Le più audaci seduzioni del sesso prorompevano dalla sua esile figurina, divinamente modellata, che pareva staccata " da un quadro di Watteau o di Boucher „. E la sua anima ardente di poetessa cantava i fremiti che l'agitavano, con versi leggiadri e pieni di squisita sensualità.
lo t' amo, t' amo. Oh, ch' altra donna mai
Non susurri al tuo cor questa parola:
Per quanta ne incontrasti e ne vedrai
Anco nei sogni, vo' bastarti io sola.
Io saprei tramutarmi in che vorrai,
Mentre com'or tra i baci il dì s'invola:
Frine, Saffo, Maria chiedi, ed avrai
Quanto fibra, intelletto, alma consola.
Chi non sente da questi versi emanare il profumo inebriante che stordisce i sensi, che sferza il sangue, che induce ai sogni voluttuosi, indefiniti? Come resistere alla potenza di quegli abbracciamenti, di quei baci? E quanti furono i suoi adoratori? Quanti ne trascinò ella dietro il carro trionfale della sua incantevole bellezza? Qualcuno lo si ravvisa:
(Ad un amico)
Cantò che la serena arte d'Omero
Ne le mie forme agli occhi suoi splendea,
Mi chiamò gloria, musa, angelo, idea,
Fantasma incantator che adombra il vero.
Al ciel, cui fido vola il mio pensiero,
Per me il ribelle spirito s'ergea;
Per me la fiamma che nel sen gli ardea
Mutossi in pianto nel grand' occhio nero.
E mi sognò pe' lidi suoi, la dove
Un balsamo di zagare e di timi
Arcana voluttà su i sensi piove ;
Dove tranquillo al vespero dorato
Fuma l' Etna da i vertici sublimi:
Tanto sognò che non si è più destato. (Cfr. Carezza in " Ricordanze - M. Rapisardi)
Ma ella non voleva che la si descrivesse una sirena, una maliarda, che suggeva la vita con pochi baci; ne meno bigotta perchè frequentava la chiesa. Ella voleva. Apparire
Non demonio, ne maga, ne Madonna ;
Ma una figura semplice e pudica
Figura di leggiadra e nobil donna.
E però, con civetteria raffinata, spesso soleva mostrarsi agli amici ora in posa di verginella ingenua e pudibonda, ora in abbigliamenti strani di principessa vaporosa.
Era, in verità, adorabilmente capricciosa; e se si trovava sola, e non poteva uscire perchè fuori pioveva nella notte invernale, ecco ella scriveva in un foglio, laconicamente:
Son sola. Piove; mi fa freddo. Vieni.
Maestra in operare inganni amorosi, sempre accesa dell' invincibile febbre dei sensi, ella era tale che mentre si trovava in braccio di un amante, meditava il convegno con un altro: e i loro scatti di gelosia sapeva dominare con le sue arti irresistibili di maga. Ecco:
Il litigio era grave. Egli l'avea
Con aspri accenti e con sospetti offesa;
E fissava lo sguardo in su la rea,
Quasi ne avesse la discolpa attesa.
La testina gentil di greca dea
Scrollava ella, sdegnando esser compresa ;
E co'l picciolo piè lieve battea
Una levriera su'l tappeto stesa.
Ei si mosse a lasciarla; ed ella assorta
Tutta in un suo pensier, seguialo altera,
Fredda, senza un addio, come una morta.
Ma dubitosi, in atto di preghiera,
Si guardaron negli occhi in su la porta,
E disser sottovoce : A questa sera. (Questo sonetto è intitolato: Sulla porta.)
Ma l'arte doveva assorbirla interamente. Ella affidava al canto le sue memorie e le sue speranze: credeva riabilitarsi nell'onda armoniosa della poesia, e, amorosa cinciallegra, cantava in tutte le stagioni sempre la sua nota semplice e bella, a dispetto dei pettegolezzi del mondo ipocrita.
Dicean ghignando che a la donna sola,
A la rejetta, a l'esule, a la mesta,
Non più l'arte, che inalza e che consola,
Darebbe fiori per la bionda testa.
La Musa, invece, intorno ad essa vola
Sempre fida qual pria, nobile, onesta
E fa negl'inni udir la sua parola
Che memorie e speranze in lei ridesta.
Insieme van così lungo il sentiero
Triste del mondo, che soltanto ha fine
Ne l'alta erba là giù del cimitero.
Ingombro è il suol di rettili e di spine,
Di minacciose nubi il cielo è nero,
E pur cantano ancor le pellegrine.
E i suoi versi spontanei, melodiosi, quasi sempre originali, finemente cesellati, malinconicamente suggestivi, scritti col vivo sangue del suo cuore fremente, avvinsero gli animi, e furono con avidità letti e cercati e gustati.
In essi è una nota spiccatamente personale.
Il Rapisardi conobbe Evelina Cattermole Mancini (Contessa Lara) a Firenze, nell'estate del 1875.
La vide un giorno ferma a una vetrina di libraio. Attratto dalla potenza fascinatrice di quella giovine e rara bellezza, la segui: abitava non molto lontano da via della Pace, ove al n. 9 era la casa di lui.
S'informo: seppe chi era.
Il nome della Mancini correva allora per le bocche di tutti, a Firenze : lo scandalo del duello era troppo recente.
Ciò acui il desiderio del Rapisardi di conoscerla personalmente.
Le mando un esemplare delle Ricordanze.
Ella gli rispose che quei versi le erano noti, che li aveva letti insieme col suo Bepi; e l' invitava tosto a un abboccamento.
l'ultima terzina di un sonetto che la poetessa dedicò a Mario Rapisardi nei tempi felici: Era di maggio un dì, sull'imbrunire / Ei mi gettò una rosa entro 'l balcone / Io la raccolsi e mi sentii morire. |
L' appuntamento era per mezzogiorno.
Il Rapisardi, come tutti i giovani innamorati a cui un' ora d'attesa sembra un'eternità, alle ore undici e mezza, impaziente e ansioso si trovò dietro l' uscio della Lina.
Erano già a' preliminari, quando udirono alla porta una scampanellata risoluta.
Trasalì il Poeta, ricordandosi di avere sbadatamente lasciato sul tavolino il biglietto accusatore.
S'aspettava una scenata. " Lasciate fare a me: state tranquillo „ gli disse la Lina, senza scomporsi; e ando ad aprire.
Il sospetto era realtà.
Apparve la Giselda pallidissima, con le folte e nere sopracciglia aggrottate e un tremito convulso nelle labbra bianche che mal nascondevano la emozione vorace.
Ma il contegno e le parole ammalianti della Lina riuscirono subito a calmarla.
Lo stesso giorno divennero amiche.
L'indomani la signora Mancini andò a trovarli in casa.
E le due amiche in seguito dovevano divenire intimissime.
-------
Non senza meraviglia ci vien di notare che giusto allora il Rapisardi aveva pubblicato dal Le Monnier il Catullo e Lesbia, studio che potrebbe sembrare una preparazione del suo spirito, per una tal quale rispondenza con la sua nuova avventura. Si direbbe che l'anima del Poeta veronese si sia affratellata alla sua nella prova dell' arte.
Or il tempo che Mario Rapisardi passò amoreggiando con la Contessa Lara è per vero il periodo più tempestoso e tuttavia più fecondo della sua vita. Si può dire, anzi, che per lui quest' amore, nonchè una distrazione, fu come una valvola di sicurezza alla sua natura esuberante passionale irrefrenabile; ed egli vi si abbandonava con la gioia del pellegrino che a una canora polla d'acqua fresca ristora le viscere arse dal viaggio.
Che scintillio d'immagini e gaiezza d'ispirazione in quella 3° parte delle Ricordanze, che egli andava scrivendo.
E che soave tenerezza di richiami e di abbandoni nelle strofe voluttuose della Lina!
Un sonetto intimo bellissimo, che il Rapisardi si decise in ultimo a stampare nell'edizione definitiva delle sue poesie, compendia questo idillio.
E intitolato : Lettura di versi.
Ella legge i suoi versi; amor non dorme
Nel mio petto geloso: or lieti or mesti,
Come levrieri i sensi miei ridesti
Delle avventure sue corron su l'orme.
Pazzi amori ella narra, ore celesti,
Fantasmi strani, alati sogni a torme ;
Io con la man tra le nemiche vesti
Tento ansando le sue floride forme.
Ella dice un bel verso, io dico : t'amo;
D' arte essa parla, io de le sue bellezze ;
Una rima ella chiede, un bacio io bramo ;
Finchè a provar le verseggiate ebbrezze,
Come strofe intrecciandoci, facciamo
Un poema di baci e di carezze.
A lei il Poeta cantava con giovanile baldanza :
Ti rapirò dove dal sen si sferra
Selvatico cavallo il genio mio,
Dove col mondo e la fortuna in guerra
Sorgo fra i lampi e sfido a morte Iddio.
In quegli anni, oltre che le Ricordanze, egli scriveva il Lucifero, tradusse Lucrezio. lanciò come fiotti di luce redentrice l' Ode al re, il Giobbe, le poesie di Giustizia.
E di quel tempo e la famosa polemica.
Ma gli amori, i dolori, le malattie, piuttosto che affievolirne l'ingegno e il carattere, lo ingagliardivano e lo ritempravano.
----------
La fine
S.ta Maria di Gesu, 24 marzo 1885.
Oh dignitosa coscienza e netta !Se mi avessi scritto " Imbastisco il mio millesimo
amore e sono a' comandi del tal dei tali „ ti disprezzerei
meno.
Addio. Mario Rapisardi
L' idillio era finito. Un tempio crollava. Nessuna magica potenza poteva rievocarne il nume.
Dopo tutto quanto abbiamo di già sopra scritto e riportato, si giunge ora a voler, senza uno scopo plausibile mettere in dubbio tale episodio della vita affettiva del Rapisardi con Evelina Cattermole; ma, poichè si cerca ad arte velare la verità, sentiamo il dovere per onestà letteraria di precisare richiamandoli alla lesta i fatti, con la scorta degli stessi documenti.
Non è da tener conto naturalmente dell'inutile ciarpame di invenzioni fantastiche che cade alla prima lettura di queste lettere e di quelle del Rapisardi.
In una pagina del suo recente libro su la Contessa Lara la signora Maria Borgese così conchiude: " Dunque il Rapisardi conosce la Contessa nel settembre 1875, appena qualche mese dopo la separazione di lei dal marito, e arde subito di amore. La segue, le manda un suo libro, le si fa presentare, le presenta la moglie per insistenza della stessa Lara. La signora gradisce l' affettuosa devozione dell'uomo illustre, ma non può amarlo; gli si mostra cortese, indulgente, anche dolce, ma si stringe di schietta e fedele amicizia con Giselda, la moglie di lui. Egli le dà del tu e lei gli risponde col voi.... ..
C'è da rimanere perplessi, sinceramente, con tutto che la gentile scrittrice sin da principio ci avverte che " fu animata da una grande umana simpatia, di donna a donna „.
Eppure, i fatti parlano tanto chiaro; a meno che tutti gli appuntamenti a solo e a ora tale che la Lara dava al Rapisardi nei suoi brevi biglietti (come quello: " Vaspetto dopo le 2 1/2 -) e la sua proposta di passare " qualche altro dolcissimo giorno a Napoli o a Salerno „ in compagnia del Rapisardi non s'abbiano a intendere da oggi innanzi come inviti a semplici conversazioni letterarie.
O per quale ragione poi i loro abboccamenti dovevano sempre essere necessariamente di nascosto alla nonna , sia in casa della Lina che in quella di Giulio o di Giorgio ?
E, di grazia, che potrebbero significare le parole che la Lina sottolinea nella lettera scritta dopo la guarigione: " Appena sarò in grado di dire una parola, ve ne avvertirò e verrete a trovarmi !
Dobbiamo per avventura figurarci la Contessa, in siffatte circostanze, quasi quasi una bella e buona pupattola imbottita di stoppa e di cruschello?
Non basta. Poichè c'era di mezzo la moglie Giselda, onde impossibile parlare in libertà, e gli avvicinamenti periodici (" l' ebbrezza d' un istante „ dice il Poeta nel Ritratto) a intervalli di anni: " è evidente, non sentiva amore per Rapisardi „. Come se quella donna terribilmente facile e infinitamente capricciosa ne abbia sentito mai " amore „ per alcun uomo. Così la chiusa del palpitante sonetto Lettura di versi del Rapisardi (pubblicato la prima volta da un giornale di Napoli a insaputa del Poeta, in occasione della morte della Lara):
Come strofe intrecciandoci facciamo
Un poema di baci e di carezze
e tutta la lettera che la Lina gli scrive da Roma il 19 gennaio 1885, in cui gli chiede perdono gettandogli " le braccia al collo come lì a Napoli „ e l' altra che si chiude con lo " strettissimo abbraccio „, nonchè il reciproco uso del tu nell' intimità e apertamente quando furono liberi della Giselda, potrebbero tutt'al più dimostrare una cosa naturale " non rara fra scrittore e scrittrice legati da una forte simpatia e dalla vita comune del giornale e del libro , ; anzi - la gratitudine o la pietà „ della Lina per il Rapisardi. Così, proprio.
E non al Poeta sarebbe esatto riferire, per conseguenza, il sonetto della Contessa Lara Sulla porta.' in cui è descritta la scena del litigio dei due amanti e la relativa pacificazione.
E dire che fu allora (ottobre 1880) il Rapisardi, che lo mando al Martini perchè lo pubblicasse nel suo giornale!
Or in proposito ben ricordo che, quando io mi recai dopo l' assassinio della Lara a visitare il Rapisardi, lo trovai che sfogliava il libro della povera morta (il volume Versicon la dedica ' Al suo Mario, Lina „), e mi fece leggere giusto quel sonetto che gli ricordava tante cose. L'immagine della isterica autrice gli tornava alla mente nella sua fascinosa bellezza. " Versi scritti con l'utero „ chiamava quel libro il Poeta, e in una ottava omessa dal canto VII dell'Atlantide (sicuramente tracciata molto prima del '93) si legge appunto:
le uterine armonie della Contessa
Qui declama un arnese ispido e rude
Tuttavia giova anche ricordare di passata che nel 1892, la Lina aveva mandato al Rapisardi con dedica suggestiva il suo nuovo romanzo L'innamorata, e nello stesso anno il Rapisardi in una lettera al Cesareo non aveva dubitato di chiamarla " donna insigne ,.
Ecco, noi non giudichiamo: solamente esponiamo a nudo i fatti
dal Commentario Rapisardiano di Alfio Tomaselli, 1932
"La fine tragica della sua vicenda sentimentale con il pittore napoletano fu quasi inevitabile: il 30 novembre, durante l'ennesima litigata in cui Eva gli intimava di andarsene, fu fatale la presenza nella stanza del revolver, che l'uomo, infine, in circostanze mai ben accertate, usò contro di lei colpendola all'addome. La pistola era un modello da signora, di piccole dimensioni, e il colpo non provocò la morte immediata di Evelina. Però Eva non fu immediatamente soccorsa: l'uomo e la cameriera, che nel frattempo era accorsa, impiegarono diverso tempo prima di chiamare un medico, e le forze dell'ordine furono sul posto ad indagare solo parecchie ore dopo, quando Eva era già agonizzante. Secondo varie testimonianze, fino all'ultimo, a chi si recò al suo capezzale, Eva insisté nel dire che l'omicidio era stato dettato solo ed esclusivamente da interesse economico: infatti, in caso di omicidio dettato da motivi passionali, le giurie dell'epoca tendevano ad applicare molte attenuanti alla pena.
Naturalmente, seguì un processo che fece scalpore. Non fu possibile provare precisamente la dinamica dei fatti, né le motivazioni economiche sottostanti al gesto dell'omicida. Il testamento indicava come unico erede l'amico Ferruccio Bottini, che però rifiutò il lascito.
I funerali ebbero un gran concorso di folla, e furono molte le manifestazioni di affetto. In seguito, però, si verificò un brutto scandalo: i fondi che erano stati raccolti per la sepoltura svanirono nel nulla e i resti della scrittrice non poterono mai avere sepoltura adeguata." Wikipedia