Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

lunedì 13 marzo 2017

Manzella 1916-1918. Nei lager austro-ungarici della Grande Guerra



Libri prigionieri con Manzella
1916-1918. Nei lager austro-ungarici della Grande Guerra



di Vania Di Stefano

Ho ritrovato la geografia dei lager austro-ungarici della Grande Guerra nelle date autografe scritte sui libri che il sottuffciale prigioniero Tito Manlio Giovanni Manzella (Catania 1 gennaio 1891 - Roma 19 febbraio 1966) ricevette in dono o acquistò nei vari campi di concentramento, usando carte-monete speciali, fra il 30 marzo 1916 e il 18 settembre 1918, data della sua liberazione.
Sulla vita di Titòm (così lo chiamavano i figli giornalisti Igor, Myriam, Mirko; per me era, alla russa, ‘Dieda’, cioè ‘nonno’) ho pubblicato ricordi documenti nel quotidiano La Sicilia, descrivendo il giovane poeta, il ragioniere emigrato in Germania, il collaboratore del Corriere di Catania, il soldato, l’insegnante di lingua tedesca nei ginnasi, lo scrittore; ma sul progetto di una mostra dedicata ai libri della sua prigionia, non potevo che anticiparne qui l’idea, confortato dall’interesse di Nicola Micieli, raffinato artefice di esposizioni, curatore di una rassegna (colpevolmente inedita) di ‘ritratti’ del libro, inteso come creatura viva, sorgente perenne di quell’immaginazione che sa essere salvifica perché è mentale, dunque libera, non seriale e tanto meno tecnologica, virtuale, pubblicitaria, consumistica. 




Il centenario del primo conflitto mondiale lo stanno raccontando le riflessioni degli specialisti corredate dalle fonti di allora: giornali, lettere, diari, romanzi, poesie, articoli, immagini, archivi, oggetti. 


Gli orrori, le stragi, le sofferenze delle anime e dei corpi sepolti vivi nelle trincee, ma soprattutto la follia delle classi dirigenti, dei comandi militari e degli eterni gruppi di potere economico (questi ultimi ancora oggi brindano giurando sul neo-vangelo intitolato Mors tua pecunia mea!), emergono senza i veli dell’elegante retorica patriottica tardo-ottocentesca. Qui non ne scriverò perché mi preme mostrare il già evocato valore del libro, fonte di apprendimento e di terapeutica riflessione, compagno di prigionia e onirico strumento di fuga (dal sogno però ti ridestavano le copertine e le pagine marcate con sinistre timbrature rosso-sangue).  



Catturato nella notte fra il 26 e il 27 marzo 1916 durante un pattugliamento sul fronte di Gorizia, dopo una breve permanenza a Castel di Lubiana e a Mauthausen (sede di un deposito di libri selezionati), il 20 novembre, scriveva a casa da Osstffyasszonyfa (Ungheria): “lavoro e studio le lingue, scrivo e penso a voi”, ma il 3 luglio 1917, conclusasi la decima battaglia dell’Isonzo, l’umore è mutato: “leggiamo i giornali austriaci i quali riportano tutto dai nostri giornali, anche i comunicati di Cadorna... da due mesi non so far più nulla, né leggere né scrivere. Incretinisco, sono ossessionato! Se penso di dover passare qui ancora un inverno mi sento annientare dall’angoscia! Io non ne posso più! Sono vecchio! Non ho conchiuso più nulla. Non ne posso più! Vi bacio! Vi stringo al mio petto. Sogno sempre di voi, le cose più belle e le cose più brutte! È un’ossessione, un disperare e sperare continuo!”. 


Durante la lunga reclusione, paradossalmente molto fortunata perché privilegiata dal grado, la biblioteca illuminò la notte delle morti quotidiane, favorendo la convivenza di lettori e carcerieri, gli uni e gli altri partecipi della comune, fragile condizione umana e rispettosi delle regole imposte da circostanze liberticide. Stando ai manoscritti, non poco di quel che allora abbozzò e in parte pubblicò negli anni successivi maturò sulle pagine degli oltre 150 volumi posseduti, 53 dei quali della collana Universal Bibliothek (Lipsia), 5 della Bibliotheca Romanica (Strasburgo). Li ho schedati e ordinati secondo la data di acquisizione sì da percorrere, a un secolo di distanza e lager dopo lager, l’itinerario di lettura o di semplice consultazione curiosa (sporadici i segni di matita e rare le postille). Non mancano le dediche di compagni di prigionia e di donatori italiani, come Virginia Boggio Lera. Il fratello Gesualdo Manzella Frontini gli spedì Osservazioni e massime di Georg Christoph Lichtenberg, poi gli procurò un “abbonamento al pane” tramite la Croce Rossa svizzera (una circolare proponeva 2 chili settimanali per 5 franchi), iniziativa salvifica quando la fame iniziò a galoppare sui cavalli dell’apocalisse, azzannando anche gli ufficiali e stremando i carcerieri. 

Prevalgono gli autori di lingua germanica fra cui Martin Luther, Froben Christoph von Zimmern, Paul Rohr-bach, Leopold Freiherr von Chlu-mecký, Bruno Busse e molti altri. Sono tradotti in tedesco esponenti celebri della letteratura europea, ad es.: Cervantes, Gogol, Andersen, Sologub. Accanto alle antologie  poetiche  si  segnalano  monografie e raccolte di fiabe, genere letterario preferito: ve ne sono di austro-ungariche, russe, tedesche, svizzere, albanesi, bulgare, serbe, croate, cinesi. Non mancano classici come La Chanson de Roland e le biografie, in maggioranza di musicisti: Bach, Händel, Haydn, Cherubini, Meldessohn, Chopin, Cornelius, Brahms. I manuali, le grammatiche, i dizionari e i testi di linguistica spaziano fra tedesco, ungherese, inglese, spagnolo, russo. Interessanti due almanacchi bellici e pubblicazioni che stigmatizzano il ruolo politico dell’Italia.
Celebrare i libri di questa inconsueta, rara biblioteca sarà utile per mostrare la sola possibile via di fuga da ogni mostruosa macelleria bellica. A dispetto dei mortali angeli sterminatori non mancheranno mai antichi e nuovi libri salvifici, capaci di farci superare persino le attuali, vitalissime, disarmate, subdole guerre invisibili di matrice bancaria, borsistica, burocratica, oligarchica, politica, psicopatica. Tra le pagine ingiallite di allora e le pagine bianche non ancora stampate si perpetuerà per scripturam quel privilegio straordinario, chiamato vita, che ci fa umani, pensanti e necessariamente solidali, spingendoci, se possibile, a condividere in amicizia questo fugace soggiorno terreno.

  STORIA/E R



Marussja Manzella: Io, sorella di Igor Man



sabato 18 febbraio 2017

FRANCESCO PAOLO FRONTINI Nel 50° anno della sua attività artistica

Profili   d'artisti  catanesi :


Quando la sera del 31 marzo 1881 fu rappresentata al nostro Teatro Comunale (allora Massimo) l'opera in tre atti Nella di F. Paolo Frontini, fu un' delirio di pubblico, e un trionfo per l'autore. Il pubblico ebbe subito la sensazione di trovarsi a contatto di un musicista capace di donargli melodie e motivi che travolgono 1' animo degli ascoltatori per la loro intima forza di commozione dovuta al temperamento passionale dell'autore che ha il dono di saper presentare sotto un'eletta forma artistica voci ed aspirazioni dello spirito nostro : voci ed aspirazioni che vagano fluttuanti e indecisi nei precordi dello' spirito umano, e che trovano finalmente, per opera di una mente superiore, il mezzo di liberarsi e di tradursi pienamente in atto con uno sviluppo di motivi ricchi di forme e di ritmi, di toni e di colori capaci di imprimersi nella mente dell'ascoltatore con tale forza da poter essere ad ogni istante rievocati e  più  intensamente  gustati.
Ma lasciamo la parola al critico teatrale del « Plebiscito» giornale dell'epoca: «Quel giovanetto appena ventenne, magro, smilzo, asciutto, bruno e con due baffetti nascenti ; quel giovanetto dallo sguardo ardito ed intelligente, che sino a ieri pochi conoscevano, ieri sera era l'oggetto dello entusiasmo di un popolo acclamante, oggi è l'argomento di tutte le conversazioni 
Perchè — voglio dirvelo subito — prima di parlarvi dell'opera, sento il dovere di rendere omaggio all'ingegno non ordinario, alle preziose attitudini, alle rare doti di un giovanetto, poco più che un ragazzo, che già ci riempie di lietissima meraviglia, mostrandoci altezza di intelligenza, robustezza di componimento, profondi e severi studi ! E' più che una premessa : è una ferma assicurazione di un avvenire splendido e di cui la Patria sarà orgogliosa.
La Nella è un tentativo — scritta due anni fa! — ma è un tentativo di gigante! ».
« Il Corriere di Catania », « La Gazzetta di Catania », « Il Piccolo Catanese», il « Don Pancrazio » e tutti i giornali artistici della penisola scrissero sullo stesso tono, giudicando il successo del giovane catanese. E da quel giorno comincia l'ascesa del giovanissimo maestro, che già nel 1880, aveva ottenuto, alla Esposizione Artistica-lndustriale di Cremona, una medaglia per una Ouverture a grande orchestra, ed ave-va completato un'altra opera in un prologo e tre atti: « Aleramo », rimasta sempre inedita.

Nel 1882 scrisse per incarico del municipio di Catania, una « Azione lirica » in tre parti dal titolo : « Sansone » che venne eseguita nell'agosto dello stesso anno, in occasione delle feste agatine.  Anche questo lavoro ottenne un successo lusinghiero di pubblico e di critica. 

E' in quest'anno che il maestro Frontini riceve l'incarico dalla Casa Ricordi di raccogliere in un volume i canti popolari della Sicilia. Un onore grandissimo per un maestro ventiduenne, una vera consacrazione per il suo nome se la più importante Casa Editrice musicale italiana lo include fra quelli già di sicura fama.
La raccolta di 50 canti siciliani dai titolo « Eco della Sicilia » fu la prima a far conoscere al mondo artistico e al gran pubblico la pura e genuina vena melodica di questo meraviglioso popolo che attraverso i secoli ha saputo mantenere intatto un inestimabile patrimonio musicale, tramandandolo da una  generazione all'altra. 

  
Il  Frontini ebbe il merito grandissimo di mantenersi fedele alle fonti sia nella trascrizione della melodia, come nella elaborazione dell accompagnamento per il quale egli ebbe sempre presenti tonalità, accordi e cadenze genuinemente siciliani. Ciò che non sarebbe possibile dire per la più recente raccolta fatta dal Favara ed edita altresì dal Ricordi. Il Favara ha voluto fare sfoggio di qualità contrapuntistiche le quali hanno falsato spesso il carattere della canzone accoppiando ad una melodia fresca, sincera, squisita ed ispirata, accompagnamenti fatti di accordi artificiosamente elaborati astrusi, dando luogo a contorcimenti armonici che tolgono alla pura melodia tradizionale la sua bellezza naturale.
La raccolta del Frontini fu accolta col più vivo interesse anche e sopratutto da chi si occupava allora di folklore. Giuseppe Pitrè in una lunga lettera diretta al Frontini e pubblicata su l'Archivio per le tradizioni popolari (Palermo 1883) gli diceva fra l'altro: le cinquanta melodie di questa Raccolta sono, per lo più scelte con giudizio, e trascritte con la fedeltà voluta in cosiffatti lavori ».

Nel frattempo il Frontini, instancabile e di facile vena, pubblica con la stessa Casa Ricordi belle e squisite romanze da camera, che conquistano rapidamente tutti i salotti d'Italia e dell'estero. I critici musicali, con a capo il Filippi e il D'Arcais, non esitano a riconoscere in lui qualità spiccatamente personali che lo pongono senz' altro accanto ai rinomati Tosti, Rotoli, Denza che in quell'epoca erano celebrati in tutti i salotti.
Le romanze del Frontini sono innumerevoli, circa un centinaio, ma le più belle, dove all'originalità della frase si accoppia una elevata ed elegante armonizzazione, sono : Paggio e regina, Folchetto, Alla luna, La cieca, Canto di Mignon, I baci, Le nuage, Viole bianche, Povera mamma! Senza baci, Baci mortali, e tante e tante altre che sarebbe lungo enumerare.
A proposito della romanza Le nuage, su versi di Emilio Zola, il celebre romanziere francese scriveva al Frontini :
« Monsieur,
« J' ai enfin recu votre morceau de musique, et je vous envoie tous mes remerciements et toutes mes felicitations.
« Votre melodie est charmante et d'un ca-ractére élevé, qui emporte trés haut les médio-cres vers de ma jeunesse.
« Veuiliez agréer, monsieur, l'assurance de mes meilleurs sentiments.
Médan, 12 novembre 1884
Emilio  Zola ».

Per queste pubblicazioni il maestro ottiene una medaglia alla Esposizione Internazionale di Musica di Bologna nel 1888.

Ma ecco ancora un'altra raccolta che mostra nel giovane maestro il grande amore per la sua Sicilia, ch'egli vorrebbe più conosciuta e più amata attraverso l'incommensurabile tesoro delle sue melodie. Egli riunisce in un volumetto le nenie ed i canti che il popolo siciliano fa rivivere ogni anno davanti al caratteristico presepe durante le feste del Santo Natale che, col mese mariano, è la festa alla quale l'animo devoto del nostro popolo maggiormente si ispira. Così vien fuori il « Natale Siciliano » (ed. A. D. Marchi - Milano, 1893) che conferma sempre più lo spirito di comprensione che anima il temperamento dell'artista, capace di sentire come nessun altro la bellezza e la eternità della vena melodica popolare. Tutto un passato senza volto e senza precise determinazioni trovò nel Frontini un realizzatore ispirato ed abile che lo fermò definitivamente per la gioia dei posteri.

Intanto era stato dato l'annunzio di Malìa, un'opera in tre atti.
L'attesa è insolita e, per una serie di circostanze volute o casuali, l'opera del maestro che esplica tutta la sua personalità di musicista nell'ambito della tradizione classica italiana, vien data proprio a Bologna nel maggio del 1891 nel teatro Brunetti (oggi Duse); Bologna era allora una città tutta presa di Wagner; non è a dire quindi con quanta diffidenza il pubblico si accostasse ai tre atti del maestro catanese. Eppure il successo fu grande e, nonostante certa critica alimentata da princìpi e teorie wagneriani, l'opera ebbe numerosissime repliche e segnò un vero trionfo per il maestro. A Catania, a Milano, a Torino e in altre città ancora il lavoro riscuote sempre maggiori applausi e consensi. Il nome del maestro diventa popolarissimo, la sua musica domina per un certo tempo il gusto e l'animo degli appassionati: Malìa si chiama la nuova opera per cui Luigi Capuana aveva scritto il libretto dietro invito del maestro, suo amico carissimo, nonché concittadino. Erroneamente si crede che il Capuana abbia tratto il libretto dalla sua famosa commedia dialettale. Anche Ugo Fleres (Uriel), che nel 1892 si occupò di Malìa, mentre appunto l'opera passava di trionfo in trionfo per i teatri d'Italia, ebbe a scrivere sul Folchetto di Roma :
«Il Capuana, tuttavia un po' stupito di aver collaborato a un'opera musicale, ripigliò l'idea di quel libretto, la maturò e la sviluppò finchè ne uscì una commedia : Malìa.
« Il caso di un melodramma nato da un dramma è più che ordinario; basta rammentare l'Ernani, il Rigoletto, la Lucrezia Borgia e tante altre opere italiane e francesi. Il caso contrario, cioè di un melodramma, o meglio di un libretto che partorisce un dramma, o più propriamente una commedia, credo sia del tutto nuovo, o almeno straordinario».

Ugo Fleres intanto finiva anche lui col determinare un caso straordinario: non avendo a sua disposizione un ritratto del Frontini, donde trarre un clichè, si trasformò in disegnatore, riuscendo a ritrarre le sembianze dell' amico aiutandosi con la sola memoria che in verità fece fare miracoli alla mano non adusata a simili fatiche. Lo schizzo a sanguina di Ugo Fleres fece il giro di molte riviste dell'epoca che trovavano interessante far conoscere questo caso rarissimo di uno scrittore che s'improvvisava — e con successo ritrattista e contribuiva nel frattempo render popolare la figura del giovane maestro mentre Malìa teneva il cartello per ben sedici sere a Milano e a più riprese veniva data a Catania, a Trapani, a Siracusa e in vari teatri del continente.

Il soggetto verista, di ambiente siciliano e ispirato al Capuana — siciliano anche lui e grande assertore del verismo nel romanzo e nella novella — dall'avere ascoltato i canti popolari siciliani raccolti dal Frontini, aveva provocato nell'animo del musicista maggiore intensità d'ispirazione e una moltiplicata possibilità costruttiva. Dal '95 comincia per il Frontini un periodo di intenso fervore creativo. Mentre prepara l'opera « il Falconiere », pubblica numerosissime romanze di fine gusto e di squisita fattura dove l'arte tutta personale del maestro sente di una elaborazione appassionata e intensa che maggiormente serve a mettere in risalto il suo fondo lirico inesauribile.
Il poemetto lirico « Medio Evo »  riesce proprio un piccolo lavoro di musica da camera. Il già celebre Massenet scrive così al maestro Frontini : 
« ...je suis ravi de vos oeuvres : ravi! Bravo de tout coeur! »
« Medio Evo » fu cantato dalla celebre Corelli in diversi teatri e sale, ottenendo sempre pieno successo.
Nel '99 si rappresenta al Teatro « Pacini » di Catania l'opera in tre atti:  « il Falconiere ».
Questa nuova opera affermò sempre più il nome del maestro ancor giovane, che si univa alla schiera dei valorosi operisti della « giovane scuola ». La critica ufficiale salutava finalmente senza alcuna discordanza il nuovo astro del melodramma italiano.

Ma ecco che la sorte l'abbandona, la fortuna gli volge le spalle: muore l'editore che progettava una tournée in America, fallisce la Casa Editrice e le opere cadono nell'oblìo.
Sopraggiungono tempi tristi per il giovane maestro, che non resiste ai colpi dell'avverso destino e si chiude nel silenzio più angosciato, A nulla valgono gl'incitamenti degli amici il poeta G. A. Cesareo gli scriveva nel novembre del 1901 :
« Caro e illustre amico.
Io non l'avevo punto dimenticata, caro maestro, e fra la musica che mi piace di riudire sovente c'è pure la sua: anche l'altra sera ho fatto sentire a una bella signora il suo « Paggio e Regina », e subito ella ne divenne entusiasta.
Avanti, avanti, caro Frontini: Lei è ancor giovane, ha ingegno e può molto. Io son certo che, s'Ella vorrà, potrà raccogliere la corona di Colui che scrisse la Norma, e rivendicare il prestigio della  musica schiettamente nazionale.
Coi più affettuosi saluti
Suo G. A. Cesareo ».
Passano  ancora cinque anni ...  e  finalmente
l'artista non resiste più al divino richiamo che urge in fondo al suo petto.
La letteratura pianistica che tende ad atrofizzarsi nella vecchia formula del pezzo alla Be-cucci e alla Acton, della sonatina alla Graziani Walter o alla De Crescenzo trova nel maestro Frontini il rinnovatore, che darà a questa specie di composizione l'impronta neo-classica che renderà celebre il nome del maestro catanese. Fin dai primi dieci pezzi che gli Editori Carisch und Janichen di Milano (oggi A. & G. Carisch & C.) lanciano in una volta, la critica musicale delle più grandi nazioni del mondo s'impadronisce di questo nuovo nome e non si stanca di esaltarne loriginalità dei pezzi, la sincerità, l'impronta prettamente italiana. Le serie si susseguono incessantemente. Anno per anno il maestro affida ai suoi editori nuove serie di pezzi. Tutta la stampa musicale della Germania, della Francia, dell'Inghilterra, della Russia e dell'America si occupa dei pezzi musicali di Francesco Paolo Frontini.

Il catalogo speciale delle opere di questo maestro cresce anno per anno di volume.
Nel 1920 una sincera ammiratrice dell'Italia, nota cultrice di musica, dopo una sosta a Catania scrisse del Maestro Frontini sopra una grande rivista di  Boston.  L'articolo fu riportato da diversi giornali italiani, anche da una rivista catanese dell'epoca. L'autrice dell'articolo, Amalia Viola Sedley diceva fra l'altro: Egli vive da tempo appartato dal mondo, pur non avendo mai cessato di lavorare. E il suo valore non poteva non trionfare, ed oggi il suo nome è familiare a un numero infinito di persone che hanno avuto la fortuna di gustare la bellezza della sua musica. Durante le mie lunghe peregrinazioni per il mondo, da Boston a San Paulo del Brasile, da Parigi a Milano, da Berlino a Roma, da Londra ad Atene, ho avuto continuamente l'occasione di osservare quale godimento procuri  nel  pubblico la musica frontiniana.

Oggi moltissimi fra gl'innumerevoli pezzi del maestro Frontini sono penetrati in tutti i salotti, ovunque si faccia musica italiana, ovunque risuoni una radio, un grammofono o un'orchestra.
Cinquant'anni di geniale attività hanno assicurato al maestro catanese una fama che non tramonterà certamente con la sua vita. 

Sappiamo che nella grande manifestazione che Catania prepara al suo genio musicale Vincenzo Bellini, per il prossimo mese di dicembre, si vorrebbe far rivivere la freschissima Malìa, come attestato di riconoscenza verso il Maestro che in cinquant'anni d'indefesso lavoro ha apportato al suo paese onore e vanto, testimoniando che la vena melodica catanese è sempre viva.
Non sappiamo da chi la gradita e doverosa idea sia partita, ma è certo che sarebbe un bell'esempio e una bella arditezza dimostrare alle altre città d'Italia come noi sappiamo onorare, senza bisogno di attenderne il trapasso, coloro che per forza d'ingegno o di genio, lasciano un'orma presso i posteri.

Sovratutto grati saranno i giovani della recentissima generazione che educati alla tradizione, potranno vedere in Francesco Paolo Frontini uno dei rari conservatori della inestinguibile melodia italiana.

Comune di Catania 1931. n2 anno III 

venerdì 10 febbraio 2017

Salvatore Juvara

Profili di artisti catanesi 


Salvatore Juvara riusciva, poco più che ventenne, con un'opera ben costruita — Minatore; — a conquistare la stima di quella benemerita schiera d'artisti che, saliti a rinomanza nei varii centri d'Italia, erano ritornati negli ultimi anni dell'Ottocento nella città nativa, e prodigavano consigli e incoraggiamenti ai giovani, creando cosi a Catania un fervido movimento artistico. Lo Juvara che da ragazzo aveva avuto un discreto avviamento dallo scultore Licata e aveva frequentato la scuola serale operaia « I figli del Lavoro », non trovava altro incitamento a perseverare nella via intrapresa che le lodi dei vecchi maestri. Il suo desiderio di andare a Roma per dedicarsi ad uno studio ordinato e severo rimase sempre inappagato a causa delle strettezze economiche della famiglia che costrinsero per lungo tempo Juvara ad adattarsi alle esigenze dei committenti di ritratti e di monumenti fune-rarii; ma quando egli potè liberamente seguire le sue ispirazioni, diede esaurienti saggi di un felice temperamento.
Le durezze della vita, confessa il nostro scultore — raccontando bizzarri casi in un dialetto stranamente deformato da quella pronuncia che gli è tipica — mi hanno sempre impedito di studiare e di realizzare un'opera mia, concepita secondo il mio sentire.

Ciò se onora l'artefice, che, giunto alla piena maturità — egli è nato nel 1877 — crede d'aver fatto poco o niente, palesa quello che si può chiamare il difetto o il pregio, secondo il punto di vista, di Salvatore Juvara : la scarsa produttività. Egli non entra nello studio se non è animato dall'impeto creativo. Lodevolissima consuetudine se grazie ad essa non ci accade mai di trovare nelle sue opere segni di fatica o di stanchezza, ma bensì la scioltezza e il calore delle cose spontanee. Notevoli per questo riguardo sono alcune composizioni funebri dalle linee armoniosamente svolte, e non pochi ritratti, vibranti di vita, dove è resa con evidenza la verità della carne: mi riferisco particolarmente al medaglione in cui emerge con effetti complessi di chiaroscuro il profilo della madre dello scultore, espresso con commovente linguaggio plastico che direi persino dialettale.


Nel 1904 lo Juvara vinse il concorso nazionale per una targa a Gioacchino Biscari presentando un bozzetto giudicato il solo in cui con nobiltà ed eleganza era stata interpretata l'epigrafe dettata da Mario Rapisardi in memoria del patriotta catanese. La targa non fu compiuta per l'improvvisa decisione dell'autore di allontanarsi dalla Sicilia, dove pare non si sentisse più al sicuro. Egli dice di avere avuto la vera sensazione del disastro di Messina non quando si trovò con la squadra di soccorso De Felice tra le macerie della città distrutta, ma solo nel momento in cui, ritornato a Catania, fece per aprire la porta dello studio e questa oppose una resistenza insolita: per una stretta fessura si vedeva la targa a Biscari ridotta in frantumi. L'artista ebbe allora la visione netta delle conseguenze del terremoto. 

Non osò forzare la porta, rigirò la chiave e impressionatissimo si allontanò. Lo stesso giorno partiva  per Milano.
Le poche opere ivi eseguite sono di carattere decorativo e risentono dell'influsso bistolfiano. Si pensi alla gran voga che ebbero in quel tempo gli imitatori di Leonardo Bistolfi.

Di carattere ornamentale o commemorativo sono pure i lavori eseguiti a Buenos Ayres, dove lo Juvara dimorò fino al 1911. Il soggiorno in America avrebbe avuto una più lunga durata se la nostalgia della patria non avesse turbato l'artista al punto da non consentirgli di lavorare con serenità.  Gli capitò spesso di lasciare le stecche per correre là dove in occasione di qualche pubblico avvenimento gli fosse dato vedere la bandiera italiana.
A Catania essenzialmente si è svolta la parte migliore dell'attività creatrice dello Juvara.
Egli si affermò come valente ritrattista nel busto della madre di Mario Rapisardi (si trova nel nostro Museo Civico)
 inteso alla maniera verista, intensamente espressivo e pieno di dolorosa spiritualità. Anche il busto del dottore Testaj, quello del pittore Giuseppe Rapisardi e specialmente il «Condottiero», che qui riproduciamo, son trattati con maschia e solida sicurezza.
Per le stesse qualità sono pregevoli i busti dei professori Carnazza Amari, Nicola Coviello e Salvatore La Rosa, i primi due collocati nel loggiato vaccariniano del nostro Ateneo e il terzo in un'aula del Palazzo di Giustizia.
Dopo la guerra Juvara si è dedicato a figurazioni patriottiche ed è riuscito vincitore in cinque concorsi. La targa per gli studenti della nostra R. Università morti nella grande guerra, l'altra per gli alunni del R. Istituto Tecnico Carlo Gemmellaro e i tre monumenti, eretti rispettivamente per i Caduti di Licodia Eubea, Paterno e Regalbuto, sono sobrie ed equilibrate rappresentazioni delle virtù eroiche di nostra gente. Basterebbero ad attestare il forte temperamento di questo scultore la figura del giovane  combattente irrigidita in uno sforzo supremo di sacrificio nella targa dell'Università, e la superba compostezza del fante che lancia la bomba, nel bel monumento dì Regalbuto.


Le opere recenti segnano un altro orientamento al quale non restano estranee le tendenze della scultura modernissima, accolte però con quella moderazione propria di chi si è formato nel clima naturalista del tardo Ottocento. « Cruccio», per esempio, non ha precedenti nelle opere di Juvara e per larghezza di piani e densità di espressione si può considerare uno dei più  significativi  lavori   dell'ultima  maniera.
Vanno infine qui ricordati i vigorosi disegni a matita, nei quali è facile riconoscere la mano esperta del modellatore, i pastelli e gli schizzi a penna in cui Juvara rivela squisite doti pittoriche e raggiunge, talvolta, con morbidezza di tocco o con agilità di tratti effetti di singolare interesse.

E' caratteristica la modellatura virile in questo scultore che non sempre si limita all'espressione immediata della realtà materiale, in quanto è proporzione di masse e ritmo di volumi, ma spesso va oltre la superficie.
Spoglio di preconcetti artistici, Salvatore Juvara non ha mai sottilizzato sopra una linea per farle dire cose recondite e profonde: libero da soverchie preoccupazioni di stile e da ogni artificio, ha tratto le sue esperienze dall'attenta e amorosa osservazione del vero, obbedendo senza  tormentose   ricerche  alle  sue  doti  native di plastico.
LUIGI GANDOLFO
 Comune di Catania 1931 n1 anno III