Catania, aprile 1931
La
canzone siciliana non ha ancora uno stato civile. E c'è la ragione :
le è mancata l'organizzazione editoriale. La canzone siciliana è
nata da sé, vivacchiando da prima quasi anonima sui pianoforti di
alcuni musicisti e nel cuore di un ristretto numero di poeti.
Quand'ecco un bel giorno venne fuori un giovane musicista
dal temperamento vulcanico e di forte tempra artistica : GaetanoEmanuel-Cali (allievo di F.P. Frontini). Si deve al suo battagliero fervore se oggi la canzone
siciliana vive e prospera. Musicisti e poeti sono in quotidiano
contatto, in fraterna collaborazione ; il maestro Cali impartisce
lezioni e diffonde e propaga il suo verbo... canzonettistico a un
numero non disprezzabile di allievi e di allieve. Non solo questo ha
fatto il Cali : per rendere più pratica la sua idea, ha dato vita
ultimamente ad una « Compagnia della Canzone Siciliana
sceneggiata » che gira con successo le provincie dell'isola.
Il
centro della canzone siciliana è Catania : sacra all'arte siciliana
in genere. A Catania è nato il Teatro Siciliano, catanesi sono
Rapisardi, Verga e Bellini; Martoglio rappresentante tipico della
poesia popolare siciliana è catanese come catanesi sono Di Bartolo
maestro d' incisione e i pittori Sciuti, Gandolfo, Reina, Lavagna.
Intorno
al 1910 si ebbe in Catania la prima pubblica manifestazione della
canzone siciliana con un apposito concorso che si rinnovò di anno in
anno fin che, sopravvenuta la guerra, poeti, musicisti, dilettanti,
appassionati, cultori e organizzatori si volsero verso tutt'altre
mete e tutt'altri ideali. In quei primi concorsi si rivelavano
gli autori della canzone, poeti e musicisti : Caruso Scordo,
Serafino Giuffrida, Francesco Buccheri, Nunzio Tarallo, Lombardo
Alonzo, Francesco Esposito, Caì, Vito Marino, Domenico Sciuto,
Giovanni Formisano, Francesco Foti, Giovanni La Rosa.
Balda
e volonterosa schiera che si ritrovò quasi intatta dopo la guerra.
In testa a tutti il Cali, per versatilità, per tenacia di lavoro e
alacre spirito d'organizzazione. Il suo primo successo l'ebbe con «
E vui durmiti ancora »,
una suggestiva canzone, dolce e melanconica, incisiva
nell'espressione e calda nel sentimento, di Giovanni Formisano. Lu
suli è già spuntatu di lu mari e vai bidduzza mia durmiti ancora;
i'aceddi sunnu stanchi di cantari e affriddati v'aspettanu ccà fora
: saprà 'ssu
balcanedda sa pusati e aspettana quann'e ca v'affacciati!
Al
Formisano e al Cali, — che naturalmente hanno al loro attivo
decine di canzoni, tutte oramai popolari, — fan buona compagnia il
poeta Orazio Caruso Scordo e il maestro Vincenzo Lombardo Alonzo, che
è anche autore di alcune apprezzate opere. Quannu
'ss'ucchiuzzi beddi 'ncelu si,
la sufi, pri l'affruntu, si 'uni trasi. Tu si la vera
stidda catanisi, russi 'ssi labbra ài coma li girasi.
La
ricca vena melodica del Lombardo Alonzo diede a questi versi e ad
altri dello stesso Caruso una veste musicale che affascinò il
publico procurando agli autori un vivissimo successo. E veniamo a
Serafino Giuffrida.
E'
questi il nestore dei poeti dialettali catanesi, dai quali viene
considerato come un maestro, tanta è la competenza sua in materia di
poesia siciliana. Ma è un solitario, nel senso che non si avvale né
di amici né di pubblicità pei rendere note le sue poesie che non
sono poche né di scarso valore. Pur avendo diretto per molti
anni i settimanali in vernacolo « Ma
chi è? e
« Piss
Piss ! » di
rado si legge la sua firma in un giornale. Tuttavia è sempre
presente in ogni riunione di poeti, è sempre in prima linea dove si
organizza e si discute di poesia e di canzone siciliana.
Lo
direi
quasi un direttore d'orchestra la cui anima ed il cui spirito,
dall'ombra, vigilano e dirigono il movimento della poesia siciliana
da Catania a Palermo.
La
sua poesia è robusta e quadrata, impeccabile nella forma,
classicamente siciliana nel sentimento, nella elaborazione,
nell'espressione verbale e nel pensiero. Poeta che fa
dell'autentica poesia e che può ben stare accanto al Pucci, al
Mercatante, al Di Giovanni, e, uscendo fuor di regione, al Di
Giacomo.
Non
è molta la sua produzione come canzoniere; ma quel poco è oro fino.
Eccone un saggio, « Suli! »
:
Suli
ca ti 'nni vai, suli ca torni, 'nta sta cuntrada non pusari mai. non
ci pusari manca a li cuntorni. Ci sta 'na mala fimmina c'amai! Si
veni e ccu la luci tò l'adorni godi, la 'ngrata, ammenzu a li tò
rai. Và, lassila a lu scuru e la frastorni quanta spirduta pati li
me vai!
Bellissimi
versi che della loro malia affascinarono e commossero due
musicisti : Lombardo Alonzo e Francesco Esposito.
Al
polo opposto del Giuffrida sta Francesco
Buccheri,
orologiaio e gioielliere a tempo perso, Boley
nelle
restanti ventiquattro ore della giornata. Ha scritto due migliaia e
più . di poesie, raccolte in 18 volumi che lo hanno reso
popolare quanto Musco e Grasso. La sua musa è quanto di più
schiettamente popolare possa immaginarsi, nel senso più vivo e
pittoresco della parola. E il popolo adora questo cantore
ingenuo, primitivo e casalingo, vero portavoce dell'anima e delle
voci della strada. Boley
è
infatti il poeta dei risentimenti della massa anonima, del
cittadino che protesta, dei reclami del pubblico, dei desideri,
delle aspirazioni, delle rinunzie, delle lagnanze del popolo e
d'ogni singolo privato.
Strano
contrasto però, Boley ha
composto solamente canzoni di leggiadra fattura, di squisita
tenerezza amorosa; così « Occhi 'nfatati» :
Quannu
di 'ssa finestra v'affacciati, siti la vera stidda matutina... E'
tantu lu sbrinnuri ca mannatì, c'ammaluciti a cu' si cci avvicina!
Con
Boley divide il
primato della fecondità Francesco Foti, un poeta che ha innato il
senso della poesia e del pittoresco ; è forse il più autentico
poeta della canzone siciliana, certamente quello che ha fornito ai
vari musicisti più abbondante materia e sempre di rapidissima
e diffusa popolarità, come «La bedda di lu furtinu »
che musicata dal maestro Cali rivoluzionò Catania :
Di
la casa a mia vicina,
marijola
quantu mai,
cc'è
'na bedda a lu furtinu
ca
biddìzzi nn'àvi assai.
Avi
l'occhi a calamita, li capiddi 'ncannulati. La vulissinu pri zzila
cchiù di centu 'nnamurati.
Idda
fingi, pri l'affruntu, di non dari a nuddu cuntu, ma a cchiù d'unu
'na risata 'nzuccarata cci la fa.
Autentica
canzone siciliana, dalla modulazione facile, piana e carezzevole,
proprio 'nzuccarata, cioè
tutta miele e zucchero.
Temperamento
assai diverso è invece il poeta Gaetano Cristaldi Gambino, basso,
tarchiato e rasato come un frate gaudente, nel
verseggiare
mordace e ironico, assai spesso, — specie nelle macchiette che è
quasi il solo a coltivare, — pepato e salace, ma autore a
tempo opportuno di canzoni in cui aleggia una suggestiva
tenerezza come in questa « Si... »
:
Si
mi putissi 'n puddira cangiari e aviri lu so versu e la finizza,
supra 'ssi labbra mi vurria azziccari, sucariti lu meli a stizza
a stizza; ti vurria notti e jornu àccanzzari la facci bedda, 'ssa
frunti, 'ssa trizza, e comu puddiredda tra li ciuri fàriti tutti
li jochi d'amuri!
Poeta
delicato ed elegiaco è invece Giovanni La Rosa,
qualche volta anzi troppo lezioso e manieroso ; e fanno notare Fino
Incontro per la ricercata finezza dei motivi
delle sue canzoni, e Vito Marino, poeta-calzolaio che per il
carattere schietta-tamente popolare delle sue canzoni linde e di
fresca e saporosa ingenuità sta più vicino al Formisano e
al Foti. Maestro preferito da questi poeti, il Cali ; ma altri
musicisti hanno dato e danno alla canzone siciliana il loro valido
contributo : Agatino Riela, Marcantonio Barbabietola, San Lio,
Sciuto, Auteri ; quest'ultimo, morto da alcuni anni, era
musicista di alto valore. Altro
maestro di signorilità e di dottrina musicale, che vive a
parte, in una sfera di superiorità, è Francesco Paolo Frontini,
chiarissimo nome di artista, intimamente legato alla Catania
intellettuale dell'Ottocento; che egli fu assiduo ai cenacoli
letterari del tempo, amicissimo di Verga, Rapisardi, De Roberto,
Capuana, del quale musicò Malìa. (vedi qui)
Ma
quali caratteri della canzone siciliana ? Il poeta e il musicista
siciliani, temperamento e per stile,
sono del tutto diversi dai napoletani. Della canzone napoletana ha
scritto Salvatore Di Giacomo : « La canzone napoletana è
l'amarezza è il compianto, è la rassegnazione, è la rinunzia,
è, insomma, la Filosofia di tutta la nostra vita ; è, come chi
dicesse, una meditazione alata ercorsa di volta in volta da gridi
di amore », oltre naturalmente le N'armine, le Luiselle, le
Concettine esaltate in ogni canzone.
Ben
poco di tutto questo nella canzone siciliana, e sopra tutto
niente, — pudore tutto siciliano e paesano! — nomi delle
innamorate. Uccida o ami pazzamente, dispettoso, umile, spavaldo, burlone
ed ironico, faceto e qualche volta anche salace, il poeta siciliano è
al fondo nostalgico e romantico, ha sempre in serbo una tenue lagrima
di tenerezza che illumina di serenità tutto il suo canto.
Niente
festosità e luminarie nel poeta siciliano : ma un canto, dal monte
al mare, che sa di pastorale, odora di zagara, riecheggia le nenie
natalizie, tintinna della sonagliera del carrettiere in marcia lungo
stradale di Primosole, attraverso l'immensità della Piana di Catania
e della Conca d'oro o su per la salita di Trecastagni e le trazzere
di Linguaglossa. La canzone siciliana rappresenta l'anima popolare
nella più tipica ed immediata espressione di vita e di arte : tono
caldo e raccolto, primitività ingenua e sentimentale, attaccamento
alla terra nativa divelta da Mongibello e bagnata dal mare d'Ulisse,
amor del focolare domestico.
IGNAZIO
GARRA
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