Quando, nell'ottobre del 1893, Edoardo Giacomo Boner venne nella nostra città il suo nome era già abbastanza noto.
Si sapeva che oltre ad essere un buon narratore (i « Racconti peloritani » ne erano una prova sicura) egli era un letterato, versato anche nelle scienze e ricco di dottrina e d' ingegno, che aveva al suo attivo libri come « Leggende boreali » (1886), che De Amicis aveva trovate «interessantissime», e come «L'Italia nell'antica letteratura tedesca » (1887), che dimostrava non solo la sua profonda conoscenza della lingua e letteratura italiana e tedesca, ma ben anche la sua grande erudizione e le sue notevoli qualità di scrittore.
Ma più di tutto si sapeva che Boner era un poeta (le edizioni dell'editore milanese Quadrio, « Novilunio » — 1884 — e « Plenilunio » — 1889 — erano state nelle mani di tutti) e questo bastava a renderlo caro particolarmente ai giovani, che di poesia e di poeti son sempre stati ghiotti, forse perché la giovinezza è poesia essa stessa.
Boner allora non aveva ancora pubblicato « Musa crociata » i cui versi oltre ad un giudizio del Pascoli («Boner ha straordinari l'ingegno, la fantasia, la dottrina, la vena e l'abbondanza del sentimento, ma semina rovesciando il sacco, non attingendovi con la mano ») gli frutteranno una lettera (21 luglio 1899) di Giovanni Verga che merita di essere riportata : « Musa crociata fa onore non solo al suo ingegno ma anche al sentimento che le ha ispirato i bei versi e me ne congratulo maggiormente con l'amico e col poeta di questi tempi piccini per tutto ciò ch' è sentimento e poesia ».
Ma a non pochi grossi calibri delle patrie lettere, tra cui Tommaso Cannizzaro, Luigi Capuana, Giovanni Alfredo Cesareo, Domenico Ciampoli, Federico De Roberto, Giovanni Gentile, Francesco Guglielmino, Sabatino Lopez, Concetto Marchesi, Luigi Natoli, Enrico Panzacchi, Giovanni Pascoli, Giuseppe Pipitone Federico, Girolamo Ragusa - Moleti, Mario Rapisardi, Giovanni Verga, ecc., non erano sfuggiti i versi giovanili boneriani di «Novilunio » nè quelli più maturi di «Plenilunio», che nella Prefazione lo stesso Boner definiva « un pò meno scialbi, un pò meno freddi (di quelli di « Novilunio »), ma sempre fiori d'ombra schiusi alla luna », nè quelli che, col titolo appunto di «Versi, 1880 - 1892 », egli aveva dato alle stampe a Girgenti nel 1893, alla vigilia cioè del suo trasferimento a Catania.
Ma in questa sede non tanto interessa conoscere l'opera di Edoardo Giacomo Boner, che, del resto, essendo vasta e complessa meriterebbe un lungo e meditato discorso (1), quanto parlare dei suoi anni catanesi e, naturalmente, di quella parte dell' opera sua che qui balzò alla luce della sua anima e del suo pensiero, o che, comunque, dalla nostra città fu ispirata ed essa canta ed esalta nelle sue bellezze e nei suoi grandi.
*
Ancora diciassettenne, avendo alcuni affari sbagliati del padre (un commerciante di gran talento ma sfortunato, trapiantatosi dalla natia Svizzera tedesca in Messina, dove sposò, in seconde nozze, Anna Larini, che fu la madre del Nostro) gettato la famiglia in gravissime ristrettezze economiche, Edoardo Giacomo Boner fu assunto, grazie alla sua già matura conoscenza del tedesco e di altre lingue estere, dall' Istituto « Dante Alighieri » di Messina per insegnarvi lingua tedesca.
E Boner insegna e continua a studiare. Iscritto infatti alla facoltà di lettere di quella Università, egli è nello stesso tempo insegnante e studente. Studia dunque e insegna e, per guadagnare di più e poter così aiutare la famiglia, viaggia, anche, durante le vacanze. Viaggia per incarico di importanti ditte industriali di Messina che apprezzavano la sua serietà e la sua perfetta padronanza delle lingue estere. Viaggia per guadagnare, ma, viaggiando, segue dei corsi di letteratura tedesca, latina e neolatina presso le Università di Lipsia e di Berlino e approfondisce la sua conoscenza delle lingue e letterature straniere e affina sempre più la sua preparazione e la sua cultura.
Finché, nel 1892, conseguita frattanto (nel 1890, presso l' Università di Napoli) l'abilitazione all' insegnamento della lingua tedesca negli Istituti Tecnici, e nel 1891 (presso l'Università di Roma) quella per l'insegnamento delle lettere italiane nei Licei, passa ad insegnare tedesco all' Istituto Tecnico « Michele Foderà » di Girgenti, con lo stipendio annuo, aggiungo per i curiosi, di L. 1920.
A Girgenti, a 28 anni, comincia dunque la vera e propria carriera scolastica di Edoardo Giacomo Boner ; quella carriera che nel 1906 lo porterà a conquistare — primo in graduatoria ad unanimità di voti — la cattedra di letteratura tedesca nell'Università di Roma.
Un anno appena Boner insegnò a Girgenti ; ma se in seguito egli scriverà (Le Siciliane, p. 8) questi versi :
« Salve, o Girgenti, eremo asil che adoro !
Vigor tu desti e luce al pensier mio,
E da te appresi, altera in tua sfortuna,
Esser tra mie sfortune altero anch' io »
vuol dire che quel breve soggiorno deve avergli insegnato qualche cosa e lasciato nell' animo suo un dolce ricordo e impronte indelebili.
Da Girgenti, nell'ottobre del 1895, Boner passò a Catania.
*
Appena Edoardo Giacomo Boner ebbe notizia del suo trasferimento da Girgenti a Catania, avendo qui dei parenti, pensò di incaricare un d'essi, precisamente il cugino marchesino Giovanni Palermo, di procurargli una camera mo-bigliata comunque fosse, purchè il fitto non superasse le lire venti mensili.
Il marchesino si mette subito all' opera. E dopo non poco girare trova. Trova non già la solita stanza in famiglia, bensì una davvero bella e decorosa camera in casa di persone dabbene, arredata con un certo lusso, naturalmente di gusto ottocentesco, e, fra l'altro, a breve distanza da quell' Istituto Tecnico « Carlo Gemmellaro » in cui appunto il Boner dovrà insegnare. Insomma, una camera ideale secondo il cugino, per cui egli è lieto e felice. Tanto che, giunto il poeta a Catania, lo accoglie a braccia aperte, lo accompagna, lo presenta. Tutti sono contenti. E Boner, apparentemente soddisfatto, si installa in quella bella camera e, per riposarsi del lungo viaggio, va addirittura a buttarsi sul letto.
Ma trascorso qualche giorno, una grande sorpresa attendeva il marchesino recatosi a trovare il cugino.
— Il professore ? risponde la padrona. Ma ha lasciato la camera il giorno dopo del suo arrivo. Non aveva ancora nemmeno riposta la biancheria nei cassetti del comò. Né tirato fuori i libri dalle casse e dalle valige.
E, allo stupore del cugino, soggiunge : — Ma possibile che lei non sapesse niente, che non sappia nulla ? Andando via, il professor Boner ha detto che era obbligato da gravi motivi a raggiungere subito la famiglia a Messina.
La sorpresa del marchesino Palermo è grandissima. Non sa che cosa dire, che cosa rispondere a quella povera signora visibilmente contrariata, quasi offesa. E se ne va confuso, mortificato, offeso anche lui. Da un cugino come Boner poteva egli aspettarsi un fatto simile ? E non sapendo che fare, gli scrive a Messina. Ma il giorno appresso chi ti incontra in via Stesicoro-Etnea ? Proprio Boner. Il quale, alla meraviglia e al risentimento del cugino, risponde con l' aria più naturale che « non essendo riuscito a sopportare quella stanza bella si ma terribilmente imbottita di tende, di divani, di tappeti, di mobili e senza luce nè aria nè vista », aveva là per là inventata la scusa del richiamo urgente della famiglia e, chiamata una carrozzella che passava, vi aveva caricato su tutti i suoi bagagli e, gridato al cocchiere: «in piazza Manganelli», era scappato via.
Era avvenuto questo. Che lo stesso giorno del suo arrivo, andato in giro per la città, aveva scoperto, attraverso chi sa quali indicazioni, una cameretta tutta bianca di calce e piena d' aria e di luce al quarto piano di un palazzone sito appunto all' angolo di piazza Manganelli e via Recalcaccia ; l' aveva subito presa in affitto e vi si era andato ad allogare a precipizio felice e contento.
Il poeta, il romantico nutrito di studi classici, la mente e l'anima piene, affollate di miti, di leggende, di favole, di fantasmi, aveva bisogno, per stare a suo agio e ispirarsi, di una grande finestra (altro che la stanza insaccata in quel budello di Corso Vittorio Emanuele) che sovrastasse e dominasse la città e dalla quale si potesse liberamente contemplare il cielo e, di là dalla interminabile e grigia fuga dei tetti, anche il mare, l'immensa glauca distesa dello Jonio :
« Del mar fisando i ceruli perigli,
Quante volte sognai, là, su quel molo,
A le biond'albe, a' vesperi vermigli! ». (Le Siciliane, p. 12)
Desideroso infatti com'era, avido, anzi, d'aria, di libertà, di paesaggio, e insofferente delle aule chiuse, polverose, mefitiche, il professor Boner preferiva condurre i suoi alunni all' aperto, ora in uno, ora in un altro sobborgo :
« Tutto è fuori un giocondo inno all' aprile
E olezzan fior, cantano augelli ...» (Versi, p. 35)
E là, toltasi, se faceva caldo, non solo la giacca, ma anche la camicia e la maglia, e rimasto a torso nudo, incominciava a parlare. Dante, Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Foscolo, così, a capriccio, secondo gli dettava l'estro, erano i suoi temi prediletti e preferiti.
Cominciava piano, una parola dopo l' altra, quasi le soppesasse e misurasse. Poi, a mano a mano che andava addentrandosi nell'argomento, parlasse in italiano o in tedesco, s' accalorava talmente da durare ore e ore a parlare, senza stancarsi, con una foga da ispirato, che finiva immancabilmente col trascinare i suoi giovani ascoltatori all'entusiasmo e alla commozione. Erano quelli — mi diceva il povero Benedetto Condorelli, caro e indimenticabile amico, che aveva conosciuto Boner ed aveva preso da lui delle lezioni private di lingua italiana — le più belle e proficue lezioni del professor Boner, anche se fuori programma, anche se in una materia che non era quella d'obbligo che lui doveva insegnare.
E avveniva sempre che alle sue lezioni non solo non mancava mai un solo scolaro, ma, a quelle all' aperto, si contavano spesso degli « uditori » che si mescolavano agli allievi per ascoltare la dotta, bella, alata parola di Edoardo Giacomo Boner.
Concetto Marchesi, che gli fu collega al Liceo « Maurolico » di Messina, disse che « di città in città, di scuola in scuola, Boner fu adorato dai discepoli come nessun altro mai ».
Parlatore e improvvisatore formidabile, davvero dotato dalla natura, gli bastavano pochi appunti essenziali, che nemmeno scriveva, ma elaborava a memoria, per fare qualunque discorso su qualsiasi argomento. Francesco Guglielmino, che lo aveva acclamato più volte, ricordava Boner oratore con parole veramente ammirevoli. Memorabile è rimasto il discorso « fortemente suggestivo, altamente poetico, ricco di evocazioni, di voli lirici, di immagini squisite, smagliante nella forma e nei concetti » da lui improvvisato al Giardino Bellini il 22 gennaio del 1899, davanti ad una folla di letterati ed artisti, in occasione dello scoprimento del mezzobusto in bronzo di Mario Rapisardi, opera dello scultore palermitano Benedetto Civiletti (2).
* * *
Gli anni che Edoardo Giacomo Boner trascorse in Catania, dal 1893 al 1895, erano gli ultimi di quel sec. XIX° (oh quanto stupidamente disprezzato e forse da coloro che segretamente più lo invidiano) e la nostra città viveva uno dei momenti più fulgidi della sua esistenza e della sua storia. Fervidissima e piena d'iniziative la vita industriale e commerciale per cui la città prendeva sempre maggiore impulso e sviluppo ed importanza. In gara con questa, la vita dello spirito era addirittura incandescente. In ogni attività Catania brillava di luce propria intensissima. Dappertutto, in letteratura e in arte, uomini di primo piano : Verga, Rapisardi, Capuana, De Roberto, Gaetano Ardizzoni, Lucio Finocchiaro, Antonino Gandolfo, Natale Attanasio, Epifanio Licata, Giuseppe Sciuti, Francesco Di Bartolo, Giulio Moschetti, Francesco Paolo Frontini.
Anche la chiesa, per le grandi virtù del Cardinale Dusmet, raggiunse allora uno splendore inusitato.
In un clima letterario ed artistico che perfino Firenze ci invidiava, attorno ai maggiori ora nominati, viveva, lavorava, prosperava una pleiade di scrittori, di poeti, di letterati, di artisti, di giornalisti, di musicisti, di uomini politici, dal cui ingegno sprizzavano e s'irraggiavano scintille di sapere, d'arte, di poesia, di vita, di bellezza, da richiamare l'attenzione, l'interesse, l'ammirazione del mondo.
In siffatto ambiente, la cui temperatura raggiungeva sovente gradazioni da altiforni, trascorse i suoi anni catanesi Edoardo Giacomo Boner, alternando l'insegnamento e lo studio all'attività creativa.
Qui infatti furono concepite, se non scritte, non poche delle poesie di «Le Siciliane». E non importa se questo volume, in cui il Boner versò il meglio della sua produzione poetica, anche se in una lettera (8 gennaio 1900) a Mario Rapisardi lo chiamò « ultimo fardelletto di sciocchezzuole versificate », non importa se apparve nel 1900, quando cioè egli aveva da circa cinque anni lasciato la nostra città.
E se a far uscire il Giannotta da una indecisione che tormentava Boner fu Mario Rapisardi, che consigliò al suo editore di pubblicare senz'altro il libro di Boner («ma cos'ha contro di me che continua a rifiutare le mie offerte di pubblicazioni?»), vuol dire che l'opera doveva valere, che il Rapisardi non era certo di facile contentatura, nè proclive alle raccomandazioni non meritate.
Ma non è questo che può interessare ai Catanesi. Ai Catanesi possono interessare i versi, veramente commossi e ammirati, che Boner ha scritto in « Periplo » per la loro città :
« Catania è qui, vaghissima fanciulla,
Che fra 'l suo mar distesa e il suo cratere,
Su le sue lave al sol canta e si culla».
« Ma perchè all'appressar de la Montagna
In cor mi suona il pianto d'Adalgisa
E Amina per le vane aure si lagna?
Torno all' infanzia mia di fedi arrisa,
Vedo le stanze, odo i soavi accordi
Onde l'anima mia fu pria conquisa,
E su quel mar di sogni e di ricordi
Tu splendi ancor, Bellini, angel vocale,
Moderator d'edenici arpicordi.
Parmi che immense apra il tuo genio l'ale
Su questi lochi, a te propizia culla,
E ogni aura, ogni onda, è un tuo spiro immortale ».
Ai Catanesi possono interessare i versi che Boner ha scritto per il loro Giardino Bellini :
« Or qui nel riso di acclivi pergole,
Di culte aiole, di chioschi ombratili,
Sonando i lai divini Etna, del tuo Bellini,
Pompeggiar cocchi, monili splendere
Tu vedi, e baldi trascorrer giovani,
E frotte di fanciulli chiassose in lor trastulli».
« Or qui nel riso di acclivi pergole,
Di culte aiole, di chioschi ombratili,
Sonando i lai divini Etna, del tuo Bellini,
Pompeggiar cocchi, monili splendere
Tu vedi, e baldi trascorrer giovani,
E frotte di fanciulli chiassose in lor trastulli».
Ai Catanesi, infine, possono interessare ì tre atti in armoniosissimi martelliani della commedia «Bellini», la cui prima idea indubbiamente germogliò in lui mentre risiedeva nella nostra città.
Pubblicata nel 1903 nella vallardiana «Natura ed Arte », con illustrazioni di Riccardo Salvadori (3), questa commedia di Edoardo Giacomo Boner (purtroppo rimasta ignorata nonostante il tema suggestivo e i pregi letterari) dimostra, tra l'altro, quanto fosse vasto e versatile il suo ingegno, se egli poteva dedicarsi alla narrativa, alla poesia e al teatro, mentre non trascurava, tutt' altro, di coltivare severi studi scientifici e lo studio delle lingue e letterature straniere, particolarmente le tedesche.
L'azione si svolge in tre luoghi lontani nel tempo e nello spazio. Il primo atto a Napoli, in casa di Maddalena Fumaroli (primo grande e sfortunato amore di Bellini) all' indomani del felice esordio del giovane musicista («'u guaglione») al Teatro San Carlo con lo spartito di « Bianca e Fernando». E si assiste al nascere di quell'idillio che non ebbe meriggio. Il secondo atto ha luogo a Milano cinque anni dopo. Bellini è già celebre. Ma i milanesi, che già avevano applaudito «Il Pirata», «La Straniera», «La Sonnambula», alla prima di «Norma», la sera del 26 dicembre 1831 al Teatro La Scala, la fischiano clamorosamente. Tutto l'atto è imperniato su quel solenne fiasco (4). Intorno a Bellini, perchè a lui più vicini e cari allora, sono Giuditta Turina, Felice Romani, Francesco Fiorimo Il terzo atto si svolge a Puteaux a quattro anni di distanza dagli eventi del secondo atto. Col trionfo dei « Puritani » al Teatro degli Italiani a Parigi, la sera del 25 gennaio 1835, Bellini ha conquistato la gloria. Ma la malattia, che da tempo lo mina, e il dolore per la recente scomparsa della Fumaroli sovrastano la gioia del trionfo. Ed ecco, improvvisa e fulminea, la scena del trapasso del Cigno catanese, con la quale la commedia finisce.
Edoardo Giacomo Boner era un assai fine letterato e poeta per ammannire uno di quei polpettoni che di solito i commediografi o drammaturghi imbastiscono attorno ai grandi nomi e fatti della storia e dell' arte. Egli ha invece semplicemente sceneggiato, ma con grazia inimitabile, tre tappe o momenti, della vita artistica ed amorosa di Vincenzo Bellini, scegliendoli tra i più salienti e densi di significato e di destino e, perciò stesso, di contenuto drammatico. Ha così scritto un' opera che aderisce compiutamente al mito romantico di Vincenzo Bellini.
E saputo e risaputo che Bellini amò molte donne e che molte donne amarono lui. Ma appunto per ciò, forse non uno solo degli amori di Vincenzo Bellini attinse alle profonde misteriose radici dell'amore e del dolore. Nessuna donna, nemmeno la Turina, che si può dire fu la musa vivente del nostro Cigno, riuscì ad attanagliare, ad avvincere, a possedere compiutamente l'anima belliniana, perennemente rapita da ben altri miraggi, da ben altre visioni, da ben altre armonie. La vita amorosa di Bellini, e tanto meno, si capisce, quella artistica, non poteva dunque offrire sufficiente materia al commediografo ; ne ha però offerta moltissima al poeta. Tanto meno poteva offrirne al trageda e al drammaturgo. Non è forse, quindi, senza valore e significato, il fatto che il Boner, che aveva prima chiamato « dramma » questo suo lavoro teatrale (5), poi, pubblicandolo interamente, lo chiamò « commedia » . E la commedia, piace osservarlo, finisce con la morte del protagonista.
Due cose son certe : la prima, che anche in quest' opera, Edoardo Giacomo Boner rimane essenzialmente un poeta, e non soltanto per la stesura in versi dell'opera stessa, bensì per la concezione, per l'impostazione e per lo svolgimento ; la seconda, che questa commedia bone-riana è un nobilissimo omaggio del grande messinese non solo a Vincenzo Bellini, ma anche alla nostra città, patria di Bellini.
E la nostra città — non per sdebitarsi di tanto omaggio — ma per dimostrare, sia pure a mezzo secolo di distanza, di averlo gradito e apprezzato, voglia far semplicemente apporre, sulla acciata dello stabile di Piazza Manganelli dianzi ricordato, una piccola lapide marmorea che ricordi che in quella casa abitò, dal 1893 al 1895, Edoardo Giacomo Boner, poeta, scrittore, letterato, maestro messinese (1864-1908). Data propizia sarebbe quella del 28 dicembre 1958, cinquantenario del terremoto di Messina in cui il Boner morì.
Amante del bello e di ogni bellezza artistica, naturale, fisica, eccetera, Boner sentiva profondamente il fascino delle donne, e di esse facilmente s'invaghiva.
E com'era al sommo della felicità mentre durava l'illusione d'amore, così, quando questa svaniva, l'amaro della delusione lo abbatteva tremendamente continuando ad addolorarlo, a tormentarlo, ad intontirlo, ad avvilirlo e scoraggiarlo per anni ed anni, per cui gli « pareva di non poter più credere nè più fidare in nessuna donna al mondo ».
Quanto sconforto e quanta sfiducia nell' avvenire traspaiono da qualche lettera sua al « caro e grande Mario » .
Per rifarsi della seconda delusione dovettero passare ben sei o sette anni e quando finalmente si sentì guarito e potè riversare tutta la passione e tutto l'amore di cui era capace l'animo suo nella vaghissima Graziella Arena, ecco l'avverso destino tendergli l'agguato più feroce e inaspettato. Tornato infatti, nel dicembre del 1908, da Roma a Messina per trascorrervi le vacanze natalizie e poscia, il 3 gennaio, passare a nozze, la notte del 28 veniva travolto, e come lui anche la sua dolce Amely (Graziella), dal cataclisma che doveva fare della bella Messina « un feretro grande ».
In una poesia al mare della sua infanzia («Sul mare», Le Siciliane, p. 143) così Boner chiudeva una sua invocazione :
« Ma presso a te, ma presso
Le tue salse fragranze, e l' armonia
Posi la spoglia mia.
E là, per tutto e sempre tu lo stesso,
Là, de la sepoltura
Ne la gran pace oscura,
Cantami ancora le tue canzoni, o mare.
E il dio dei poeti lo esaudì.
* * *
Verga, Rapisardi, Capuana, De Roberto, Francesco Guglielmino, Sabatino Lopez, allora a Catania, conobbero Boner e come amarono l' uomo, ammirarono il poeta e ne apprezzarono il grande ingegno e l'immensa cultura. « Era di una cultura che quasi faceva spavento » ha scritto di lui Sabatino Lopez.Grazie a quella sua immensa cultura, Edoardo Giacomo Boner poteva insegnare qualunque materia e, all' occorrenza, sostituire qualsiasi collega.
A Catania, al « Gemmellaro », mentre reggeva la sua cattedra di tedesco, insegnò anche, in sostituzione di altri colleghi, francese e italiano ; e italiano insegnò anche nel Ginnasio « Spedalieri » e nel Liceo «Cutelli». Contemporaneamente fu lettore di lingua tedesca nell' Università : incarico conferitogli per interessamento di Mario Rapisardi.
L'amicizia tra il Rapisardi e il Boner incominciò nel 1883. Ce lo dice lo stesso Boner in una sua lettera al Rapisardi (la prima) datata Messina, lì 15 giugno ' 84 : « Avendo avuto il bene di conoscerla personalmente l'anno trascorso...». 1884: «anno infaustissimo» per Mario Rapisardi, come lui stesso lo definì in un epitaffio apposto alla fine del ms. della traduzione delle Odi di Orazio.
Dalle lettere di E. G. Boner a M. Rapisardi, pubblicate da Sebastiana Cannavò (6) — quelle del R. al B. andarono disperse tra le macerie della casa in Messina dove Boner trovò la morte — la corrispondenza sarebbe cessata nel 1905.
E l'amicizia? Durò ancora? E, del resto, perchè non doveva durare ? Sta di fatto questo : che nell' unica lettera riguardante Boner compresa nell' Epistolario Rapisardiano, così Mario Rapi-sardi scrive (aprile 1911) al «Comitato per le Onoranze a E. G. Boner: Non sarò l'ultimo dei soscrittori per un ricordo marmoreo al nostro caro Edoardo, che io stimavo ed ammiravo fraternamente ». E, con una punta di sarcastica amarezza, soggiunge : « Ma per il buon successo dell'opera nostra, prego offrire la presidenza delle Commissioni a persona più autorevole e meno siciliana di me. Tutto ciò che muove da questa infima Italia non trova facili simpatie negli uomini letterati appartenenti al cervello e al ventre della nazione (7).
Una parentesi. Ritrovati in circostanze prodigiose, a diciotto mesi dal terremoto, i resti del Boner (la testa staccata completamente dal corpo) nel punto designato da una fanciulla (certa Carmelina Alibrandi) che aveva visto in sogno il poeta, essi furono tumulati nel Cimitero di Messina a spese del Comune.
Nel 1911, per dare un assetto decoroso alla tomba, sorse il Comitato di cui alla lettera del Rapisardi ora riportata. Nel medesimo tempo tale Giuseppe Portaro pubblicò un racconto garibaldino «Camicia rossa» «a beneficio di un ricordo marmoreo a G. Edoardo Boner in Messina» (8).
Ma tale ricordo marmoreo, ossia una lapide (opera dello scultore calabrese Vincenzo Jerace) raffigurante il Poeta e il momento del miracoloso ritrovamento delle sue spoglie, e recante la seguente epigrafe :
«EDOARDO G. BONER
VISSE PEI SUOI FANTASMI
DI POESIA E D'AMORE
E PEI CARI DISCEPOLI
PERÌ NEL TERREMOTO DEL XXVIII DICEMBRE MCM VIII
MESSINA NEL CUSTODIRE ED ONORARE LA SALMA
QUASI PER PRODIGIO SOTTRATTA ALLE MACERIE
VUOLE TRAMANDARE
IL CULTO DI UN'ARTE PURA E GENTILE
LA PIETÀ D'UNA GLORIA INFRANTA
A GENERAZIONI MENO SVENTURATE»
fu realizzato soltanto nel 1927. E la parentesi è chiusa.
« Durante il suo soggiorno catanese — scrive la Cannavò (9) —- il Boner non tralascia occasione per recarsi presso il Rapisardi, là, al Borgo, nella casa da cui si gode la vista dell' Etna maestoso e dell' immensa distesa azzurra dell' Jonio che s'infrange spumeggiante contro la scogliera lavica di Aci Castello. Ivi i due passano ore lietissime in comunione di pensieri ; i vecchi amici frequentatori della casa ricorderanno le loro lunghe partite a scacchi ».
Cordiali furono i rapporti del Boner, oltre che col Rapisardi e col Verga, anche col Capuana e con Federico De Roberto e col fratello del De Roberto, Diego, altro brillantissimo ingegno scomparso immaturamente. Col Lopez furono addirittura fraterni.
Non solamente Lopez e Boner si vedevano tutti i giorni a scuola, dato che, come s' è detto, insegnavano entrambi al « Gemmellaro », ma a-bitavano nel medesimo stabile, presso una certa Signora Sani che Sabatino Lopez, pur dopo mezzo secolo, ricordava ancora e con tanta simpatia. « Abitavamo — mi scriveva fra l'altro nel 1937 — dalla signora Sani, che era una tanto brava Signora continentale, vedova che rimase a Catania e ci maritò bene due figliuole. Lui, Boner, però, abitava al piano di sopra, uno o due, non rammento ».
Anche i pasti prendevano insieme nello stesso ristorante, il Savoja, che era in via Mancini, in uno stabile allora di proprietà Mollica, ora di un grande Istituto bancario.
Sabatino Lopez volle bene a Boner fin dal loro primo incontro a Catania e ne seguì con gioia l' ascesa sino alla cattedra universitaria romana, e ne conobbe e ammirò l' opera, dai primi versi alle ultime pubblicazioni dense di dottrina e di sapere. E deve averne pianto la morte accoratamente se, quando nel 1946, accolte dalla Civica Amministrazione di Messina le istanze di chi scrive (10), si intitolò a E. G. Boner la via delle Fabbriche, così tra l'altro mi scriveva : «Ma più ancora la ringrazio per avermi dato notizia che finalmente la Città di Messina ha intitolalo a Edoardo Giacomo Boner, il poeta insigne e l'uomo tra i più buoni e colti che abbia mai conosciuto, la via in cui egli abitò e morì. Tanti anni ormai e ne provo dolore come di una morte di ieri ».
Una sola opera del Boner, cosa strana davvero, ignorava Sabatino Lopez : la commedia « Bellini ».
Difatti, quando, accingendomi a scrivere di essa, io lo pregai di darmi delle notizie, egli mi rispose con insolita laconicità: «Non conosco il « Bellini » e quindi non posso darle alcuna notizia ».
Ma, scritto e pubblicato l'articolo, anzi gli articoli, sulla commedia boneriana (11) e mandatigli i giornali : « La commedia o dramma di Boner — mi scrisse — oggi innanzi a un pubblico pagante e vario non troverebbe favore perchè non siamo più abituati al verso martelliano. E, per la verità, salvo che per un breve e lieve componimento, oggi, ci sembra intollerabile. Peccato ! Le sue osservazioni sono giustissime circa i mutamenti, direi quasi i pentimenti del Boner. Accade, del resto, frequentemente, che i ritocchi, in parte giovano e in parte guastano ».
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Ho sin qui parlato di Edoardo Giacomo Boner, tratteggiato, soffermandomi sugli anni da lui trascorsi in Catania, la sua figura di poeta, di scrittore, di studioso, di maestro ; illuminato, attraverso qualche episodio, il suo carattere e il suo temperamento originale ; accennato alla sua sfortuna amorosa, alle sue amicizie, alla sua fine e al prodigioso ritrovamento della sua salma ; ma un ritratto di lui non è ancora uscito dalla mia penna. In verità, non 1' ho nemmeno tentato. Perchè? Perchè il ritratto di Edoardo Giacomo Boner l'ha tracciato, in una lettera scrittami il 30 novembre 1937, Sabatino Lopez ed io ho voluto riservarmelo per chiudere queste mie note. Eccolo, schizzato in punta di penna, ma somigliante e vivo, come poteva tracciarlo soltanto Sabatino Lopez che il Boner conobbe, amò, pianse : « L'ebbi collega e gli volli bene fino dal giorno che l'incontrai a Catania. Semplice, affabilissimo, in cordiale dimestichezza con gli allievi, che lo adoravano ; con gli occhietti miopi e, penso, affaticati dai lunghi studi ; con la sigaretta in bocca, sempre; era di una coltura che quasi faceva spavento. Glielo dicevo, e lui rideva. Poeta, lirico e scienziato, sognatore e pratico, cuore e mente aperti a ogni sano palpito e ad ogni bellezza, fu onore di Messina, che amò e predilesse. Anche la sua fine rende più cara e pietosa la sua memoria ».
Francesco Granata (1957 - tratto da Catania vecchia e nuova)
* scritta per wikipedia, biografia qui
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« ..Edoardo Boner era stato travolto sotto il peso di due piani. La sua casa era spiombata per largo tratto sulla strada arrovesciandosi tutta e accomunando le sue con le macerie di altre case. Il cumulo delle rovine giungeva all'altezza del secondo piano, fino alla dimora di Edoardo. Qua e là carte, documenti, lettere, frammenti di libri, fradici di piova e di fango, attestavano lo scempio brutale che nella furia delle ruine e dei predoni avean patito le cose più care di quell'anima innamorata. Tra i rottami stava, mezza nascosta, una cassetta di zinco scoperchiata in mezzo a un fascio di bigliettini rosei e azzurri, di mano femminile. Eran documenti di amori lontani che l'acerbo rimpianto del poeta non aveva voluto disperdere e che ora stavano su in alto ad accertare il viandante che il poeta si sfaceva là sotto. Della suppellettile domestica, della casa, nessuna traccia; solo poco più in alto, fra due muri squarciati, l'angolo di uno stanzino, intatto. Mi arrampicai fin lassù e vi trovai, poiché piovigginava, un rifugio. Che pace là dentro, in mezzo a quell enorme silenzio di devastazione!. Quell'angolo pareva aspettasse anzi che l'ultimo colpo di piccone, il compimento della mano dell'uomo. Conteneva ancora il lavabo con il catino dell'acqua bianca di sapone, lo spazzolino pei denti, la bottiglia dell'acqua Magone che odorava di lavanda e un asciugamano ancor umido e arrotolato, attaccato al muro. Quel luogo, tutto pieno di una suggestione di vita, mi dava l'impressione certa di un'attesa. Qualcuno dovea là ritornare, fra poco. E l'allucinazione si coloriva, si arricchiva, sin che m'avvenne di chiamare con impazienza: Edoardo! Scosso dalla paura balzai fuori inciampando e barcollando come se tutte le midolla si dissolvessero nel sudore che mi colava abbondante... »
(Commemorazione - Rivista d'Italia - ottobre 1909. Concetto Marchesi)Lettera al comitato per le Onoranze di Edoardo Giacomo Boner, di Mario Rapisardi. aprile 1911 Non sarò l’ultimo dei soscrittori per un ricordo marmoreo al nostro caro Edoardo, che io stimavo ed ammiravo fraternamente.
Ma per il buon successo del l’opera nostra, prego offrire la presidenza delle commissione a persona più autorevole e meno siciliana di me.
Tutto ciò che muove da questa infima Italia non trova facili simpatie negli uomini letterati appartenenti al cervello e al ventre della nazione.
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