A me che gli chiedevo più particolari notizie della sua vita, Ugo Fleres ha in questi giorni risposto col sonetto che qui riferisco :
« Son messinese ed ho ventinov'anni ;
scriver di me mi sembra uggioso assai ;
credo esser nato all'arte e, ov'io m'inganni,
spero convinto non restarne mai.
Delle mie gioie come degli affanni
non soglio far pubblici bandi e lai :
di tal superba timidezza i danni
nell'altrui noncuranza io già provai.
Stampo su pei giornali e non li leggo,
studio senza patenti e professori ;
idolatro la musica e non suono.
Disegno un poco e tra i pittor' non seggo ;
scrivo a diluvio e mancan gli editori :
ecco pur troppo, amico mio. qual sono ».
Proprio così: nessun ritratto poetico fu mai più somigliante di questo per la parte morale. Ugo Fleres, uno degli spiriti artistici meglio dotati che io mi abbia conosciuto, costretto dalla vita all'articolo o al pupazzetto quotidiano su pe' giornali, ha viva la fede dell'arte come se ogni giorno per la prima volta ei s'avviasse, nel segno di lei, verso le regioni ideali dove essa regna incontaminata. E l'arte, che lo riama, lo domina così gelosamente che non gli consente pensiero il quale non sia di lei : soffiano violenti o mordaci nelle redazioni de' giornali i venti della politica; il Fleres o non se n'accorge o cerca subito sottrarsi all'impeto loro ne' suoi sogni diletti. — No, non ne parliamo! mi diceva giorni sono, uscendo meco dal Fracassa. Non ne parliamo : tanto, che giova? Io a queste cose non ci voglio pensare, per avere il diritto di non arrabbiamoci ! — E ripigliammo a chiacchierare d'arte. Svelto e corretto disegnatore, intelligente di musica, egli passa la vita tra pittori e maestri; ed Uriel, ch'è lo pseudonimo suo nel Fracassa, ha nome di critico onestissimo ed acuto. Ma Ugo Fleres lascia ad Uriel giornalista il diletto e la cura dei concerti e delle esposizioni, e, quando può, si dà tutto alla poesia. Chi non conosce la vita romana in genere, e le necessità dei giornali, non può intender quanto amor vero per l'arte, quanta forza di tenace volontà attestino le novelle e i versi dell'amico mio: né io li giudico; ma vorrei che molti ne lo stimassero com'io lo stimo.
Nato nel decembre del 1857 a Messina, il Fleres studiò nelle scuole e nell'istituto tecnico; o piuttosto non studiò punto, ma s'industriò per conto suo nel disegno e nella poesia. La famiglia, credendo trarne miglior frutto, lo mandò a Napoli; si desse alla pittura: ed egli invece passò allora le giornate in biblioteca. Venne a Roma che non aveva diciassette anni; e cominciò ad effondere, qui la parola è propria, la sua giovinezza in dipinti ed in drammi. Mi scusi il Fleres se io non riesco a trattenermi dal sorridere e dal far sorridere il lettore rammentando, come mi è riescito saperli, que' suoi tentativi: un melodramma; Fingal, tragedia; i Vespri siciliani, tragedia; David, tragedia; Il paradiso degli assassini, dramma sul Vecchio della Montagna; Spartaco, tragedia; Raivallac, dramma; Diogene e Frine; varii Proverbii; tutto ciò in versi. Più, in prosa: Giordano Bruno, dramma; e di nuovo in versi: Labbra maledette, episodio della vita del Goethe; Roscio e i suoi comici, commedia d'argomento antico. Né basta: ridusse il Formione di Terenzio che, letto agli amici del Fracassa, non parve adatto alle scene ; e a Cesare Rossi presentò un dramma in martelliani, II Cieco, e il Rossi lo rifiutò; ma tanto gli piacque la disinvolta modestia dell'autore (il quale lo ringraziò persuaso del giudizio) che, caso raro, divennero buoni amici. E dire che inoltre il Fleres aveva già scritto un poema in isciolti I Saturnali, ed un altro poemetto d'argomento indiano ! « Le cateratte del cielo si apersero, dice la Bibbia, e piovve per quaranta giorni e per quaranta notti di seguito ».
Io non mi meraviglio punto che un giovane dell'ingegno del Fleres, e nelle condizioni sue, scrivesse tanto ; ma sì che non pubblicasse ; che a mano a mano che sfogava quella esuberanza di vena e di fantasia, non crescesse in lui la vanità dell'autore; che egli si facesse anzi giudice sempre più severo di se medesimo. E questo è per me migliore indizio di buona indole artistica che non quello della facile produzione. Fatto sta che di tanti scartafacci, donde io scommetto che a ben frugarli sarebbe da trarre assai di buono, il Fleres non fece altro conto. Al teatro ha ormai rinunziato: la compagnia Maggi ha una sua. commedia in tre atti Eredità vincolata, e Luigi Arnaldo Vassallo vuol ridurgli per le scene un dramma satirico, pure in tre atti, Le vittime ; ma egli afferma che, o bene o male che vadan le cose, non vi si proverà di nuovo.
Presentato a quei del Fracassa, prima che nascesse il giornale, da G. Aurelio Costanzo, che lo stimava come debbono stimarlo quanti lo conoscono, vi cominciò la serie ormai sterminata de' suoi articoli, con certe appendici su La musica dell' occhio, che anche oggi qualche intelligente rammenta. Ed entrato così ne' giornali, d'allora in poi ha scritto e scrive, come i giornali richiedono, affrettatamente ma non mai, sia pur in argomento lieve, contro l'animo suo. Rammento, su tal proposito, curiosi dialoghi tra lui e Beppino Turco: quando il Fleres ha ereduto concedere molto alle necessità del giornale sforzando la lode, sembra al direttore che egli abbia fatto, come si dice nelle redazioni, una stroncatura. Buttato giù l'articolo o il pupazzetto (quanti sorridono sulle figurine del Fracassa non sanno che spesso le debbono ad un gentile poeta !) corre a casa e si ripone a' suoi studi, proseguiti sempre con pertinacia e con fede mirabili. È un autodidatta, il Fleres ; e può tenersene; che pochi, usciti dalle università, han la coltura varia ed elegante di lui.
Messe da parte quelle molte opere della prima gioventù, soltanto per le insistenze di Angelo Sommaruga diè alla stampa i suoi Versi, nell'81. Non già che al Sommaruga importasse molto di lui poeta ; ma volle così procacciarsi la famigliarità d'un disegnatore abile ed agile per la sua Bizantina. A quel libretto accennò con lode il Carducci ; il Fleres oggi lo rinnega, perchè di que' versi gli spiace l'ideale artistico, e l'esagerazione di modernità, o modernismo che dir si voglia, troppo palese. Può rinnegarlo perchè già ha dato molto di meglio. Non parlo delle Profane Istorie, edite due anni fa, e troppo poco curate dal pubblico che avvezzo ai sapori grossi non ha gustato, come doveva, questi sottili ; né del romanzo Extollat uscito ora in luce pe' tipi del Triverio, o dell'altro romanzo Vortice che tra breve ci darà il Tropea di Catania, o delle novelle che stampa il Battei di Parma; il Fleres è per questa parte abbastanza noto al pubblico che ne cerca con curiosità le scritture ne' giornali letterarii.
Ma vo' dire qualcosa, con molta indiscrezione, di due lavori di lunga lena, in versi, cui l'amico mio attende; singolari lavori e, tralasciando ogni altra ragione, degni di lode perchè lontani da quanto oggi dà l'Italia in fatto di poesia. Vi sembra piccolo merito in arte, quello di serbare fattezze proprie ? Quale possa essere il pregio dei versi del Fleres, certo non mancherà loro l'originalità. Egli è infatti lo scrittore più ricco di fantasia narrativa che sia oggi tra'giovani: inventare e narrare è un bisogno dell'indole sua artistica, ed egli inventa con incredibile varietà, e spesso narra con efficacia derivata dalla schiettezza della rappresentazione anzi che dalla vivezza sfacciata de' colori. Se la forma, a lavoro compiuto, risponderà al valore intimo della poesia, il Fleres avrà, nella Giovinezza del Cid e nel Don Juan, fatto opera come poche ne vediamo da un pezzo. Ora che la lirica tiranneggia la nostra poesia, oh come mi piace ascoltare la voce di un giovine che osa narrare largamente, pianamente, le belle avventure degli amori e delle armi ! Nel racconto oggettivo all'antica infondere l'osservazione psicologica alla moderna ; questo l'ideale d'arte che sta innanzi ad Ugo Fleres; il quale per ciò non va in cerca d'argomenti nuovi ma li accetta dalla tradizione. Ha così in pronto La Giovinezza del Cid; e sta lavorando gli ultimi canti del suo Don Juan. Il primo è un poemetto in dieci canti; gli ottonarli alla spagnuola sono variamente rimati canto per canto in istrofette sonanti o soavi, secondo che narrino le battaglie del Cid o i sospiri di Chimena. Il Cid, per vendicare suo padre dello schiaffo che ne ebbe, uccide il padre di Chimena: il re, meravigliato del valore del giovane, lo salva dal supplizio mandandolo a combattere gl'Infedeli; egli torna vittorioso ; Chimena, nella quale l'ammirazione divenne amore e spense l'odio per l'uccisore del padre, andata a chiederne al re vendetta, lo accetta invece marito. I lettori avranno modo di giudicare tra breve dell'analisi sottile che il Fleres ha fatto de' sentimenti di lei ; qui odano soltanto come dolcemente essa invochi il ritorno dell'eroe giovinetto:
« Non hai già la rinomanza
come un falco in pugno stretta? lungo tempo non t'avanza per attingere la vetta de la gloria ? e non t'affretta de' miei baci la speranza? »
Di più lunga lena è il Don Juan, romanzo in versi che, a lavoro finito, saranno più di quindicimila, in una trentina di canti : ottave, terzine, sonetti, serenate, rime sempre a dovizia e rime buone. Il Fleres non è, né vuole essere, un cesellatore ma un aèdo moderno ; non s'indugia sul verso per amore del verso in sé, ma lo studia insieme con gli altri perchè soltanto dalla compagnia abbia la forza propria e l'effetto che deve. Neppure qui giudico : ma, come ho potuto ascoltando dall'amico a pezzi e bocconi, così riferisco del Don Juan quel che rammento o, quasi di nascosto, ne ho spigolato.
Don Juan Tenorio, gittate sopra un' isola deserta, è salvato, dopo nove anni, da una nave veneziana; e racconta al padrone di essa. Paolo Targa, e all'equipaggio come il padre suo lo imbarcò per mozzo, com'egli educato a vita signorile, si ribellò al capitano, e come ne fu punito con quell'abbandono.
« All'erma isola pochi marinai mi recarono taciti vogando, mi baciaron, partir; solo restai.
Solo, lì solo, io che in Siviglia, quando m'arrideva la vita, e amici e fanti avevo al mio piacere, al mio comando ;
solo, e la barca dilungava, e innanti a me, nel tempo e nello spazio, il mare, il consorzio dei flutti minaccianti ».
Questo il primo canto: nel secondo siamo a Roma. Si fa gran festa nel Vaticano (l'azione si svolge a' tempi di Leone X); l'ambasciatore di Venezia, ch'è Paolo Targa, il quale ama Lucrezia, figlia del marchese Oliviero, assalito da questo, manda l'amico suo Don Juan a rapire la signora per conto di lui, essendo ormai inutile ogni cautela. Mentre il palazzo dell'ambasciatore è assediato dalle genti di Oliviero, Don Juan corre sotto le finestre di Lucrezia:
« A pie della finestra dov'è il lume, egli tosto si fa tra l'alberata, e canta, come è veneto costume, il ritornello d'una serenata. Lucrezia il canto conoscer presume, e la finestra è schiusa, è spalancata: Juan lascia le note e dà di piglio ad un imminentissimo consiglio ».
Abilissimo nell'arte del disegno, Ugo Fleres ha pubblicato anche una preziosa raccolta di riproduzioni di lavori artistici intitolandola:
La galleria nazionale in Roma (1896).
Collaborò a Il Travaso delle Idee, «giornale umoristico sulla falsariga del Don Chisciotte e del Fracassa». Proprio sul Don Chisciotte, che era diretto da Gandolin, Ugo Fleres illustrò un articolo - intervista di Emilio Faelli a Luigi Pirandello intorno alle traduzioni del poeta delle Elegie romane.
L'editore Loescher, che era disposto a stampare le elegie tradotte da Pirandello, morì prima che il progetto fosse stato realizzato e il libro venne comunque stampato dall'editore Giusti di Livorno con una ventina di disegni di donne romane realizzate dello stesso Fleres .
Innumerevoli poi sono gli articoli, le poesie, le novelle che ha scritto per le Riviste d'arte.
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