Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

lunedì 7 dicembre 2015

Pietro Platania nobilissima figura di musicista e di maestro (Catania, 1828 - Napoli, 1907)

« Solo la guerra o le rivoluzioni possono indurre i governanti a non riservare attenzione adeguata alle arti, che riprendono tutto il loro vigore nello stato normale, fanno parte della vita civile, son decoro di un popolo, e segno non dubbio della sua civiltà… » P. P.


Fin da bambino mostrò una spiccata tendenza per la musica, e nonostante il desiderio del padre — il quale avrebbe voluto fargli seguire la propria professione di avvocato — inizio i suoi studi musicali con Giuseppe Abbatelli, in quel tempo maestro di Cappella della Cattedrale di Catania.
Quanto tempo e fino a che punto studiò con l'Abbatelli, non sappiamo, sappiamo però — dalle cronache locali — che nel 1843 fece eseguire una « Sinfonia del dilettante », un Quartetto e un gruppo di arie per canto e piano.
Nel 1844 fece eseguire alcuni brani di una sua opera (composta quando aveva sedici anni) ricavata dal famoso romanzo di Eugenio Sue: I misteri di Parigi.
A Catania continuò negli studi fino al 1848. Nel 1850 — grazie a un sussidio annuo assegnatogli dal Comune, in premio dei suoi evidenti meriti — decise di continuare e completare gli studi nel Conservatorio di Palermo sotto la guida di Pietro Raimondi, il grande contrappuntista che era direttore e insegnante di composizione in quel Conservatorio fin dal 1833. Gli bastò un solo anno per mettere in ordine e rinnovare la tecnica musicale appresa dal maestro di Catania, e sentirsi libero di esprimere il suo mondo interiore con perfezione di scrittura e di forma. Tra tutte le forme musicali, l'opera lo   attraeva   maggiormente, e appena uscito dal Conservatorio cominciò una Matilde Bentivoglio che fu rappresentata nel teatro Carolino di Palermo, nel marzo del 1852. Il successo fu veramente entusiastico; il ventiquattrenne compositore fu evocato alla ribalta oltre venti volte. Rappresentata a Catania, l'anno successivo, la Matilde confermò lo stesso entusiastico successo ottenuto a Palermo. Il giovane musicista catanese volle dedicare l'opera al Comune della sua città natale.
Un altro successo, il Platania, ottenne con l'opera successiva Piccarda Donati, rappresentata ancora al teatro Carolino di Palermo il 6 marzo del 1857, seguito dall'altro più clamoroso dell'opera Vendetta slava (Palermo, 1865). In esse il musicista appare padrone della tecnica compositiva che egli sa dominare con la sua ispirazione e sottoporre alla volontà di rinnovare la tecnica, le forme e l'espres-sione dell'opera in musica, ancora stretta tra i ceppi della convenzionalità.
Fin dal 1863, Pietro Platania era stato nominato direttore del Conservatorio musicale di Palermo e maestro di composizione, succedendo in queste cariche rimaste scoperte per dieci anni, a causa dei soliti intrighi che non hanno mai niente a che fare con l'arte, al suo maestro Pietro Raimondi.
Ma tutto questo non potè che ritardare lo sviluppo straordinario che prese l'antico istituto musicale siciliano. Il Platania aveva assimilato perfettamente dall'insegnamento del suo maestro la straordinaria perizia nell'intrecciare ed equilibrare le voci in vaste ed elaborate trame polifoniche.  Di  questo suo  veramente  eccezionale magistero  -     tanto  raro  nell'Italia  di   quel   tempo   — nacquero:   il   « Pater  noster »   a   5   voci   e  organo; l'« Ave Maria » a otto voci e 2 campane; la « Messa da requiem » per soli, coro e orchestra eseguita nella chiesa di S. Domenico di Palermo il 9 febbraio  1878 in occasione del trigesimo della morte di Vittorio Emanuele II; il Salmo « Laudate pueri », steso in forma di cantata per soprano, coro e orchestra;   composto  nel  1880,  fu  eseguito  in  Roma, nel palazzo Doria-Pamphili in occasione delle celebrazioni in onore del Palestrina; il Salmo « Exurgat Deus »  a 24 voci,  aggruppate in sei cori a 4 voci ciascuno,  che rimane l'inno più grandioso  e-levato alla Divina potenza di Dio Creatore. Composto  a Palermo  intorno  al  1872  esso   rimase   sepolto in un cassetto per nove anni  come un orgoglioso spiegamento di forze che difficilmente poteva tradursi in realtà sonora   (secondo una nota dell'Autore,  l'esecuzione  del  detto  Salmo  esige  32 voci  per  ogno  coro,  facendo  assommare  a   192   il totale degli esecutori). Ma a conoscenza della singolare  creazione,  gli  alunni  del Platania  spinsero il loro maestro,  nel  1881,  a presentarla  alle  esposizioni di Milano e di Parigi. In entrambe le città il  Salmo   « Exurgat   Deus »   venne   premiato   con medaglia d'oro. Dedicato a papa Leone XIII, il Salmo fu stampato in Germania.
Nello stesso anno 1881, Pietro Platania — su indicazione dei maestri Franco Faccio ed Amilcare Ponchielli — fu chiamato a coprire la carica di maestro di Cappella del Duomo di Milano, rimasta vuota dopo la morte del maestro Quarenghi.   Il  Platania  accettò  la  nomina  ma  temporeggiava a stabilirsi nella capitale lombarda poiché l'abbandono del posto di direttore e insegnante che teneva nel Conservatorio di Palermo, non gli avrebbe fruttato nessun riconoscimento, da parte dello Stato, del servizio prestato a Palermo per 19 anni.
Nei tre anni che tenne la carica di maestro di Cappella del Duomo di Milano, poche volte partecipò personalmente alle sacre manifestazioni che vi si svolgevano; ma espletò il suo dovere inviando musiche appositamente composte adeguandole alle ottime possibilità che gli offriva la Cappella, e cioè un buonissimo coro e due organi. E, infatti, tenedo presente quelle possibilità, egli compose tra l'altro, « Resurrexit » (1882) a otto voci e due organi; un « Credo » (1882) per due cori e organo; un « Gloria » (1883) a otto voci per soli, cori e 2 organi e la « Messa solennis » per soli, coro a 8 voci e 2 organi, scritta secondo il rito ambrosiano. Compose inoltre un gran numero di Inni, Corali e Mottetti.
A dette musiche sacre, composte per il Duomo milanese, dobbiamo aggiungere le altre composte dopo, a Napoli, tra le quali meritano particolare menzione la Fuga a sette voci « Stella quam viderunt Magi » (1892) e l'antifona « Ave Mater Fìlio Orbata» (1893), per soli, coro a 8 voci e strumenti a percussione. Composizioni, queste, che rimangono le ultime grandiose espressioni del magistero   polifonico   del   grande   compositore.
L'opera polifonica di Pietro Platania (e cioè tutta la musica sacra nella quale essa è sostegno e  trama) racchiude in sé ogni aspetto della sua complessa personalità di artista: tecnica, invenzione, padronanza dei mezzi, dominio sicuro e geniale impiego della materia; magistralmente fusi, questi elementi ci mostrano il mirabile equilibrio del   suo   spirito    di    costruttore   e   di   creatore   e
—  soprattutto — di credente.

Dal   punto   di    vista    della   tecnica   polifonica
—   fine a se stessa o mezzo per manifestare il proprio sentimento religioso — troviamo che i meriti del Platania non sono solamente artistici. Bisogna anche parlare del suo coraggio nel rimetterla in pratica. In un'epoca nella quale pareva che soltanto il teatro dovesse essere l'unica espressione della musica italiana, il catanese creava monumenti imperituri alla polifonia vocale, cioè al contrappunto puro (quale non si adoperava più dopo i secoli XVI e XVII) dando così all'Italia la sola, seria possibilità di allinearsi con le altre nazioni europee che quel genere di musica coltivavano ancora.
Pietro Platania fu il primo musicista italiano che sentì quel risveglio culturale che, negli altri paesi vicini — la Francia e la Germania in testa — aveva già rinnovato la tecnica, le forme e l'espressione  del  discorso  musicale.
Rinnovamenti che, nella musica del catanese, possiamo anche riscontrare nelle composizioni strumentali e vocali per il concerto e per la camera. Fin dalle prime manifestazioni del suo talento di compositore, anche nei pezzi da salotto, inni o marce occasionali, troviamo che il musicista cercava sempre una espressione nuova, sia nella linea della  melodia   che   nell'accompagnamento,   sia  nel le armonie che nel disegno ritmico.   Ciò   osserviamo nelle Cantate in onore, di Bellini, della regina Margherita, in celebrazione del centenario della Fondazione dell'Albergo dei poveri; l'osserviamo ancora nei brani per orchestra « Epicedio per Gaetano Donizetti», «Festa valacca», «Elegia a Giovanni   Paisiello»;   nelle  sinfonie  «L'Arno»,   «Italia »;  nella « Meditazione » per archi  e pianoforte; nell'« Ode » composta in onore di Rossini; nell'« Ode » per la traslazione in patria delle ceneri di Bellini; nella « Sinfonia funebre » in morte di Pacini; nel duetto   «Tra   i  fiori»,   la   caratteristica  «Preghiera  di  Agar  nel  deserto »;    nei    quattro    Quartetti per  archi   (in  mi  min.;   in  la  min.;   in  sol  min.; in do min.);  nel Quartetto per voci sole, su versi del Metastasio  e nel  Quintetto  per  soli  strumenti a  fiato   (flauto,   oboe,   clarinetto,    corno,   fagotto). Le sue ultime composizioni di musica strumentale, rimaste   inedite,   sono   un   fascicolo   di   Sonate   per violino e pianoforte,  e un fascicolo di Sonate per pianoforte solo.
A questa notevole attività di compositore, bisogna aggiungere quella non indifferente di insegnante, illuminato e rinnovatore che curava paternamente ma rigorosamente la propria scolaresca per la quale scrisse anche dei trattati didattici i quali certamente, misero in scompiglio — sia a Palermo che a Napoli — l'insegnamento tradizionale basato su regole utili nel secolo precedente ma in quello successivo alquanto invecchiate, poiché la didattica musicale aveva pressoché rinnovato il proprio indirizzo; ricordiamo soltanto il « Trattato d'armonia » e il « Corso completo di fughe e canoni », pietre miliari della nuova didattica introdotta dal Platania nelle scuole musicali.
E nemmeno nel campo del teatro, il Platania rimase inattivo. Alla Vendetta slava, rappresentata a Palermo nel 1865, seguirono — tra completate e no, ma mai rappresentate — le opere: La corte di Enrico III, Giulio Sabino, Francesca Soranzo, Il gladiatore di Ravenna, Carlo di Brianza, Il Mago e Camma; opere le cui partiture autografe, complete o frammentarie sono reperibili nella Biblioteca del Conservatorio di Napoli.
Nel 1885, Pietro Platania abbandonò la direzione del Conservatorio di Palermo per assumere quella del Conservatorio di Napoli, rimasta scoperta fin dal 1870, dopo la morte di Saverio Merca-dante. La carica come è risaputo venne offerta a Giuseppe Verdi, dal corpo insegnante con Francesco Florimo in testa; ma Verdi si sentì costretto a rifiutare, rispondendo con una nobilissima le-tera rimasta famosa.
Il rifiuto di Verdi mosse l'appetito di molti pretendenti che — a furia di rimestamenti, maneggi, ripensamenti, compromessi ecc. — tennero la sede vuota per circa quindici anni, per poi essere occupata da Pietro Platania segnalato al Ministero fin dal primo momento. Il glorioso istituto musicale, in poco tempo, si mise alla testa degli altri conservatori italiani, grazie al nuovo impulso  conferitogli  dal  nuovo  Direttore.
Una benemerenza del Platania che non merita di  essere trascurata,  è l'avere  egli sostenuto,  con il peso della sua autorità, la validità artistica della Cavalleria rusticana di Mascagni, presentata al Concorso bandito dall'editore Sonzogno nel 1890, per un'opera in un atto. Il Platania faceva parte della commissione giudicatrice insieme con Filippo Marchetti, Giovanni Sgambati, Amintore Galli, Francesco d'Arcais e Alessandro Parisotti e fu il primo ad apprezzare il lavoro dell'allora sconosciuto musicista, mettendone in rilievo le singolari bellezze, il carattere italiano dell'espressione melodica, le novità della veste armonica, il vigore drammatico della musica. La gratitudine di Pietro Mascagni per il maestro catanese che gli tenne a battesimo l'opera primogenita, fu grande. « Non potrò mai dimenticare la sua paterna affezione — scrisse il compositore livornese in una lettera ancora inedita — ...e prosegue: « Le assicuro che nel mio cuore rimarrà per sempre scolpito il nome di chi mi ha dato la mano per sollevarmi dall'abbandono, dall'avvilimento; e m'incoraggerà nel lavoro e nello studio il bacio che Ella generosamente volle darmi... ».
Il 30 marzo 1891, al teatro San Carlo di Napoli, fu rappresentata l'opera Spartaco di Pietro Platania, su libretto di Antonio Ghislanzoni. E' la maggiore affermazione del musicista nel campo operistico.
Oggi lo Spartaco — pur nelle sue spettacolari dimensioni (4 atti e 8 quadri) — appare il lavoro di un musicista italiano che intende rimanere tale nella espressione e nella chiarezza del discorso melodico, pur mostrando di accettare l'evoluzione   subita  dal  melodramma  tradizionale  dalla seconda metà del secolo sia nel rinnovamento  del la forma che nella tecnica armonistica.
L'opera è redatta in pezzi chiusi  — molti dei quali presentano una forma assai diversa da quelle  consuete — ma ciascuno  di  essi è  collegato a quello  che  lo  precede  e  all'altro  che lo  segue  da sviluppi  tematici  trattati   sinfonicamente.  Ai recitativi   sono   sostituiti   dei   declamati   vigorosi,   aderenti alla linea prosodica e al carattere dei personaggi.   Spartaco,   insomma,   reca   i   segni  inequivocabili  di  un  radicale rinnovamento   dell'opera   in musica.  Come  esempio  citiamo  il  « Proemio  sinfonico »   che   sostituisce   il   tradizionale   preludio,   e nel quale contrastano — sinfonicamente trattati — i  due  temi  fondamentali  sui  quali   è   imperniata la vicenda dell'opera:  libertà e amore; l'assolo del soprano ricco di accenti passionali che manifestano i sentimenti che si agitano nell'animo del personaggio;   il   pel  duetto  d'amore  che  infrange  gli schemi usuali;  il baccanale nel quale il magistero del   compositore   e  l'arte  del  musicista  creano  un affresco  nel  quale l'equilibrio  tra  suoni,  colori,  espressione e vitalità dinamica può dirsi perfetto.
Lo Spartaco, che pur ottenne uno straordinario successo al San Carlo, oggi è totalmente dimenticato. Forse la scarsa fortuna che ebbe dovrebbe essere attribuita al nuovo orientamento del melodramma italiano di quell'epoca verso il genere verista, inaugurato l'anno avanti dalla 
Cavalleria Rusticana di Mascagni; genere immediatamente seguito  da una pletora  di  giovani.
Argomenti,  proporzione,   espressione   dell'opera tradizionale appaiono radicalmente mutati. Qua si credeva ai personaggi creati dalla poesia o dalle espressioni letterarie; là i palcoscenici dei teatri d'Opera appaiono popolati da personaggi, che presi dalla cronaca nera di ogni giorno, si esprimono rudemente con un linguaggio violento e, talvolta, volutamente volgare: naturalmente in omaggio alla verità.
Fu una svolta decisiva nella storia dell'Opera in musica, ma fu anche un movimento rinnovatore che rivelò l'arte di altri musicisti e diede nuovi successi all'Italia. Va da sé che questo movimento allontanò dai palcoscenici dei teatri d'Opera ogni altro lavoro che mostrasse di seguire il genere tradizionale. Tra le opere travolte dall'ondata rinnovatrice è da includere lo Spartaco di Pietro Plata-nia. Ma oggi — in tempi di assoluta magra come quelli che attraversiamo — la storia e la critica hanno il dovere di segnalare che lo Spartaco rimane l'ultimo contributo di un musicista alla più gloriosa creazione dell'arte musicale italiana: il melodramma.
Pietro Platania si spense a Napoli, e là è ancora sepolto. Catania attende, fin dal 1907, che i resti di uno dei suoi figli migliori, venga a riposare nel suo grembo materno.
                                                                             Francesco Pastura 
                                 Secoli di musica Catanese ed. Giannotta 1968