Giovanni Alfredo Cesareo (Messina, 24 gennaio 1860 – Palermo, 7 maggio 1937) è stato un poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo e senatore italiano.
Siciliana
Io nacqui dove il ciel ride sereno
Sovra l' isola bella, occhio de' mari ;
Dove si mescon candide
Scintillando a' mattini umidi e chiari
L'onde dell' Ionio e l'onde del Tirreno.
Quivi nel sol sfavillan le campagne
Tra 'l meridian silenzio susurranti,
E polverosi dormono
I fichi d'India su le rupi innanti
A una verde catena di montagne.
Sovra i golfi che curvansi incantati
Si specchian le marmoree ville in giro,
E tra verzieri floridi
Odon de' rivi queruli il sospiro
Moreschi bagni dagli aranci ombrati.
O tu che sei più bianca della spuma,
Vieni: la vela dell'amor ci attende:
I liti azzurri fremono
Odorando : dall' erta il gregge pende :
E l' Etna immane all' orizzonte fuma.
All' Etna
O rauco gridi all' ampia notte, e i flammei
Globi scagliando tra piovose brume,
Vesti le candide
Nevi d' un roseo
Mutabil lume;
O cheto fumi, e per la balza ondeggiano
Soli i castagni al tremulo gennaio,
E dalla stèrile
Vallata il bufolo
Mugghia al rovaio;
O sfavillante ergi nell' alba il vertice
Incoronato d' una striscia d' oro,
E dalle floride
Selve cinguettano
Gli augelli in coro;
Te invoco, Etna gigante : i nembi passano,
Come sfrenati mostri, a te dinante :
Tu resti immobile
All' aer fumido,
Etna gigante.
Te invoco, Etna gigante : a questa Italia
Bella, ove ride eterna primavera,
E al mar le acacie
Fiorenti odorano
Dalla costiera;
A questa Italia mia che varca il tempio
Sorridendo, e davanti a una colonna,
Tra un salmo e un cantico
In braccio a Iéova
Scinge la gonna;
A questa Italia mia che, i cigli languidi
Della man copre al raggio del pensiero,
Infondi libero
Del forte Empedocle
Lo spirto austero.
Aci balzar vedevi alle risa ilari
Di Galatea tra i salici fuggente,
Aci, d' un platano
Ombroso al murmure
Blando, dormente ;
E le Peri saltar brune sull' arabe
Cavalle, entro i zancléi portici neri,
E in arme ferrea
Lucenti e immobili
I cavalieri.
Or nulla è più ; ma tra le plebi invigila
L' odio fatal con funebre richiamo,
E intanto assidue
Preci Eva mormora
Sbirciando il ramo.
Sol dagli orti felici, ove zampillano,
Susurrando, del ver le fresche linfe,
Ai biondi arcangioli
Strette s'involano
Le glauche ninfe.
Tra bronzee lampe, entro marmoreo feretro,
Citera giace, nelle braccia avvinta
Della Magdalide,
D' un candor languido
Di perla tinta;
E in agil barca, effuse al petto morbido,
Come a giacinti floride, le anella,
Su la chet'aura
Idilli mormora
Iside bella.
Salute, Etna gigante: i numi passano,
Volan memorie e sogni a te dinante:
Tu resti immobile
All' aer fumido,
Etna gigante.
•Mi par di sentirli: i critici pachidermi barriranno, presso a poco, cosi:
Ippopotamo. — Un altro libro di versi! Che c'insegna? Che ci prova? Altro che versi ci vogliono a questi lumi! Franklin, Stephenson, Morse, questi sono i poeti della nostra età. Lasciateci dunque in pace, lattonzoli e impuberi ver-saiuoli; noi non abbiamo tempo da perdere nelle vostre sciocchezze , noi persone
gravi, noi.
mastodonte. — L'arte è una missione, il poeta un apostolo che le opinioni degli uomini, per mezzo degli affetti, dirige ; nient' altro la poesia che stromento di civiltà, inspiratrice di libertà, sacerdotessa di verità, fiaccola imperitura dell'umanità. Tirteo, Riga, Rouget de l'Isle, Berchet, altri poeti che questi non v' ha, de' quali unquanco la fama non perirà. Ma, per Dio, come si fa a sopportare una poesia che il clipeo, la spada e l'elmo di Scipio non ha?
Rinoceronte antidiluviano — M'andate parlando di patria! Ma Dio forse non c'è più? Una poesia atea! Quale orrore ! Io non so davvero perchè Dio non mandi il diluvio.
E i critici ortotteri di rimando:
Forficola. — Chi sono questi mostri che osano mettere le zanne e la proboscide in cose d'arte? Il giudizio delle cose d' arte non appartiene di diritto a noi, che abbiamo, fra l' altre, la facoltà d'entrare nelle orecchie e di penetrare nel cervello degli, uomini, per la qual cosa i Francesi, che sanno tutto, ci diedero il nome di perce-oreille? Veri e soli critici siam noi, e non possiamo perdonare a questo nuovo arrivato l'audacia d'imbandirci tali versi che non appartengono nè a questa nè a quella specie; e non sappiamo in quale casella gli abbiamo a mettere. Sono lirici, melici, elegiaci? A che scuola appartiene l'autore? É verista, é idealista? Uhm! chi indovina è bravo.
Blatta. — E non vi pare una sfacciataggine, anzi un vero sacrilegio, il presentarci un libro senza titolo latino e senza minuscole a' capoversi ? Ci fossero almeno di quelle frasi, dirò così, a retrocarica, aggettivi in umido, sostantivi in guazzo, sentimenti color chiaro di luna, strofettine a gocciole, versettini a singhiozzi ! Ma che ! neppur per sogno ! Al diavolo dunque l' arrogantello : chi nor è con noi è contro di noi ; ed io che son blatta cristiana, gli vo' per dispetto deporre le uova in un' orecchia, e dargli tanto fastidio, che, se non impazza, bisogna pur dire che lo pseudonimo di Hierro gli sta proprio a capello.
Locusta onnivora. — Prima di tutto, mio caro, la poesia lirica è lì lì per dare gli ultimi tratti ; poi se c'è uno che può salvarla, quel tale, modestia a parte, son io. E per salvarla, mio caro, altro mezzo non c'è che inocularle in un certo posto una dozzina di versi barbari al giorno, per comporre i quali, secondo l'e-stetica nuova, bisogna avere il sovrumano coraggio o, a dir propriamente, lo stomaco d'ingozzare le cispe d' Orazio, le càccole d'Alceo, le secrezioni biliose dell'Heine, le flatulenze dell'Hugo e il récere del Baudelaire. Tu arricci il naso, impertinente ? Va: tu mi fai compassione : codesti tuoi versiciattoli altro non sono che scombiccherature retoriche, esercitazioni arcadiche, defecazioni frugoniane. Puah !
Grillo talpa. — Tutto io perdonerei a questo giovanotto, se avesse celebrato sovra tutto i polpacci delle amanti, le scollacciature provocanti, i seni riluttanti., i femori fluttuanti e le voluttà spumeggianti delle donnette. Razza impotente e barbogia noi siamo, e la poesia, se qualche cosa vuol fare, bisogna che si adatti a far da coca, da fosforo e da stricnina.
*
Persisti ancora, mio caro Hierro, nel voler dare alle stampe questo tuo libro? A dirti la verità, io che son timorato, come sai, e rispetto e venero i critici, qualunque sia l' ordine e la famiglia cui appartengano, io ti consiglierei di rimetterti il volume in tasca, e seguitare a vivere in pace. Tu hai le tue buone ragioni, lo so; ma tu le conteresti a' birri, credi a me.
La bellezza delle tue liriche sta spesso nella profondità del concetto: esempio l'Ahasverus e l'Epopea umana, in un sentimento soave della Natura, esempio Per amica silentia lunae, Notte d'estate, In Maggio, Canto d' augelli e tante altre. L'ironia, che flagellando sorride, non ti fa difetto, esempio i Giambi. Hai delle trovate melodiche invidiabili, certe sfumature di sentimento, certe voluttà vereconde che inondano l' anima di soavi misteri. La tua frase è, per lo più, corretta ; la parola propria ; sempre adeguato all' argomento lo stile.
La Sicilia, specie Messina, tua patria, si riflette nell'anima tua giovanile, e l'anima tua si riflette ne' tuoi canti, come viso di fanciulla innamorata nelle acque tranquille di un lago. C'è freschezza di rive incantate, canto di sirene, sorriso di Morgane, aure sane di monti, fragranze di zàgare e d' alghe. L'Etna fa sentire di quando in quando i suoi profondi boati ; l'ombra d'Empedocle s'affaccia tra le fiamme ed il fumo del cratere; quella di Teocrito s'aggira tranquillamente per le valli fiorite. E Venere, l'eterna dea, scorre sulle onde vivaci dell'Ionio, e diffonde un lume sereno, una calma, una pace che tu ritrai grecamente nelle, ultime strofe alla Venere di Milo.
Io non disprezzo né disanimo i giovani dall' arte ; io li amo anzi e li ammiro, quando in secolo bottegaio e pettegolo come il nostro, invece di sciupare il tempo, l'ingegno e il carattere nello stillicidio pernicioso del giornalume , intendono seriamente e religiosamente al culto disinteressato della bellezza. A te poi voglio bene sopra molti, perchè all' ingegno insolito accoppj gravità di studj ed elevatezza d' animo non ordinaria ; sì che ti si possa dire senza scrupoli: Andrai, se te non vince o lode o sdegno, Lungi dell'arte a spaziar fra' campi. Ma, benchè non tema che l' affetto mi faccia velo al giudizio, pure non ti saprei coscienziosamente consigliare la stampa di questi versi, avuto il debito riguardo ai gusti sopraffini ed a' giudizj inappellabili de' sullodati messeri.
**
F. P. Frontini | Canto di carrettiere | G. A. Cesareo dal Don Juan |
1885
| Ricordi | milano |
F. P. Frontini | Nedda - cantilena | G. A. Cesareo dal Don Juan |
1887
| Venturini | firenze |
F. P. Frontini | Sogno Malese | G. A. Cesareo |
1884
| Ricordi | milano |
F. P. Frontini | Ottobre | G. A. Cesareo - cantilena popolare | | A. Pigna | milano |