Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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lunedì 18 agosto 2014

La Rivista Popolare ed. 1905 - a Giuseppe Mazzini


"Il culto d’un popolo verso i grandi suoi morti è senza dubbio indizio della sua civiltà; ma, quando si pensi che molti di quei magnanimi a cui s’innalzano monumenti furono perseguitati e calunniati e odiati in tutte le maniere mentre durarono in vita, vien quasi voglia di conchiudere che molte che paiono manifestazioni di animi generosi non sono altro che misere ipocrisie, e gran parte di ciò che diciamo civiltà non è che industria d’inganni, onde un popolo si studia apparire quel che non è, non solo al giudizio degli altri ma di sè stesso.
Sarebbe perciò desiderabile, a decoro di una gente e ad onor vero dei grandi trapassati, che non ci si affaccendasse troppo a commemorare, a statuare, a monumentare coloro che furono grandi, e si guardasse invece di conformare i pensieri e le azioni nostre a quelle dei magnanimi, dico di coloro che tali furono veramente, non di tanti che prima e dopo morte usurparono tal nome, e fama e gloria ebbero di grandi non per fatti [p. 6]propri, ma per capriccio di fortuna che li pose in alto, e per adulazione di servi, che più adorano la fortuna che non rispettino la virtù.
Questa sarebbe da vero opera di nazione civile; ma i popoli, quantunque si dicano civili, seguiteranno probabilmente a far pompa di morti per coprire le miserie dei vivi: chè, inalzar marmi e bronzi costa soltanto danari, quando l’ingegnarsi di imitare i grandi costa tali sacrifici che, tranne pochissimi, nessuno è capace, non che di sostenere, d’immaginare." M.R.




MAZZINI
Dall' Atlantide  di Mario Rapisardi - Canto  undecimo

Sei tu, sei tu, con subito e profondo 
Estro d'entusiasmo Edea favella: 
Ben t'affiguro al mite aspetto, al fondo 
Sguardo, alla fronte pensierosa e bella ! 
O intemerato cavalier del mondo, 
Ben principia da te l' età novella, 
Da te, dal cui presago alto pensiero 
Raggiò, qual sole dall' oceano, il Vero !

Quando più pura e più sublime Idea 
Più puro cor, mente più alta accese ? 
Quando in età più tenebrosa e rea 
Raggio più bel di libertà discese ? 
Quando mai l'ala del Pensier che crea 
Finse più mite eroe, più sante imprese ? 
Quando sdegno che atterra, amor che molce 
Andar congiunti in armonia più dolce?

Dolce armonia, che nel tuo bronzeo petto 
Di vaticinj e di dolor nutrita, 
Dalle voci cresciuta, onde un eletto 
Stuolo agitò la tenebra abborrita, 
Alimentata dal perenne affetto, 
Per cui sì novi eroi dieder la vita, 
Resa divina dal sospir di tante 
Madri e dall' ira e dall'amor di Dante,

Nel tuo grido proruppe, e all'aure prave, 
Onda oscura intristia l' itala pianta, 
Diffuse a un tratto un fremito soave, 
Una speranza inusitata e santa; 
Dai pigri petti, dalle menti ignava 
Fugò la nebbia e la negghienza tanta, 
E come squillo di celesti trombe, 
Svegliò la terra ed animò le tombe.

Sorsero sette re, pallulàr sette
Venali turbe al mal d'Italia armate, 
E industri insidie e perfide vendette 
Fra l'erbe ordir dal pianto tuo bagnate; 
Il demonio dell'Odio e delle Sette 
Ti saettò con Farmi avvelenate; 
Ma il vermiglio Guerriero, un contro a tutti, 
Sguainò la sua spada e fùr distrutti.

Salve, o dell' Ideal nitido acciaro, 
Raggio di libertà puro ed ardente, 
Celere qual pensier, come Sol chiaro, 
Gloria della ridesta itala gente ! 
Per te dall' ombre dell' esilio amaro 
Rifiammeggiò del Ligure la mente; 
Per te l'Idea, che il cor gli arse perenne, 
Nella destra d'un dio fulmin divenne !




*****
La Rivista Popolare ed. 1905 n. 11/12




domenica 20 aprile 2014

Necrologio per Mario Rapisardi - 1912


«Niun saprà delle mutate genti / quale io vissi e chi fui; cadrà ne’ gorghi / del tempo il nome mio, su cui maligne / tele d’alto silenzio il vulgo ordisce; / ma l’ideal de’ giorni miei, la face / che il mio misero corpo oggi consuma, / splenderà sotto a’ firmamenti eterno».  
M. Rapisardi -  XIV  Epigrammi



Di Nunzio Vaccalluzzo - 1912








Tommaso Cannizzaro e Mario Rapisardi, i poeti amici.

Luigi Vita, valente direttore della rivista messinese Battaglia Letteraria, così scriveva, nel vano tentativo di rivendicare l'alto valore del poeta e letterato peloritano Tommaso Cannizzaro, deplorando il poco onore che in genere gli si rende dalla sua stessa città natale: Cannizzaro dovrebbe essere letto, studiato, ammirato assai più, non solamente dai suoi conterranei messinesi, ma da tutti i siciliani.
 
Giustamente il Vita sottolinea che Tommaso Cannizzaro fu onorato di stima e di amicizia da scrittori quali Victor Hugo, Carducci, Mario Rapisardi, G. A. Cesareo, Giovanni Pascoli, Luigi Capuana, Arturo Graf ed altri simili: il riconoscimento da parte dei Grandi è sempre quello che uno scrittore più ambisce e che largamente lo compensa della incomprensione dei superficiali e degli indotti e dei lettori frettolosi.
Opportuno è ripubblicare, qui, un magnifico sonetto che M. Rapisardi scrisse per l'amico T. Cannizzaro e che si legge tra le Foglie sparse, edizione Sandron.

A TOMMASO CANNIZZARO
Tommaso, invan dove la pugna ferve 
Richiami il tuo commiliton canuto, 
Che, libero fra tante anime serve, 
Per l'onore dell'arte ha combattuto.

Ben ei freme al pensier che di proterve 
Menti uno stuol di vanità pasciuto 
D'ogni pura bellezza ha il fior polluto, 
E alle turpi sue voglie Italia asserve.

Ferito al petto, in solitario loco,
Il sangue ultimo ei perde, e ala sua vista
Discolorasi il mondo a poco a poco.

Ma troppo del suo danno ei non si attrista, 
Se l'idea, che il temprò dentro al suo foco, 
Per opra tua novo splendore acquista.

Versi del Cannizzaro scritti per il Rapisardi , sono quelli che il poeta messinese pubblicò nella rivista catanese Istituto di Scienze lettere e arti del 30 Gennaio 1899 e intitolati A Mario Rapisardi, in occasione delle onoranze a Lui: in occasione, cioè, delle onoranze che Catania tributò al suo grande Poeta, allora poco più che cinquantenne, col plauso degli uomini più insigni d'Europa; onoranze di cui segno più duraturo rimase il busto bronzeo del Rapisardi nel giardino Bellini, opera dello scultore Benedetto Civiletti. In questi versi, il Cannizzaro esortava il festeggiato Cantore di Giobbe e di Lucifero a non badare al cavallo della gloria che nitriva alla sua porta, e gli faceva notare che i massimi poeti — l'Alighieri non escluso — non ebbero riconoscimenti e festeggiamenti, ma persecuzioni, incomprensioni, livori, povertà, esilio e che il poeta deve essere « odiato dai contemporanei e dimenticato dai posteri» (anche dai posteri?). Ma vediamo i versi di Cannizzaro:
« Del tuo quieto ostello a le severe porte
il cavai de la gloria odi, o Mario, nitrir,
esso ti attende, e — inforcami, — grida superbo e forte
—  del canto altero Sir. 
Io ti trarrò per selve di lauri maestosi 
dove i venturi secoli un peana a inalzar
verranno su la fulgida urna dei tuoi riposi
—  Mario, non l'ascoltar! 
Volgigli il tergo e lascia ch'ei corra ove più voglia 
dove la vana sete di fama il porterà:
a lui tu nega il varco della modesta soglia dove la Musa sta ... »
Evidentemente Cannizzaro esagerava: Rapisardi non fu mai avido di lodi e di onori: « Poco il biasimo e men la lode apprezzo » scrisse nell'epistola poetica ad Andrea Maffei, nel mandargli una copia del Lucifero. E in una delle Poesie religiose, dedicata a Felice Cavallotti, scrisse di sé:

« Io, che tutta donai la mente al Vero,
Né più mi tocca il cuor biasimo o lode ... ».

Ma che egli dovesse mostrarsi sordo e indifferente al cavallo della gloria, che finalmente nitriva alla sua porta, era troppo.
Rapisardi, rispondendo ai versi e ad una lettera del Cannizzaro, per ciò così gli scriveva nel febbraio del 1899:
« Il cavallo della gloria ha dunque nitrito alla mia porta, ed io, dovevo secondo te cacciarlo via a suon di pedate? Oh, perché, amico mio? Io credo aver fatto qualcosa di più gentile.
Mi sono affacciato allo sportello, in mutande e berretto da notte, e ho detto: Pegaso mio, io ti sono grato del cortese invito; ma, credimi, io non ho più voglia di inforcare le tue groppe e di caracollare per le regioni fragorose della gloria.
Certo non mi vergogno di averti un giorno desiderato (oh, perché dovrei vergognarmene, se i più nobili e fieri spiriti, non esclusi l'Alighieri e l'Alfieri, ti hanno ardentemente desiderato?); ma ora, credi, ho altro per la testa; e il mio vecchio cuore, a parte gli acciacchi e i disinganni dell'età, non ha palpito alcuno per tutto ciò che non si riferisce alla giustizia e alla pace degli uomini ». Coerentemente con questa affermazione, più tardi, nel maggio del 1906, in prefazione all'edizione Nerbini del suo Lucifero, scriveva di sé che « vicino ormai a dissolversi nell'infinito, nel fluttuare di tante idee, nel tramonto di tanti idoli, nella furia fragorosa di sì strane correnti artistiche e letterarie, egli rimaneva fermo in quei princìpi che aveva finalmente riconosciuti per veri, aspirava l'aura dei nuovi tempi, s'inebriava al sentore delle nuove battaglie, ringiovaniva alla certezza del trionfo della Giustizia e della Libertà ».
Chiudendo la lettera suddetta al Cannizzaro, il Rapisardi incalzava: « Mi parli di una gloria fatta di oblio ... dici che del poeta ha da essere obliato persino il nome, salvo poi a lasciar l'ufficio di ripeterne il canto alle foreste, al cielo e al mare. Mio caro amico, te lo confesso: codesti a me paiono indovinelli.
E tali, credo, li avrebbe stimati anche il povero Antero, che, nonostante il suo ascetismo, forniva gentilmente le proprie notizie biografiche ai suoi traduttori e credeva che l'essere onorato e stimato dai contemporanei era pure qualcosa ».
La chiusa della lettera accenna ad Antero de Quental, poeta portoghese, di cui il Cannizzaro, conoscitore sicuro di lingue moderne, tradusse in italiano i sonetti.
La lettera è a pag. 343-44 dell'Epistolario del Rapisardi edizione 1922 dell'editore Niccolò Giannotta di Catania, curata dal Dottor Alfio Toma-selli, il quale, dopo la morte del Poeta etneo, sposò la di lui amica e ispiratrice Amelia Sabernich Poniatowski.
Coerente con questo suo modo strano di concepire l'attività del poeta, il Cannizzaro pubblicava le proprie opere senza nome, o con pseudonimi: « Versi francesi di un anonimo »,« Le quartine di Umar Chayyàm recate in italiano dal traduttore dei sonetti Camoése di Anthero de Quental ». Ragion per cui il De Amicis, scrivendogli, lo invocava: « Gentilissimo Innominato ». E motto abituale del Cannizzaro era: « Nascondi la tua vita, diffondi le tue opere ». Qualcosa di simile pensava il Cesareo quando diceva, a noi suoi scolari nell'Ateneo di Palermo, che quello che resta di un poeta è la sua poesia; la quale, mentre è la sua gloria, è anche la sua giustificazione ».



Morto il Rapisardi, nel gennaio del 1912, il Cannizzaro non mancò di scriverne e notò, tra l'altro, che « Mario Rapisardi visse solitario come un eremita e morì come un filosofo antico, i cui ammaestramenti ci restano quale eredità preziosa che maturerà i suoi frutti nelle generazioni future ».

Ma scrivendo del poco onore in cui il Cannizzaro è tenuto dai messinesi, e dai siciliani in genere, non si può tacere il nome illustre di un altro poeta e letterato messinese cui sembra inflitta una simile incomprensione:   Giovanni Alfredo Cesareo.
Forte e fecondo poeta, che ha pagine degne del Foscolo, e critico saggista paragonabile al De Sanctis, egli è tuttora sottovalutato in Sicilia e in Italia. E non mi risulta che la sua Messina gli abbia eretto un busto; né glielo ha eretto Palermo, dove fu a lungo maestro insigne di Letteratura Italiana.

Per il Cesareo, come per il Cannizzaro e per il Rapisardi e per G. A. Costanzo si aspetta ancora la critica serena e chiaroveggente che assegni loro il posto preciso, cui hanno diritto, nella storia della letteratura moderna.

Bibbliografia
*Articolo apparso in rivista « Battaglia letteraria » di Messina, Gennaio-Febbraio 1967 e in rivista « Palaestra » di Maddaloni (Caserta), Luglio-Settembre 1967.
* Saggi e discorsi di Ignazio Calandrino.

domenica 6 aprile 2014

La Contessa Lara e Mario Rapisardi

La vita della Contessa Lara fu tutta amore.
Le più audaci seduzioni del sesso prorompevano dalla sua esile figurina, divinamente modellata, che pareva staccata " da un quadro di Watteau o di Boucher „. E la sua anima ardente di poetessa cantava i fremiti che l'agitavano, con versi leggiadri e pieni di squisita sensualità.

lo t' amo, t' amo. Oh, ch' altra donna mai
Non susurri al tuo cor questa parola:
Per quanta ne incontrasti e ne vedrai
Anco nei sogni, vo' bastarti io sola.
Io saprei tramutarmi in che vorrai,
Mentre com'or tra i baci il dì s'invola:
Frine, Saffo, Maria chiedi, ed avrai
Quanto fibra, intelletto, alma consola.

Chi non sente da questi versi emanare il profumo inebriante che stordisce i sensi, che sferza il sangue, che induce ai sogni voluttuosi, indefiniti? Come resistere alla potenza di quegli abbracciamenti, di quei baci? E quanti furono i suoi adoratori? Quanti ne trascinò ella dietro il carro trionfale della sua incantevole bellezza?  Qualcuno lo si ravvisa:

(Ad un amico)

Cantò che la serena arte d'Omero
Ne le mie forme agli occhi suoi splendea,
Mi chiamò gloria, musa, angelo, idea,
Fantasma incantator che adombra il vero.

Al ciel, cui fido vola il mio pensiero,
Per me il ribelle spirito s'ergea;
Per me la fiamma che nel sen gli ardea
Mutossi in pianto nel grand' occhio nero.

E mi sognò pe' lidi suoi, la dove
Un balsamo di zagare e di timi
Arcana voluttà su i sensi piove ;

Dove tranquillo al vespero dorato
Fuma l' Etna da i vertici sublimi:
Tanto sognò che non si è più destato.     (Cfr. Carezza in " Ricordanze - M. Rapisardi)

Ma ella non voleva che la si descrivesse una sirena, una maliarda, che suggeva la vita con pochi baci; ne meno bigotta perchè frequentava la chiesa. Ella voleva. Apparire

Non demonio, ne maga, ne Madonna ;
Ma una figura semplice e pudica
Figura di leggiadra e nobil donna.

E però, con civetteria raffinata, spesso soleva mostrarsi agli amici ora in posa di verginella ingenua e pudibonda, ora in abbigliamenti strani di principessa vaporosa.
Era, in verità, adorabilmente capricciosa; e se si trovava sola, e non poteva uscire perchè fuori pioveva nella notte invernale, ecco ella scriveva in un foglio, laconicamente:



Son sola. Piove; mi fa freddo. Vieni.

Maestra in operare inganni amorosi, sempre accesa dell' invincibile febbre dei sensi, ella era tale che mentre si trovava in braccio di un amante, meditava il convegno con un altro: e i loro scatti di gelosia sapeva dominare con le sue arti irresistibili di maga. Ecco:

Il litigio era grave. Egli l'avea
Con aspri accenti e con sospetti offesa;
E fissava lo sguardo in su la rea,
Quasi ne avesse la discolpa attesa.

La testina gentil di greca dea
Scrollava ella, sdegnando esser compresa ;
E co'l picciolo piè lieve battea
Una levriera su'l tappeto stesa.

Ei si mosse a lasciarla; ed ella assorta
Tutta in un suo pensier, seguialo altera,
Fredda, senza un addio, come una morta.

Ma dubitosi, in atto di preghiera,
Si guardaron negli occhi in su la porta,
E disser sottovoce : A questa sera.        (Questo sonetto è intitolato: Sulla porta.)


Ma l'arte doveva assorbirla interamente. Ella affidava al canto le sue memorie e le sue speranze: credeva riabilitarsi nell'onda armoniosa della poesia, e, amorosa  cinciallegra, cantava in tutte le stagioni sempre la sua nota semplice e bella, a dispetto dei pettegolezzi del mondo ipocrita.

Dicean ghignando che a la donna sola,
A la rejetta, a l'esule, a la mesta,
Non più l'arte, che inalza e che consola,
Darebbe fiori per la bionda testa.

La Musa, invece, intorno ad essa vola
Sempre fida qual pria, nobile, onesta
E fa negl'inni udir la sua parola
Che memorie e speranze in lei ridesta.

Insieme van così lungo il sentiero
Triste del mondo, che soltanto ha fine
Ne l'alta erba là giù del cimitero.

Ingombro è il suol di rettili e di spine,
Di minacciose nubi il cielo è nero,
E pur cantano ancor le pellegrine.

E i suoi versi spontanei, melodiosi, quasi sempre originali, finemente cesellati, malinconicamente suggestivi, scritti col vivo sangue del suo cuore fremente, avvinsero gli animi, e furono con avidità letti e cercati e gustati.
In essi è una nota spiccatamente personale.


Il Rapisardi conobbe Evelina Cattermole Mancini (Contessa Lara) a Firenze, nell'estate del 1875.
La vide un giorno ferma a una vetrina di libraio. Attratto dalla potenza fascinatrice di quella giovine e rara bellezza, la segui: abitava non molto lontano da via della Pace, ove al n. 9 era la casa di lui.
S'informo: seppe chi era.
Il nome della Mancini correva allora per le bocche di tutti, a Firenze : lo scandalo del duello era troppo recente.
Ciò acui il desiderio del Rapisardi di conoscerla personalmente.
Le mando un esemplare delle Ricordanze. 
Ella gli rispose che quei versi le erano noti, che li aveva letti insieme col suo Bepi; e l' invitava tosto a un abboccamento.



l'ultima terzina di un sonetto che la poetessa dedicò a Mario Rapisardi nei tempi felici: Era di maggio un dì, sull'imbrunire / Ei mi gettò una rosa entro 'l balcone / Io la raccolsi e mi sentii morire.


L' appuntamento era per mezzogiorno.
Il Rapisardi, come tutti i giovani innamorati a cui un' ora d'attesa sembra un'eternità, alle ore undici e mezza, impaziente e ansioso si trovò dietro l' uscio della Lina.
Erano già a' preliminari, quando udirono alla porta una scampanellata risoluta.
Trasalì il Poeta, ricordandosi di avere sbadatamente lasciato sul tavolino il biglietto accusatore.
S'aspettava una scenata. " Lasciate fare a me: state tranquillo „ gli disse la Lina, senza scomporsi; e ando ad aprire.
Il sospetto era realtà.
Apparve la Giselda pallidissima, con le folte e nere sopracciglia aggrottate e un tremito convulso nelle labbra bianche che mal nascondevano la emozione vorace.
Ma il contegno e le parole ammalianti della Lina riuscirono subito a calmarla.
Lo stesso giorno divennero amiche.
L'indomani la signora Mancini andò a trovarli in casa.
E le due amiche in seguito dovevano divenire intimissime.
-------
Non senza meraviglia ci vien di notare che giusto allora il Rapisardi aveva pubblicato dal Le Monnier il Catullo e Lesbia, studio che potrebbe sembrare una preparazione del suo spirito, per una tal quale rispondenza con la sua nuova avventura. Si direbbe che l'anima del Poeta veronese si sia affratellata alla sua nella prova dell' arte.

Or il tempo che Mario Rapisardi passò amoreggiando con la Contessa Lara è per vero il periodo più tempestoso e tuttavia più fecondo della sua vita. Si può dire, anzi, che per lui quest' amore, nonchè una distrazione, fu come una valvola di sicurezza alla sua natura esuberante passionale irrefrenabile; ed egli vi si abbandonava con la gioia del pellegrino che a una canora polla d'acqua fresca ristora le viscere arse dal viaggio.

Che scintillio d'immagini e gaiezza d'ispirazione in quella 3° parte delle Ricordanze, che egli andava scrivendo.
E che soave tenerezza di richiami e di abbandoni nelle strofe voluttuose della Lina!
Un sonetto intimo bellissimo, che il Rapisardi si decise in ultimo a stampare nell'edizione definitiva delle sue poesie, compendia questo idillio.
E intitolato : Lettura di versi.

Ella legge i suoi versi; amor non dorme
Nel mio petto geloso: or lieti or mesti,
Come levrieri i sensi miei ridesti
Delle avventure sue corron su l'orme.

Pazzi amori ella narra, ore celesti,
Fantasmi strani, alati sogni a torme ;
Io con la man tra le nemiche vesti
Tento ansando le sue floride forme.

Ella dice un bel verso, io dico : t'amo;
D' arte essa parla, io de le sue bellezze ;
Una rima ella chiede, un bacio io bramo ;
Finchè a provar le verseggiate ebbrezze,
Come strofe intrecciandoci, facciamo
Un poema di baci e di carezze.

A lei il Poeta cantava con giovanile baldanza :

Ti rapirò dove dal sen si sferra
Selvatico cavallo il genio mio,
Dove col mondo e la fortuna in guerra
Sorgo fra i lampi e sfido a morte Iddio.

In quegli anni, oltre che le Ricordanze, egli scriveva il Lucifero, tradusse Lucrezio. lanciò come fiotti di luce redentrice l' Ode al re, il Giobbe, le poesie di Giustizia.
E di quel tempo e la famosa polemica.
Ma gli amori, i dolori, le malattie, piuttosto che affievolirne l'ingegno e il carattere, lo ingagliardivano e lo ritempravano.
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La fine

S.ta Maria di Gesu, 24 marzo 1885.
Oh dignitosa coscienza e netta !
Se mi  avessi  scritto   " Imbastisco il mio millesimo
amore e sono a' comandi del tal dei tali „ ti disprezzerei
meno.
Addio. Mario Rapisardi

L' idillio era finito. Un tempio crollava. Nessuna magica potenza poteva rievocarne il nume.


Dopo tutto quanto abbiamo di già sopra scritto e riportato, si giunge ora a voler, senza uno scopo plausibile mettere in dubbio tale episodio della vita affettiva del Rapisardi con Evelina Cattermole; ma, poichè si cerca ad arte velare la verità, sentiamo il dovere per onestà letteraria di precisare richiamandoli alla lesta i fatti, con la scorta degli stessi documenti. 
Non è da tener conto naturalmente dell'inutile ciarpame di invenzioni fantastiche che cade alla prima lettura di queste lettere e di quelle del Rapisardi.

In una pagina del suo recente libro su la Contessa Lara la signora Maria Borgese così conchiude: " Dunque il Rapisardi conosce la Contessa nel settembre 1875, appena qualche mese dopo la separazione di lei dal marito, e arde subito di amore. La segue, le manda un suo libro, le si fa presentare, le presenta la moglie per insistenza della stessa Lara. La signora gradisce l' affettuosa devozione dell'uomo illustre, ma non può amarlo; gli si mostra cortese, indulgente, anche dolce, ma si stringe di schietta e fedele amicizia con Giselda, la moglie di lui. Egli le dà del tu e lei gli risponde col voi.... ..

C'è da rimanere perplessi, sinceramente, con tutto che la gentile scrittrice sin da principio ci avverte che " fu animata da una grande umana simpatia, di donna a donna „.

Eppure, i fatti parlano tanto chiaro; a meno che tutti gli appuntamenti a solo e a ora tale che la Lara dava al Rapisardi nei suoi brevi biglietti (come quello: " Vaspetto dopo le 2 1/2 -)  e la sua proposta di passare " qualche altro dolcissimo giorno a Napoli o a Salerno  in compagnia del Rapisardi non s'abbiano a intendere da oggi innanzi come inviti a semplici conversazioni letterarie. 
O per quale ragione poi i loro abboccamenti dovevano sempre essere necessariamente di nascosto alla nonna , sia in casa della Lina che in quella di Giulio o di Giorgio ? 

E, di grazia, che potrebbero significare le parole che la Lina sottolinea nella lettera scritta dopo la guarigione: " Appena sarò in grado di dire una parola, ve ne avvertirò e verrete a trovarmi 
Dobbiamo per avventura figurarci la Contessa, in siffatte circostanze, quasi quasi una bella e buona pupattola imbottita di stoppa e di cruschello? 

Non basta. Poichè c'era di mezzo la moglie Giselda, onde impossibile parlare in libertà, e gli avvicinamenti periodici (" l' ebbrezza d' un istante „ dice il Poeta nel Ritrattoa intervalli di anni: " è evidente, non sentiva amore per Rapisardi „. Come se quella donna terribilmente facile e infinitamente capricciosa ne abbia sentito mai " amore „ per alcun uomo. Così la chiusa del palpitante sonetto Lettura di versi del Rapisardi (pubblicato la prima volta da un giornale di Napoli a insaputa del Poeta, in occasione della morte della Lara): 

Come strofe intrecciandoci facciamo
Un poema di baci e di carezze

e tutta la lettera che la Lina gli scrive da Roma il 19 gennaio 1885, in cui gli chiede perdono gettandogli " le braccia al collo come lì a Napoli „ e l' altra che si chiude con lo " strettissimo abbraccio „, nonchè il reciproco uso del tu nell' intimità e apertamente quando furono liberi della Giselda, potrebbero tutt'al più dimostrare una cosa naturale " non rara fra scrittore e scrittrice legati da una forte simpatia e dalla vita comune del giornale e del libro , ; anzi - la gratitudine o la pietà „ della Lina per il Rapisardi. Così, proprio.
E non al Poeta sarebbe esatto riferire, per conseguenza, il sonetto della Contessa Lara Sulla porta.' in cui è descritta la scena del litigio dei due amanti e la relativa pacificazione. 
E dire che fu allora (ottobre 1880) il Rapisardi, che lo mando al Martini perchè lo pubblicasse nel suo giornale! 
Or in proposito ben ricordo che, quando io mi recai dopo l' assassinio della Lara a visitare il Rapisardi, lo trovai che sfogliava il libro della povera morta (il volume Versicon la dedica ' Al suo Mario, Lina „), e mi fece leggere giusto quel sonetto che gli ricordava tante cose. L'immagine della isterica autrice gli tornava alla mente nella sua fascinosa bellezza. " Versi scritti con l'utero „ chiamava quel libro il Poeta, e in una ottava omessa dal canto VII dell'Atlantide (sicuramente tracciata molto prima del '93) si legge appunto:

le uterine armonie della Contessa
Qui declama un arnese ispido e rude

Tuttavia giova anche ricordare di passata che nel 1892, la Lina aveva mandato al Rapisardi con dedica suggestiva il suo nuovo romanzo L'innamorata, e nello stesso anno il Rapisardi in una lettera al Cesareo non aveva dubitato di chiamarla " donna insigne ,.

Ecco, noi non giudichiamo: solamente esponiamo a nudo i fatti

dal Commentario Rapisardiano di Alfio Tomaselli, 1932





"La fine tragica della sua vicenda sentimentale con il pittore napoletano fu quasi inevitabile: il 30 novembre, durante l'ennesima litigata in cui Eva gli intimava di andarsene, fu fatale la presenza nella stanza del revolver, che l'uomo, infine, in circostanze mai ben accertate, usò contro di lei colpendola all'addome. La pistola era un modello da signora, di piccole dimensioni, e il colpo non provocò la morte immediata di Evelina. Però Eva non fu immediatamente soccorsa: l'uomo e la cameriera, che nel frattempo era accorsa, impiegarono diverso tempo prima di chiamare un medico, e le forze dell'ordine furono sul posto ad indagare solo parecchie ore dopo, quando Eva era già agonizzante. Secondo varie testimonianze, fino all'ultimo, a chi si recò al suo capezzale, Eva insisté nel dire che l'omicidio era stato dettato solo ed esclusivamente da interesse economico: infatti, in caso di omicidio dettato da motivi passionali, le giurie dell'epoca tendevano ad applicare molte attenuanti alla pena.
Naturalmente, seguì un processo che fece scalpore. Non fu possibile provare precisamente la dinamica dei fatti, né le motivazioni economiche sottostanti al gesto dell'omicida. Il testamento indicava come unico erede l'amico Ferruccio Bottini, che però rifiutò il lascito.
I funerali ebbero un gran concorso di folla, e furono molte le manifestazioni di affetto. In seguito, però, si verificò un brutto scandalo: i fondi che erano stati raccolti per la sepoltura svanirono nel nulla e i resti della scrittrice non poterono mai avere sepoltura adeguata." Wikipedia

domenica 19 gennaio 2014

Dall' " Elogio di un pazzo „ di Mario Rapisardi - 1880

" Elogio di un pazzo „
Giunto all'età di cinquan'tanni ei si ridusse pacificamente in campagna, dove non volle altra società che d'un cane vecchissimo e cieco, il quale egli stimava miglior filosofo di tutti, non perchè fosse fedele, non parendogli questa una gran virtù, anzi una qualità nemica se non della saggezza, della felicità; ma perchè per grida e bastonate che gli desse, mai non volle perder l'abitudine di pisciare altrove che nella stanza dei libri : come se lo volesse con questo ammonire che la sapienza dei mortali raccolta e custodita in tanti gelosi volumi non merita niente di meglio che quella tiepida benedizione. Del quale avviso ei pur finalmente si accorse, e a compensarlo di ogni mal trattamento avuto per siffatto procedere, lo ricolmò poi di carezze e gli diede profenda di buoni cibi ogni qual volta gli ripetesse quella saggia ammonizione.
Con questo cane e con gli alberi dell'aperta campagna egli s'interteneva spesso in profondissimi ragionari ; onde quei delle circostanze lo tennero presto in conto di mago o di matto. E dei matti egli ebbe sempre grandissima considerazione; ed essi, non so per qual secreta attrattiva,  lo  avvicinavano   senza  sospetto  e gli diceano parole ch'egli scrupolosamente scriveva in un taccuino   che   portava sempre con  sè, e stimava   più   prezioso   dei   memorabili   di   Socrate.
Oltre a tale strana raccolta, io non credo conservasse altra sua scrittura : e dico così, perchè io so certo che egli si dilettò sempre dell' arte sua; ma le cose composte nella solitudine, e che egli chiamava le sue figliole, consegnò sempre al fuoco appena le avesse finite, scusandosi, che mandandole per il mondo, gliele avrebbero certamente stuprate.
Delle donne amò più presto la bellezza che la virtù, onde preferiva Frine a Lucrezia. Nelle madri la tenerezza dolcissima della sua, che ricordava sempre con passione, parevagli più virtuosa dell'eroismo delle Cornelie e d'altre famose, i cui fatti lodatissimi dagli storici egli attribuiva in gran parte ad animo snaturato da vanità.
Di qualche mia visita si meravigliava come di singolar bizzarria, e, citando un poeta  tedesco, dicea che fra l'altre stravaganze io aveva quella di esser fedele.
Quando l'ultima volta ammalò e si sentì vicino a morire, essendo io tristissimo al suo capezzale e il cane ai piedi del letto, egli mi prese tristamente la mano, additò con l'altra quella povera, bestia che mugolava, e parodiando la parola del figliolo di Dio : Amico, esclamò, ecco il tuo figlio; figlio mio, ecco il tuo babbo.
Scorgendo poco dopo certi vecchi stivali schierati sotto un cassettone: Ascolta, mi disse, e scrivi religiosamente la mia ultima volontà : Io sottoscritto, etc. etc, sano di spirito ma non di corpo etc. (e giù giù tutte le altre formole, come s'egli non avesse fatto altro al mondo che il tabellario) lego e lascio spontaneamente ai miei critici tali dei tali (e qui una filza di nomi, che io per discrezione tralascio) per ciascuno un paio di quegli arnesi, sulla cui punta leggerà, chi ben guardi, la risposta e la gratitudine ch' è loro dovuta.
Avvicinatosi intanto il momento fatale e sentendosi egli venir meno, raccolse come potè meglio le ultime forze e pronunziò solennemente in latino le parole che disse in simile istante Gregorio VII. * Ma vedendo che io prendeva troppo in afflizione quel suo parlare, diede subitamente in una gran risata, e, voltatosi dall'altro lato, spirò. (* Dilexi   iustitiam, odi iniquitatem :  propterea morior in exilio.)

* * *
Queste cose ho voluto raccogliere e riferire dell'amico mio, intendendo a mio corto giudicio di fargli onore. 
Ma se io sono riuscito per avventura al contrario e le ire non anco sopite sul suo sepolcro si scateneranno sul mio povero capo o vero un sogghigno crudele risponderà alle parole pietose dell'amicizia, io non me ne terrò meravigliato ed offeso : parendomi stoltezza il far carico agli asini, di aver lunghe le orecchie, e ai lupi di perdere più tosto il pelo che il vizio.
                                                               Febbraio 1880. Mario Rapisardi.


* Tratto da Mario Rapisardi - Sherzi - Versi siciliani _ ed. Etna 1933




domenica 27 ottobre 2013

Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta Mario Rapisardi

"La storia della letteratura è rettilinea: chi non va sulla via maestra sarà falciato come una mala erbaccia".



Oblio e odio, di Lorenzo Vigo - Fazio


Pregai un mio amico adulto, il Prof. Giorgio Buscema, d'accompagnarmi, e andai con lui a bussare alla porta dell'appartamento, che fu l'ultima abitazione dello scrittore.




La Signora Amelia Poniatowski e il Dr. Alfio Tomaselli, a cui ella, da pochi giorni, era andata sposa, ci accolsero garbatamente e mi fornirono le notizie che desideravo.

Così, «Il Tirso» di Roma, periodico d'arte fondato da Gabriele D'Annunzio, nel n. 36 della decima annata, il 16 Novembre del 1913, pubblicò, in prima pagina, su quattro colonne, il mio articolo: «Oblio e odio alla memoria di Mario Rapisardi (Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta ».

Ne riproduco, qui appresso, alcuni passi salienti: 

«- Oh, come sono contenta della loro visita!... Avrei dovuto mandare io qualche cosa ai giornali del continente, per protestare contro questa indegna congiura d'odio e d'oblio... Ma giacché loro hanno avuto la bella idea di venirmi a trovare, non ne fa più d'uopo. - Ci dice la Signora Poniatowski ».
...« - Come hanno veduto, la casa ha perduto la fisionomia di prima, perfino la terrazza, così cara a Mario, scompare... »

« - Ma ci dica: non ha reagito ella contro questa violazione? »

«- S'io abbia reagito!... - esclama calorosamente. - Ma se io mi sono votata a tutti i santi... del potere: a sindaci, a deputati, a municipi, a giunte... ».

« E non le hanno dato ascolto? »

«Neanche per sogno. Il padrone di casa mi ha risposto che s'era messo d'accordo col Municipio. 
Ne ho parlato ad artisti, a letterati, a politici. Nessuno ha saputo impedire... quest'accordo. »
«Sarà stato forse perchè Mario, ch'era un'anima alta e nobile, ed ebbe sempre il torto di dire la verità - la quale certe volte riesce amara - scrisse qualche parola frizzante contro municipi, sindaci, onorevoli, giunte comunali, amministrative, ecc. Ed ora se ne vendicano... »
« - E' la vendetta dei vili! - soggiunse il mio amico. »
« - Con l'odio, il disprezzo, l'oblio... Ma Mario resta sempre quello che è; io lo chiamo l'Uomo della verità. »

« - E sanno cosa se n'è fatto del cadavere? - ci chiede il dottore. » 

« - Ecco, lo spiego loro subito. - soggiunge la Signora Amelia - Il 4 Gennaio, farà due anni che il Grande e scomparso. Ed è da quasi due anni, perciò, che il suo corpo giace, non ancora tumulato, nell'ufficio del cappellano del cimitero... Quel povero dottore che l'ha imbalsamato, affinché i sorci non lo mangiassero, ha usato tutti i mezzi... Perché le mosche non cadano nel piatto, ci mettiamo sopra una coppa di rete metallica, così hanno fatto con lui... »

« - E nessuno reclama? - gridai. »

« - L'altro giorno, un gruppo di giovani, in segno di protesta, venne ad apporre quella lapide - ci dice ella, mostrandoci col dito, appoggiata ad una sedia, una lastra di marmo d'un metro quadrato circa. -
Trascrivo quello che vi sta scritto:

RICORDANDO L'IMMORTALE MAESTRO MARIO RAPISARDI
GLI STUDENTI UNIVERSITARI
XX Settembre 1913


« - Si figuri che costoro che si dicono discepoli di Mario, attaccarono la lastra sul muro del domicilio del Signor Chiarenza!... E che chiasso fecero!... »


« Appena io mi fui accorta dell'errore, dissi: - Non sono ancora due anni che Mario Rapisardi è morto, e non vi ricordate più dove è vissuto! - »

« Ed ordinai subito che togliessero quella lapide. ».

Ed i mobili?

« - Sono rinchiusi la dentro - ci dice, indicandoci la porta a tramontana (quella dello studio), che è chiusa con diversi lucchetti. - Un numero rilevante di volte ho mandato a dire al Municipio che li tolgano, e non li lascino rodere dai tarli, ma coloro fanno orecchio da mercante. Anzi, ogni volta, hanno mandato qualcuno, per aggiungere un altro lucchetto; e l'ultima volta, fecero ricoprire esternamente di latta le imposte dei due balconi dello studio. »

« I manoscritti, almeno, sono al sicuro? »

« - Ma che! Sono pure la dentro, gettati per terra, alla rinfusa... »
« Dio voglia che i topi li abbiano rispettati. Se ne trovano fra essi alcuni inediti, che Mario scrisse, adolescente, fra la vita e la morte. Anche quelli della "Palingenesi" e d'altre opere. »
« - Perché il Municipio non li rileva? E tutti gli oggetti sono catalogati? »
« - Niente affatto. Prima di morire, Mario mi diceva sempre: "Cataloghiamoli! Cataloghiamoli!" E loro: "C'e tempo! C'e tempo!" ».

...« Loro che sono liberi scrivano, scrivano tutte queste cose che il pubblico non sa! »

« Promettiamo di dire tutta la verità ai nostri lettori, e ringraziando, ce n'andiamo, con nel cuore, un sacro impeto di sdegno. »

La pubblicazione di tale mio articolo suscitò uno scalpore più grande del previsto. Numerosissimi furono i quotidiani, le riviste, i periodici che lo riprodussero o lo riassunsero; e tutti, prendendo le mosse dalla vibrante nota di protesta, che il Comitato di Redazione del « Tirso » vi aveva posto in calce. Anche taluni importanti quotidiani stranieri pubblicarono quanto io avevo denunciato all'opinione pubblica, biasimando l'incuria del Municipio di Catania. 

La stampa catanese quotidiana e periodica faceva larga eco all'indignazione nazionale ed estera.
Così che l'amministrazione municipale fu costretta a provvedere al più presto a dare onorata sepoltura al Poeta; ed invitò Carlo Pascal a commemorarlo, nel Teatro Massimo Bellini.

Ricorderò sempre con compiacimento codesto coraggioso episodio giornalistico della mia adolescenza, il quale mi procurò la malevolenza dei responsabili dell'abbandono, in cui erano stati lasciati li cadavere di Mario Rapisardi e le sue cose; e d'altro canto, segno l'inizio della campagna, da me durata in Italia ed all'estero, per diffondere il pensiero del Poeta, rivalutarne l'opera e difenderne la fama (1).

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(1) Nel 1922, commemorai, in Catania, il X anniversario della morte di M. Rapisardi, pronunciando, nel Teatro Massimo Bellini, un discorso su « L'epistolario inedito di Mario Rapisardi », che fa parte del mio volume « Saggi e Discorsi», edito, nel 1925, da « Bottega d'Arte » di Carpi di Modena. 


Ho scritto del Rapisardi, su tanti giornali e riviste; e nei periodici da me diretti «Endimione» (Casa editrice «Ausonia », Roma) e « Rivista di Catania e del Meridione », la vita e l'opera del Poeta vi furono ampiamente illustrate.




Nel 1930 l'editore Alfredo Formica di Torino pubblicò la raccolta, a cui avevo atteso per quindici anni: « Mario Rapisardi: Prose, Poesie, Lettere postume, raccolte e ordinate da Lo renzo Vigo-Fazio ».

Il 4 Gennaio del 1933, in Parigi, nella sede della «Dante Alighieri», commemorai il XXI anniversario della morte del Poeta, tenendovi un discorso su « L'opera e la fortuna di Mario Rapisardi», il quale, nel 1955, fu pubblicato in opuscolo estratto dalla « Rivista di Lecco ».



II 3 Febbraio del 1944, l'Assemblea dei Soci del Centro di Studi Rapisardiani, in Catania, mi elesse suo Socio onorario; e nella seduta del 7 Novembre 1954, in seguito alla morte del suo illustre Presidente, Prof. Francesco Marietta, mi chiamò, con voto unanime, a succedergli, in tale carica. Nel 1962, il Centro di Studi Rapisardiani in Catania pubblicò il mio libro: « Mario Rapisardi nel cinquantenario della morte ».



***


La denuncia partì dal Magnifico Rettore dell’epoca, Prof. Giuseppe Majorana
(a sua volta informato dal presidente della Società di Storia Patria, prof. Vincenzo Casagrandi n.d.r.) direttamente dalle colonne del “Giornale dell’Isola”. La lettera datata 29.gennaio 1917, conteneva un resoconto piuttosto dettagliato circa le condizioni in cui si sarebbe trovato il corpo dello “scomodo” poeta. Majorana, alquanto sconcertato, si lamenta: “ La salma-dice- trovasi in luogo e modo impropri e indecorosi nella casa del deposito e che i topi sono giunti a scalfire il viso del poeta (…) perfino le scarpe nuovissime, che il discepolo Santino Scandurra aveva scelto fra le migliori della sua calzoleria e che aveva egli stesso calzate ai piedi gelidi del grande Maestro, non furono più trovate l’indomani: erano state rubate.”



E’ lì che ancora oggi riposa il corpo del “Vate”; dove inizia “il viale degli uomini illustri”. Sul piccolo mausoleo spiccano i versi siciliani del poeta Saro Lizzio: 

“Sta giusta urna chiudi lu to’ corpu 
ma lu munnu non chiudi lu to’ nomu.


* Tratto da Mario Rapisardi




venerdì 7 dicembre 2012

Gli atti delle onoranze a Mario Rapisardi - 1898



Il 23 di gennaio dell'anno 1898, una ventina di studenti universitari, rappresentanti le singole facoltà del Siculorum Gymnasium, radunatisi in casa del Dott. Antonino Campanozzi, stabilirono di rendere solenni onoranze a Mario Rapisardi, nella ricorrenza del trentenario della sua prima opera poetica:  Palingenesi.
Pochi giorni dopo, un Comitato di circa cento studenti, animato da vivo zelo ed entusiasmo, si accingeva ad effettuare l'iniziativa.
Furono istituiti due Sotto-comitati tra gli studenti di Palermo e di Messina, i quali, orgogliosi di adempiere a un'opera così altamente civile, si misero al lavoro in pieno accordo col Comitato promotore.
Si bandì completamente la politica, e si stabilì anzitutto che le Onoranze avessero il significato di una grandiosa manifestazione di stima verso il genio ed il carattere del Rapisardi.
Il primo a plaudire alle Onoranze, come ad una festa dell' arte e della civiltà, fu il grande filosofo Giovanni  Bovio; il quale , non soltanto accettò la Presidenza onoraria, ma promise di agevolare l'opera del Comitato.
Si fondò un giornale di propaganda dal titolo Palingenesi, avente lo scopo di dare la relazione de' lavori del Comitato e di esaminare tutta l'opera poetica    ........................................
Si pensò quindi a costituire un Comitato d'onore tra i più illustri personaggi della Nazione e dell'estero, perché le Onoranze avessero il consenso di tutto il mondo intellettuale. I più insigni artisti, letterati, scienziati aderirono con entusiasmo a farne parte, senza distinzione di colore politico o di scuola letteraria e filosofica.
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Sicché in breve si poté costituire un Comitato d'onore, il quale attestava al mondo civile che le onoranze a Rapisardi non eran volute dalla sola Sicilia, ma da tutta la Nazione.  Anche gli studenti degli altri atenei italiani risposero all' appello .....................................................................
Anche i rettori delle Università, a nome dei Consigli accademici, mandarono la loro adesione ufficiale ..........................................
Molte riviste, accademie, associazioni unirono il loro plauso a quello dell' Italia intellettuale, e molti Sindaci e
capi di istituzioni civili ...............................
Le Università italiane, che aderirono per mezzo de' retori e degli studenti, sono le seguenti:
Catania, Messina, Palermo, Napoli, Roma, Bologna, Torino, Genova, Siena, Modena, Perugia, Pavia, Cagliari, Sassari, Macerata, Ferrara, Parma,  Camerino. Sono dunque tutte.  Hanno altresì inviato l'adesione: l' Accademia Scientifico-letteraria di Milano, l'Istituto superiore di Firenze, l' Istituto di Magistero femminile di Roma, gli studenti delle Scuole secondarie di Catania di Caltagirone di Terranova Sicilia, nonchè l' Accademia Gioenia di Catania, l'Accademia Dafnica e degli Zelanti di Acireale, il Circolo di Studi pedagogici « Andrea Angiulli » di Napoli.  Hanno pure spontaneamente aderito l'Università nazionale di Atene, le Università di Zurigo, di Barcellona, di Iena, gli studenti istriani delle Università di Vienna e di Graz .............................................
Le adesioni

Riserbandoci di dare in seguito l'elenco di tutti i componenti il Comitato d'onore internazionale, ci limitiamo intanto a pubblicare integralmente le adesioni più notevoli:

Je salue en Mario Rapisardi le soldat de la liberté et de la justice, et envoie à ceux qui vont lui rendre hommage, l'assurance de ma plus vive sympathie.

Ritornato da un viaggio trovo qui la sua lettera concernente le Onoranze che saranno rese al grande poeta della natura Mario Rapisardi.
Le invio la mia adesione e spero che la festa sarà degna dell' eccelso Cantore del positivismo.

Straniero alle chiesuole letterarie, fidente nella sola virtù del pensiero, io ammiro  l'ingegno vero, che è insieme carattere e mente. Non mi è lecito rifiutare il vostro invito. La Sicilia ha il vanto di onorare i suoi migliori e la gioventù siciliana paga un debito di riconoscenza a Rapisardi. Troppo egli ha sofferto e troppo  aspettato gli arriva questo giorno. È legge delle cose umane che il popolo — serbatojo   delle   memorie —  non   dimentichi   nessuno. Il premio che a Rapisardi viene dalla gioventù degli Atenei è il solo a cui possa aspirare un insegnante cosciente del suo alto ufficio.

Non so dirle quanto mi sia caro di unirmi al plauso dei giovani per l'illustre Poeta, della cui benevolenza io mi onoro, e il cui genio meraviglioso, la cui costanza ne' convincimenti, la cui fermezza nel proseguirgli, e il cui fiero sprezzo per le viltà, che procacciano fama e onori, altamente ammiro.

Ricevo la sua cortese lettera in mezzo  a un mondo di noje politiche e personali che mi tolgono addirittura il fiato, compresa la nojosa vertenza... che si definirà domani sul terreno.
I gentili amici che mi scrivono non vogliono persuadersi delle condizioni createmi dalla tempesta delle cose.
Si figuri se il mio animo non vada incontro con affetto alle Onoranze per Rapisardi, mio fratello di ideali, e che ammiro ed amo come poeta civile e come educatore dei giovani.
Ma è stato miracolo ch' io  abbia pescato una lettera del Comitato, giacente tra una montagna di lettere inevase, perchè mi fioccano in modo che 'non sempre ho tempo di aprirle: e ancora non mi riesce di sapere a che data ricorrano le Onoranze, in che mese e giorno, per regolarmi sul tempo che mi resta.
M'informi dunque subito al riguardo, e non dia al mio indugio altra interpretazione se non quella data dalle condizioni in cui vivo.
Rapisardi sa il bene che gli voglio e il culto che ho per Lui !

Io le confesso che sono uno dei più grandi nemici dei cinquantenari, sessantenari e compagnia, di cui oggi si fa un vero abuso; ma trattandosi di un uomo così insigne e così indipendente, eccezione strana dei nostri tempi, accetto di far parte del Comitato onorario.

Ringrazio dell' onore che mi si fa, invitandomi a far parte del Comitato onorario per lo Onoranze a Mario Rapisardi,  e godo di accettarne 1' invito.
E godo che all' illustre poeta, al valoroso concittadino si  preparino le feste che gli si devono.

Onorare l'ingegno, il lavoro , la virtù, è , non solo cosa buona, ma un  dovere per chi  lo può fare.
Non si può dunque a meno che applaudire ai giovani studenti e ai dotti   professori, che si propongono di
are un solenne   attestato di   ammirazione al forte Poeta
catanese.  Per quel poco ch' io valgo, mi associo a codesto o-maggio che spero riuscirà degno di chi lo rende e di Colui a cui è reso.

Accetto volentieri e la ringrazio. E superfluo eh' io le dica quanto sia lieto d' unirmi a chi vuol onorare il Poeta forte e coraggioso, per il quale ho altrettanto affetto quanta ammirazione.

Aderisco volentieri alle Onoranze che codesto Comitato intende di fare al mio illustre collega Mario Rapisardi ; e ringrazio vivamente Lei e gli altri valorosi giovani del gentile invito e della benevolenza di cui mi sono stati cortesi.

Aderisco ben volentieri alle Onoranze a Mario Rapisardi , e se crede di mettermi tra i componenti il Comitato, faccia pure.

Mi compiaccio assai che la Gioventù siciliana abbia avuto il gentile pensiero di promuovere onoranze a Mario Rapisardi , e mi congratulo con quanti vogliono rendere omaggio al grande Poeta. Aderisco quindi con sentito piacere , e La prego di volersi rendere interprete verso codesto Onorevole Comitato dei miei sentimenti.

Volentieri faccio adesione alle Onoranze che si renderanno al mio illustre amico Mario Rapisardi.

La ringrazio della cortese richiesta, cui assento cordialmente, rallegrandomi che la gioventù universitaria siciliana dia nuova prova del suo entusiasmo per 1' Ideale, in ogni sua manifestazione.

Aderisco volentieri alle Onoranze che saranno rese a Mario Rapisardi.
Karl von Thaler

Se fra i membri del Comitato per le Onoranze a Mario Rapisardi è utile il mio nome, lo metta pure. Auguro successo alla festa della cultura e della mente.

Ringraziando la S. V. d'aver pensato anche a me per unirmi ad altri che renderanno omaggio al  Poeta di cotesta Isola, che io adoro, si valga liberamente anche del
mio nome.

Aderisco molto volentieri alle Onoranze che la gioventù siciliana prepara a Mario Rapisardi, e deploro che una lunga assenza mi abbia tolto di rispondere prima d' ora all' invito cortese.

Da tempo avrei dovuto rispondere alla lettera con la quale mi comunicavate la nomina a membro del Comitato onorario per le onoranze a Mario Rapisardi. Ma dopo 1' ultima tempesta che ci ha percossi , non ho avuto più l' animo di occuparmi di nulla.
Ma voi comprenderete che 1' onore è sì alto ch' io ne vò altero, pur sentendomene immeritevole , e le mie presenti condizioni di salute impedendomi di adempiere ai relativi doveri.
Vi dirò dunque: avvaletevi del mio modesto nome , se lo credete ; io andrò sempre superbo di poter onorare chi onora così nobilmente la Patria nostra per 1' alto intelletto ed il carattere, che è il pudore virile, e la verecóndia che è il profumo del vero merito.
Vi sono fraternamente grato del pensiero.

M'affretto a rispondere allo stampato che gentilmente m'inviaste per le onoranze che Catania e l'Italia rendono al nostro forte , grande ed onorato poeta ed amico Mario Rapisardi. Non è con queste due righe ch' io vorrei contribuirvi : io avrei voluto avere 1' alto onore di aiutarvi personalmente.
A quest' integro ed incorrotto poeta, onore d'Italia e strenuo difensore degli oppressi , non è una semplice onoranza che l'Italia dove ma un monumento.

Se Ella crede che il mio nome possa degnamente figurare insieme con quelli di tanto notabilità, per le Onoranze al grande Poeta catanese Mario Rapisardi, con molto piacere mando a Lei la mia adesione e La ringrazio.

Plaudo di cuore alla bellissima idea e accetto, con vivo senso di gratitudine, di far parte del Comitato onorario.
Mario Rapisardi, per l'opera sua geniale; per la costanza virile delle opinioni, mai smentite; per la vita intemerata ed esemplare; per i servigi resi alla Verità e alla Bellezza, merita questo omaggio; ed io sarò orgoglioso di offrirglielo.

Je vous remercie de l'honneur que vous me faites en in' invitant à faiie partie du Comité chargé de presen-ter à l'illustre poète Mario Rapisardi , les hommages de tous ceux qui admirent son geme.
C'est certainement là une belle et noble idée, et tous ceux qui connaissent la Palingenesi, Lucifero,  Giobbe, ces chefs-d'oeuvre de la Poesie contemporaine ne peuvent qu' en feliciter la jeunesse italienne.
Un pays s'honore lui - mème en honorant ces hom-mes de genie; et dans votre belle Italie en eu toujours le culte de ceux qui enrichirent de leurs oeuvres non seule-ment le patrimoine intellectuel de leur nation, mais aussi celui de l'humanité.
J' accepte avec le plus grand plaisir de faire partie
de votre Comité.
Lucilla P. Chitiu



Potevate dubitare che io non mi reputassi fortunato ed onorato di far parte del Comitato per le Onoranze a Mario Rapisardi?L'avermelo chiesto quasi mi darebbe il diritto di offendermi.                            Auguriamoci che riescano degne dell' uomo.

Sarò onoratissimo di far parte del Comitato per le Onoranze a Mario Rapisardi, e la ringrazio di aver pensato al mio povero nome.

Chi non dovrebbe aderire al nobile pensiero di onorare Mario Rapisardi, il cui nome risuona alto e vittorioso in  Italia e fuori ?
Io applaudo di gran. cuore alla felice iniziativa degli studenti siciliani, e sono lieta di unirmi a loro per rendere omaggio al forte, all' integro, al generoso Poeta catanese. Accolga i miei ringraziamenti per l'onore che mi ha fatto col suo invito.

Chiamandomi ad unire il mio nome al nome di coloro che si apparecchiano a rendere solenni e meritate onoranze a Mario Eapisardi, voi mi fate cosa graditissima , per la quale vi debbo rendere grazie vive e sincere.
Onorando Mario Rapisardi si onora sé stessi.
Sarò fiero di far parte del Comitato.

Ella mi fa un grande onore e un gran piacere col suo nobile invito.
Sarò lietissimo di far parto del Comitato per le Onoranze a Mario Rapisardi, sebbene io non vi possa, portare altro che il mio sentimento d' ammirazione per l' insigne nostro Poeta.

J' adhère très volentièrs à la manifestation qui se prépare en Italie en 1' honneur do votre grand ecrivain Mario Rapisardi.
le vous remercie d'avòir peasé à me demander d'è-tre des votres, car non seulement j' ai toujours été un fervent de l'art italien, mais j' estime avec vous que des oeuvres comme celles de Rapisardi sont le patrimoine com-mun de l'Umanitè, sans distinction de  frontière.

Ben volentieri e di gran cuore , sebbene io discordi alquanto di idee, mi associo all' egregio Comitato promotore per le Onoranze all' illustre poeta Mario Rapisardi , della cui amicizia altamente mi onoro.
Io ho ammirato sempre in Lui ed ammiro il geniale e fecondo poeta.

Le sono gratissimo dell'invito ch'Ella mi ha fatto e La ringrazio vivamente.
E un onore per me il far parte del Comitato di cui
Ella parla.
Ricordo con piacere che io sono stato tra i primi a salutare l'alba del Poeta della Palingenesi, nella Nazione di Firenze.
Le divergenze di scuola-letteraria e d' intendimenti politici non m'impediscono di prender parte a una festa intellettuale della mia Sicilia.

Alle onoranze solenni che la nobile città di Catania vuol tributare all' illustre suo figlio, Mario Rapisardi, gloria e vanto dell' itale muse, non può mancare l'adesione di tutti coloro, a cui vive nel cuore il culto vero per l'arte.
E vorrei che veramente fossero in me tutte quelle virtù, che dalla squisita gentilezza della S. V. mi vengono attribuite , per potere degnamente col mio nome rispondere allo scopo che codesto onorevole Comitato si prefìsse nell' invitarmi.
Alla S. V. che mi ha voluto procurare tanto onore i miei più efficaci ringraziamenti.

Mentre tanti volgari interessi e tante insane passioni agitano e perturbano tutta quanta la vita italiana , vedo ora un gruppo numeroso di giovani appartarsi dal tumulto delle piazze per onorare l' arte in un suo grande e fortunato cultore. Penso perciò che non v' è da disperare affatto dell' avvenire: e dico pure: siano benedetti questi giovani che studiano, che palpitano, che amano la loro fede ed i loro ideali : sia benedetta , ora e sempre, la grande , la buona,  la sana, la consolatrice arte italiana.

Rappresentante d' un sodalizio che tiene in pregio e coltiva ogni geniale manifestazione della umana virtù , unisco di gran cuore il mio nome a quelli di coloro che preparano gentili festeggiamenti a Mario Rapisardi
Alieni da ogni mira politica, da ogni apprezzamento sugli indirizzi delle diverse scuole letterarie, onoriamo nel grande Poeta catanese l'ingegno e il carattere.

Se adesione vuol dire grande ammirazione , sincera venerazione per il fortissimo possente Poeta, per il Cittadino integro e sdegnoso che rinnova l'altera fortitudine di Dante, la mia adesione le giunga intera, dal profondo del cuore, con reverenza ed   affetto.

Aderisco con plauso alla proposta della nobile gioventù siciliana per le onoranze a Mario Rapisardi,  intelletto profondo di filosofo e aquila di poeta, onore e lustro del Paese.
Scrissi altra volta di lui: A ragione l'Italia novera tra' suoi grandi poeti Mario Rapisardi, genio speculativo e pratico , che dalle armonie della natura e dalle leggi della storia tende a dedurre la soluzione de' più importanti problemi umani con le note d' una musa, la quale or rammenta la maestà e le grazie di Omero, ora ridesta il fare sciolto e leggiadro dell' epica del cinquecento.

Mi sento molto onorato che Ella e i suoi amici hanno pensato a me, invitandomi a far parte del Comitato per le Onoranze a Mario Rapisardi, l'illustre poeta Catanese. Sfortunatamente sono troppo lontano dalla sua città per potere prender parte personalmente alla bella festa che si prepara in suo onore.
Ma coll'animo sarò fra i giubilanti e associerò la mia voce alle tante che acclameranno il brindisi solenne di tutti quelli che venerano la poesia e uno dei più insigni sacerdoti di essa.
La prego, signor Dottore , di rendersi interprete dei miei più caldi e sinceri sentimenti verso l'eroe del giorno memorabile.

In ore mestissime per la patria spagnuola , rivelatrice— con Colombo—di un mondo ignoto, oggi calunniata, offesa, depredata ni faccia a Dio e all'umanità civile, rivolgo l'animo mio alla serena regione dell'arte, ove tutti siamo fratelli, e porgo un caldo saluto all'onorando amico Mario Rapisardi, poeta geniale, traduttore inarrivabile dei capolavori dell'antichità classica; e fo voti per. la prosperità della dolce sorella latina , Italia, percorsa da me con ammirazione, ricordata con amore quasi filiale.
Francisco Diaz Plaza 

Certainement, Monsieur, je vous envoi avec emprés-sement mon adhésion à l'hommage que vous porterez au poete de Lucifero, de Giobbe e des Poesie religiose, que j'estime et j'admire.

Mi unisco con il più schiètto entusiasmo alla grande e nobile manifestazione di affetto e di ammirazione che 1' eletta Gioventù siciliana prepara ad una delle più pure e fulgide glorie dell'italiana Poesia, a Mario Rapi-sardi,

Aderisco con grande piacere alla proposta delle Onoranze all'illustre Mario Rapisardi , la cui opera fa tanto onore al nostro paese.

Ella imagina già la mia risposta. — Io voglio molto bene alla gioventù, amo l'arte, amo la mia patria italiana, amo la Sicilia, in cui sono felicissimo d'insegnare, e d'onde, dì mia volontà, non partirò mai. Per tutti questi amori miei, caro ed egregio Dottore, rispondo sì al suo invito, di onorare un grande artista, amato dalla gioventù   onore d'Italia e gloria della Sicilia.

Da lungo, tempo amico e ammiratore di Mario Rapisardi, io mi associo volentieri alle dimostrazioni che si faranno per onorare l'illustre Poeta.
La mia ammirazione per Lui come poeta, come artista e come uomo è completa.

Aderisco alle feste in onore di Mario Rapisardi  con tutta l'ammirazione e con tutto il  mio affetto.

Fra le rimanenti adesioni, che per ragione di brevità non possiamo pubblicare, sono notevoli quelle di Paolo Mantegazza, di G. Aurelio Costanzo, di G. A. Cesareo, di Domenico Milelli, di G. Ragusa Moleti, di E. G. Boner, di Albino Zenatti, di Vittorio Gian, di Filippo Zamboni, di Teodoro Moneta, di Luigi Natoli, di Giacomo Giri, di Gioachino Chinigò, di Alessandro Paternostro, di Ernesto Basile, di Francesco Lojacono, e di moltissimi altri componenti del Comitato Onorario Siciliano.
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* Tratto da Onoranze a Mario Rapisardi - Catania, ed. S. D. Mattei 1899