Un gruppo di intellettuali siciliani, dopo il 1870, sul fondamento di una sorprendente conoscenza delle lingue straniere, anche le più lontane, si dette alla infaticabile traduzione di numerosi romanzi stranieri. Ne fa ancor oggi fede una serie di opere pubblicate a Palermo da "Il Tempo"; e si tratta di romanzi tradotti dal francese, dall'inglese, dal tedesco, dal polacco.
Venuti sempre più a contatto , con la moderna letteratura europea, quei giovani palermitani parteciparono con ardore al dibattito sulla nuova cultura. E così, oltre ai lavori dell'Enrico Onufrio, non trascurabili sono quelli dell'Arcoleo, del Navarro della Miraglia e, soprattutto, del Ragusa Moleti.
Questo ultimo, specie col suo saggio Il realismo del 1878, venne a porsi al centro del dibattito sul verismo, preannunziando in certi casi, come già l'Arcoleo, la stessa tesi desanctisiana.
Lo sbocco naturale di tale fervido, inquieto, ambiente culturale, fu la fondazione, ad opera di un cugino del Ragusa Moleti, G. Pipitone Federico, de Il Momento, avvenuta nel 1883. Ed è, questo, fenomeno di straordinaria, vitale importanza nel processo di rinnovamento della cultura isolana in quegli ultimi venti anni del secolo. Il giornale, che ebbe vita breve, si costituì come vero centro propulsore di energie sotto la bandiera di un preciso programma d'avanguardia, ch'era la strenua difesa e propagazione ad oltranza del nuovo credo positivistica in filosofia e naturalistico in letteratura.
Desanctisiani in estetica, naturalisti in letteratura, difensori tenaci dello Zola e del verismo italiano, gli entusiasti palermitani seppero raccogliere attorno a quel foglio i migliori ingegni dell'Isola. Oltre allo stesso gruppo dei fondatori - Pietro Silvestri e Giuseppe Pipitone Federico, con Ragusa Moleti ed Enrico Onufrio -, collaborarono al giornale il Pitrè, il Rapisardi, il Capuana, il Verga, il giovanissimo G. A. Cesareo, Eliodoro Lombardi, Luigi Natoli, G. A. Costanzo, Ugo Fleres, E. G. Boner; ma anche scrittori e studiosi d'ogni parte d'Italia: il Mestica, il Dossi, il Di Giacomo, lo Stecchetti, lo Scarfoglio, Vittorio Pica, Raffaello Barbiera, Mario Giobbe, Pompeo Molmenti, Filippo Turati. E sembra che lo stesso Zola abbia inviato qualche suo scritto.
Il ribellismo di quegli ardenti intellettuali siciliani aveva, in fondo, trovato la più adatta collocazione. Ed è proprio intorno al gruppo de "Il Momento" che deve incentrarsi, oggi, l'analisi dello studioso della fortuna della cultura francese in quegli anni in Sicilia.
Si prenda, ad esempio, l'opera del Ragusa Moleti. Imbevuto di una profonda conoscenza della letteratura d'Oltralpe, fervente difensore dello Zola e della scuola naturalistica fin dai tempi del suo saggio sul realismo, egli fu davvero, anche nella scelta degli autori francesi da analizzare, "ribelle dei ribelli". Percorso, com'era, da "un soffio iconoclastica di violenta rivolta contro i mali del mondo", fu naturale, per lui, dare tutto il proprio contributo a quel foglio palermitano - "Il Momento" - sul cui secondo numero era apparsa, a mo' di epigrafe, l'effigie dello Zola.
Mentre attende, da un lato, alla traduzione del Murger, si imbatte nell'opera del Baudelaire, che subito lo avvince, e lo terrà legato a sè per vari anni. Nel 1878, dopo uno studio approfondito dell'arte baudelairiana intera, pubblica un saggio - e si tratta, molto probabilmente, della prima monografia dedicata da un italiano al poeta francese -, nel quale è evidente la conoscenza diretta del Baudelaire "minore", cosa non del tutto frequente in quel tempo, quando tutta l'attenzione, spesso morbosa, era appuntata quasi esclusivamente sulle Fleurs du Mal, grazie alle quali il nome del poeta francese era entrato in Italia per merito dell'ambiente scapigliato milanese, e del Praga in particolare.
Il Ragusa Moleti dà la sensazione di essere penetrato a fondo nella poesia dell'autore francese. Non disponeva, naturalmente, dei mezzi di cui oggi può disporre la critica, moderna, eppure seppe rendere tutta la magia di quella poesia, affascinando ancora oggi anch'egli, come già il Baudelaire, il lettore. E verso la conclusione del lavoro, investitosi quasi del ruolo ufficiale di difensore del grande artista francese, non riuscì a frenare una mordace frecciata contro l'incomprensione di quel genio da parte della critica italiana. Va qui sottolineato,sia puro per inciso, quanta all'esperienza baudelairiana sia da riallacciare, per certi versi, anche l'ultima produzione del Nostro. In Miniature e filigrane, ad esempio, testimonianza di un sincero grido di libertà e di eguaglianza sociale, Il Ragusa Moleti focalizza - in più di una occasione - la propria partecipe attenzione sulla condizione degli umili, o si rivolta con empito libertario contro le tiranniche istituzioni sociali. Su tutta la silloge spira, però, anche un senso drammatico della vita come morte, che fa molto pensare al Baudelaire.
L'analisi baudelairiana del Nostro si chiudeva, comunque, con queste parole:
"Ora Baudelaire, che, quando scriveva, sapeva i fatti suoi, coglie quasi sempre la forma del suo concetto. E' per questo che le sue poesie e le sue prose è impossibile tradurle bene; ci vorrebbe un altro artista dal valore presso a poco di Baudelaìre".
Evidente ammonimento, questo, a se stesso, se è vero che la prima edizione de Il Signor di Macqueda è del 1881, e che, quindi, al proprio romanzo il Ragusa Moleti pensasse già come a qualcosa più che un semplice progetto. Ma anche, singolare dimostrazione di modestia, che quelle prose, anzi quelle prose poetiche, e gli seppe mirabilmente volgere in italiano con fine gusto e notevole precisione di traduttore. Non seppe, insomma, resistere alla tentazione del l'impresa, che già dal '78, come s'è visto, sentiva nascere in se stesso, irrefrenabile. E gliene siamo grati, dal momento che la sua traduzione, scaturita dallo splendido testo baudelairiano, assurge ad autonoma forma artistica. Non va dimenticata l'importanza di questa fatica del Nostro come veicolo non secondario per la conoscenza del poeta francese in Italia, dal momento che, se non andiamo errati, la sua fu anche la prima traduzione italiana non solo di quell'opera, ma dell'opera baudelairiana in assoluto. E ci è sembrato significativo tirarla fuori dall'oblio in questa occasione, quando qui celebriamo - o cerchiamo di farlo - la vitalità della cultura siciliana in quegli anni.
E, d'altra parte, quello di Ragusa Moleti "non è un caso isolato: buona parte dei traduttori e delle traduzioni di Baudelaire - come è stato notato -, almeno fino al 1930, è meridionale (...)": fra quelle traduzioni, le "siciliane" occupano un posto non trascurabile.
Al Nostro e anche attribuibile - e ci par giusto rivendicarlo, ancora una volta, in questa sede - la prima traduzione italiana dei Paradis artificiels, sia pure in estratti: laddove, finora, quell'opera baudelairiana aveva avuto assegnato nel Chiara il sua primo traduttore.
Ma il redattore de "Il Momento" non fu interamente assorbito dalla febbre baudelairiana. Profondamente imbevuto, come s'è visto, di una buona conoscenza della letteratura francese, fu anche attratto dall'opera dello Huysmans, cui dedicò, nel pieno della propria maturità, un informato articolo.
Ma ancora su Il Signor di Macqueda è opportuno portare la nostra attenzione, come all'opera nella quale l'Autore seppe esprimersi più compiutamente, trasferendovi il proprio bagaglio culturale e le proprie aspirazioni ideali.
Il romanzo, troppo spesso trascurato, risente da capo a fondo della profonda conoscenza che il Ragusa Moleti ebbe, tra gli altri, del Flaubert e dello Zola.
Del canone realistico dell'impersonalità dell'arte, ad esempio, è pervasa tutta l'opera: tutto si svolge sul piano dei personaggi e mai è dato di rilevare, dietro di essi, la presenza del loro creatore.
Ligio a quei principi naturalistici in difesa dei quali combatteva un'aspra lotta dalle pagine de "Il Momento", Ragusa Moleti rappresenta i fatti, i personaggi, le loro passioni ed i loro sentimenti con assoluta imparzialità, con puro distacco flaubertiano. Come pure di stampo flaubertiano è lo studio minuto del particolare, il cui scopo precipuo è quello di servire, quasi, da introduzione e da riflesso, al contempo, della introspezione psicologica dei personaggi: il lettore, attraverso la descrizione attenta di un oggetto, risale alla sensazione del personaggio, la avverte quasi, nel momento in cui questi collega il proprio stato emotivo con la realtà che lo circonda.
Nella sua opera teorica l'amico dell'Onufrio aveva puntualizzato che il compito dell'autore realista è quello di
" " (..) salire in soffitta, di scendere nei tuguri, di entrare nelle galere, nei manicomi, nelle caserme, di andare in campagna, di scendere nelle solfare, girare pei postriboli, di salire nelle barche e quindi rivelare al mondo la vita di sacrifizi, di privazioni, di dolore, che sono costretti a fare gli uomini, le donne, i bambini delle ultime classi sociali, e domanda un po' di giustizia, in nome del gran lavoro che essi fanno e che non ha compenso".
E sulla scorta di risonanze zoliane, sono numerose nel romanzo descrizioni naturalistiche dell'ambiente, fra le quali, mirabili, quella della vita del circo dietro le quinte, e quella del manicomio in cui è rinchiuso il protagonista, Gabriele Macqueda. Nella stessa minutissima ed attenta analisi delle sensazioni fisiche che colgono i suoi personaggi e delle loro esperienze più intime, l'Autore procede con purissima tecnica naturalistica, diventando quasi un medico, uno scienziato che analizza con fredda imparzialità ciò che accade nell'organismo umano quando quest'ultimo subisce un forte impatto in presenza di certe esperienze sensoriali: chi altri, in quel periodo, seppe più fedelmente eppur sì originalmente far nascere in Italia un tale, piccolo gioiello di "esercitazione zoliana", che pure, nei suoi ovvi limiti, assurge ad autonomo valore artistico? Non certamente la scuola veristica, della quale è noto il distacco dai canoni estetici del gruppo di Médan.
Il fatto è che - specie se si pensi che Giacinta è solo del 1879 e che I Malavoglia furono pubblicati nello stesso anno 1881 - l'autore de Il Signor di Macqueda s'era ispirato direttamente ai romanzieri realisti e allo Zola, non attraverso le esperienze dei grandi conterranei. E che, anzi, del naturalismo - assieme al Capuana e al Cameroni, al Pica e allo Zena - egli fu uno dei primi interpreti e portatori in Italia. Troppo a lungo questo merito non gli è stato riconosciuto.
Altro appassionato difensore dello Zola, fu Giuseppe Pipitone Federico, spesso trascurato anch'egli da parte dei critici.
Fondatore de Il Momento - come s'è visto - e infaticabile organizzatore di cultura, cugino e sodale del Ragusa Moleti, in lui la passione per il naturalismo francese si lega ad una vasta e profonda conoscenza di tutto - o quasi - quella letteratura: Rabelais, Ronsard, Morot, Montaigne, Diderot, M.me de Stael, oltre, s'intende, alla intera letteratura francese dello Ottocento fino ai "minori", si incontrano nei suoi scritti. Fu in cordiali rapporti di amicizia con illustri poeti, scrittori, giornalisti della seconda metà dell' '800 e del primo '900, i quali, tutti, lo stimarono. Tra di essi: Rapisardi. Capuana, Verga, Mario Giobbe, Vittorio Pica, Gabriele D'Annunzio, Edouard Rod e, naturalmente, Émile Zola e Guy de Maupassant, il quale ultimo lo invitò a trasferirsi in Francia.
Affascinato dalla poesia parnassiana francese, il giovanissimo palermitano esordì come francesista con un notevole saggio sul Coppée, che volle dedicare ad Angelo Sommaruga, col quale era in cordiali rapporti di amicizia. Già dal - Preludio è dichiarata l'intenzione, di là dall'occasionale interesse per il poeta francese, di dedicarsi alla letteratura straniera come "(...) sorgente a cui dobbiamo rianimarci, sorgente sconosciuta alla massima parte degli italiani, ma fresca, inesauribile, capace di rinnovellare il sangue che ci scorre tardo per le vene; è una terra vergine che s'offre ai nostri sguardi coi suoi incanti, le sue attrattive (...) essa, al pari di una fata, avrà possa, di trasformare l'arte italica".
E il ventitreenne Pipitone Federico, pur impegnato nell'insegnamento della letteratura italiana, rimarrà fedele, lungo tutto il corso della propria attività critica, a quella sua giovanile vocazione.
Partendo da una convinta difesa della teoria dell'arte per l'arte, attraverso lucide argomentazioni e dovizia di esempi tratti direttamente dalle liriche del Coppée, nelle quali "(..) è sempre. - su per giù - lo stesso sentimento di malinconica reverie che pervade l'anima del poeta, ma non ci si stanca mai - com'egli afferma — a seguirne le forme flessuose, i concetti gentili nei quali s'incarna", lo studioso palermitano giunge, pur ponendo alcune riserve, alla esaltazione entusiastica, anche se non idolatra, dell'arte del Coppée. Fu proprio attraverso questo suo studio che i parnassiani, fino a quel momento in posizione subordinata, nei gusti dei suoi amici, rispetto agli scrittori naturalisti, furono accolti nel fervido cenacolo de Il Momento, le cui pagine diedero loro diffusione nella cultura siciliana del tempo: il che, a ben pensarci, non fu merito secondario. L'interesse per i parnassiani viene sempre più precisandosi nel corso dell'anno seguente, quando, in un lungo articolo apparso sulle colonne de La Domenica Letteraria, venivano approfonditi i rapporti fra Leopardi e Sully Prudhomme. Tale amore per gli autori del Parnassi, d'altro canto, lo avrebbe poi accompagnato - come vedremo - per un lungo, lunghissimo periodo della sua attività.
L'altro saggio che confermò la naturale propensione del Nostro per la letteratura d'Oltralpe, fu quello sul vate del romanticismo, Victor Hugo, nato anch'esso, è facile pensarlo, nella stimolante atmosfera della redazione de Il Momento. Lavoro, codesto, che non avrebbe nulla di originale, neanche nella stessa scelta del soggetto, se si pensa allo straordinario favore di cui godeva allora l'autore di Les Contemplations. (...). Il Pipitone Federico compie una scelta precisa sul piano critico. E si tratta di una scelta in cui è già operante l'adesione all'arte moderna, al credo naturalistico. Contro gli idolatri da un lato e i ciechi detrattori dall'altro, il Nostro seppe sceverare le più in time qualità dell'arte hughiana, in un lodevole sforzo di obiettività scientifica, mentre dai fogli de Il Momento era già tutto teso a combattere sotto l'insegna del positivismo in nome dello Zola. Come s'è visto, l'animatore de Il Momento aveva già compiuto la scelta naturalistica. Dopo aver pubblicato sul periodico un lungo articolo su La Joie de vivre (1884), per il quale fu ringraziato dallo Zola.
Con le Note di letteratura contemporanea, in definitiva, il Pipitone Federico viene a porsi dopo i suoi precedenti studi, nei quali, da Stendhal a Zola, tutta la scuola realistica e naturalistica era stata esaminata a fondo -- viene a porsi, dicevamo, fra le più interessanti figure di critici d'avanguardia di quel declinante secolo diciannovesimo. E sì vasta è la mole dei suoi studi, sì appassionante e vario l'arco dei suoi interessi, da meritare, anche nel ristretto campo di indagine di nostra competenza, un discorso ancora più ampio. (...)
* Tratto da Cultura Francese in Sicilia tra '800 e '900 di G. Saverio Santangelo
STORIA E CRONOLOGIA DEL
<> Il 1° numero del “momento letterario – artistico –
sociale” fu pubblicato il 16 Aprile 1883. Viene presentato come
rivista quindicinale. Il responsabile dei primi 2 numeri fu Antonio
Tornabene, a cui subentrò Giuseppe Allella. I primi 10 numeri
vennero stampati dalla tipografia Lo Casto. Non esiste presso una
sola biblioteca una collezione completa della rivista. Vi sono 3
collezioni, il cui confronto ha reso possibile la ricostruzione delle
vicende editoriali del periodico e la stesura degli indici. Il nome è
stato associato a quell’omonimo quotidiano milanese diretto negli
anni ’50 del XIX secolo, dal patriota e giornalista siciliano
Benedetto Castiglia. Il nome “Il Momento” contraddistingue molte
riviste tra ‘800 e ‘900. Castiglia rendeva esplicita l’attenzione
che il periodico avrebbe riservato alle coeve manifestazioni
artistiche nazionali ed europee. La testata voleva aprire una
finestra sul momento artistico europeo di quegli anni, pronta a dar
notizia di tutte le novità che venivano prodotte.
Era intenzione dei redattori del “Momento” informare su tutte le
discussioni che agitavano il mondo culturale italiano, diviso tra
naturalisti e oppositori di quel credo. I primi due direttori furono
Pipitone Federico e Silvestri Marino. Il 1883 fu un anno positivo per
il giovane quindicinale palermitano. Nel novembre dello stesso anno
si assiste alla fusione del periodico <> con “Il Momento”,
ma più che una fusione si tratta di una vera e propria
incorporazione della prima da parte del secolo. Le città sedi di
rappresentanza del “Momento” passano da 3 a 6 (Roma, Firenze,
Genova, Torino, Catania e Messina). Momento: rivista d’arte e
letteratura. Il 1884 perde quel mordente che aveva contraddistinto il
primo anno di vita. Il febbraio 1884 è associato alla direzione
Ragusa Moleti, già collaboratore sin dal 1° numero del periodico.
Nello stesso numero si dà notizia di un nuovo cooperatore, Pietro
Lanza di Scalea, futuro condirettore del periodico. Infatti il 5
Luglio del 1884 Pietro Silv. dà notizia dell’abbandono dei 2
cugini. Non si conoscono le vere ragioni delle dimissioni. Con il
numero del 16 Agosto 1884, viene data la notizia della presenza di un
nuovo condirettore, Pietro Lanza di Scalea. La rivista doveva
accontentare tutti i gusti: dall’articolo di critica letteraria,
alle novelline sentimentali per le fanciulline. Nel numero successivo
viene inaugurata una nuova rubrica “Lettere aperte alle lettrici
del Momento”. Vi è così il tentativo di mondanizzare il periodico
palermitano, con l’intenzione di guadagnarsi una parte appetibile
di pubblico; questo tentativo è stato fatto dopo l’abbandono da
parte dei 2 cugini. Altra data è il Marzo 1885, in cui viene
comunicato il ritorno alla direzione di Pipitone Federico. Inizia
l’ultimo periodo di vita del “Momento”, che si concluderà nel
Dicembre 1885. I gusti letterari del pubblico si stavano indirizzando
verso le decadenti atmosfere dannunziane. Non era facile mantenere in
vita un quindicinale culturale, dovendolo finanziare con gli
abbonamenti dei lettori. Nonostante le difficoltà finanziarie, il
Momento era riuscito a mantenere, anche nel 1885, una sua vivacità.
La situazione precipitò a causa dell’epidemia di colera che
funestò tutta l’Italia a partire dal 1884. Già nel numero del 16
Settembre 1884, la direzione annunciava dei ritardi nella stampa del
numero seguente a causa del colera. Infatti il numero successivo uscì
il 15 Ottobre 1884, cioè un mese dopo. A partire da questa data Il
Momento non sarà più pubblicato con la stessa consuetudine. La
situazione sanitaria a Palermo, divenne drammatica nel Settembre del
1885. La città venne isolata dal resto dell’Italia, per il colera,
e quindi le vicende editoriali del Momento seguono l’andamento
dell’epidemia. L’uscita di un numero a Dicembre fu l’ultima.