Antichissima è la convinzione che una nuova vita appena sbocciata è contrassegnata, fino alla morte, dal segno di una costellazione (ricordiamo che il sedicenne Aniante da Sindonae — scomparso come Antonio Aniante il 13 novembre appena decorso — esordì nel 1916 con l’opera poetica Costellazioni. Poemi universali e, in essa, metà delle composizioni furono raggruppate in una sezione intitolata «Le medaglie zodiacali»),
E se vogliamo dar credito all’influenza dei pianeti sul carattere dei viventi, scrutiamo i segni positivi e negativi del neonato Luigi Capuana, nato a Mineo il 28 maggio 1839 (secondo accurate ricerche in giorno di martedì), che fu molto sensibile alle coincidenze, ai sogni, ai numeri, allo spiritismo. I nati, come il Nostro, sotto il segno zodiacale dei Gemelli, prima decade, sono sotto l’influenza di Mercurio, e secondo la specialista di studi astrologici Ruth Anderson «avranno una personalità ingegnosa, percettiva, studiosa. Ma, se questo pianeta è in aspetto negativo porterà loro curiosità, pigrizia, dissipazione».
A proposito della dissipazione, è pienamente calzante una profezia vergata, nel 1887, dal medesimo Capuana quarantottenne, che inviava all’amico Federico De Roberto compiegata alla prefazione di Homo, una raccolta di novelle in corso di stampa presso gli editori Treves di Milano: «Troverai in mezzo al ms. una stampa. È una copia d’una mia profezia; così avrai in mano tutti i documenti per dimostrare alla mia morte, che io ho fatto tutti i mestieri cominciando dal poeta e finendo al Profeta. Sì, ho fatto tutto meno di quello che avrei dovuto fare, di non fare debiti» (Mineo, 29 agosto 1887).
In Luigi Capuana la personalità «ingegnosa, percettiva, studiosa» si rivelò con manifestazioni precoci e vistose, così come ebbe in eminente «curiosità, pigrizia, dissipazione». La versatilità e la flessibilità dell’ingegno lo spinsero a cimentarsi in quasi tutti i generi della letteratura (considerato critico incisivo già nel quadriennio 1865-1868 trascorso a Firenze, e autorevole alla fine del decennio successivo a Milano); ed altresì in attività di ordine pratico non disgiunte dalla tecnica dell’artista (fotografia, incisione, disegno e caricatura). Acquisite in un arco di tempo lungo, esercitate e dispiegate alcune di esse nelle poche ore di «otium» pur presenti nella giornata intensa, con professionalità e disinvoltura, ma anche con l’affanno e l’angoscia delle scadenze cambiarie che vengono postergate con provvidenziali interventi (ma ritornano sempre più minacciose col trascorrere del tempo, perché ancor più onerose per gli interessi) che, tuttavia, lo spingevano a lavorare sempre di più, con la breve paura — come vedremo con dati dettagliati — per una missiva vergata di getto, diretta a un giovane catanese poco più che ventenne, che si avviava — siamo agli inizi degli anni Ottanta — al giornalismo di livello nazionale e al romanzo: Federico De Roberto.
La sonda che illumina l’inconscio e, insieme, la cartina di tornasole che reca impressa la realtà del sottosuolo psichico, è costituita appunto dalle lettere qui esaminate, vergate in due epoche lontane un venticinquennio (numerose e inedite, l’esame sarà rivolto alla prima del 1857 ed a un numero minimo del secondo gruppo, della maturità capuaniana, che può assumere adeguatamente il ruolo di campione rappresentativo).
Un episodio lontano è racchiuso in una interessante lettera del giovane al «nume tutelare» dei giovanissimi aspiranti poeti. Alla fine del 1857, il diciottenne Capuana era un diligente e assiduo alunno di Giurisprudenza nell’ateneo catanese e, già prima, dimostrava buoni propositi dichiarati nella lettera «Catania, 27 aprile 1857» diretta a Lionardo Vigo (la prima in ordine cronologico, ma l'esistenza di rapporti informali preesistenti si evince dal primo capoverso «Ricevo da Gioacchino nostro la lettera di Lao, e la noticina della spesa d’un foglio per la mia stampa»).
Essa fu scritta in previsione della propria partecipazione al concorso annuale indetto dall’Accademia dafnica di Acireale: «Non mi dispiace punto che il concorso si facesse a’ 17 del corrente, quantunque quella Minerva oscura del Dante sia per me di sinistro augurio; poiché mi sembra una dura pretensione quella dell’Accademia volendo che si scegliesse a sorte da tutte e tre le cantiche».
Sappiamo che il giovane aveva studiato fino a 16 anni nel reale collegio di Bronte, irregolarmente e con mediocre profitto, e quindi nessuna sorpresa se ammetteva implicitamente di non conoscere il Paradiso. «E le difficoltà maggiori per me saranno intorno quest’ultima cantica, che mi converrà studiare ora da capo a fondo». Per completezza aggiungiamo sul concorso alcuni particolari pochissimo noti. Capuana partecipò al concorso (nella prima classe, fra i giovani di oltre quindici anni) svoltosi in Acireale il 18 maggio successivo, non ottenne la medaglia d’oro, appannaggio del catanese Gioacchino Geremia Scigliani, ma l'accessit, ossia l’ammissione. Lionardo Vigo, presidente dell’Accademia dafnica, nel discorso dedicato alla premiazione, avvenuta il 25 maggio successivo, adoperò espressioni oltremodo lusinghiere e comunicò all’uditorio un’ambita distinzione conferita al Capuana: «ma sappi che solo per impreveduti ostacoli Luigi Capuana e Tommaso Catalano furono impediti a compiere per intiero i loro scritti: e che tanto essi meritarono la nostra ammirazione da essere stati chiamati ad assidersi teco fra di noi col grado di Socii Corrispondenti».
Capuana chiudeva la lettera con espressioni di gratitudine e devozione «Con che ricambiarla degl’incomodi che le vò buscando? Niente più che col riverirla ed amarla come Maestro». Quel ricambiarla, interpretato freudianamente, assume un significato pregnante: l’invio, subito dopo (e anche prima di quella data), di ... antichi canti popolari mineoli di recentissima «invenzione» di Luigi inseriti nella prima raccolta di Canti popolari siciliani, pubblicata dal Vigo nella seconda metà del 1857. In questa lettera — come nelle successive del quarantenne — si colgono due «costanti»: un’iniziativa attinente la carta stampata (editore Lao di Palermo), un programma enunciato da realizzare in tempi brevi.
Il periodo, forse più intenso e interessante di Capuana e per l’attività creativa e per i progetti giornalistici (e per gli incarichi amministrativi gravosi di sindaco di Mineo e di consigliere provinciale a Catania, svolti contemporaneamente), è quello che va dal 1884 al 1887, trascorsi a Mineo con brevi permanenze a Catania. Il quadriennio è illuminato, come dicevamo, dalle lettere a Federico De Roberto, circa duecento, in gran parte pubblicate da Sarah Zappulla Muscarà negli ultimi anni, nell’Osservatorio politico letterario di Roma. Ed è grave che a fronte di questo numero imponente, le lettere di De Roberto a Capuana segnalate siano appena sei (Croce Zimbone, La Biblioteca Capuana, Catania, 1982, pp. 10, e 112).
Esse costituiscono il resoconto degli «esperimenti» e dei «cambiamenti» (diversificazioni e ripensamenti) nell’attività del letterato (con la gestazione, lenta o veloce, di opere significative), di giornalista, di fotografo, di audace progettista di imprese da capogiro, sempre dilaniato dall’angoscia: insomma, uno spaccato della vita quotidiana con una ricchezza di notazioni e di confidenze — riservate in esclusiva al giovane Federico —, che ben rappresentano la proiezione del Capuana della maturità.
L’inizio dei rapporti epistolari con De Roberto, ventenne appena ma già direttore del Don Chisciotte, risale a quella datata «Mineo, 22 febbraio 1881», nella quale Capuana si rivolgeva al «Gentilissimo Signore», dichiarava di non avere «visto il 2° numero del Don Chisciotte» e si congedava con «La riverisco insieme a tutta la redazione». Era già partito da Catania l’invito a collaborare al settimanale perché in quella «Mineo, 20 marzo 1881», diretta «All’onorevole Direttore del Don Chisciotte», si scusava per non aver potuto spedire la novellina destinata al Don Chisciotte e ringraziava «il gentilissimo critico che si nasconde sotto lo pseudonimo di Cardenio» (uno degli pseudonimi di De Roberto). Nella settimana successiva manterrà la promessa «Ecco la novellina. Avrei voluto mandarle qualche cosa di meglio, ma il tempo stringeva» (Mineo, 30 marzo 1881).
Evidentemente, è uno scambio di lettere con continuità, se in quella del 7 aprile 1881 Capuana esordisce: «Risposi subito alla sua gentilissima mandando un canto popolare inedito». Sono quelle del 1881 in totale sei (una senza data, ma scritta nel corso del 1881), ed è da segnalare — infine — quella dell’8 maggio, di ringraziamento delle cinque copie del volumetto Catania - Casamicciola (edito a cura del De Roberto), a cui hanno collaborato, con il Capuana, anche Verga e Mario Rapisardi con Giselda, anche per la qualifica nobiliare nell’indirizzo «Al sig. Federico De Roberto — Asmundo dei Marchesi di Montepulciano».
La prima lettera di Federico — nella qualità di consulente editoriale di Niccolò Giannotta — del 3 luglio 1881, è segnalata dal benemerito studioso Gino Raya nella Bibliografia di L. Capuana, Roma 1969, p. 51. Dopo, da una parte e dall’altra, l’interruzione per oltre un biennio, ossia il 1882 e il 1883, anni che Capuana trascorse a Roma, chiamato alla direzione del Fanfulla della Domenica (settimanale prestigioso, fondato nel 1878, che aveva già raggiunto nei primi del 1880 l’alta tiratura di ventitre- mila copie). Alla fine del 1883 Capuana rientrava in Sicilia, e dal gennaio 1884 iniziava un quadriennio di fitta corrispondenza.
Possiamo, in questa sede, riferire solamente pochissimi brani di alcune lettere su temi ricorrenti: direttive per la stampa dei volumi, fotografie e progressi fotografici moderni, progetti grandiosi, scadenze cambiarie e giudizi critici «autentici» da non pubblicare su Giovanni Verga e Mario Rapisardi: «Gli articoli del Fanfulla della Domenica devono essere composti, come testo, in corpo 12» (Mineo, 3 gennaio 1884); invece in una successiva (28 gennaio) dedicava un’intera pagina alle «Norme per la riproduzione autografica», ma la lettera è interessante per la stroncatura del Giobbe rapisardiano e per la definizione del poeta, e, meglio negazione del poeta senza attenuanti «[...] mi confermo nella mia opinione che il Rapisardi è un buon verseggiato re, ma un poeta, no, di certo: gli manca la facoltà creatrice, organica; la natura gliel’ha negata».
Un anno dopo (Mineo, 26 maggio 1885) insiste ancora sul corpo 12, ma corsivo: «A proposito di Ribrezzo m’è nata un’idea; stampare tutto il volume in corsivo corpo 12! Che gliene sembra? Ecco un ritorno all’antico che mi piacerebbe tanto! È possibile? Ne parli al Giannotta. Io ne sarei contentissimo. È una novità tipografica da tentare da noi. In Inghilterra si è fatta».
Il tema riguardante la fotografia è svolto da un’artista e da un competente con risultati degni di un Cartier Bresson. Fotografo sempre, si potrebbe dire del Capuana, anche durante le ultime ore di vita della madre: «Un’agonia tranquilla, simile a un sonno: una morte che fece tornare la sua fisionomia allo stato naturale. Io ho avuto il coraggio di fotografare la Mamma in quello stato, e queste fotografie sono un tesoro per me; le guardo ad ogni momento e spesso la chiamo, a voce alta, quasi potesse ascoltarmi! ».
In quella brevissima del 18 agosto 1886 erano compiegate alcune foto per Federico «Arricchisco di nuovi capolavori fotografici il tuo già ricco, piccolo sì, ma museo». L’ultima, del 22 aprile 1887, ci illumina veramente su un Capuana perfezionista «Il ritratto lo avrai appena sarò provvisto di carta. Ho scritto a Parigi per una nuova carta (papier Hetmann). Se ne dice meraviglia. Vedi? lo mi tengo all’altezza dei progressi fotografici moderni».
Poco spazio, ormai, possiamo dedicare al progetto di fondazione di una rivista, formulato nel 1885, e successivamente di un giornale quotidiano a Catania. Per la rivista leggiamo uno schema completo e particolareggiato (il tipo di carta speciale « facendolo fabbricare a posta pel formato in 18°»), la campagna promozionale «nei giornali politici e letterari», i compensi per ciascun tipo di collaborazione (articolo originale, novella, recensione). Editore Niccolò Giannotta, direttore Capuana e redattore capo De Roberto: «Tanti saluti al Giannotta et bien des compliments, a Monsieur le redacteur en chef» (Mineo, 7 giugno 1885).
Qualche anno dopo, nel 1887, il progetto è veramente grandioso, ma ad alto rischio, anzi azzardato: un nuovo quotidiano a Catania. Sappiamo che in quell’anno si pubblicavano ben quattro quotidiani: Gazzetta di Catania, Il Corriere di Catania, Il Telefono. Eco dell’isola, Il Nuovo Gazzettino della sera-, quest’ultimo cessava di esistere dopo una vita effimera, nel mese di maggio.
La direzione del quinto è stata offerta a Capuana che si riserva di accettare se sarà favorevole «l’affare della Banca», ossia «io potrò prendere formalmente l’impegno della direzione del giornale. Trovarmi con te, Verga, Ferlito (Francesco) e Calatola, legati in un’impresa che lusinga il nostro amor proprio ed è anche finanziariamente piena di belle promesse, sarebbe per me un piacere straordinario, il desideratum del mio cuore». I calcoli sulla tiratura tutt’altro che fondati, anzi fantastici; anche se Capuana concorda e rilancia: «I vostri calcoli mi sembrano ben fondati. Tre mila copie [...]» all’inizio, e poi «[...] noi avremmo, come avete giustamente calcolato, la conquista di tre provincie e la non ipotetica prospettiva di una tiratura di 12.000 copie». Dopo un turbinio di considerazioni e di cifre un’enunciazione paradossale «Vi è passato pel capo l’idea di ammazzare, anche per accordi, qualcuno dei giornali catanesi viventi? Il Corriere per esempio?» (Mineo, 31 ottobre 1887).
La prodigiosa e diversificata attività e capacità di lavoro di Capuana, degna di un forzato della penna, è notoria (possiamo paragonarlo a Honoré de Balzac, come lui «toujours harcelé par le besoin d’argent »), ma faceva ugualmente ritardare all’autore la consegna del manoscritto l’affastellamento di opere diverse già in cantiere. Lo stato dei numerosi «lavori in corso» è esposto in una lettera del 14 dicembre 1884: «Appena mandato Ribrezzo mi metterò a copiare il resto della Giacinta. Ho quasi conchiuso col Treves pel Marchese di Roccaverdina. Ho visto la edizione illustrata del C’era una volta?». Ma nei primi dell’anno, aveva già annunziato: «Oggi spero terminare Ribrezzo che mi ha dato molto da fare. Lo ricopierò subito e lo manderò per posta» (Mineo, 28 gennaio 1884).
D’altra parte solamente un Capuana vulcanico poteva concepire una novella «sismica»: «Ora sto scrivendo una novella sismica (un genere di cui io mi faccio il creatore, impiccati!) e la manderò al Fanfulla della Domenica» (Mineo, 6 settembre 1887). Nonostante il sovraccarico delle fatiche letterarie residuavano tempo ed energie per altre attività e responsabilità proprie della vita civile ed amministrativa: il 25 luglio 1885 (rieletto consigliere comunale e ancora sindaco per un triennio, e neoconsigliere provinciale) scriveva al caro Federico: «Ringrazio la provvidenziale mano del presidente della corte di assise di Nicosia che mi tirò in sorte perché io vada ad esercitare la nobilissima arte del giurato».
Vivere su un letto di angoscia è tremendo, e altrettanto angoscioso è l’incubo della scadenza e il mancato rinnovo da parte della banca, che chiede il pagamento di una montagna di danaro: «Sono in grandissima ansietà. Il giorno sei novembre prossimo scadrà la cambiale rinnovata delle lire cinquemila avute per mezzo del mio radioso Aprile [...]» (Mineo, 18 ottobre 1887). Il 3 novembre successivo il miracolo non si è ripetuto «Caro Federico, è finita? Ricevo in questo momento il tuo dispaccio e rimango come fulminato».
No, non è finita! il rinnovo dell’effetto è ottenuto ancora una volta all’ultimo momento (forse con l’intervento del barone Pietro Aprile di Cimia, proprietario del Corriere di Catania). E nella lettera del 29 dicembre 1887 poteva annunziare a De Roberto che non si interrompeva la consuetudine della lettura di un’opera appena finita agli intimi, fra cui Verga «[...] io verrò costì lunedì: che la lettura della Giacinta sarà lunedì sera, perché martedì c’è consiglio provinciale [...]». Visse ancora quasi trent’anni, inseguito e braccato da strozzini implacabili, da creditori pressanti e da avvocati esigenti, fino alla morte avvenuta a Catania il 29 novembre 1915, pensionato dal maggio precedente e in attesa della pensione.
(Di Sebastiano Catalano 29 novembre 1983)
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