Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

giovedì 14 ottobre 2010

Per il poeta Mario Rapisardi, le onoranze del 1889 svolte a Catania.

In queste poche righe tenterò, attraverso testimonianze altrui, di stimolare l'interesse degli  eruditi catanesi

Riconoscimenti al Titano, così intitolava il 4° paragrafo del 5° capitolo di “Una vita tormentata”, pubblicato nel 1991 da Sebastiano Catalano, con prefazione di Nicolò Mineo.

Due avvenimenti contrassegnarono lo scorcio del secolo xx: uno di segno positivo che fece risplendere ancora di più il fascino e il carisma che il docente (M. Rapisardi) esercitava sulla gioventù studiosa, la cui fama si era estesa ben oltre l'Isola ed aveva «contagiato» quelli di altre Università (Palermo, Messina, Roma ed anche straniere); l'altro minore, che toglieva qualcosa di accademico al professore, che rinunziava (per motivi di salute) a mantenere la presidenza della Facoltà di Lettere, rivestita da un decennio. Ciò avveniva agli inizi dell'anno 1899. Di ben altra risonanza e valenza il primo, volano del quale furono le manifestazioni promosse da un Comitato di studenti. L'occasione fu il giubileo di Palingenesi (1868), i Trent'anni trascorsi dalla prima edizione.

Le «Onoranze» al Vate coinvolsero studenti vicini e lontani, come le studentesse della Scuola di Magistero di Roma, le autorità cittadine (sindaco e giunta comunale, la Provincia) e tutte le associazioni esistenti allora a Catania, le tre Università e i Sindaci di Palermo e di Messina (ciascuno aderì a nome della rispettiva Città). Naturalmente furono il sindaco e la giunta comunale, che diedero con le deliberazioni adottate ad hoc una veste di festa e solennità che coinvolgeva l'intera città (come vedremo fra poco).
In quell'occasione un gruppo di studenti, particolarmente vicini al Maestro («i discepoli»), con contributi apprezzabili, diedero alle stampe una speciale pubblicazione dedicata al Vate e caposcuola.
Il Rapisardi ringraziava, qualche giorno dopo, commosso per le vibrazioni suscitate in Lui dagli scritti e dalle composizioni.
*// monumento in bronzo voluto dagli studenti universitari
Il programma e lo svolgimento completo delle «Onoranze», deliberate dal Comitato per il 19 giugno 1898, subì il veto del prefetto di Catania. (….)
Le manifestazioni, in seguito autorizzate, si svolsero nel gennaio del 1899 ed ebbero il clou con una cerimonia spettacolare al massimo, che vide la partecipazione massiccia del popolo con le rappresentanze delle autorità catanesi e degli Atenei della Sicilia, di folti gruppi di studenti delle Università di Trieste, Vienna ed altre, e che si svolse domenica 22 gennaio 1899. Per rievocare avvenimenti che hanno per teatro la città intera, occorre attingere alla cronaca coeva che è sempre prodiga di dettagli interessanti.
L'inaugurazione del monumento al Giardino Bellini: essa assurge a glorificazione in vita del Vate, consacrazione definitiva da valere per le nuove generazioni. Il programma comprendeva l'inaugurazione di esso alle ore 12, la conferenza del prof. Ragusa Moleti nel foyer del Teatro Bellini alle ore 15 e, infine, la sera del 19, un'artistica fiaccolata con «Illuminazione festiva del Palazzo Municipale e del Siculorum Gymnasium». (...)
È impossibile riassumere le proporzioni dell'avvenimento, l'imponenza del corteo che si snodava lentamente dalla Piazza Università, i gonfaloni del Municipio e delle tre Università siciliane, le bandiere di tutte le associazioni e dei sodalizi cittadini, le due bande: la municipale e quella dell'Ospizio di beneficenza, che suonavano l'inno degli studenti e l'«lnno a Rapisardi» (autore lo studente Lucio Costanzo).
All'arrivo la «Villa» era già gremita e quindi, inevitabilmente, furono invase le aiuole «fra la disperazione dei guardiani». Subito dopo lo scoprimento, i discorsi del Sindaco, di Virgilio La Scola, in rappresentanza dell'Associazione della Stampa siciliana, del professore Boner di Messina, del dottor Antonio Campanozzi per il Comitato promotore.
Poi il tentacolare corteo si dirigeva verso la casa del Poeta al Borgo. L'incontro fra il Sindaco e il Rapisardi e l'abbraccio alla sommità della scala fu sotto il segno della commozione e delle lacrime. Il cronista attento annotava: «L'illustre Poeta è stordito dalla forte emozione», mentre la folla esigeva di vedere il Poeta e «Finalmente il Rapisardi viene spinto a farsi sul balcone». È un momento esaltante e fantasmagorico, ma per il Poeta di smarrimento «Migliaia di cappelli e di fazzoletti sventolano vertiginosamente, migliaia di bocche gridano: viva Rapisardiì le bande intuonano l'inno a Rapisardi e quello agli studenti, le bandiere oscillano e s'inchinano dinanzi al Grande». «Egli, solenne, circonfuso, ringrazia col gesto, che la parola gli si ferma nella gola stretta dalla commozione...». Per la commozione il Rapisardi è costretto a ritirarsi «la vista gli si offusca, i ginocchi gli si piegano... e si ritira...».
Nonostante l'imponente partecipazione popolare non si registrò alcun disordine e turbamento dell'ordine pubblico, come si dava atto nel rapporto del delegato di P.S. al questore «La cerimonia in complesso è stata ordinatissima e seria» . Fra le personalità presenti nel corteo gli onorevoli Angelo Majorana e Giuseppe De Felice, nonché i rappresentanti della stampa catanese: Nino Martoglio, direttore del «D'Artagnan» e Paolo Arrabito, direttore della «Gazzetta della Sera», quotidiano.
Un'iniziativa editoriale e culturale di rilievo, in consonanza con le onoranze, fu assunta da Antonio Campanozzi, con l'inizio della pubblicazione della rivista «Palingenesi».
Dopo le «Onoranze» veramente eccezionali, che - come abbiamo visto - si conclusero nel gennaio 1899, il Poeta ringraziava con un messaggio diretto «Agli studenti» e rifletteva che mai come di fronte ai giorni resi solenni «io ho sentito l'insufficienza dell'opera mia» ed emergeva il senso di «malinconia». «E la malinconia cresce se considero la tristizia dei tempi e le misere condizioni a cui è ridotto il nostro sventurato paese»; concludeva esortando i giovani a credere «che la giustizia, la libertà, la pace regneranno, presto o tardi, nel mondo». Delle «Onoranze», tributate con affetto, con intensità, solennità ed ufficialità, rimangono gli «Atti», un volume di scritti critici e di rievocazioni, di cronache e di ricordi personali, pubblicato a cura dell'infaticabile presidente del Comitato promotore ed organizzatore.
*Busto all'Università (1899) - Apoteosi per un vivente.
La fase della «monumentazione» del Vate continuò con l'inaugurazione del mezzo busto all'Università, scoperto il 23 gennaio successivo alle ore 14. Oggi non più esistente, era «collocato nel muro di ponente dell'Aula Magna». Dopo gli immancabili discorsi (oratori il dott. Campanozzi, il Rettore Annibale Ricco, il prof. Giardina a nome della Facoltà di Lettere), una commissione di studenti si recò a fare visita al Poeta per consegnargli alcune pergamene, due album: uno con le firme di studenti di Vienna e l'altro con le sottoscrizioni di quelli dell'Università di Roma e delle studentesse del Magistero femminile, un quadro del pittore Alessandro Abate ed altri doni («uno scudo d'argento degli studenti triestini dell'Università di Graz»). Un'ovazione prolungata degli studenti, rimasti ad attendere sulla via «costrinse il Poeta ad affacciarsi per ben due volte». Era il massimo che il Poeta poteva concedere ai suoi giovani estimatori e discepoli! .
Questo grande avvenimento, motivo di orgoglio per qualsiasi persona, turbò il professore Rapisardi. Ecco le «conseguenze» sul comportamento successivo del Poeta, come le riferisce un testimone, il prof. Casagrande «Quando per il giubileo della sua Palingenesi (1899) gli studenti delle tre Università di Sicilia gli decretarono un busto di bronzo, Egli si scusò d'intervenire all'inaugurazione solenne, e d'allora in poi non passò più per la corsia del corridoio superiore, che gli avrebbe mostrato la sua apoteosi. Egli in quella apoteosi vide invece le estreme sue esequie. Da questo quadro esce un uomo schivo, modesto, che scansava le riunioni solenni e, insieme, il fastidio della popolarità, restìo alle esibizioni ed agli applausi.
Vedi anche
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Catania per Rapisardi doveva essere quella che è Bologna per Carducci(_), invece, lo relega in una sconosciuta stanza, della Biblioteca Ursino Recupero.
Victor Hugo, che a lui testualmente disse : “J'ai lu, monsieur, votre noble pòeme. Vous ètes un prècurseur…….” non sbagliava. Studiandolo, sentirete che il Rapisardi, oltre a prendervi emotivamente, era proiettato nel futuro, i suoi pensieri e i suoi giudizi possono essere riportati integralmente nella società attuale, forse questo, irrita tanto i "tromboni" attuali.
“Di notevole non cè nulla nella mia vita” scrisse, “ se non forse questo, che, bene o male, mi son formato da me, distruggendo la meschina e falsa istruzione ed educazione ricevuta, e istruendomi ed educandomi da me, a modo mio, fuori di qualunque scuola, estraneo a qualunque setta, sdegnoso di sistemi e di pregiudizi”.

lunedì 11 ottobre 2010

Antonino Gandolfo, mostra del pittore Catanese, ad Aci Castello il 28/10/2010, per il centenario.

« La sua arte, intese il compito di affrontare i problemi della vita additandone le miserie; egli cercò il dolore per stimolare la pietà e la riparazione sociale; fu poesia, fu opera altamente sociale».
« Basta citare i titoli delle sue opere migliori : Musica forzata — Il cieco - Una madre. — Al monte di pietà Il dolore ecc. per trovare in esse tutta l'anima vibrante dei sentimenti più belli ».








Disegno di A. Gandolfo, musica di Frontini
Ti tinci e sinni và!

domenica 10 ottobre 2010

Francesco Paolo Frontini: "Mi voto e mi rivoto"


Art. di Gaetano Marino, tratto dai iVespri del 9/10/2010, 
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Canzonetta Villereccia, meglio conosciuta come "Mi votu e mi rivotu"

venerdì 8 ottobre 2010

Ultimo colloquio col Maestro Frontini - Catania, 1939


( Il Popolo di Sicilia, agosto 1939 - di Francesco Pastura )

Maestro venerato ed amatissimo, vorrei parlarvi per l'ultima volta.

La notizia della vostra morte mi raggiunse lontano. Partii a precipizio, arrivai di notte a Catania, passai davanti alla vostra casa.
Salii le scale - quelle scale da me tante volte fatte, sulla sommità delle quali trovavo voi sempre sorridente pronto ad accogliermi con un paterno abbraccio - vidi l'uscio spalancato. Da dentro giungevano echi di pianto, suono di parole dette sottovoce, un opprimente profumo di fiori, l'odore dei ceri accesi. Non volli entrare. Ridiscesi le scale con le gambe che parevano di piombo.
Un nodo terribile mi serrava la gola. Non sapevo, non potevo piangere. La tremenda realtà impediva ogni sfogo al mio dolore. Ora penso che è difficile parlare di voi. Da mezz'ora scrivo e cancello. Non so come cominciare.
Preferisco rivolgervi la parola come quando eravamo insieme chiusi dentro il vostro studio. 
Questo, o maestro, e l'ultimo colloquio che ho con voi.
Ma vorrei che fosse ascoltato dai catanesi perchè essi possano conoscere la vostra cara, paterna bontà, apprezzare le vostre virtù. E son certo che la conoscenza della vostra mirabile umanità renderà degna la vostra memoria d'essere venerata e circondata da quel geloso e religioso amore che i catanesi hanno per quei grandi spiriti di cui Catania, è stata sempre madre feconda.
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Solo conoscendo le vostre virtù umane si possono comprendere e penetrare quelle artistiche. In voi l'artista e l'uomo sono stati sempre strettamente legati, indissolubilmente fusi: l'uno illumina e determina l'altro.
Questo io compresi la sera in cui vi venni presentato da un amico comune. 
Conoscevo moltissima musica vostra, ne ammiravo la squisita eleganza melodica, la raffinatezza armonica, la quadrata forbitezza formale. Ma solo conoscendovi di presenza compresi che dal vostro spirito non poteva emanare che un'arte che fosse lo specchio della vostra sensibilità, della vostra sincerità, della vostra personalità. Vedendovi mi parve  che  vi  conoscessi  chissà da quanto tempo,  certamente da quando  - ancor fanciullo - cominciavo a decifrare, al pianoforte, i vostri squisiti pezzi. E ve lo dissi. Voi sorrideste; per gentilezza forse (solo più tardi appresi che le lodi vi infastidivano). Dopo, guardandomi coi vostri occhi chiari, lo sguardo diritto e indagatore avrà certamente letto la mia sincerità. Tornaste a sorridermi ancora, ma più dolcemente, paternamente quasi.
*  *   *
Fui  ammesso alla  vostra  presenza. Si stava lunghe ore dentro il vostro studio. Ordinatissimo, elegantissimo anch'esso rispecchiava l'equilibrio e la raffinatezza del vostro gusto.
E quando vi dicevo che quello era il vostro mondo, un mondo in cui la vostra sensibilità aveva tracciato i confini invalicabili, voi sorridevate  con  tristezza.
- Anche questo è un modo per dirmi che son molto vecchio. -
Ma non lo siete stato mai, vecchio. Me ne accorgevo dalle vostre conversazioni in cui l'acutezza delle vostre osservazioni tradiva non solo una grande saggezza ma anche una cultura che era costantemente aggiornata e pronta a risolvere qualsiasi problema d'estetica o di tecnica musicale. Il tempo non aveva scosso la vostra fibra ne la vostra aristocratica sensibilità. Lavoravate sempre con baldanza giovanile, forse più di quanto non lavori un giovane. 
In voi l'esperienza aveva piegato la tecnica al dominio della fantasia e dell'invenzione. 
Eravate padrone della materia e dotato d'una inesauribile vena creativa. 
La musica era diventata un bisogno, un mezzo per espandere la vostra feconda sensibilità.
Starvi vicino era una gioia dello spirito.
Cominciaste a volermi bene, un pò più degli altri e me lo dicevate nascondendo con un sorriso scherzoso questa vostra affettuosa affermazione. Ero il più giovane dei vostri amici, ne credevo di possedere delle eccezionali qualità meritevoli di tanta attenzione.
Ci trovavamo spesso, nel vostro studio, insieme col povero Emanuel Calì. E le ore scorrevano lietamente. I vostri occhi, posandosi su ognuno di noi, sembravano accarezzarci paternamente.
-~ Siete i miei più cari amici - ci dicevate spesso.
Poi Emanuel Calì morì, Fu uno schianto pel vostro cuore paterno.
Quando ci si rivide, dopo la disgrazia, non trovammo parole. Soltanto dopo un poco che ci guardammo stringendoci fortemente le mani, mi buttaste le braccia al collo e mi diceste stringendomi sul vostro cuore:
- Ora non mi resti che tu solo.-  E piangemmo entrambi.
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E solo vi rimasi. Devoto e fedele fino all'ultimo cercai di amarvi per me e per il caro indimenticabile scomparso. Cercai di prendere nel vostro cuore il suo posto e nelle vostre abitudini mi adoperai di rendermi utile in quelle piccole cose nelle quali egli soleva aiutarvi.
Vi correggevo le bozze di stampa, ero io il primo a cui facevate leggere le vostre composizioni, insieme rimaneggiammo molte piccolo cose da voi lasciate in sospeso, portammo a compimento le vostre due   ultime   importanti   trascrizioni dei canti popolari  siciliani.
Non più le allegre risate di prima, ma sorrisi calmi e pacati.
Si lavorava serenamente e in mezzo a noi due la cara ombra di Emanuel Calì sorrideva anch'essa.
Il vostro paterno affetto per me aumentava. Se mancavo di visitarvi erano serie di biglietti che piovevano a casa mia, semplici biglietti sui quali segnavate un solo punto interrogativo.
Quale gioia poter restare in vostra compagnia. Eravate una inesauribile miniera di ricordi. 
Si sfogliavano insieme i vecchi spartiti. Ad ogni pagina, ad ogni pezzo saliente fioriva l'aneddoto dalle vostre labbra. Era sempre un vostro ricordo personale o un'osservazione saggia.
Mai parole che potessero offendere o intaccare l'operato altrui. Mai discorsi che potessero aver l'aria di un qualsiasi pettegolezzo. In voi tutto era eleganza, raffinatezza di gusto, aristocraticità spirituale, bontà, comprensione umana, misericordia paterna
Avevate  l'arte di fare un disappunto con un sorriso  buono. 
*   *   *


Indimenticabile la bontà vostra maestro.

Ora penso, con un brivido tormentoso, che passando dalla vostra casa non potrò mai più scorgere da dietro i vetri, la vostra cara figura. Salendo troverò il vostro studio intatto come l'avete lasciato: ordinatissimi i libri rilegati dentro le librerie, ordinatissimi i quadri disposti da voi, forse ci saranno sul pianoforte e sullo scrittoio i fiori che a voi tanto piacevano.
Ma nessuno più verrà a chiamarvi per dirvi che vi sto attendendo, nessuno potrà mai più farvi tornare, o maestro venerato, nemmeno questo disperato amore che mi riempie gli occhi di pianto.
- Chi è morto non torna più, questa e la cosa terribile -
mi dicevate parlando del nostro povero Emanuel Calì.
E il pensiero della morte non vi sgomentava. Pensavate solo che era triste per voi non poter rivedere il vostro sole, il vostro cielo, i vostri fiori, i visi dei vostri cari.
Ma laggiù, ove ora riposate per sempre, i fiori sbocceranno, o maestro, il vostro cielo sarà sempre sopra di voi il sole tornerà a riscaldarvi, e l'affetto di coloro che tanto amaste in vita vi sarà sempre vicino e custodirà questo vostro sonno eterno in mezzo alla vostra gente, nella terra che vi fu madre adorata. 

( Francesco Paolo Frontini - Catania, 1860 / 1939 )