Nasce a Milano il 6 ottobre 1842. Figlio di un impiegato, vive la giovinezza in condizioni di ristrettezza economica, distratto dai frequenti soggiorni a Ghevio, sopra Meina, presso gli zii e, più tardi, a Dagnente, sempre sul Lago Maggiore, dove acquisterà una modesta casetta. Frequenta il liceo con profitto, segnalandosi per le sue prese di posizione politiche: prima cavouriane e poi garibaldine. Volontario nella seconda spedizione garibaldina in Sicilia (quella guidata da Medici a rinforzo dei Mille), combatte a Milazzo e al Volturno. Nel '66, di nuovo volontario garibaldino, combatte a Vezza.
Precoce la sua attività giornalistica. Nel '63 è redattore alla «Gazzetta di Milano», l'organo della sinistra moderata ispirato da Emilio Treves e Raffaele Sonzogno. Nel '65 fonda e dirige il giornale «Lo Scacciapensieri». Aderisce alla Scapigliatura politica, attestandosi su posizioni radicali. Verso la fine del '67 Achille Bizzoni gli lascia per qualche tempo la direzione del «Gazzettino rosa». Intanto aveva cominciato a scrivere poesie, spesso di contenuto politico e di tono satirico. Tra le sue raccolte di versi, che quasi sempre comprendevano testi anche di diversi anni prima, ricordiamo Anticaglie (1879), Sogni e scherzi - Il cantico dei cantici (senza data, ma uscito come secondo volume delle Opere, pubblicate in dieci volumi tra il 1895 e il 1896) e // libro dei versi (senza data, ma del 1898).
A partire dagli anni Settanta comincia a scrivere per il teatro, conquistandosi anche in questo campo una certa fama. Tra i numerosi titoli di drammi e commedie ricordiamo, negli anni Settanta, I pezzenti, Alcibiade, La sposa di Menacle, e, negli anni Ottanta, 77 cantico dei cantici, Il povero Piero, La cura radicale.
Nel 1873 viene eletto deputato: la sua attività politica durerà sino alla morte, ponendolo a poco a poco come il leader dei radicali (l'estrema sinistra di allora) e come uno dei politici più in vista del Paese, noto per i suoi attacchi a Depretis per il suo trasformismo e a Crispi. Muore a Roma in duello il 6 marzo 1898 (lo sfidante era il deputato Ferruccio Macola, sostenitore di Crispi e direttore della «Gazzetta di Venezia»).
La poesia di Cavallotti non è di grande qualità letteraria: spesso improvvisata, lo stesso autore era consapevole dei limiti artistici della propria produzione, che tuttavia gli era cara, più per i contenuti protestatari che non per un lavorio stilistico che egli per primo riconosceva essere assente. «Questo», commenta Croce (1960:183-184), «ci mostra il suo atteggiamento verso l'arte. Un artista che si accorge di aver fatto opera brutta, che cosa non darebbe per cancellarla dalla faccia della terra e dalla memoria degli uomini? Ma pel Cavallotti, che guardava dal lato pratico, l'arte era nell'arte solo uno degli ingredienti dell'arte, e poteva anche mancare!» Quanto alla lingua, aggiunge Baldacci (1958:766): «Il suo linguaggio è forse il più generico e impreciso di tutta la poesia dell'Ottocento».
In realtà ciò accade perché, come scrive Alessandro Galante Garrone (1979:798), Cavallotti «fu, anche artisticamente, assai più felice come oratore o prosatore - ad esempio nella introduzione alle Anticaglie [...] o nei commenti alle proprie opere e perfino in alcune sue lettere - che non come poeta o drammaturgo».
Versi, tuttavia, quelli di Cavallotti, che documentano, con il resto dei suoi lavori letterari, «il critico passaggio di una cultura classica, sorretta in Cavallotti da seri studi e da ampie conoscenze, ai nuovi valori della ragione e della rivoluzione» (Masini 1977:89).
DA IL LIBRO DEI VERSI
IL MISTERO DEL FIORE
Un fior sovra un tumulo spiega
la pompa dei vivi color:
simile all'amor che ne lega,
ei vive, lo splendido fior!
Un triste mister dello stelo
gli dona la ricca beltà:
ei mesce l'umore del cielo
con quel che la fossa gli dà.
S'intesson le tenui radici
con treccie lunghissime d'or...
L'amor che ne rende felici
le stesse radici ha del fior.
Ma a mezzo la notte, allorquando
pia scorge la stella brillar,
il fior, la sua stella adorando,
da sotto si sente chiamar.
«L'olezzo io t'ho dato e i colori,
o ingrato, che guardi su in ciel!».
Ahi, questa fra i nostri due cuori
rampogna sussurra un avel!
*La poesia scapigliata - Roberto Carnero
****
Giulio Pinchetti - Giulio Uberti - Giuseppe Cavallotti
Nessun commento:
Posta un commento