni importanti quotidiani stranieri pubblicarono quanto io avevo denunciato all'opinione pubblica, biasimando l'incuria del Municipio di Catania. 

La stampa catanese quotidiana e periodica faceva larga eco all'indignazione nazionale ed estera.
Così che l'amministrazione municipale fu costretta a provvedere al più presto a dare onorata sepoltura al Poeta; ed invitò Carlo Pascal a commemorarlo, nel Teatro Massimo Bellini.

Ricorderò sempre con compiacimento codesto coraggioso episodio giornalistico della mia adolescenza, il quale mi procurò la malevolenza dei responsabili dell'abbandono, in cui erano stati lasciati li cadavere di Mario Rapisardi e le sue cose; e d'altro canto, segno l'inizio della campagna, da me durata in Italia ed all'estero, per diffondere il pensiero del Poeta, rivalutarne l'opera e difenderne la fama (1).

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(1) Nel 1922, commemorai, in Catania, il X anniversario della morte di M. Rapisardi, pronunciando, nel Teatro Massimo Bellini, un discorso su « L'epistolario inedito di Mario Rapisardi », che fa parte del mio volume « Saggi e Discorsi», edito, nel 1925, da « Bottega d'Arte » di Carpi di Modena. 


Ho scritto del Rapisardi, su tanti giornali e riviste; e nei periodici da me diretti «Endimione» (Casa editrice «Ausonia », Roma) e « Rivista di Catania e del Meridione », la vita e l'opera del Poeta vi furono ampiamente illustrate.




Nel 1930 l'editore Alfredo Formica di Torino pubblicò la raccolta, a cui avevo atteso per quindici anni: « Mario Rapisardi: Prose, Poesie, Lettere postume, raccolte e ordinate da Lo renzo Vigo-Fazio ».

Il 4 Gennaio del 1933, in Parigi, nella sede della «Dante Alighieri», commemorai il XXI anniversario della morte del Poeta, tenendovi un discorso su « L'opera e la fortuna di Mario Rapisardi», il quale, nel 1955, fu pubblicato in opuscolo estratto dalla « Rivista di Lecco ».



II 3 Febbraio del 1944, l'Assemblea dei Soci del Centro di Studi Rapisardiani, in Catania, mi elesse suo Socio onorario; e nella seduta del 7 Novembre 1954, in seguito alla morte del suo illustre Presidente, Prof. Francesco Marietta, mi chiamò, con voto unanime, a succedergli, in tale carica. Nel 1962, il Centro di Studi Rapisardiani in Catania pubblicò il mio libro: « Mario Rapisardi nel cinquantenario della morte ».



***


La denuncia partì dal Magnifico Rettore dell’epoca, Prof. Giuseppe Majorana
(a sua volta informato dal presidente della Società di Storia Patria, prof. Vincenzo Casagrandi n.d.r.) direttamente dalle colonne del “Giornale dell’Isola”. La lettera datata 29.gennaio 1917, conteneva un resoconto piuttosto dettagliato circa le condizioni in cui si sarebbe trovato il corpo dello “scomodo” poeta. Majorana, alquanto sconcertato, si lamenta: “ La salma-dice- trovasi in luogo e modo impropri e indecorosi nella casa del deposito e che i topi sono giunti a scalfire il viso del poeta (…) perfino le scarpe nuovissime, che il discepolo Santino Scandurra aveva scelto fra le migliori della sua calzoleria e che aveva egli stesso calzate ai piedi gelidi del grande Maestro, non furono più trovate l’indomani: erano state rubate.”



E’ lì che ancora oggi riposa il corpo del “Vate”; dove inizia “il viale degli uomini illustri”. Sul piccolo mausoleo spiccano i versi siciliani del poeta Saro Lizzio: 

“Sta giusta urna chiudi lu to’ corpu 
ma lu munnu non chiudi lu to’ nomu.


* Tratto da Mario Rapisardi




domenica 7 aprile 2013

ll dramma di una vita - Francesco Paolo Frontini 1860/1939

"Eppure quest'uomo non lo vidi mai triste".

Io giovinetto, lui adulto, lo incontravo di tanto in tanto in qualche strada secondaria della tranquilla Catania dei primi anni del secolo, sempre solo e sempre vestito di scuro, gli occhi grandi e scrutatori, che più grandi parevano sotto la larga tesa del cappello, di quei cappelli che gli spagnoli chiamano sombreros, da sombra, ombra; ed io guardavo lui sapendo chi era, e lui guardava me vedendosi guardato, immaginavo.


Mi guardava, invece (me lo disse molti anni dopo, quando gli fui presentato e parlammo) perchè, malgrado nel mio abbigliamento non fosse alcunchè di ricercato o di stravagante, gli sembravo un mezzo artista.

Nel vestire, Frontini seguiva la moda, ed alla figura di lui, esile, un po' più alta della media, ma diritta e mirabilmente tagliata, bene si adattavano i doppio-petto ed i calzoni leggermente ad imbuto la cui piega cadeva perfetta sulle scarpe quasi sempre di vernice.
A ben guardare però, in quel suo severo vestire una deviazione c'era, ed era, oltre il sombrero, la cravatta nera alla Lavalliére (a fiocco) svolazzante sotto il pizzo bipartito: una deviazione romantica, sicura reminiscenza dei contatti giovanili con l'ultima "scapigliatura" milanese; della quale egli, col Fontana col Marenco col Praga junior, era stato per alcun tempo non soltanto spettatore, ma attore; chè durante la sua permanenza a Milano e dopo il successo ottenuto dalla prima raccolta di canti popolari Eco della Sicilia che lo rivelò, in ispecie il Marenco gli si era affezionato e gli aveva offerto un libretto tratto dal suo Il Falconieredi Pietra Ardena.

La mia prima conversazione col Maestro dovette avvenire negli ultimi mesi del 1929, io non più giovine, egli avanti negli anni.
L'attore Turi Pandolfini gli aveva dato a leggere, perchè ne componesse i commenti musicali, il mio atto unico Vicolo delle belle, e Frontini aveva consentito.
Lo rividi con gioia; mi ravvisò subito.
Abitava in quel tempo in via Maddem, al primo Piano di una casa che quattordici anni dopo un inglorioso bombardamento aereo doveva quasi distruggere.

Confesso che di Frontini io non conoscevo che pochissime musiche: qualche pezzo per piano ed, alcune suonate «di colore» divulgate, bontà sua, dalla Radio; ignoranza che per quanto non sia tutta da addebitare a me, mi mortificava parecchio.
Com' è naturale, comunque, fin da quel primo contatto col Maestro, trattandosi di un mio collaboratore e di uno che doveva trasportare nel mondo astratto della melodia e dei suoni, sia pure con semplici commenti, le creature «terrestri» nate dalla mia fantasia, ansiosamente cercai di penetrare nell'intimo di lui, indovinare i suoi gusti, le sue predilezioni artistiche.

Ma Frontini, schivo come era e come sempre fu, disposto più ad ascoltare che a parlare, almeno quel giorno restò per me il signore col sombrero sui grandi occhi scrutatori che molti anni prima incontravo in qualche strada secondaria della sua e mia Catania post-ottocentesca; e chi, almeno in parte, me lo rivelò fu la sua casa, che tenterò di descrivere.

Penetrandovi, mi sorprese. Per il netto contrasto con la via non larga e tortuosa, popolare e popolosa, che nessuno avrebbe immaginato potesse fare da anticamera alla casa di un musicista e di un musicista come Frontini, aristocratico e raffinato, mi trovai ad un tratto in un mondo diverso, superiore, ed il mio piacere fu grande.
Nelle stanze, per le chiuse vetrate dei balconi, fortemente schermate da spesse ed eleganti tendine che le coprivano per intero, si diffondeva una luce tranquilla e discreta, una luce che in omaggio al Maestro avrebbe potuto dirsi «in tono minore»; e poi, sebbene sorretta ed avvivata da qualche ramo fiorito posto in vasi di terso cristallo, un'aria che mi parve da cenòbio e che tutta permeava di silenzi la casa.

Nello studio, al posto d'onore il pianoforte, chiuso; cascate di quadri e quadretti alle pareti, ed in robusti scaffali di legno scuro e di gusto ottocentesco, volumi e volumi di musiche, vistosamente rilegati.
Notai subito tra i quadri un grande ritratto di Bellini (il Deus loci, pensai), ed in alcune fotografie chiuse in cornici e posate sul coperchio del piano, riconobbi il profilo arcigno di Verdi, il volto grave di Rapisardi e quello bonario di Massenet, le lenti di Boito, il basco di Wagner, la folta chioma e gli occhi un tantino cansonatori di Mascagni.

Alle pareti, cascate di quadri e quadretti ho detto. In maggioranza erano piccoli olii, doni fatti al Maestro da ammiratori ed allievi; ma vi erano anche fotografie di cantanti, col solito pavone in corpo ed in costumi approssimativi che avrebbero fatto allegare i denti a Caramba: il quadretto sociale accanto a quello aneddotico il paesaggio e la natura morta, l'acquerello ed il disegno a penna, una rude fotografia di «paesana» siciliana accanto al dolciastro ritratto di un Manrico verdiano con la spada nel pugno ed i capelli arricciati. "Non guardi quei ritratti mi disse ad un certo punto il Maestro —, sono ricordi remoti: ma con i quadri.. ve ne sono dei belli, sa! non una raccolta, ma il mio piccolo mondo".
Quadri belli, difatti, ve ne erano; e come si distinguevano bene dagli altri! Ricordo due o tre piccole tele di Antonino Gandolfo, i soliti miseri "interni" di questo poeta-pittore, le solite figure di
di popolane desolate e rassegnate; due abbaglianti nudi femminili di Zenone Lavagna; una dolce e pensosa testa di fanciulla di Francesco Longo Mancini: un vigoroso «studio» di vecchio, di Roberto Rimini; un piccolo autoritratto, che non dipinto ma scolpito parea, di Natale Attanasio; due «bozzetti» di Calcedonio Reina, nei quali il doppio tormento tecnico e spirituale di questo pittore di eccezione era espresso con strana ma estrosa efficacia; un piccolo ritratto a penna, infine, di Giovanni Verga, eseguito dal Gandolfo, lo stesso da me illustrato in un articolo sulla iconografia verghiana, del quale scritto Nino Cappellani riprodusse un brano nella sua Vita di Giovanni Verga. Insomma, alcuni gioielli fra conterie, che Frontini, vedendo il mio interessamento, ebbe l'amabilità di indicarmi, uno ad uno direi, con mio grande diletto.

lo studio


« Questi quadri — aveva detto il Maestro sono il mio piccolo mondo ». In questo suo ingenuo pensiero lessi il dramma interiore di Frontini, il suo chiuso dolore per essere solo conosciuto come l'autore del Piccolo montanaro e della Serenata araba e per gli storiografi della musica, l'autore di una remota Malìa e di un remotissimo Falconiere; per questo suo ingenuo pensiero compresi la solitudine del Maestro. Per quale misteriosa e fatale circostanza, di tante musiche squisite e profonde, raffinate e toccanti; di tanti notturni e serenate, minuetti e preludi, romance e canzoni, marce, intermezzi, quartetti — per non dire delle cinque pazienti ed intelligenti raccolte di melodie siciliane —- solamente due ne debbono essere ricordate?
Nel trigesimo della morte, avvenuta il 26 luglio del 1939, allievi ed amici organizzarono un concerto per pochi strumenti, in memoria. In quella occasione un giornalista-scrittore, prima che s' iniziasse il concerto, con molta leggerezza sentenziò: «Di musicisti come Frontini. oggi ve ne sono cinquanta». Quelle parole mi irritarono; l'amico, giacchè era un amicot non conosceva che la Serenata araba ed Il piccolo montanaro. «Togli lo zero!», gli rimproverai. Finita la celebrazione, mi cercò e mi disse: "Avevi ragione! ".

In questo episodio vi è, nella sua desolata tristezza, tutto il dramma della vita di Francesco Paolo Frontini.
Eppure quest'uomo non lo vidi mai triste.

LA SICILIA - Catania, 5/04/1957


Domani sera, alle ore 20,30 andrà in scena al teatro Massimo Bellini « Malìa », di Francesco Paolo Frontini. nella revisione di Francesco Pastura. Lo spettacolo si inquadra nelle manifestationi aventi carattere siciliano sovvenzionate con recente provvedimento regionale.
L'opera sarà diretta dal maestro Ottavio Ziino e avrà per interpreti Luisa Malagrida (Jana). Carmelo Mollica (Cola), Aida Londei (Nedda), Angelo Lo Forese (Nino) e Antonio Zerbini .(Massaro Paolo). Maestro del coro sarà Gaetano Riccitelli. La regia e stata affidata a Carlo Maestrini, il quale si avvarrà di scene appositamente realizzate da Sormani su bozzetti originali del pittore catanese Francesco Contraffatto, nonchè dei costumi eseguiti da Triolo su bozzetti di Roberto Rimini.