Più volte, in note di diario e nelle “lettere al direttore” sull'“Omnibus” di Longanesi, Vitaliano Brancati confrontò il successo, la verbosità e le stranezze di Rapisardi all'insuccesso, al silenzio e all'assoluta “normalità” di Verga: e muoveva il confronto sullo sfondo della città di Catania, come sempre nelle sue pagine investita di comica luce.
Catania amava Rapisardi: il poeta che usciva col parapioggia, che portava con fiero cappello e una cravatta a fiocco; non poteva amare Giovanni Verga, che vestiva come un qualsiasi galantuomo, non era distratto, non faceva stramberie e parlava poco.
Lo zar di tutte le Russie veniva a sentire all'Ateneo catanese, le lezioni di Rapisardi; Garibaldi gli scriveva: “All'avanguardia del progresso, noi vi seguiremo”, e Victor Hugo, che non aveva nemmeno ringraziato Carducci per l'ode che gli aveva dedicato, a Rapisardi diceva: “Voi siete un precursore” (parole che il Municipio di Catania ha fatto incidere sotto il busto del poeta).
Tanto amava Rapisardi, il popolo catanese, che quando si seppe del tradimento della moglie, e il terzo era per l'appunto Giovanni Verga, ad esprimere solidarietà al poeta tradito i catanesi gli portarono sotto casa una festosa fiaccolata: il che, per un popolo che solitamente disprezza e dileggia i cornuti, è una strabiliante prova di affetto.
Nemmeno la tresca con la moglie di un amico, azione che di solito rende stimabile un uomo, in una società fitta di miti e vagheggiamenti erotici, riuscì a sollevare Giovanni Verga nella stima dei suoi concittadini: diventò anzi motivo di accresciuta avversione. ( tratto da Pirandello e la Sicilia, di Leonardo Sciascia.)
XIV (Poemetti)
Dopo tanti anni la rividi, oh quanto |
Chioma, che stretto avea con serpentine
Spire il mio cor, fatta era grigia, e come
Nebbia su' greppi d' una brulla rupe,
Le sue tempie lambiva in preda al vento.
Quel sopracciglio suo, che folto e bruno,
Al furiar d'un improvviso sdegno,
Uniasi all'altro, e fra l'eburnea fronte
E il fiammeggiar dei grandi occhi segnava
Una torbida striscia, onde più bello
Nel suo fiero pallor faceasi il volto,
Quel sopracciglio era spianato, e quasi
Stanco di raggrottarsi agl'improvvisi
Moti de la vorace anima, inerte
Stendeasi come lento arco, che tutti
Lanciò i suoi dardi e in polveroso oblio
A una vecchia parete immobil pende.
E le labbra, oh le labbra, a cui nell'alto
Abbandono di me tutto a ber diedi
Il più puro licor de la mia vita ;
Quelle labbra sì belle anco nel pianto,
Che nello sdegno, nel piacer, nell'ira
Avean tremiti arcani, e da cui tanta
Spirava aura di canti e di malìe :
Incantatrici labbra, ove ahi sì spesso
La bugia turpe o il meditato oltraggio
Toni usurpava di gentil fierezza,
Vezzi assumea di verginal candore,
Nappo vuoto or parean, che in geniali
Banchetti prodigato avea l'ebrezza
Al pensiero dell'uomo, e poi caduto
Di mano in man nell'umile bacheca
D'un rigattiere ebreo, la liberale
Bizzarria d'un Inglese indarno aspetta.
Rassegnata al dolore, alla vecchiezza,
Alla morte mi parve. Era un tramonto
D'autunno, e pe' viali ampi del bosco,
Odorati di musco e di languenti
Foglie (oh dolce stagione, a cui da tanto
Fascino il senso del morir vicino !)
In allegre brigate, in rilucenti
Cocchj ondeggiava la città, rapita
Un'ora, forse, alle diurne cure.
Passar la vidi senz'alcun rimpianto,
Senza un sospir. Ma quando al sole opposto
La rosea, vaporosa ombra sua vidi
Allungarsi al mio piede, e lentamente
Confondersi con altre ombre e sparire ;
Quando pensai che dietro a quella umana
Ombra io sfiorato avea le più superbe
Rose della mia vita, un sentimento,
Non so se d'ira o di pietà, m'invase
Tutto, a un punto; contrassi ad un amaro
Ghigno le labbra, ma fra le contratte
Labbra insieme sentii, non meno amara,
Insinuarsi una cocente stilla .
(Mario Rapisardi)
Egli muore nel 1912 a Catania: al suo funerale parteciparono oltre 150.000 persone,con rappresentanze ufficiali che giunsero addirittura da Tunisi.
Catania tenne il lutto per tre giorni.
nn capisco cm si dice il cognomeeeeeeee
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