Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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venerdì 11 novembre 2011

Per il centenario di Calcedonio Reina (Catania, 4 febbraio 1842 – Catania, 10 novembre 1911) è stato un pittore e poeta italiano


Ntra lu burgu e la marina
C'è un pitturi arrinumatu,
Vecchiu, pricchiu, strascinatu,
Lenzi lenzi la fracchina,
'Nzaimatu, scarcagnatu...
Cu' po esseri ? 'Nduvina ! (di Mario Rapisardi)
 

Maestro Calcidonio

di Mario Rapisardi

Ei fu nella città di Catana, antichissima e famosissima di Cicilia, uno dipintore chiamato Maestro Calcidonio ; il quale e per lo ingegno singolare e per la maniera bizzarra del dipingere e più ancora per la continenza e abito del vivere, fu veramente straordinario e quasi mirabile huomo del tempo suo.

Da fanciullo dette opera alle lettere latine, perciocchè suo padre che era uno cerusico sapientissimo volea piuttosto farne uno dottore che uno artefice ; ma conciosiacosacchè il maestro che gli leggeva lettere era uno calonaco, di molta reputazione appresso dei più, ma di poca scienza e di neuno giudicio, e più gonfio di vento che di dottrina, si che pareva all' aspetto, e tale era nell'animo, uno otre di quelli che Eolo diede ad Ulisse? siccome pone in suo dittato il sommo poeta Omero, così intervenne che il fanciullo prese in odio sì fatto quella prima disciplina, che tanto imparò di umanità quanto quello suo precettore cognosceva ebraico, che mai non lo seppe.

Venuto intanto all'età della discrezione, e avuta qualche notizia delle umane lettere, egli si diede assai felicemente al trovare; e molte rime trovò che furono stimate indizio di buon ingegno. Diede anche mano allo studio della musica e con tal buona disposizione ed ardore, che pareva a tutti dovesse presto riuscire uno musico eccellente.

Ma quello di che maggiormente si piacque fu l'arte del disegnare e dipingere : per l' amor della quale fatta stanza nella meravigliosa Partenope, presto dette argomento di bene sperare ; e, istudiando i modelli dei famosi artefici e ritraendo dal naturale e ispeculando certe sue invenzioni, egli venne in poco a formarsi una sua tal maniera, che non era uno che veduto una volta una sua tavola non dicesse poi vedendo qualche sua nuova storia: ella è opera di Maestro Calcidonio ; tanto era propia e singolare la sua maniera.

Tra le opere ch' egli condusse, degnissima di memoria per la novità e bizzarria dell'invenzione è quella che rappresenta dua giovani amanti che si abbracciano e baciano in uno cimiterio intra due lunghe file di ataùti e di scheletri che pare li guardino non senza invidia di tanta felicità. E un' altra ne fece che è uno scheletro, o sia la morte incappata in uno grande lenzuolo, seduta in uno trono in mezzo d'una grande camera vuota, e tutta intenta a ricamare una coltre nella quale sono scettri, tiare, corone ed altri simiglianti emblemi di potere mondano. E ora pingeva uno giovinetto cieco sicut mors ficcante uno dito nell'occhiaia d'uno teschio; ora una pulzella che porta in voto uno cuore; ora una giovane donna in paramenti nuziali con una testa di morto in uno vassoio con certi occhi spiritati che è uno terrore; e altre simiglianti allegrezze, dalle quali, non che allettar compratori, era più facile trovare chi inorridito se ne fuggisse.

E per questo non fu ignuno che mai gli committesse o gli comperasse una storia; che tutti sapevano quanto ei fusse terribile dipintore ; e avrebbono piuttosto volsuto ricevere in casa la versiera che uno suo spaventoso dipinto. Della qual cosa egli molto a ragione si rammaricava accusando li huomini di poca discrezione e di molta lussuria : avvegnachè secondo il suo giudicio questa loro avversione procedesse unicamente da ciò, che altro nell'arte eglino non gustano che le delizie della carne, e tutto ciò che spetta alla salvazion dell'anima, come viziosi e senza continenza, trascurano.

E non meno che nel dipingere ei fu nuovo e fantasioso nel rimeggiare. I versi che egli andava scrivendo su per li sgualciti e unti fogliolini, raccattati per le vie, non erano mai secondo retorica, nè di purgato stile, nè di puro dettato: aveano si una certa misura, ma non sempre tale che uno accigliato Aristarco vi potesse trovare i debiti piedi. Ma sì vaghe erano le invenzioni sua, e sì nove e inaspettate le immagini, che a leggere le sue rime tu sentivi nel quore, come un misterioso colloquio di spiriti, e romore di ale e scroscio di acque e stormire di fronde, e ti lampeggiava sugli occhi come un barbaglio di lampi, sì che credevi essere trasportato per incanto in un mondo nuovo, e più tosto tra fantasime di sogni, che tra persone vere. E il succedersi delle immaginazioni, e delle incomposte ma originali armonie ti dava come un giramento di cose, da farti venire la vertigine e il capogirlo.

E ora faremo uno brieve ricordo dei costumi e portamenti suoi, che furono quasi tutti istravaganti.

E primamente dirò che tanta fu la sua continenza così nel mangiare e nel bere come nelle altre cose corporali, che ben l' aresti detto uno santo anacoreta di Dio. E del molto che in questo proposito potrei riferire, basti solamente questo: che in città popolosissima e voluttuosissima ei viveasi quasi in uno deserto, senza altra compagnia che dei suoi pensieri; e poco pane bigio e pochissimo pesce salato, o un po' di pillacchera, che gli tenea luogo di fagiani e di starne nelle più straordinarie solennità eragli cibo sufficiente.

E mai occorse vederlo in compagnia di femmine, altro che per intento dell'arte; ma delle femmine ei si valea poco anche in questo, piacendosi più dipingere idee che uomini, e più anime che carne; onde fu detto con qualche fondamento di vero, essere egli troppo stratto dalle condizioni del vivere e in specialità dalla ragione dei tempi sua, che tutto riduceano a materia, anche l'anima immortale, giusta li epicurei: che è una grande istoltezza e bestemmia. Or tornando al proposito della continenza di Maestro Calcidonio, aggiungo, che tanta era la sua virtù in domare la concupiscenza della carne, che di qualsiasi femina ei si tenesse gnuda dinanzi per iscopo dell'arte, ignuna egli toccò mai con le mani in qualtivogli parte del corpo; e questo parea meravigliosa continenza agli amici...

Aveva egli fra i pochi uno amico, uomo assai loico e istrutto nella filosofia naturale e morale, ma più dedito alle umane lettere che alle divine; il quale era uno grande incredulo, il quale diceva che Dio non fosse e tutti lo chiamavano il Marabise (1), che non sapeano che sì chiamare. Ora costui, quale uomo incredulo e mondano, non volle mai aggiustar fede alla istraordinaria castità di maestro Calcidonio, del quale e' soleva dire essere uno mangiapulzelle; ma questo era una diabolica malignità del Marabise.

Circa gli altri costumi di questo singolar dipintore, dico che egli conducea meschina e misera vita, non già che egli fusse povero, ma più tosto per istracuraggine delle cose temporali non disgiunta da una certa passione di avarizia, onde ei solea dire essere più tosto da prezzare il danaro che la sanità; che questa, non ostante i medici, tanto o quanto si suole recuperare, ma il danaro una volta andato non più si racquista.

Abitava in fra poveri, in poverissima stanza a uno soffitto altissimo, più simigliante a uno trespolo da pappagallo che a una casa d'uomo; per giungere al quale bisognava arrampicarsi per più centinaia di gradi tutti sbocconcellati e sdrucciolevoli per lo gran sudiciume, e passare indi per anditi e andirivieni umidi e puzzolenti, che ti parea esser drento a uno budello di maiale. E la casa era come uno covile con arazzi di muffa, tappeti di polvere, portiere e cortine di ragnateli. Una seggiola con tre gambe, uno strapunto di strame, uno tavolino zoppo con due piè e qualche rozza ed imbrodolata stoviglia erano i nobili arredi di quella magione ; e tele, colori, pennelli, stracci e ciabatte gittati e sparsi per ogni parte, che parea uno naufragio.

E in tanta lautezza egli se ne stava solo, non volendo neppure con una fante divider tanto bene, e questo, diceva il Marabise, era il più generoso atto di carità cristiana, che mai gli vedesse praticare.

Stranissimo era oltre ciò il vestire, si che spesso il vedevi in giro con uno stivale di vacchetta e uno zoccolo, uno berrettone di pelle di gatto sul capo e una palandrana fino alle calcagna, che l' aresti preso per uno masnadiero inseguito dal bargello. E nel mutar dei panni ei non guardava alle stagioni, che tutte le stagioni ed i climi ei soleva portarli addosso ad un tempo solo; così che mentre le brache facevano agosto in Garamanzia, il corpetto e la giubba segnavano dicembre per li Britanni.

Anfanava per le vie più frequenti in siffatto arnese; con le mani intrecciate sul petto come in atto di contrizione e di prece, ma le guardature sospettose e quasi ferine, ch'ei gittava qua e là su la gente, e un certo suo proprio ghignare come di satiro lascivetto persuadean tosto esser l'animo suo più lontano dalla pietà che non fosse per avventura dall'odio e dal disprezzo dell'uman genere.

Al conversare era piacevole e motteggevole molto; ma non patìa, che altri tale il tenesse, temendo non la piacevolezza sua fusse malignamente presa per giulleria: tanto che dettogli uno dì una bambinetta, appresso alla cui madre egli era dimestico molto: Restate ancora, maestro Calcidonio, che senza di voi la brigata non ride-; egli s'ebbe tanto a male di ciò, che afferrata con impeto la fanciulla stava per isfracellarla; onde accorsa la madre alle grida e ripresolo gravemente del fatto, non ei si ristette; anzi con maggior veemenza di collera: Voi siete peggior della putta, le gridò, malvagia briccona che Dio vi mandi il cacasangue a tutte e dua. E come furioso partissi di quella casa, nè più volle rimettervi il piede.

Ma oltre a queste furie e bizzarrie, Maestro Calcidonio era il più dolce e diritto uomo che al mondo fosse, e tale almeno, se non da buttarsi nelle fiamme per amor di Dio e del prossimo, da non torcere un capello a chicchessia e da attendere alle faccende sua, che furono mai sempre di fare onore al suo nome e alla sua gente con opere di colore e di inchiostro.

E perciocchè nel presente secolo uno huomo che abbia pochi e leggeri vizj uniti a molte e sincere virtù è cosa piuttosto singulare che rara, per questo ho volsuto scrivere questo brieve comentario a onore del suo ingegno e ricordo perpetuo della sua virtù.


(1) è facile capire come con questa voce che in dialetto lombardo significa « uomo di mal affare », il Rapisardi scherzando alluda a sè stesso. O che non forse il « rinnegato » Carducci aveva osato chiamarlo « cattivo soggetto » ?

* chi meglio di Mario Rapisardi poteva interpretare l'animo del suo migliore amico.



*approfondimento QUI

domenica 19 giugno 2011

Carlo Ardizzoni. Patriota, filosofo, poeta (Catania, 19 settembre 1808 - 3 gennaio 1886).

 DON CARLO fu uno dei primi a divulgare a Catania l'opera dell'Alfieri, del Foscolo, del Monti e del Parini e a educare i giovani catanesi ai sentimenti di patria. Nel 1831, fonda un istituto di Ideologia, quasi subito soppresso dalla polizia borbonica (che lo considerava un centro di cospirazione), partecipò ai moti dell'estate del 1837 (v. «Figli di Caronda » - Carboneria) insieme con il Barbagallo Pittà . Scampato alla repressione borbonica, fondò nel 1846 il Gabinetto di lettura Ateneo Siculo. Durante la rivoluzione del 1848-'49 fu, per breve tempo, commissario del potere esecutivo ma dopo l'ulteriore fallimento dei nuovi moti rivoluzionari si estraneò dalla attività cospirativa dedicandosi esclusivamente allo studio. Poco prima della venuta di Garibaldi, ritornato a cospirare, patì più volte il carcere. Rapisardi lo ricorda pieno di « entusiasmi di giovane e ingenuità di fanciullo ». Lasciò alcune opere inedite.


1
Carlo Ardizzoni
uomo di vario sapere
di tenace proposito, di sincera virtù
visse con l'animo fra' migliori antichi,
e di loro fu degno.
2
Lo studio amoroso
della lingua d'ltalia
gli alimentò il culto della patria
la piena scienza
delle umane istorie
gli crebbe la religione
dell'Ideale.
3
Quand'era delitto il pensiero
liberamente pensò,
e da libero operò in tempi difficili,
serbando incorrotto il cuore
incontaminate le mani.
4
Sdegnoso di sette,
amatore rude e divulgatore impetuoso
di verità,
fu prediletto da' generosi
da' prepotenti temuto,
rispettato da tutti.
5
Ignaro delle arti giovevoli alla fortuna
mantenne fino agli anni più gravi
entusiasmo di giovane, ingenuità di fanciullo:
visse da poeta, morì da filosofo:
divina schiettezza dell'animo!

Questo autografo Rapisardiano, attraverso il quale appare la figura di Carlo Ardizzoni, ci riporta ad un numero unico divenuto ormai raro e introvabile, che un «giornale politico bisettimanale» del tempo: «Il Mongibello» (che, era diretto da G. Vitale Palazzo; aveva l'ufficio di amministrazione al numero civico 16, secondo piano, di via Biscari; si stampava per i «tipi di Roberto Giuntini» e si vendeva «centesimi 5 il numero, arretrati centesimi 10») dedicò alla memoria del patriota catanese.

Bibliografia:
Enciclopedia di Catania - Tringale editore
Catania vecchia e nuova, di Francesco Granata - Ed. Giannotta 1973 

giovedì 14 ottobre 2010

Per il poeta Mario Rapisardi, le onoranze del 1889 svolte a Catania.

In queste poche righe tenterò, attraverso testimonianze altrui, di stimolare l'interesse degli  eruditi catanesi

Riconoscimenti al Titano, così intitolava il 4° paragrafo del 5° capitolo di “Una vita tormentata”, pubblicato nel 1991 da Sebastiano Catalano, con prefazione di Nicolò Mineo.

Due avvenimenti contrassegnarono lo scorcio del secolo xx: uno di segno positivo che fece risplendere ancora di più il fascino e il carisma che il docente (M. Rapisardi) esercitava sulla gioventù studiosa, la cui fama si era estesa ben oltre l'Isola ed aveva «contagiato» quelli di altre Università (Palermo, Messina, Roma ed anche straniere); l'altro minore, che toglieva qualcosa di accademico al professore, che rinunziava (per motivi di salute) a mantenere la presidenza della Facoltà di Lettere, rivestita da un decennio. Ciò avveniva agli inizi dell'anno 1899. Di ben altra risonanza e valenza il primo, volano del quale furono le manifestazioni promosse da un Comitato di studenti. L'occasione fu il giubileo di Palingenesi (1868), i Trent'anni trascorsi dalla prima edizione.

Le «Onoranze» al Vate coinvolsero studenti vicini e lontani, come le studentesse della Scuola di Magistero di Roma, le autorità cittadine (sindaco e giunta comunale, la Provincia) e tutte le associazioni esistenti allora a Catania, le tre Università e i Sindaci di Palermo e di Messina (ciascuno aderì a nome della rispettiva Città). Naturalmente furono il sindaco e la giunta comunale, che diedero con le deliberazioni adottate ad hoc una veste di festa e solennità che coinvolgeva l'intera città (come vedremo fra poco).
In quell'occasione un gruppo di studenti, particolarmente vicini al Maestro («i discepoli»), con contributi apprezzabili, diedero alle stampe una speciale pubblicazione dedicata al Vate e caposcuola.
Il Rapisardi ringraziava, qualche giorno dopo, commosso per le vibrazioni suscitate in Lui dagli scritti e dalle composizioni.
*// monumento in bronzo voluto dagli studenti universitari
Il programma e lo svolgimento completo delle «Onoranze», deliberate dal Comitato per il 19 giugno 1898, subì il veto del prefetto di Catania. (….)
Le manifestazioni, in seguito autorizzate, si svolsero nel gennaio del 1899 ed ebbero il clou con una cerimonia spettacolare al massimo, che vide la partecipazione massiccia del popolo con le rappresentanze delle autorità catanesi e degli Atenei della Sicilia, di folti gruppi di studenti delle Università di Trieste, Vienna ed altre, e che si svolse domenica 22 gennaio 1899. Per rievocare avvenimenti che hanno per teatro la città intera, occorre attingere alla cronaca coeva che è sempre prodiga di dettagli interessanti.
L'inaugurazione del monumento al Giardino Bellini: essa assurge a glorificazione in vita del Vate, consacrazione definitiva da valere per le nuove generazioni. Il programma comprendeva l'inaugurazione di esso alle ore 12, la conferenza del prof. Ragusa Moleti nel foyer del Teatro Bellini alle ore 15 e, infine, la sera del 19, un'artistica fiaccolata con «Illuminazione festiva del Palazzo Municipale e del Siculorum Gymnasium». (...)
È impossibile riassumere le proporzioni dell'avvenimento, l'imponenza del corteo che si snodava lentamente dalla Piazza Università, i gonfaloni del Municipio e delle tre Università siciliane, le bandiere di tutte le associazioni e dei sodalizi cittadini, le due bande: la municipale e quella dell'Ospizio di beneficenza, che suonavano l'inno degli studenti e l'«lnno a Rapisardi» (autore lo studente Lucio Costanzo).
All'arrivo la «Villa» era già gremita e quindi, inevitabilmente, furono invase le aiuole «fra la disperazione dei guardiani». Subito dopo lo scoprimento, i discorsi del Sindaco, di Virgilio La Scola, in rappresentanza dell'Associazione della Stampa siciliana, del professore Boner di Messina, del dottor Antonio Campanozzi per il Comitato promotore.
Poi il tentacolare corteo si dirigeva verso la casa del Poeta al Borgo. L'incontro fra il Sindaco e il Rapisardi e l'abbraccio alla sommità della scala fu sotto il segno della commozione e delle lacrime. Il cronista attento annotava: «L'illustre Poeta è stordito dalla forte emozione», mentre la folla esigeva di vedere il Poeta e «Finalmente il Rapisardi viene spinto a farsi sul balcone». È un momento esaltante e fantasmagorico, ma per il Poeta di smarrimento «Migliaia di cappelli e di fazzoletti sventolano vertiginosamente, migliaia di bocche gridano: viva Rapisardiì le bande intuonano l'inno a Rapisardi e quello agli studenti, le bandiere oscillano e s'inchinano dinanzi al Grande». «Egli, solenne, circonfuso, ringrazia col gesto, che la parola gli si ferma nella gola stretta dalla commozione...». Per la commozione il Rapisardi è costretto a ritirarsi «la vista gli si offusca, i ginocchi gli si piegano... e si ritira...».
Nonostante l'imponente partecipazione popolare non si registrò alcun disordine e turbamento dell'ordine pubblico, come si dava atto nel rapporto del delegato di P.S. al questore «La cerimonia in complesso è stata ordinatissima e seria» . Fra le personalità presenti nel corteo gli onorevoli Angelo Majorana e Giuseppe De Felice, nonché i rappresentanti della stampa catanese: Nino Martoglio, direttore del «D'Artagnan» e Paolo Arrabito, direttore della «Gazzetta della Sera», quotidiano.
Un'iniziativa editoriale e culturale di rilievo, in consonanza con le onoranze, fu assunta da Antonio Campanozzi, con l'inizio della pubblicazione della rivista «Palingenesi».
Dopo le «Onoranze» veramente eccezionali, che - come abbiamo visto - si conclusero nel gennaio 1899, il Poeta ringraziava con un messaggio diretto «Agli studenti» e rifletteva che mai come di fronte ai giorni resi solenni «io ho sentito l'insufficienza dell'opera mia» ed emergeva il senso di «malinconia». «E la malinconia cresce se considero la tristizia dei tempi e le misere condizioni a cui è ridotto il nostro sventurato paese»; concludeva esortando i giovani a credere «che la giustizia, la libertà, la pace regneranno, presto o tardi, nel mondo». Delle «Onoranze», tributate con affetto, con intensità, solennità ed ufficialità, rimangono gli «Atti», un volume di scritti critici e di rievocazioni, di cronache e di ricordi personali, pubblicato a cura dell'infaticabile presidente del Comitato promotore ed organizzatore.
*Busto all'Università (1899) - Apoteosi per un vivente.
La fase della «monumentazione» del Vate continuò con l'inaugurazione del mezzo busto all'Università, scoperto il 23 gennaio successivo alle ore 14. Oggi non più esistente, era «collocato nel muro di ponente dell'Aula Magna». Dopo gli immancabili discorsi (oratori il dott. Campanozzi, il Rettore Annibale Ricco, il prof. Giardina a nome della Facoltà di Lettere), una commissione di studenti si recò a fare visita al Poeta per consegnargli alcune pergamene, due album: uno con le firme di studenti di Vienna e l'altro con le sottoscrizioni di quelli dell'Università di Roma e delle studentesse del Magistero femminile, un quadro del pittore Alessandro Abate ed altri doni («uno scudo d'argento degli studenti triestini dell'Università di Graz»). Un'ovazione prolungata degli studenti, rimasti ad attendere sulla via «costrinse il Poeta ad affacciarsi per ben due volte». Era il massimo che il Poeta poteva concedere ai suoi giovani estimatori e discepoli! .
Questo grande avvenimento, motivo di orgoglio per qualsiasi persona, turbò il professore Rapisardi. Ecco le «conseguenze» sul comportamento successivo del Poeta, come le riferisce un testimone, il prof. Casagrande «Quando per il giubileo della sua Palingenesi (1899) gli studenti delle tre Università di Sicilia gli decretarono un busto di bronzo, Egli si scusò d'intervenire all'inaugurazione solenne, e d'allora in poi non passò più per la corsia del corridoio superiore, che gli avrebbe mostrato la sua apoteosi. Egli in quella apoteosi vide invece le estreme sue esequie. Da questo quadro esce un uomo schivo, modesto, che scansava le riunioni solenni e, insieme, il fastidio della popolarità, restìo alle esibizioni ed agli applausi.
Vedi anche
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Catania per Rapisardi doveva essere quella che è Bologna per Carducci(_), invece, lo relega in una sconosciuta stanza, della Biblioteca Ursino Recupero.
Victor Hugo, che a lui testualmente disse : “J'ai lu, monsieur, votre noble pòeme. Vous ètes un prècurseur…….” non sbagliava. Studiandolo, sentirete che il Rapisardi, oltre a prendervi emotivamente, era proiettato nel futuro, i suoi pensieri e i suoi giudizi possono essere riportati integralmente nella società attuale, forse questo, irrita tanto i "tromboni" attuali.
“Di notevole non cè nulla nella mia vita” scrisse, “ se non forse questo, che, bene o male, mi son formato da me, distruggendo la meschina e falsa istruzione ed educazione ricevuta, e istruendomi ed educandomi da me, a modo mio, fuori di qualunque scuola, estraneo a qualunque setta, sdegnoso di sistemi e di pregiudizi”.