Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

martedì 20 marzo 2012

Arrigo Boito, l'ultima sigaretta - foto con dedica a G. Verga


(Padova24 febbraio 1842 – Milano10 giugno 1918) è stato un letteratolibrettista e compositore italiano. 



Libretti


lunedì 19 marzo 2012

Sotto gli aranci con Giovanni Alfredo Cesareo (versi)

Giovanni Alfredo Cesareo (Messina, 24 gennaio 1860 – Palermo, 7 maggio 1937) è stato un poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo e senatore italiano.




Siciliana
Io nacqui dove il ciel ride sereno 
Sovra l' isola bella, occhio de' mari ;
                        Dove si mescon candide 
Scintillando a' mattini umidi e chiari 
L'onde dell' Ionio e l'onde del Tirreno.


Quivi nel sol sfavillan le campagne 
Tra 'l meridian silenzio susurranti,
                            E polverosi dormono 
I fichi d'India su le rupi innanti 
A una verde catena di montagne.


Sovra i golfi che curvansi incantati 
Si specchian le marmoree ville in giro, 
                               E tra verzieri floridi 
Odon de' rivi queruli il sospiro 
Moreschi bagni dagli aranci ombrati.


O tu che sei più bianca della spuma, 
Vieni: la vela dell'amor ci attende:
                                     I liti azzurri fremono
 Odorando : dall' erta il gregge pende :
 E l' Etna immane all' orizzonte fuma.






All' Etna

O rauco gridi all' ampia notte, e i flammei 
Globi scagliando tra piovose brume, 
Vesti le candide 
Nevi d' un roseo 
Mutabil lume;

O cheto fumi, e per la balza ondeggiano 
Soli i castagni al tremulo gennaio, 
E dalla stèrile 
Vallata il bufolo 
Mugghia al rovaio;

O sfavillante ergi nell' alba il vertice 
Incoronato d' una striscia d' oro, 
E dalle floride 
Selve cinguettano 
Gli augelli in coro;

Te invoco, Etna gigante : i nembi passano, 
Come sfrenati mostri, a te dinante : 
Tu resti immobile 
All' aer fumido, 
Etna gigante.

Te invoco, Etna gigante : a questa Italia 
Bella, ove ride eterna primavera,
E al mar le acacie 
Fiorenti odorano 
Dalla costiera;

A questa Italia mia che varca il tempio 
Sorridendo, e davanti a una colonna,
Tra un salmo e un cantico 
In braccio a Iéova 
Scinge la gonna;

A questa Italia mia che, i cigli languidi 
Della man copre al raggio del pensiero, 
Infondi libero  
Del forte Empedocle 
Lo spirto austero.

Aci balzar vedevi alle risa ilari 
Di Galatea tra i salici fuggente,
Aci, d' un platano 
Ombroso al murmure 
Blando, dormente ;

E le Peri saltar brune sull' arabe 
Cavalle, entro i zancléi portici neri, 
E in arme ferrea 
Lucenti e immobili 
I cavalieri.

Or nulla è più ; ma tra le plebi invigila 
L' odio fatal con funebre richiamo, 
E intanto assidue 
Preci Eva mormora 
Sbirciando il ramo.

Sol dagli orti felici, ove zampillano, 
Susurrando, del ver le fresche linfe,
Ai biondi arcangioli 
Strette s'involano 
Le glauche ninfe.

Tra bronzee lampe, entro marmoreo feretro, 
Citera giace, nelle braccia avvinta 
Della Magdalide, 
D' un candor languido 
Di perla tinta;

E in agil barca, effuse al petto morbido, 
Come a giacinti floride, le anella, 
Su la chet'aura 
Idilli mormora 
Iside bella.

Salute, Etna gigante: i numi passano, 
Volan memorie e sogni a te dinante: 
Tu resti immobile 
All' aer fumido, 
Etna gigante.





PREFAZIONE di Mario Rapisardi

•Mi   par  di  sentirli: i  critici   pachidermi barriranno, presso a poco, cosi:
Ippopotamo. — Un altro libro di versi! Che c'insegna? Che ci prova? Altro che versi ci vogliono a questi lumi! Franklin, Stephenson, Morse, questi sono i poeti della nostra età. Lasciateci dunque in pace, lattonzoli e impuberi ver-saiuoli; noi non abbiamo tempo da perdere nelle   vostre   sciocchezze ,   noi   persone
gravi, noi.
mastodonte. — L'arte è una missione, il poeta un apostolo che le opinioni degli uomini, per mezzo degli affetti, dirige ; nient' altro la poesia che stromento di civiltà, inspiratrice di libertà, sacerdotessa di verità, fiaccola imperitura dell'umanità. Tirteo, Riga, Rouget de l'Isle, Berchet, altri poeti che questi non v' ha, de' quali unquanco la fama non perirà. Ma, per Dio, come si fa a sopportare una poesia che il clipeo, la spada e l'elmo di Scipio non ha?
Rinoceronte antidiluviano — M'andate parlando di patria! Ma Dio forse non c'è più? Una poesia atea! Quale orrore ! Io non so davvero perchè Dio non mandi il diluvio.
E i critici ortotteri di rimando: 
Forficola. — Chi sono questi mostri che osano mettere le zanne e la proboscide in cose d'arte? Il giudizio delle cose d' arte non appartiene di diritto a noi, che abbiamo, fra l' altre, la facoltà d'entrare nelle orecchie e di penetrare nel cervello degli, uomini, per la qual cosa i Francesi, che sanno tutto, ci diedero il nome di perce-oreille? Veri e soli critici siam noi, e non possiamo perdonare a questo nuovo arrivato l'audacia d'imbandirci tali versi che non appartengono nè a questa nè a quella specie; e non sappiamo in quale casella gli abbiamo a mettere. Sono lirici, melici, elegiaci? A che scuola appartiene l'autore? É verista, é idealista? Uhm! chi indovina è bravo.
Blatta. — E non vi pare una sfacciataggine, anzi un vero sacrilegio, il presentarci un libro senza titolo latino e senza minuscole a' capoversi ? Ci fossero almeno di quelle frasi, dirò così, a retrocarica, aggettivi in umido, sostantivi in guazzo, sentimenti color chiaro di luna, strofettine a gocciole, versettini a singhiozzi ! Ma che ! neppur per sogno ! Al diavolo dunque l' arrogantello : chi nor è con noi è contro di noi ; ed io che son blatta cristiana, gli vo' per dispetto deporre le uova in un' orecchia, e dargli tanto fastidio, che, se non impazza, bisogna pur dire che lo pseudonimo di Hierro gli sta proprio a capello.
Locusta onnivora. — Prima di tutto, mio caro, la poesia lirica è lì lì per dare gli ultimi tratti ; poi se c'è uno che può salvarla, quel tale, modestia a parte, son io. E per salvarla, mio caro, altro mezzo non c'è che inocularle in un certo posto una dozzina di versi barbari al giorno, per comporre i quali, secondo l'e-stetica nuova, bisogna avere il sovrumano coraggio o, a dir propriamente, lo stomaco d'ingozzare le cispe d' Orazio, le càccole d'Alceo, le  secrezioni  biliose dell'Heine, le flatulenze dell'Hugo e il récere del Baudelaire. Tu arricci il naso, impertinente ? Va: tu mi fai compassione : codesti tuoi versiciattoli altro non sono che scombiccherature retoriche, esercitazioni arcadiche, defecazioni frugoniane. Puah ! 
Grillo talpa. — Tutto io perdonerei a questo giovanotto, se avesse celebrato sovra tutto i polpacci delle amanti, le scollacciature provocanti, i seni riluttanti., i femori fluttuanti e le voluttà spumeggianti delle donnette. Razza impotente e barbogia noi siamo, e la poesia, se qualche cosa vuol fare, bisogna che si adatti a far da coca, da fosforo e da stricnina.
*
Persisti ancora, mio caro Hierro, nel voler dare alle stampe questo tuo libro? A dirti la verità, io che son timorato, come sai, e rispetto e venero i critici, qualunque sia l' ordine e la famiglia cui appartengano, io ti consiglierei di rimetterti il volume in tasca, e seguitare a vivere in pace. Tu hai le tue buone ragioni, lo so; ma tu le conteresti a' birri, credi a me.
La bellezza delle tue liriche sta spesso nella profondità del concetto: esempio l'Ahasverus e l'Epopea umana, in un sentimento soave della Natura, esempio Per amica silentia lunae, Notte d'estate, In Maggio, Canto d' augelli e tante altre. L'ironia, che flagellando sorride, non ti fa difetto, esempio i Giambi. Hai delle trovate melodiche invidiabili, certe sfumature di sentimento, certe voluttà vereconde che inondano l' anima di soavi misteri. La tua frase è, per lo più, corretta ; la parola propria ; sempre adeguato all' argomento lo stile.
La Sicilia, specie Messina, tua patria, si riflette nell'anima tua giovanile, e l'anima tua si riflette ne' tuoi canti, come viso di fanciulla innamorata nelle acque tranquille di un lago. C'è freschezza di rive incantate, canto di sirene, sorriso di Morgane, aure sane di monti, fragranze di zàgare e d' alghe. L'Etna fa sentire di quando in quando i suoi profondi boati ; l'ombra d'Empedocle s'affaccia tra le fiamme ed il fumo del cratere; quella di Teocrito s'aggira tranquillamente per le valli fiorite. E Venere, l'eterna dea, scorre sulle onde vivaci dell'Ionio, e diffonde un lume sereno, una calma, una pace che tu ritrai grecamente nelle, ultime strofe alla Venere di Milo.
Io non disprezzo né disanimo i giovani dall' arte ; io li amo anzi e li ammiro, quando in secolo bottegaio e pettegolo come il nostro, invece di sciupare il tempo, l'ingegno e il carattere nello stillicidio pernicioso del giornalume , intendono seriamente e religiosamente al culto disinteressato della bellezza. A te poi voglio bene sopra molti, perchè all' ingegno insolito accoppj gravità di studj ed elevatezza d' animo non ordinaria ; sì che ti si possa dire senza scrupoli: Andrai, se te non vince o lode o sdegno, Lungi dell'arte a spaziar fra' campi. Ma, benchè non tema che l' affetto mi faccia velo al giudizio, pure non ti saprei coscienziosamente consigliare la stampa di questi versi, avuto il debito riguardo ai gusti sopraffini ed a' giudizj inappellabili de' sullodati messeri.

**

F. P. FrontiniCanto di carrettiereG. A. Cesareo dal Don Juan
1885
Ricordimilano

F. P. FrontiniNedda - cantilenaG. A. Cesareo dal Don Juan
1887
Venturinifirenze

F. P. FrontiniSogno MaleseG. A. Cesareo
1884
Ricordimilano

F. P. FrontiniOttobreG. A. Cesareo - cantilena popolareA. Pignamilano

lunedì 12 marzo 2012

Vieni Nerina! di Lorenzo Stecchetti, versi in musica. 1877


Melodia di Francesco Paolo Frontini, versi di Lorenzo Stecchetti, ed. Benenati 1877 Catania


Vieni, Nerina! Siediti
 Lieta sui miei ginocchi
 E ti scintilli cupida
 La voluttà negli occhi;

 Vieni , ed il collo cingimi
 Con le soavi braccia,
 Io nel tuo sen che palpita
 Nasconderò la faccia.

 Squarci la terra i fumidi
 Visceri suoi profondi,
 Crollino i cieli e riedano
 Infranti al nulla i mondi,

 A me non cal ! Se il roseo
 Labbro sul labbro mio
 Serri, Nerina, impavido
 Sfido la morte e Dio.





  • Fior di siepe, versi di Olindo Guerrini, musica di Francesco Paolo Frontini, ed. Lucca, 1878





  • Vieni Nerina!, versi di Olindo Guerrini, musica di Francesco Paolo Frontini, ed. Benenati, 1877





  • S'io fossi, versi di Olindo Guerrini, musica di Francesco Paolo Frontini, ed. Lucca, 1883





  • *****


    Scena illustrata, L. Stecchetti . 1.2.1899
    Postscriptum -

    Zerlina mia, la neve 
    Turbina in alto e cade 
    Fitta, noiosa, greve, 
    Sui tetti e sulle strade.

    Invan la notte pesa 
    Sulla città che tace; 
    La coltre bianca è stesa, 
    Ma nulla dorme in pace.

    Rugge di fuori il vento 
    E l' urlo furibondo 
    Si spegne in un lamento 
    Di bimbo moribondo,

    E uscir dall' ombre senti, 
    Dall' ombre paurose, 
    Il pianto dei viventi 
    E il pianto delle cose.


    Ma dall' orror, dai lutti, 
    Dolce un pensier m' invola 
    E fra il dolor di tutti 
    Sono felice io sola!


    Ah, degli umani affanni, 
    Zerlina, a me che importa? 
    Io sento Don Giovanni 
    Che batte alla mia porta!



    Scena illustrata, L. Stecchetti . 15.2.1899  
    Post Prandium -

    Le laudi del convito 
    Canta l'adulatore 
    Ed urla il parassito 
    Gli evviva al suo signore.


    Le donne han lo scaltrito
    Sguardo che finge amore 
    E sovra il sen fiorito 
    Il vezzo tentatore,


    Ma intanto la cervice
    Piega il signor, trafitto 
    Nell'anima infelice


    E l'occhio torvo e fitto 
    Sovra la mensa, dice 
    Che il cor cela un delitto.





    domenica 4 marzo 2012

    L'Eva eterna - di Federico De Roberto, Corriere della Sera - 19.6.1904 (femminismo)

     Il principe Karageorgevitch presenta al gran pubblico cosmopolita, traducendolo elegantemente in francese, il romanzo tedesco di Ernesto von Wolzogen intitolato Il terzo sesso (ed. Calmann Lévy). Una scrittrice italiana, Flavia Steno, pubblica un altro romanzo con un titolo diverso, ma di eguale significato: La nuova Eva (ed. Sandron). L'incontro è sintomatico. Il conflitto sessuale occupa talmente gli spiriti, che non bastano gli studi severi e le indagini positive: anche l'arte se ne mescola e vi cerca l'ispirazione. Fu già dato conto ultimamente in queste colonne di un buon numero di pubblicazioni scientifiche ; non sarà fuor di luogo dire qualche cosa di queste composizioni fantastiche, degne entrambe di non passare inosservate.
    Il romanzo tedesco è particolarmente notevole per lo spirito satirico che vi è infuso. Nelle tre prime righe il prof. Giuseppe Reithmeyer dice a Clara di Fries: « Chiudi quel libro, Clara. Non è possibile andare avanti così. Ho una seria preghiera da rivolgerti : sposami! » E' il mondo alla rovescia. I due personaggi hanno contratto da tempo una libera unione, e non già là donna ne chiede ora all'uomo la sanzione legale, sociale, divina : l'uomo, anzi, supplica e scongiura la donna, la quale gli dà del « fossile » e lungamente gli oppone un ostinato rifiuto. Si piega da ultimo; ma il giorno delle nozze gl'invitati e lo sposo l'aspettano invano, nè sanno più dove trovarla, quando ella finalmente appare: studiando medicina, alla, vigilia di laurearsi, è andata all'ospedale e vi è rimasta mezza giornata per assistere ad un'importante operazione. « Si può sposarsi un giorno qualunque », dice tranquillamente, per giustificarsi ; « ma un'ovariotomia resa necessaria da un myxoìdcistoma multiloculare dell'ovaia destra non è cosa da trascurarsi... »

    Il terzo sesso non è rappresentato solamente da lei : ne fanno parte anche le due sorelle Haider, che alla morte del padre hanno assunto la direzione della sua casa bancaria sotto la ditta: « Figlie di Maurizio Haider. » La maggiore, Ildegarda, ha giurato di non maritarsi, dandosi tutta al suo grave ufficio che disimpegna con una virile accortezza, la quale non le impedisce però di farsi portar via una discreta sammetta da un bel paio di baffi appartenenti ad un finto barone di Kerkove ; la, piccola Marta, è ancora un po' « vecchio stile », ma non riesce, a trovar marito, perchè gli uomini che, consentirebbe a sposare cercano la donna nuova, mentre viceversa ella ricusa, quelli che si contenterebbero di una signorina tutta all'antica. Un buon numero di altre superdonne, di esseri neutri, fondano un « Comitato di agitazione per la evoluzione della psicologia femminile ». La piccola Lilly di Robiceck, pittrice divorziata, non è ammessa a farne parte, perchè le femministe si struggono di gelosia vedendola, scatenare desideri e passioni nel sesso forte; ed ella stessa è desolatissima di possedere un musetto tale, che tutti i maschi le vanno dietro per le vie come altrettanti cagnolini inuzzoliti. Dalla tanta contrarietà, ella vorrebbe sfigurarsi col vetriolo; se avesse la fede, preferirebbe anche farsi monaca piuttosto che vedersi  attorno tanti spasimanti;   ma, un poco perché si sente perseguitata dall'invidia delle altre donne, un poco per altre più persuasive ragioni, modifica, alquanto le sue opinioni : accetta le offerte non disinteressate di alcuni buoni amici, i quali le spianano la via all'emancipazione per mezzo del lavoro, mettendole su un negozio di mode, col quale ella si vendica delle antiche compagne speculando sulla loro vanità. Le leggiadra modista fa veramente fortuna, nonostante un piccolo inconveniente che scandalizza alcune clienti retrograde: la nascita d'un figliuola, che non si sa precisamente a quale dei molti protettori di lei debba i suoi giorni;  ma le donne nuove, appunto al lora, restituiscono tutta la loro stima alla rivale di un tempo divenuta ora loro sarta preziosa, e fanno del piccolino un  simbolo:   il  «  Figlio nuovo...   » 

    Non bisogna chiedere verosimiglianza di avvenimenti, nè logica di caratteri all'opera del Wolzogen. E' come si è detto, e come si può vedere da questi accenni, una satira, in alcuni luoghi molto felice e veramente gustosa;   talvolta un poco prolissa. E, principalmente, un pretesto per discutere la quistione del femminismo, intorno alla quale i vari attori enunziano opinioni tra il serio ed il faceto; questa, fra l'altre: che l'esempio di una insigne professo ressa di matematiche può essere addotto tanto opportunamente  contro la poca levatura  femminile, quanto quello di un vitello con cinque gambe o due teste contro   l'universalità dei vitelli   con   quattro gambe ed una testa sola. Alla quale affermazione di un anti-femminista, una femminista risponde che con un analogo ragionamento si potrebbe dimostrare esser l'uomo, e non la donna, il prodotto inferiore della natura: perché, mentre si sono date, per l'appunto, e si danno ancora donne eminenti, sia pure per effetto di una specie di mostruosità, nel campo intellettuale riservato all'uomo, non si è ancora vi sto, reciprocamente, nessun uomo partorire figliuoli. E tra queste ed altrettali burle, l'autore ha cura di far significare quella che reputa verità vere, principalissima quella messa in  bocca al bell'Arnolfo Rau,  letterato incompreso da tutti,  fuorché dalla modista che lo idoleggia nonostante i continui tra dimenti che egli le infligge e addirittura le confida. La verità esposta da cotesto superuomo è che le leggi fisiche regolatrici dei rapporti dei sessi non sono cambiate da che mondo è mondo, nè potranno cambiar mai, mentre invece i rapporti morali si so no venuti modificando e si modificano sempre più : da questa contraddizione nascono gl'inconvenienti, i disagi e i danni che tuttodì si lamentano. E il con cetto dell'autore è quindi che la donna nuova, l'uomo nuovo, il figlio nuovo, le mode nuove, i nuovi costumi e in una parola tutte le novità sono ridicole e pericolose.

    Alla dimostrazione di una tesi attende anche Flavia Steno, ma non già tra le bizzarre invenzioni della satira.  Il suo romanzo vuol essere ed è opera di osservazione; ad esso si può adattare la definizione che i Goncourt  diedero di questa forma  d'arte: « una storia che avrebbe potuto essere ». La prima parte, segnatamente, è la fedele, vivace, evidente rappresentazione, della vita che gli studenti, cosmo politi conducono in  Isvizzera, nelle pensioni dove amicizie, fratellanze ed amori s'annodano con faci lità e rapidità ignote altrove. Fra le molte figure che popolano la scena emerge quella di Violetta Adriani, disgraziata fanciulla senza madre, quasi abban donata dal padre, avversata da una zia, datasi, quin di, per assicurarsi l'avvenire, agli studi severi. Men tre costei aspetta di conseguire la laurea in lettere, a Zurigo, conosce nella pensione Staubli, fra tanti singolari tipi di giovanette emancipate e di giovanotti professanti le più libere idee, il ginevrino Mau-rizio Boissy, il quale frequenta i corsi d'ingegneria e tanto s'innamora di lei quanto ella stessa è da lui innamorata.   Accade ciò  che troppo  facilmente e quasi necessariamente suole accadere quando mancano i freni morali:  la donna amante non resiste alle  sollecitazioni   dell'uomo  ardente:   una libera unione è contratta, che presto però entrambi si propongono di mutare in legittime nozze.  Se non che, l'impazienza di guadagnare danaro spinge il giovane a tralasciare gli studi per ingolfarsi, con un losco affarista, in una serie di sciagurate operazioni commerciali, nelle quali va rapidamente perduto il capitaluccio di Violetta. Costretto a cercare un impiego, l'infingardo Maurizio ricusa tutti quelli che gli si offrono, e invece di sopportare virilmente la miseria, come la sua dolce e forte compagna, va dietro alle chimere e s'incaponisce a seguire in America, contro le preghiere e gli scongiuri di Violetta, il tentatore che è stato causa della loro rovina. La poveretta  resta  sola,   abbandonata, avvilita, senza mezzi, senza speranze. Un miracolo compito dalla nativa sua energia e dalla mutata fortuna, la trae improvvisamente dal baratro:   ella comincia a cogliere i frutti dell'alto ingegno e dei lunghi studi nel giornalismo.
    Anche questa seconda parte ha scene efficaci, pagine trascritte dal vero. Si sente un poco l'artifizio nella terza, dove vediamo ad un tratto Violetta celebre, invidiata, trionfante, grazie all'amicizia di una ricchissima straniera che le ha dato i mezzi di fondare in Italia un gran giornale, la Nuova Eva, col quale ella diffonde, aiutata da sole redattrici, reporteresses ed impiegate del suo sesso, il verbo femminista. Ma qui la favola non c'importa più tanto, quanto ci preme la sua moralità.
    E senza dubbio Violetta, per la forza dell'animo e dell'intelletto, per l'esperienza della vita e del dolore, è sincera come poche altre quando reclama che la legge e la morale siano, assolutamente eguali per l'uomo e per la donna; che alla donna siano dischiuse tutte le vie e consentite tutte le attività; che le sia, anche accordato di partecipate al governo dello Stato e del Comune; che siano proclamati la rispettabilità del libero amore, il divorzio per volontà di un solo coniuge, la protezione della maternità naturale, la, ricerca della paternità. Tanto più ella merita d'essere ascoltata, quanto che non è, come quasi tutte le sue compagne, una viragine, una creatura dissessuata, una profanatrice della femminilità; è anzi una donna vera, un essere vibrante di sentimento, che non si drappeggia, che non mente, che non professa l'inumano odio dell'uomo, che ha amato — e che ama, ancora una volta. Nel suo trionfo, infatti, qualche cosa le è mancato; ma l'amore concepito per Corrado Valle colma finalmente il vuoto del suo cuore. Anch'egli l'ama, e se non fosse il passato di lei, che ella naturalmente non gli nasconde, non esiterebbe a sposarla. Ma poichè è libera di sè, e fautrice della libera unione, egli non meno naturalmente le propone d'unirsi liberamente,.. Che fare ora ella? Che dovrebbe fare?... Ella riconosce che Corrado Valle obbedisce ai criteri imperanti nel mondo, alla logica della loro situazione; ma l'emancipata, la femminista, si ribella ad un tratto. Ella non vuole più il libero amore del quale ha predicato la dignità: vuol essere sposata secondo le leggi un tempo sprezzate. E nondimeno sa e sente che Corrado non ha torto di rifiutarsi. Non sola-mente ella conviene d'essersi posta fuor delle leggi; ma avverte ora, improvvisamente, che esse non sono tutte false, che qualche cosa di lei fu irreparabilmente perduta quando si diede a Maurizio Boissy, che nella sua carne e nella sua anima il primo amante a cui appartenne impresse qualche cosa d'incancellabile, che tutte le gioie possibili do-po quel primo errore sono frutti di cenere... Ella si è ribellata contro quella che ha giudicata ingiustizia ed iniquità dell'opinione, fabbricata e diffusa dagli uomini; ne ha bollato con parole di fuoco l'odioso egoismo; ed ora s'avvede che la morale del mondo non è creata dall'egoismo maschile, che si impone invece agli uomini ed alle donne, che dipende da fatalità naturali, ineluttabili. Gli uomini potrebbero bensì essere generosi, e perdonare. Non potrà perdonarla Corrado? L'amore non potrà compiere il miracolo dì fargli dimenticare la colpa di lei? Un miracola simile non si è talvolta compito? Ma, intanto che ella lo aspetta, ecco compiersene un altro. Ella stessa dimentica e repudia improvvisamente le sue dottrine, pubblicamente, dinanzi alle compagne scandalizzate. Tutte queste collaboratrici già da lei stimate ed amate, le sembrano ora, alla luce della passione divampante nel suo cuore, creature di gelo, involucri senz'anima, non donne, non amanti, non madri; e in un impetuoso bisogno dì sagrifizio e d'immolazione nel quale tutta la sua femminilità trabocca, ella dà a Corrado la gloria faticosamente acquistata, l'ambizione nobilmente nutrita, l'avvenire ardentemente sognato, tutta se stessa, anima e corpo, senza patti, come egli vuole...

    L'altro giorno la provetta Neera conveniva con molti pensatori nell'opporsi alla teoria dell'emancipazione; oggi un'altra scrittrice, esordiente, ma già padrona di molti segreti dell'arte, ci conduce con singolare abilità, dopo averci fatto intravvedere una conclusione prettamente femminista, alla stessa moralità significata dall'umorista tedesco, autore del Terzo sesso. Quella che pareva e si diceva ed aveva ragione di essere la donna moderna, l'Eva novissima, si rivela ad un tratto, per l'immortale virtù dell'amore, l'Eva antica ed eterna.
                                 F. de Roberto.