Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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venerdì 10 febbraio 2017

Francesco Paolo Frontini - Corriere Musicale dei Piccoli


Corriere Musicale dei Piccoli - rubrica d'oro 1926



Pochissimi, fra i lettori del < Corriere Musicale dei Piccoli », potranno dire di non conoscere il nome del celebre compositore Catanese F. P. Frontini il quale, nonostante la sua proverbiale modestia — accompagnatasi ad una innata, ormai invincibile timidezza — ha imposto magnificamente il suo nome in Italia e all'estero. Cosi le diverse centinaia di composizioni per pianoforte e melodie per canto e pianoforte sono penetrale a poco a poco in tulli i salotti dove si fa della musica, dopo avere riscosso il plauso più fervido da parte della critica ufficiale ila-liana e straniera. Riviste e giornali di prim'ordine tedeschi, inglesi, svizzeri, greci, francesi, spagnoli, americani, si occupano incessantemente, da molti anni, detta produzione musicale del Maestro Frontini che è di una fecondità straordinaria.

Non è possibile pensare di poter segnare qui i suoi pezzi, quando se ne contano circa duecento nel solo catalogo della Casa Editrice Musicale A. & C. Carisch & C. di Milano, ed altre case ancora (p. es. Forlivesi, Ricordi, Sonzogno) hanno stampata sue composizioni, molte delle quali diventate già popolarissime, e fra queste citiamo appena, a caso, : Sérénade Arabe ; Menuet in la mag. ; Capricieuse; Souvenir de Chopìn ; Vox animae; Sogno di marinaro; Petit montagnard; Canzone di strada; Retour au village; Tzigane; Danza spagnola; Danza sacra orientale; Schizzi della trincèa: (Letterina alla mamma, Preghiera del soldato, La notte).

Il maestro Frontini ha un'impronta personale, una struttura così caratteristica che non i possibile confonderla con nessun'altra del genere. E forse la spiegazione principale sta in questo : egli ha saputo attingere alle fonti pure e incontaminate dell'anima popolare siciliana; anima appassionala e ricca di tendenze musicali della quale il suo spirito di artista delicato e sincero ha intuito le profondità e la bellezza. Giovanissimo, sentì già il bisogno di far conoscere al mondo i più caratteristici canti del popolo siciliano, riunendone, sotto il titolo ; Eco di Sicilia, una cinquantina dei più rappresentativi, che il Ricordi lanciò a suo tempo, con strepitoso successo, in una magnifica edizione, più volte ripetuta.
Ha scritto anche per il teatro diverse opere (Nella, Sansone, Aleramo, Malia, Il Falconiere, Fatalità) delle quali Malìa, su libretto del grande scomparso Luigi Capuana, fu trionfalmente rappresentata a Bologna, Catania, Milano, Trapani, Siracusa, Torino, ed altre città. Pare che a Catania si ridarà presto, per opera di un comitato locale.

Ma la vita febbrile della grande Milano, dove il giovane Maestro si era domicilialo, non riuscì a vincere il possente fascino che Catania, la sua amata città natia, ha sempre esercitato su la sua anima nostalgica. Così che ad un certo punto, il giovane maestro, assetato di sole e di azzurro, abbandonò definitivamente Milano per vivere nella sua settecentesca Catania, nella patria di Bellini, dal quale il Frontini ha, senza dubbio, ereditato non poca dell'inesauribile vena melodica.

Egli vive solitario, pago dell'affetto del figli e della incancellabile gratitudine che i suoi innumerevoli discepoli vecchi e giovani, vicini e lontani, non possono fare a meno di manifestargli, in ogni occasione. Tutto il suo mondo è la sua stanza dalle pareti letteralmente ricoperte di quadri, dove si notano opere di sommi e ingenui tentativi di dilettanti: tutti omaggi di ammiratori, tutte prove di gratitudine verso l'artista che ha saputo dare con le sue divine note, momenti di felicità a tanti cuori umani. Su due guéridons secenteschi, che stanno in un angolo dello studio, in penombra, si nota subito un numero infinito di bibelots e di oggettini vari dalle forme più strane e più bizzarre : tutta roba proveniente dai più remoti punti della terra, tutti ricordi di suoi amati discepoli, molti dei quali vivono in lontanissime terre di Asia, America, Africa ed Oceania. Molti dolori e più di un lutto hanno martorialo l'animo dell' illustre uomo ; ma l'Arte è stata la sua forza e la sua salvezza . 
Le sue pupille azzurre, vivaci e penetranti, nulla hanno perduto della loro fiamma interiore che le rende ricche di forza e di fascino, la sua figura elegante e caratteristica (un tempo a Catania, mi é stato detto, fu di moda il cappello alla Frontini) nulla ha perduto della sveltezza giovanile e del vigore di una volta; e pochi, forse, dei suoi cari concittadini pensano che l'illustre maestro abbia superato la sessantina.
La sua vita modesta ed austera è ancora l'espressione del suo temperamento che rifugge da tutte le artifiziose esteriorità; è tutt'uno con la semplicità melodica e armonica, senza astruserie e banalità, che impronta la sua musica.

Siamo lieti di poter pubblicare un pezzo che Egli ha scritto appositamente per i nostri piccoli lettori, i quali impareranno ad amare e ad apprezzare sempre più questo delicato e grande artista che onora la sua patria.
Alessio Karassik.

sabato 12 novembre 2016

Celebrazioni per il centenario della morte di Luigi Capuana

Malìa - aspettando che qualche "buon santo" si decida a riproporla in Sicilia, volendo anche a Bologna...    :) prima che io muoia.



Celebrazioni per il centenario della morte di Luigi Capuana -Teatro Sangiorgi

- Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania - E.A.R. Teatro Massimo Bellini - Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale

"Letteratura e musica al tempo di Capuana"
Introduzione
Maria Rosa De Luca e Rosalba Galvagno
Concerto
Giuseppe Senfett, pianista
musiche di Francesco Paolo Frontini
Letture
Angelo Tosto
Catania 11.11.2016

"la storia di Malìa" Letture di Angelo Tosto


Giuseppe Senfett in fantasia per pianoforte dell'opera Malìa.



venerdì 21 ottobre 2016

Malìa


Malìa è un'opera in tre atti di Francesco Paolo Frontini, su libretto di Luigi Capuana.

La prima rappresentazione avvenne al teatro Brunetti (oggi Duse) di Bologna, il 30 maggio 1893.



Malìa ha questo grande pregio indiscutibile, di essere una fonte preziosa alla quale si può attingere, se si vuole conoscere veramente l'anima musicale siciliana, di cui Francesco Paolo Frontini è il più degno rappresentante.
Piantai un fiore nel mese d'aprile,
Nel maggio mi sbocciò rosso avvampante ;
Quel fiore siete voi, donna gentile,
Fioriste nel mio cor, donna galante.
COLA - atto I scena V
L'ultimo decennio del secolo diciannovesimo — definito per antonomasia la primavera della nuova arte musicale italiana — passa oggi quasi inosservato.

Quella certa stabilità che allora pareva dovesse conservare l'arte musicale italiana fino alla meravigliosa evoluzione verdiana, sboccò tutto a un tratto in un verismo provinciale che, secondo valutazioni errate, avrebbe dovuto essere il punto di riferimento di una nuova concezione dell'arte e quindi di una nuova estetica musicale.

L'influenza mascagniana aveva fatto passare quasi inosservato l'apice della ascensione artistica diGiuseppe Verdi, perchè il « fattaccio » di cronaca quotidiana aveva cominciato a stendere un velo di incomprensione sul significato altissimo dell'ultima parola verdiana.

La divergenza verista affiorata improvvisamente sul decadentismo ottocentesco, trovò contro la sua spinta iniziale una corrente opposta nell'impressionismo che già aveva cominciato a far capolino, riuscendo poi a travolgere anche quel po' di Wagnerismo rimasto latente, malgrado l'infiltrazione incontenibile e la base solida che si era ormai costruita in Italia.

Cosicché all'inizio del ventesimo secolo vediamo scomparire non solo la parentesi verista, ma anche il pericolo teutonico a base di leitmotiv e di pesantezza sonora.

La conseguenza fu naturalmente questa, che l'ultimo slancio di ispirazione del genio di Verdi non trovando motivo di paragone con la nuova concezione musicale dell'ultimo decennio non completamente sviluppata ma allacciandosi al giocondo spirito rossiniano, rimase senza eco, mentre la nuova corrente che faceva capo a Mascagni di Cavalleria scompariva completamente nel giro di pochi anni e con essa, venivano anche a mancare i tentativi dignitosi di Giordano, di Cilea, ecc.

Ma il periodo, per quanto di breve durata, ebbe allora frutti insperati e conserva tuttora, dopo il trapasso dei tesori nascosti.

Il verismo sulla scena aveva fatto accapponare la pelle a quella parte di pubblico italiano meno adusato alla violenza del carattere e più incline alla irrealtà sdolcinata, cosa del resto che è nella stessa essenza dell'arte musicale.

Ma nelle regioni meridionali dove l'elemento ideale è tutto intessuto di tragicità e di violenza, il verismo trasportato sul palcoscenico, centuplicava la sensazione della realtà, riuscendo a trascinare e a conquistare la massa.

E se si riflette che l'anima popolare del mezzogiorno canta per istinto, per natura, per necessità dello spirito, ben si deduce che un'arte basata su elementi melodici, folkloristici e passionali è forse l'unica che risponda alla comprensione di quel popolo.

Arte regionale, ne conveniamo pienamente, ma arte nel senso assoluto della parola, arte che sa scegliere i sentimenti più reconditi, che sa dire una parola propria, che sa trascinare.

Pensavo a tutto questo rileggendo quel mirabile finale, secondo di Malìa la bella opera di F. Paolo Frontini, la scena cioè in cui tutti gli elementi tragici, passionali, idealmente amorosi e superstiziosamente violenti, culminano nella maledizione estrema al simulacro della Madonna, trascinato sotto le finestre di Jana dal popolo devoto.

Grido infernale e di dannazione, schianto angoscioso di follia insana contro la fede immensa che sovrasta sul cuore dei popolani, muti dinanzi al mistero della Divinità.

Scena di verismo crudo, brutale, che è però fatale conseguenza di passione soffocata, annientata dalla inesorabilità del destino, che si accanisce contro un'anima fragile, sensibilissima.

La musica coglie appunto il senso più dolce della tragedia umana e descrive il tumulto delle passioni in un canto che si snoda a sussulti e a singhiozzi e a frasi larghe di disperazione e di violenza in cui però predomina sempre il cuore.

Il popolo siciliano è unico nell'offrire questo strano contrasto di dolcezza tragica e violenta !
C'è forse bisogno di ricorrere al pletorico, all'assordante, a tutti i mezzi di cui dispone la scienza per descrivere il dramma che si compie in un minuto?

L'anima siciliana si ribella alla confusione: semplice, lineare, tanto nell'intrecciare un idillio quanto nel concludere una partita « d'onore », ha bisogno solo di chiarezza e di comprensione.

L'arte deve essere la sua, i canti devono essere i suoi, l'espressione deve dire tutta la forza del sentimento che si nasconde nel cuore per il quale sentimento non ci sono finzioni, ne restrizioni, ma deve svolgere puro e semplice Verismo.

Ecco perchè il fortunato tentativo mascagniano di portare sul teatro di musica il rapido dramma diGiovanni Verga trovò salde e profonde radici nel mezzogiorno, dove parve sollevare d'un tratto un'ondata di passione ardente.

Ma la concezione frontiniana, se si riallaccia per un momento al tentativo verista, si distacca profondamente, come essenza e come idealità, da tutto ciò che di caduco e di convenzionale si trova inevitabilmente in questo genere.

Per capir questo, bisogna partire da un punto di vista completamente diverso di quello di coloro i quali trovarono una facile via di ispirazione in una espressione artistica, che sembra a prima vista accessibile anche ai più refrattari.

La descrizione della vita vissuta e l'estrinsecazione dei sentimenti che si agitano, può suggerire è vero, mezzi facili di espressività artistica ma trascina spesso al convenzionalismo volgare e insufficiente per assurgere a dignità di arte; convenzionalismo del resto, che rimane confinato in un vicolo cieco senza speranza di espansione e di conquista.
Ma nell'arte di F. Paolo Frontini, oltre alla sincerità evidente di una ispirazione non contagiata da influenze discutibili, abbiamo elementi tali di coloriti regionale e slanci di passionalità tutta siciliana, da farci considerare la sua Malìa non alla stregua di altre opere dello stesso genere ma, presa isolatamente, come il prodotto più spontaneo di un'arte tipicamente genuina.

La semplicità dei mezzi di espressione è la sola che potesse mettere in rilievo tutta la forza di ispirazione, che si rivela in una linea ininterrotta di melodicità veramente sentita; l'elemento folkloristico, di cui è tutta imbevuta quest'opera d'arte aggiunge al pregio della spontaneità un valore intrinseco come esempio tipico di arte regionale, e il dramma della superstizione e dell'amore accentua quel senso di umanità che sulla scena ogni tanto non fa male.

E' inutile cercare nella musica di F. Paolo Frontini la dissertazione, la ricercatezza studiata, la pedanteria accademica, la confusione, la stiracchiatura fatta coi denti.

Tutta la sua produzione, dai piccoli componimenti per pianoforte all'«opera», reca un'unica impronta.

La fonte di ispirazione è una sola, come unico diventa il mezzo di tradurre in espressione sonora il senso ultimo della propria spiritualità.

Il tragico e l'idilliaco sboccano sempre in frasi melodiche che traducono l'affanno e la calma. 
La concitazione è melodia, come è melodia l'amore. I sussulti nervosi, isterici, non diventano pesantezze armoniche o pletoricità orchestrali: contrasterebbero non solo con la natura dell'artista ma sarebbero in contraddizione col folklore siciliano.

Malia, nella sua veste semplice e tipica trascina alla meditazione e, per chi sente scorrere nelle proprie vene tutto il calore del sangue generoso, par che il profumo di zagara si espandi nell'aria come per mitigare la nausea della caducità delle cose di questo mondo.
Ma c'è l'ammonimento severo, ed è questo, che se l'arte di Scarlatti o di Vincenzo Bellini diventò arte nazionale, anche l'opera folkloristica può offrirci un motivo di evoluzione e un modello sincero di espressione spirituale popolare.

Se non fosse per tutto quanto e stato detto avanti, Malìa ha questo grande pregio indiscutibile, di essere una fonte preziosa alla quale si può attingere, se si vuole conoscere veramente l'anima musicale siciliana, di cui F. Paolo Frontini è il più degno rappresentante.

Nella evoluzione che si compie ineluttabilmente, soltanto l'oblio è imperdonabile nelle cose belle



lunedì 22 dicembre 2014

Natale Siciliano ed. De Marchi 1904

"C'è nei canti del popolo siciliano una particolare nota, che li farebbe distinguere fra quelli
di mille altri popoli, ed è una nota di signorilità: quasi una sprezzatura per tutto ciò che è volgare e scurrile"
Gesualdo Manzella Frontini (Delta - 1923)

 8437   N. 1. Litania e Pastorale della cornamusa (Pianoforte) .
18438   » 2. Canzone di Natale (Canto e Pianoforte).    ...
18439   » 3. Zampognata (Pianoforte).    ........
18440   » 4. Pastorale (Canto e Pianoforte).      
18441   » 5. Il Natale cantato dagli orbi.    .....
18442   » 6. Canzonetta per la Novena (Pianoforte) .... 1904 (Natale Siciliano - Ed. De Marchi)


IL    NATALE
1. Litania e Pastorale della Cornamusa
2. Canzonetta Natalizia - N. 1
3. Canzonetta Natalizia - N. 2
4. La nascita del Bambino Gesù   (Catania)
5. La nascita del Bambino Gesù  (Palermo)
6. Pastorale       .......
7. Canzone di Natale        .....
8. A Gesù Bambino - N. 1
9. A Gesù Bambino - N. 2     .
10. Canzonetta di pastori   .....
11. Tantum ergo (Pastorale) ....
CANTI VARI
12. Litania (della beata Vergine Maria) .
13. Preghiera a Maria Vergine (pel mese di Maggio)
14. Un saluto a Maria SS. ....
15. Alla Regina del cielo .....
16. E viva Maria !......
17. Canzoncina dopo la Benedizione Eucaristica
18. Al SS. Sacramento .....
19. Rosario del SS. Sacramento
20. Gloria Patri ......
21. Pange lingua .....
22. Pange lingua ......

CON questi "CANTI RELIGIOSI"(1938), in cui si rispecchia l'aspetto mistico dell'anima del popolo siciliano, completo la raccolta dei Canti popolari della mia Isola, iniziata nel 1883 (Eco della Sicilia - Ed. Ricordi) e proseguita nel 1890 (Canti della Sicilia • Ed. Forlivesi) nel 1904 (Natale Siciliano - Ed. De Marchi) e nel 1936(Antiche canzoni di Sicilia -Ed. Carisch S. A.)
Il testo italiano di alcune canzoncine sacre - o per Natale o in lode della Vergine SS. - deve attribuirsi principalmente al rapido diffondersi nelle chiese, delle poesiole sacre che S. Alfonso M. De' Liguori racchiuse nel suo libretto di devozione "Massime eterne„; l'esempio del Santo non tardò di essere imitato da ignoti poeti.
E' da notarsi però, che ogni melodia - sia monodica che corale che riveste il testo italiano - rispecchia intatti i caratteri etnofonici del canto popolare siciliano.
Anche questa - come le mie precedenti raccolte - comprende canti in prevalenza della provincia di Catania, e la maggior parte di essi appartengono al secolo XIX. F. P. Frontini






domenica 18 maggio 2014

Medio Evo - poemetto del 1898

 Medio Evo
di
Lucio Costanzo
Musiche di Francesco Paolo Frontini
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro dei Fiorentini, 28/01/1899
cantato dall'artista Bice Carelli (figlia di Beniamino Carelli, uno dei grandi maestri di canto ultimo di scuola napoletana) - Concerto Picone



MEDIO EVO è una leggenda del giovane poeta Lucio Costanzo, musicata da un artista di nome caro ed illustre, il maestro Francesco Paolo Frontini.


Il fatto si svolge rapidamente in un prologo e cinque parti: Un principe , alla vigilia delle nozze, galoppa felicemente verso il castello della sua fanciulla. che lo aspetta ansiosamente dall'alto di una torre. Per l'amore, che sta per essere suggellato dal matrimonio, il cavaliere offre alla castellana una croce d'oro, che ebbe in ricordo dalla madre moribonda. Sin qui l'amore è fiorito serenamente nei due giovani cuori; ora la croce svela un orrendo mistero, i due amanti appassionati sono fratello e sorella, l'avvenire di gioia è sparito, la felicità distrutta; la giovane desolata piange disperatamente la morte del fratello e dell' amore. 

Il modo sintetico con cui il fatto è presentato, se da un canto impressiona di più per la evidenza e il rilievo dei punti più drammatici e importanti, dall'altro lascia in chi legge od ascolta, un desiderio giusto d'una rivelazione maggiore delle cause che, così com'è la poesia, nel sentimento e nell'armonia del verso, bisogna argomentare interamente dagli effetti. Una ragione potrebbe giustificare abbastanza questo passaggio rapido da un momento psichico all'altro, lasciando che il pubblico indovini tutto il resto: La ristrettezza imposta dalla forma in cui si è voluto presentar la leggenda, per dare all'arte una produzione nuova per la scuola musicale italiana.

Però il maestro, trovando un'eco appassionata e profonda nell'anima sua al sentimento della lirica, ha saputo svolgere con la musica le idee che il poeta è stato costretto ad accennare semplicemente. Così il prologo, in gran parte di genere descrittivo, dice dell'ansia del cavaliere e della foga dei cavalli, del pulpito della castellana e del frastuono dei ponti che si abbassano per fare entrar la cavalcata; e all'incontro dei due cuori, la melodia, con cambiamento di ritmo e di tempo rivela la dolce commozione di quelle anime che ambiscono l'amplesso supremo. Così, di parte in parte dai sogni gentili in cui lo spirito si slancia per delirio sublime di voluttà, alla gioia reale di amare e di sentirsi amati, la musica eccita e spiega l'incanto che soltanto le note sanno dare nel loro mistero soave. 

Venuto però il momento triste, la melodia è tutt'altra, è l'espressione del dolore che si svela ad un tratto nel la crudele semplicità del vero. Allora sorge spontaneo il rimpianto, e con felice trovata da artista, il Frontini fa ripetere la frase dei sogni dell'amore, quando al dolore presente si contrappongono, per antitesi naturale, i ricordi carissimi della felicità passata che non può rivivere più.

Il lavoro per la sua originalità, per l'eleganza del verso e l'elevatezza dei concetti melodici, è tale d'attirarsi, come ha fatto, la simpatia del pubblico. 

Celestino Mohor - Sancio Panza 1899 Catania




** Lettera di Jules Massenet 
"ho letto le vostre composizioni e vi dico con gran piacere la bellezza che v' ho ritrovato. Quella musica m'ha fatto desiderare di confidarvi le mie impressioni. Invidio le vostre opere e voi scrivete in una lingua musicale che io amo!"

PROLOGO - (la Cavalcata).

Galoppa nel bosco per l'aspro sentiero 
un principe ricco di gioie e beltà, 
ha cento scudieri ed un solo pensiero; 
la donna che sposa domani farà.

Ed ella da l'agile torre merlata
lo scopre e ne gli occhi le splende l'amor, 
e sprona col core la sua cavalcata 
che vola ed arriva con lieto furor.

Già calano i ponti, la sposa gentile 
riceve l'amore, felice così, 
l'amore che in vita le schiude l'aprile, 
l'amor che due cori in un palpito unì.


I - (Sogno d'amore).

IL cavalier che il cielo mi destina 
m' ha dedicato il cor, 
ha giurato ch' io son la sua regina 
ed egli è il mio signor.

T'amo, fulgente sol de la mia vita, 
piena per te d'incanti, 
t'amo ne la delizia indefinita 
dei baci inebrianti.

E allor che l'elsa invitta ti saprò 
fiera de la vittoria, 
qual genio de l'amor ti seguirò, 
gloria de la tua gloria !


II - (Addio al castello).

Addio, vecchio castello, in cui si svolse 
il fior del viver mio, 
un altro amore a l'amor tuo mi tolse, 
vecchio castello, addio!

Io ti lascio e ti piango ! le tue mura

sono tutto un passato; 
cangia per me la vita e la ventura 
ma non ti avrò scordato.

La tua memoria in me sempre fiorisce 
nel trionfo de l'amore, 
se ad ogni idea che se ne va finisce 

una parte di core !

III - (la Croce).

L'amore mio m' ha dato un'aurea croce 
in pegno de l'affetto, 
sussurrando dolcissimo la voce: -
« Portala sempre al petto.

« Sacro ricordo è de la madre mia 
« che morendo mi diè ; 
« porta inciso il mio nome e sempre sia 
« ricordo caro a te !  »  -

Io l'adoro ! chè a l'anima rivela 
di lui la gioventù, 
e l'amor suo che la mia vita anela 
per non lasciarlo più !


IV - (Mistero).

Croce fatal!... svelando il tuo passato 
il cor m' hai crocifisso, 
l'amore mio sublime e sventurato 
lanciando ne l'abisso!

La speranza tramonta.... ed il desìo 
cordoglio è divenuto.... 
Idol diletto, tu del padre mio 
tu sei figlio perduto!

Addio, sguardi d'amore, addio sorrisi, 
sorrisi che adorai!... 
Nel cor vi sento eternamente incisi 
ma non vi avrò più mai!


V - (Schianto !)

Morto !... morto !... per sempre irrigidito 
il braccio suo diventa.... 

il dolce suon de la voce è finito.... 
la sua pupilla è spenta!

Perchè ?... perchè cangiar sogno divino 
in desolato pianto ?
Perchè ?... perchè conquidere il destino 
il nostro amore santo ?

Ma tu non senti più la mia parola.... 
finì la nostra sorte!... 
Fratello mio!...or derelitta e sola 

resto a invocar la morte !

***

Come si vede, in sei gruppi di strofe, di dodici versi ciascuno è svolta una leggenda del contenuto eminentemente drammatico, e la cui tela avrebbe potuto servire ad un voluminoso romanzo o ad un lungo dramma.
Questo è secondo me il merito principale del componimento poetico del Sig. Costanzo, il quale ha saputo condensare in quei sei brevissimi canti uno straziante episodio d'amore condannato dal destino. E tanto più ammirevole ne riesce l' arte, quando si pensi che la forma non è narrativa impersonale, ma rappresenta lo sfogo di un'anima dapprima in giubilo, e poi in pena, la quale in piena dei suoi affetti canta e rivela lo strazio dei varii episodii del suo amore. Il componimento ha dunque la forma del monologo prescelta appunto per le esigenze della musica da sola. Solo ha forma narrativa impersonale il prologo il quale può a parer mio esser detto anche dalla stessa voce che da principio narra impersonalmente la corsa del cavaliere baldo di fede e di cuore, che corre ad impalmare la bella castellana, e quindi la stessa voce immedesimandosi nell'episodio, e fare suoi gli sfoghi dell'amorosa fidanzata sacrificata cosi crudelmente dalla fatale rivelazione d'una crocetta regalatale dal cavaliere.
Il compito adunque tanto difficile di condensare in poche strofe tutta la tela dell'episodio, e, sotto forma di monologo, è stato superato dal Costanzo tanto felicemente, da rendere propizia la via al maestro compositore.
I versi poi sono così scorrevoli, e la forma così sobria, la dizione cosi schietta, e scevra di ricercatezza che danno vita e colorito efficace ai vari episodi   ed   ai vari affetti   che vi si concatenano.
Su questi versi e su questa tela il nostro maestro F. P. Frontini ha intessuto le sue melodie, che pregustate in qualche salotto, hanno già fatto parlare tanto benevolmente la Stampa prima della loro pubblicazione. 
Corriere di Catania, Delta


 Medio Evo - La musica


Proseguendo la recensione del nuovo lavoro del M. Frontini, mi studierò di fornire ai lettori un sommario della parte musicale.


Il prologo si apre con un movimento caratteristico in re bemol edel solo pianoforte, in tempo 3|8 con qualche intermezzo di battute in sei; in modo che l'insieme ritmico riesce mimetico dello scalpitio di cavalli, questo movimento prosegue nei bassi ancora quando la  voce con un canto declamato svolge le prime due strofe.

L'intento artistico è raggiunto con tale perfezione che non solo si resta ammirati nella parte descrittiva del pianoforte, per la felice imitazione, ma nel successivo insieme col canto, si hanno contemporaneamente presenti le rappresentazioni della corsa del cavaliero, e quella  dei pensieri che lo dominano in quel momento, svolti dal canto.
Questa frase declamata esce quindi in una frase larga in tempo 6|agli ultimi due versi: L'amore che in vita le schiude l'aprile....  che ferma opportunamente l'attenzione sul concetto espresso dalle parole.
E il prologo viene chiuso con parecchie battute del solo pianoforte che torna al primo tempo e ritmo.

I - Sogno d'amore. 
Segue questa melodia nella quale la bella castellana in attesa del cavaliero dà sfogo alla piena dei suoi affetti e delle sue gioie con un canto appassionato, andante in la bemolle, mentre il basso riproduce, come eco lontana, la melodia che i cantini accompagnano con ritmo di crome sulle note acute.
E in questo canto il Frontini trasfonde tutta la passione che l'animo suo di artista ispirato gli suole suscitare, specialmente alla frase «t'amo fulgente sol... » che prorompe dopo una battuta di pausa,  con un  fa minima.
La melodia si chiude con un pianissimo alla parola «t'amo» ripetuta per due battute interrotte da una battuta di pausa, su due note decrescenti, e con sapiente monotonia d'accordo da tradurre insieme la dolcezza ineffabile di quella espressione.

II - Addio al castello.

La bella castellana sul punto di correre fra le braccia del suo amore, e di abbandonare il natio castello, gli rivolge l'ultimo addio con una melodia in sol minore che comincia sulla quarta del tono e precede con accompagnamento pesante di semiminime, come a denotare la tristezza di quel saluto; alla quale viene ancora accresciuto il colorito e l'espressione dalla frase: «Se ad ogni idea che se ne va, finisce - una parte di core... » tessuta su note basse del canto.

E qui la melodia, il cui stile comincia ad elevarsi, riproduce cosi fedelmente la dolce malinconia dell'abbandono, tanto nella tessitura della frase musicale come nel colorito del tono minore, che compenetra della situazione e commuove addirittura.

III - La croce. 
Qui l' amorosa. castellana ricorda il dono di una crocetta fattale dal suo fidanzato quale prezioso talismano.
E la melodia in do maggiore, con andamento largo, in tempo 2|4, con accompagnamento sincopato sul violino segue il concetto del misterioso regalo a cui un presentimento indeterminato, sovrasta quasi, da principio, per diminuire il godimento, finchè il canto erompe in una frase appassionata alle parole «Io l' adoro... (la croce)» in cui cangia il movimento dei bassi e cangia la tessitura, come per l' erompere di un affetto prepotente che vince ogni preoccupazione incosciente.

IV - Mistero. 
I sogni d'ebbrezza sono  distratti. La castellana ardente d' amore ha riconosciuto ,  con quella crocetta, che l' amante è suo fratello.
La rivelazione è preceduta da poche battute del pianoforte, con una frase ad andamento largo, la quale si ripete fra la prima e la seconda strofa; e la melodia s' apre in mi minore , con una tale tessitura di note che lo stile cessa di avere la caratteristica da sala, e raggiunge l' altezza di stile d' opera; quindi la melodia passa nel tono maggiore alla frase :  Addio Sguardi d' Amore che dà più segnatamente l' impronta di romanza d' Opera, a questa bella melodia della quale l' arte e l' ispirazione hanno fatto un piccolo capolavoro, il cui pregio è accresciuto da certe alterazioni di tono, e movimenti di biscrome nei bassi, di effetto originale.

V - Schianto ! 
L' amore è morto, violentemente ucciso dal Destino. Non resta che il pianto e la disperazione.
Il pianoforte preludia a solo, sotto cinque battute di pausa nel canto , lo schianto di quell'anima in pena, con accenni gravi fraseggiati e accompagna in la minore con note pesanti, tenute, un declamato su note basse. 
Succede un tempo di marcia funebre per pianoforte, mentre la voce piange un canto che sfiora l' altro alle parole « perchè ? perchè ?» e la frase del pianoforte con un crescendo molto sensibile va a risolvere in una frase straziante interrotta dalla voce che, come un singhiozzo grida: Morto ! . Indi ripetendosi la frase del« Sogno d' amore » in contrasto coll'attuale momento psicologico di suprema disperazione, con un tremulo nel violino, la voce a frasi spezzate canta:  Ma tu non senti più la mia parola » finchè finisce ancora, come eco di dolore, col grido ripetuto « Morto ! .

Celestino Mohor - Sancio Panza 1899  - Catania


Anche per orchestra
La partitura di Frontini prevede l'utilizzo di:
flauti, oboi, clarinetti in sib, fagotti
corni in Mi b, timpani, arpa, archi.




* Il poema "Medio Evo" musicato da Francesco Paolo Frontini è stato scritto da Lucio Costanzo, nato a Mineo nel 1872 da Giuseppe e da Marianna Cirrone. Autore di altri componimenti poetici, tra cui "Il Veltro" pubblicato da Giannotta editore di Catania. Il padre era uno dei più cari amici di Luigi Capuana che lui stesso conobbe e frequentò. Egli stesso era un bravo musicista e compose sopratutto dei valzer. Insegnò al Liceo Cutelli di Catania, ove morì negli anni 30, non avendo avuto figli dal matrimonio. Questa breve biografia è tratta da memorie di famiglia. Vincenzo G. Costanzo.

martedì 1 aprile 2014

Domenico Milelli un poeta dimenticato (Catanzaro 1841 – Palermo 1905)

"Tu che venduta l'anima all'incanto
Or godi e dormi come un buon borghese.."

"Domenico Milelli, non poco genio e molta sregolatezza, canto' e visse da refrattario, pagando in privazioni e in persecuzioni la sua fedelta' alle idee rivoluzionarie e a uno stile di vita non conformista. Ex seminarista, volontario garibaldino, animatore di circoli scapigliati, professore di scuola media piu' volte sospeso e revocato, si affermo' come poeta dal temperamento esuberante, con speciale predilezione per l'epos e l'eros, spesso associati nei suoi versi. (...) La vita raminga, la poverta' inseparabile, l'estraneita' alla societa' ufficiale, la produzione disordinata ma spesso eccellente, la coerenza ideale collocano Domenico Milelli fra i piu' rappresentativi interpreti di una "boheme" italiana, di schietta radice meridionale" (Pier Carlo Masini, Poeti della rivolta", Milano, Rizzoli, 1978; pag. 129).


A Domenico Milelli nobile poeta dimenticato della mia forte e nobile Calabria. Saggio di Federico Turano (circolo Calabrese di Roma) 
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In una delicata pagina per Aurelio Costanzo, giovanissimo autore, in quell'aureo periodo di rinascita delle lettere in Italia, di quella poesia che tanto piace e va direttamente al core.

Io  canto  come  canta l'alma mia 
perchè  son certo  che non  erra  mai 
che parla sempre  come parla il core...

l'ignorato poeta dell'anima squisitamente gentile, schietto ed aborrente della finzione, innamorato della bellezza, ma già pervaso da un'onda di vago scetticismo, frutto di delusioni e di disinganni, ad un tratto si domanda bruscamente :
—- Che cosa sarà mai del Costanzo in avvenire, quando messo più da vicino a contatto del mondo, sperimenterà davvero gli uomini e la vita? — Sarà un miracolo — risponde — se egli continuerà a credere e ad amare.
Noi, peraltro, che non la pretendiamo nè ad infallibili,  nè a profeti,  abbiamo una  nostra idea sul proposito e la vogliamo dire proprio tale e quale ci frulla pel capo.
O egli, il Costanzo, dovrà finire e turarsi la bocca o, continuando, dovrà mutare registro.
In questa triste e difficile vicenda, l'ultima sua canzone sarà il contrapposto esattissimo di tutte quelle pubblicate finora come l'odio è il contrapposto dell'amore, come la morte è il contrapposto della vita.
Tale era lo stato d'animo del nostro Poeta dimenticato che la sua vita trascorse in quel mondo d'illusi, di superbi e di pitocchi, di gente, insomma, che nell'ora stessa, ride e soffre e soffre per colpa propria;

Perchè rido e in cor mi piange 
il dolor dell'allegrezza? 
Perchè piango e in cor mi aride
l'allegria della tristezza?

si domanda il rapsoda, che l'allegria della tristezza più di tutti conobbe. 
IL POETA «BOHÉMIEN».
Era allora il periodo più acuto della cosidetta Bohème letteraria ed artistica che anche l'Italia ha avuto a simiglianza della Francia.
Ne hanno fatto parte artisti come Ercole Rosa, romanzieri come Giuseppe Rovani ed Iginio Ugo Tarchetti ; poeti come Emilio Praga, Arrigo Boito, Ferdinando Fontana.
E Domenico Milelli fu veramente l'ultimo poe-bohèmien.
La Calabria « dai clivi e rivi diffusi di smeraldo ai rai del sole » gli aveva dato i natali sulla metà del secolo scorso e quella naturale abbondanza immaginosa e coloritriee di che egli inondava i versi che declamava, peregrinando di loco in loco.
Trovatore errante, fu il vero e l'ultimo di quei bohèmiens che da ogni convenzionalismo e da ogni dogma si staccano e della vita si formano una particolare concentrazione che si nutre di chimere e di sogni e si riassume nella sregolatezza.
Essi hanno dei momenti ineffabili di gaudio, quei momenti ineffabili che dà l'ebbrezza del sogno, che dà l'illusione. Ma sono momenti fugaci cui succedono le ore tristi, ore di trepidazione febbrile, di dubbio terribile, di scoramento profondo. Ma essi scrollano le spalle, scrollano la testa, scrollano tutta la persona e così tentano di scacciare la trepidazione, il dubbio, lo scoramento, conselando le loro agonie con l'antico adagio che « i carmi non danno pane ».
Senza dubbio la Bohème è quasi il noviziato della vita artistica, vita di coraggio e di perseveranza, seducente e terribile, che conta i suoi vincitori, ma anche le sue vittime.
Quante creature sovrane nell'arte ricordano spesso, nella serenità della loro apoteosi, il tempo in sui nel sorriso della giovinezza non avevano altro che il sole dei loro vent'anni, il fulgore della verde speranza : Molière, Shakespeare, Rousseau e d'Alembert e fra i nostri più recenti Boito, Praga...
Ma il Milelli non riuscì ad allontanarsi mai da quella vita sbattuta da tempeste e da sogni e dal
giorno in cui----contava appena 20 anni — lasciò la
sua terra natia e col suo primo libro di versi « In giovinezza » raggiunse Milano ove ben presto fece parte di quel cenacolo in cui fulgeano i nomi dell'autore di « Mefistofele », dell'autore di « Penombre » e del Tarchetti malauguratamente rapito in giovane etade, sino all'ultimo suo giorno rimase col suo temperamento di sognatore pur essendo sparito quel mondo che il Murger ritrae nel suo delizioso romanzo, pur non avendo compagni, pur aggirandosi in un ambiente di sepolcro.
Forse il brillante ingegno del Poeta , se più disciplinato e non conturbato da quella vita di dubbi e di sregolatezze, era destinato a più rapida e
radiosa  ascesa !
Ciononostante, egli è sempre il verseggiatore dalla vena facile ; il poeta della giovinezza e dell'amore e se il suo temperamento che lo trascinò nel vestibolo di quella vita burrascosa non gli consentì di infondere alla sua opera d'artista spiriti di esistenza duratura, i frammenti della sua produzione multiforme valgono a rilevarci la sua più spiccata attidudine alla più bella poesia..
LE PRIME OPERE. IL POETA DI NATURA »
L'esordio fu lusinghiero : « In giovinezza » : quanta dovizia di rime e di metri ! Ecco rivelarsi subito poeta facile, e conquistarsi repentinamente le simpatie di quanti in quel tempo leggevano con passione poesie. Il suo canto era melodia che sgorgava dall'intimo con dolce metro ed ammaliava : era la canzone d'un cuore nobile, la strofe di un'anima tenera bisognosa d'amore, aperta al solere, ricca di bontà e malinconia.
Entusiasmo per la vita che sorge e malinconia per la vita che sparisce : sentimenti varii che confluiscono nelle artistiche dipinture di "Paesaggio breve"  ove paesaggi incantevoli e scene dal vero consacrano ancora il Milelli poeta di natura :

L'Etna grandeggia a l'ore mattutine 
Avvolto ne le sue cappe di neve 
E il ciel, sovresso,  curvasi in un fine 
Arco di  argentea  trasparenza  lieve.

Fuma il gran cono in nebule opaline, 
Che di roridi l'alba aliti imbeve; 
Mentre giù basso,  l'ultime colline 
Stanno ne l'ombra ancor fumida e greve.

Lungi a le ripe il mar freme in vocali 
Freschi risucchi co'l levante e splende 
Tutto diffuso di viole in fiore

E disdegnando i tedi e  le venali 
Cure del giorno, trepida e si accende 
Tra l'uno e l'altro,  viva lampa,  il core!
(Paesaggio Etneo)

Erompe sempre il sentimento nelle fini cesellature di tali descrizioni, esso fluisce abbondante dalla facile vena, e non è sentimento d'un vacuo sentimentalista, del trionfatore d'un'orà o di un giorno!

Non lo aveva creato poeta la natura e non doveva essa inspirarlo col suo mistero imperscrutabile e col suo fascino indefettibile?
IL POETA ROMANTICO.
Era un poeta nato, adunque, ed era pure un romantico, non di quel romanticismo inteso còme una particolare condizione di spirito, squilibrata, perplessa, straziata da antitesi, turbata da fantasmi, premuta da ogni parte dal senso del mistero, ma di quel romanticismo della terza maniera inteso come visione sconvolta, straziata ed antitetica della vita (Croce).
Aggiungasi che in quel periodo delle lettere in Italia era proprio la scuola così detta romantica che aveva imprigionati gli spiriti : l'Aleardi che si dibatteva tra due grandi amori : la donna e la Patria ; il Tarchetti che negli ultimi anni della sua vita ci viene descritto passeggiatore di cimiteri, mediatore di tombe, in perpetuo atteggiamento d'interrogatore innanzi alla vita e alla realtà ; Arrigo Boito che al tragico e all'orrendo si fa superiore col riso, non già col cinismo che — osserva il Croce — è aridità di cuore, ma con l'humour, coll'ironia di sè medesimo. Questa scuola, d'altra parte, non era che la più densa sfumatura di uno stato d'animo diffuso onde il romanticismo doveva avere le sue spontanee manifestazioni nell'arte e nella vita. Un giovine lombardo, Giulio Pinchetti, si uccideva a venticinque anni, lasciando alcuni frammenti poetici d'intonazione leopardiana : il vigoroso Brindisi del suicida, ed Arrigo Boito levava un grido innanzi alla « pallida giostra dei poeti suicidi » che si correva per l'Italia. Olindo Guerrini, intanto, usando l'artificio del Sainte Beuve, fingeva in Lorenzo Stecchetti un giovane che muore di tisi a trent'anni e gli attribuiva « Postuma », versi intonati a malinconia e a pensieri di morte.
In tale stato d'animo diffuso il Poeta romantico per natura è ovvio che ritrovasse sè stesso e le sue prime poesie possiedono tutta l'attrezzeria e il repertorio di quell'arte attraente : scene nuziali, canti di poeti innamorati sotto il verone della bella, banchetti, funerali tombe, visioni di fate « con gli occhi tinti ne'l color de'l mare », canzoni che ripetono il dolce verso d'amore in contrasto colla solitudine e con lo sconforto da cui talora è avvinto.

E la canzone dicea ; cor senza amore 
è tetra notte sovra morto mare 
e in larghe ripeteano onde sonore 
gli  echi notturni :   amare!

E il poeta girò d'intorno li occhi, 
come  fa il falco pria che  s'alzi  a volo, 
poi disse ricadendo in su'  ginocchi : 
Mio Dio,  come son solo!

Ma gemme più preziose tempestano la collana delle poesie racchiuse nel « Canzoniere » che il Mi-lelli compose tra l'84 e l'85.

S'io non sognassi mai, se non potessi, 
su l'ali  azzurre de  la  fantasia, volare, 
volare a' tuoi fervidi amplessi, 
maliarda del core,  o poesia,

se restare inchiodato io qui dovessi 
a 'l nero scoglio de la vita mia, 
a lottare sempre co' nemici istessi, 
cui son parenti invidia e codardìa.

Se mi vietassi inebriarmi a' tuoi 
labbri stillanti, o Venere divina, 
se Lieo mi negasse i doni suoi,

a' quattro venti anch'io ti griderei                                     
cieca noverca  e  lurida  sgualdrina 
anch'io, natura, ti bestemmierei.



L'IMITAZIONE DEL POETA

Senonchè i soliti ipercritici, poggiandosi su simiglianze od affinità d'arte poetica, ne hanno voluto intaccare l'originalità e la schietta spontaneità, forse una delle caratteristiche del cantore calabrese, ed in ogni giro di strofa hanno intravisto una imitazione, in ogni ode un ricordo pur evanescente di poeti a lui contemporanei.
Ma se nel « Canzoniere » — certamente — vi scuote in qualche sonetto il fremito stecchettia-no, se in qualche ode vibra il concitato verso del Carducci, e se talora il romanticismo aleardiano spande il suo profumo nella composizione del verso, forse non rimangono integre la genialità dell'ispirazione e l'originalità della costruzione poetica e dell'espressione che bastano a circoscrivere la personalità artistica propria dell'autore, a dare una propria fisonomia alla vasta e preziosa opera sua?

Io non posseggo perle o diamanti (dice ad Antonietta) 
per fartene un monile o una corona, 
quel che ti posso offrir sono i miei canti, 
e che poco ti dia, bimba, perdona; 
Me l'ispiraro i fior,  gli astri rotanti, 
di Lesbo i cedri e l'ombra di Dodona, 
dell'Ionio tuo mar l'onde sonanti, 
e le dolcezze della tua persona.

Questa è naturale ispirazione di canti melodiosi, di leggiadre canzoni, di possenti invocazioni. E' l'anima sua schietta che in ogni verso dischiu-desi qual boccio! di rosa alle aure primaverili : è il suo temperamento franco e leale che si rivela nella dedica ad Antonietta : tutti i suoi carmi commuove e sommuove quel sentimento pieno di freschezza che trabocca dal cuore gonfio del poeta.
Che se per caso gli tocca di ripetere cose già dette, egli le ridice con accento personale come di uno che proprio allora le scopra e le riscopra, se gli tocca di usar frasi logore, egli le riatteggia in modo che riacquistino vigore.

Amor è desiderio di carezze lascive 
brama d'ebrezze  fervide, di voluttà furtive; 
amor le labbra tumide al colmo nappo appende 
e i nervi agita e stimola, le tarde linfe accende; 
è amor febbre e delirio, è amor peccato e Dio 
oblio lungo dell'anima, dolce e penoso oblio.

E' amore, Olga, il tuo petto, che anela avido e stanco, 
la tua bocca che brucia e non può dire: io  manco.

Così canta all'amata, e in sublime slancio poetico evoca le angeliche visioni di un tempo felice,  fantasmi fluttuanti nella glauca marina

E mi stava su gli occhi una figura 
bella siccome gli angioli che il Frate 
di Fiesole pingea........

le albe rosate, il molle idillio e gl'incantesimi del mare. Ma quelle visioni sono purtroppo larve passeggere e vacui miraggi quegl'incantesimi poichè la realtà presto si disvela... ed allora egli piange di amaro pianto, odio trova dove cercava amore, tutto è deserto intorno a lui e non gli rimane che il cuore della madre. Quel contrasto che aveva permeato la natura intima dell'artista ha così la sua più gagliarda espressione :

Oh,  meglio era morir, morir tra i veli 
candidi della culla, 
come  dicevi tu, sognando i cieli, 
morir, morir senza conoscer nulla.

Ma  allorchè  il  pensiero  della  donna  amata risveglia al poeta il più dolce dei sentimenti che per un momento gli dona l'oblio che tutto avvince, a lei, mostrando la sua mortal ferita che gli rode l'anima e lo tormenta, esclama

e,  se mancasse in me questa infinita 
fede nell'amor tuo,  credimi,  allora 
io,  come un cencio,  gitterei la vita.

Ed ancora :
"Rottami" sono riproduzioni di bellezze antiche e moderne, di certe delicate composizioni dell'Heine o di vcchie ballate straniere : se si sfogliano quelle dolci poesie sì sente a volte il profumo della musa carducciana che vi carezza l'anima come in « Ritorno » :

Ella è tornata e mi ha fatto tremare... 
Mi ha fatto orribilmente abbrividire.

Come in « Locomotiva » che ricorda l'« Inno a Satana » :

Ruggite, o folgori, venti ululate 
le immani ei svincola braccia ferrate 
e fischia;  e indomito di loco in loco, 
passa terribile signor del foco.

Altre volte vi scuote il fascino dell'arte stec-chettiana bella per la sua vivacità di ritmo e di espressione :

Giace il paese e dorme 
nella notte,   siccome 
un camposanto enorme.

Ma non è vuota imitazione, non è sterile riproduzione : il Poeta, invece, scompone ab imo la materia ed il crivello della sua anima la ricompone, la riplasma dandole l'impronta della propria personalità artistica si che la intonazione del verso rimane originale e le sue liriche vivono di vita propria e non riflessa.
La favola di Giurfredo Rudel e Melisenda di Trìpoli ne è magnifica prova. Il Carducci del racconto poetico heiniano aveva già fatto una mirabile riproduzione, il Milelli rimaneggiando, rifaceva, assimilando, ci presenta la scena tutta nuova di pensiero e di forma, di contenuto e di spirito si che al lettore curioso non potrà capitare di contestarne l'originalità della strofa.
D'altronde anche nelle sue imitazioni è sempre sincero e mette a nudo tutta quanta la sua anima d'artista.


.....   io giro
ape leggiera e instabile 
di loco in loco e aspiro 
i profumati balsami, 
onde natura è lieta, 
che mi cangia in poeta.

Ed aspirò ancora « le disperate melanconie del Senan, le bizzarre e mordaci ironie dell'Heine, le strane ed affascinanti fantasie del Poe, le ingenue preziosità del Drossinis, le festive spontanee lucentezze del Blemont, così semplici e così belle nella purezza sentimentale delle loro concezioni ».
A Maria (da Bikelas), l'Addormentata (da Poe) nel suo volumetto di traduzioni « Gemme sparse », e poi « il picciolo diamante » da Drossinis :

Talvolta un picciol pezzo di vetro
gittato  a caso  vien  su  la via;
del sole un tremolo raggio l'accende
e tutto il picciolo vetro risplende;
un bel diamante crede sia li
talun che il vede brillar  così.

Come una stella fulge il mi' amore 
e una fanciulla per tutti ell'è 
come tante altre; ma angel, ma fiore; 
angelo,  io splendere la veggio in me; 
per gli altri un picciol pezzo di vetro 
per  me  diamante degno di  Re!

Ma Domenico Milelli non si contenta delle imitazioni ma vuole dare all'arte il suo io, la sua personalità, vuole mostrare a vivo il suo temperamento che gli fa sprezzare la vita e lo fa inneggiare all'amore, gli dà slanci d'entusiasmo e schianti di uomo disfatto, accenti d'odio e trilli di gioia.
IL RITORNO AL CLASSICISMO
Nella nova Italia, intanto, l'ambiente si veniva allora gradatamente mutando e con la politica spuntavano le questioni sociali, risorgeva il materialismo mentre le scienze aveano nuove e più larghe applicazioni. Tale mutamento lo avevano avvertito artisti come Giovanni Prati ; già gli ultimi romantici contemplatori del mistero dell'esistenza apparivano malati. In conseguenza contro i deliri della scuola romantica sorse in  Italia un vigoroso movimento capeggiato da Giosuè Carducci, temperamento poetico, classico ed antiromantico che con la sua opera che doveva rispondere ad un ideale ben moderno, volle e seppe compiere la rivoluzione contro le idee e le forme che dominavano la vita e l'arte, la vita e l'arte di una società languida e molle.
E all'appello del nuovo poeta rispose serrando le file la gioventù italiana che già da alcuni anni lo ammirava e che sentiva ogni giorno crescere il suo entusiasmo  pel  Vate.
Naturalmente in tale movimento vivificatore delle lettere anche sul nostro Milelli gli scritti del Carducci dovevano avere sensibile influenza, e quando vennero pubblicate le « Odi Barbare », egli, fornito di cultura classica non comune che poteva essergli di buon viatico per salire alle altezze della gloria, al classicismo fece ritorno con le « Odi Pagane ».
« Incominciai così — dice il Poeta — per isva-gare l'animo triste ed annoiato, cacciandomi a rivivere un po' coi miei morti, co' miei cari morti, che io aveva appreso ad amare da giovinetto, e che mi          
pareva valesse la pena di ossequiare assai più che non certe burbanze e certe superbie di vivi   ...
« Ero nauseato ed uggito di tanta roba, cui 
una volgare frenesia di plauso aveva fatto e faceva 
largo...
E m'indispettiva la dissennata presunzione di molta gente la quale si arrogava il diritto e la vanteria gloriosa del più compassionevole disprezzo per quanto di veramente grande era stato prodotto tra noi, prima che i taumaturghi della così detta arte moderna si fossero assunta la poco disinteressata e niente difficile missione di bandire alle genti il verbo novello ...
 Ero  uggito e  nauseato ;   ecco  tutto ».
Lo vediamo così, seguendo il consiglio del Carducci, cercare Orazio e Anacreonte, Catullo ed Omero raccogliendo le versioni in « Verde antico » ove unica si rivela la forza dell'immaginazione insieme con la schiettezza della rappresentazione del pensiero dell'autore.
V'ha la solennità di Omero e la freschezza di Anacreonte, la mitezza di Virgilio, il sorriso scettico oraziano : con la molteplicità dei motivi non comuni insuperabilmente ritratta la bellezza della classica poesia.
Ecco un saggio della versione anacreontea :

Amore  un  giorno  un'ape 
non vide,  che dormìa 
fra le  rose,   onde   quella 
a un ditino il  feria.
Subito un grido  ei mise 
dalla  man   dolorando 
e a Citerea la bella 
ratto corse volando. 
Ahi! Ahi! madre, ch'io moro. 
Ahi! ch'io moro,  ei piangea, 
mi morse un picciol serpe 
che  ape il villan dicea. 
E lei : Se una puntura 
d'ape  fa  tanto  danno, 
quelle,   che dar tu suoli, 
o  Amor,   che   cosa  fanno?

E da Catullo :
Donna non è che possa amata esser tanto vantarsi 
Quanto davver tu amata da me, mia Lesbia, sei, 
Fede all'amore suo cotanto nissuno mai tenne 
Quanta,  per  la  mia parte,   io  ne ho  serbata  al  tuo. 
Or sento, e tu ne hai colpa, o Lesbia, travolta la mente 
A tal che di se stessa perde l'ufficio, ond'io 
Quel  che  chiederti debba  non  so;   nè se amarti ancor
[buono 
nè se odiarti, o insieme d'amore e d'odio morire.

In questo torno di tempo ha inizio la prodigiosa attività di Domenico Milelli che da Milano prima e poi da Bologna era venuto a Roma.                       
Era l'epoca del più vivido fulgore del Som-maruga che nell'81 si era recato nella Capitale per stabilirsi ed era il momento più fortunato dell'Abruzzo nell'arte: Michetti, Tosti, d'Annunzio: la pittura, la musica, la poesia. Essi — così racconta il Chiarini — si univano nei Saloni gialli del Capitan Fracassa (una sala di pochi metri quadrati), che raccoglievano spesso le più note celebrità contemporanee : Giovanni Prati, Pietro Costa, Paolo Ferrari, Giosuè Carducci, Olindo Guerrini, Enrico Panzacchi, Ferdinando Martini, Anton Giulio Barrili, Mario Rapisardi, Girolamo Rovetta,  Gabriele
d'Annunzio.
Il Sommaruga ben presto maturò il progetto di una combinazione col Capitan Fracassa per la fondazione di una grande Casa Editrice e, impadronitosi di quel cenacolo, prese in affitto il cantone di via Due Macelli, quel magazzino che poi dovea diventare la famosa redazione della Cronaca Bizantina. Nei nuovi Saloni gialli troneggiava Adele Mai che doveva essere, secondo « Gandolin », la Vittoria Colonna di quella Corte letteraria.
Domenico  Milelli  fece bella  parte di  questa Corte letteraria e  collaborò nella  Cronaca Bizantina distinguendosi ben presto con Edoardo Scar-foglio e con Gabriele d'Annunzio.
La Cronaca procedeva a vele gonfie ed il Som-maruga inondava il mercato librario di una quantità di libri di sua edizione, alcuni dei quali ottennero fortuna straordinaria. In quel periodo favorevole Sommaruga curò la pubblicazione del Canzoniere ed incitò il poeta a scrivere le « Rime » in risposta alle « Rime » della Contessa di Lara, che con entusiasmo era stata applaudita. Il Milelli si volle allora chiamare « Conte di Lara » e sotto tale pseudonimo leggiamo quei versi delicati che

Son di sogni  diafani 
stanche larve.....
Son di ebrezze e di spasimi 
fatue   vampe   fuggenti
Son di gioie e di lacrime 
ombre e  memorie  vane
...........
Sono i  cori di  un'orrida tragedia 
che tu, bugiarda, ricordasti al mondo

Tu, bugiarda — grida il Poeta — e l'invettiva acre ferisce in pieno l'orgoglio d'una donna che con la sua posa e la sua venustà irresistibile, aveva intessuto il poema d'un amore colpevole a dispetto del marito tradito.
Ma l'avidità del guadagno momentaneo e la smania di réclame ben presto segnarono il tramonto del Sommaruga e col Sommaruga tramontava la fortuna del poeta. Ed allora incomincia la triste o-dissea : da Roma ad Alcamo in Sicilia e da Alcamo a S. Severino delle Marche come un antico rap-soda : una ombra leggera di scetticismo la avvolge ma l'arte — soave lampa — splende sempre, lo attrae col nuovo incanto, si che in nobile slancio offrendole ogni suo intimo dolore prorompe in un grido :

Son tuo,  son tuo,  possente 
Maliarda divina, 
Resti tu  sola  quando 
Ogni altro Iddio rovina.

LA PERSONALITÀ ARTISTICA DEL POETA. L'ANIMA DEL POETA. IL SUO CAPOLAVORO.
Sullo squallido ghiaccio di Weroén, nella regione polare, mentre stride il nembo tra le vampe del crepuscolo sanguigno, su quella glauca corazza di cristallo senza un fil d'erba o fiore, Kokodè — fatal mistura di selvaggio e di romito — solo, attendendo ormai l' ultimo suo giorno, guarda cogli occhi sbarrati il mare che freme.
Nessun segno di vita, solo il mugolio del mare, l'ululo eterno del vento che avvolge l'onda che s'innalza e poi stride e si frange schiumando, e poi ribolle su sè stessa fremebonda nel gorgo che spalanca : L'orrore degli antri, lo scintillio argenteo del ghiaccio, il biancor spento della luna, tutta la scena selvaggia d'un paesagio boreale.
E Kokodè impersona tutta la freddezza di questi luoghi che tanto ama mentre la sua figura si stacca man mano da questo sfondo poetico desolante per balzar viva e piena di freschezza quando gli avvampano l'anima i ricordi di bei sogni svaniti.
E il solitario, nella notte, scrive, scrive, scrive le sue memorie ed una leggera aura di dolcezza in contrasto col freddo soffio dello sfondo boreale carezza il racconto di quelle soavi memorie ! E canta il jonio fiammeggiante di topazi e di brillanti che cinge la patria sua, il Jonio sulla cui distesa azzurra un dì ebbe ampio il volo la sua fantasia, e canta il vecchio ulivo che su la materna rupe scuote i rami sotto l'impeto del vento e ripete la sua lunga istoria che è la storia di Sibari, la città dell'amore e dei conviti, come narran gli autori delle vecchie favole greche, e scioglie in ultimo un inno alla sua Calabria dai clivi e rivi diffusi di smeraldo. Poi ricorda il padre la cui ferrea tempra mai fiaccò la notte oscura che la vita intorno avvolge, il padre che tanto amò e venerò, rammenta i verdi anni in cui per la prima volta si schiuse alla dolce poesia : il suo primo spasimo ...

..... chi dentro all'anima 
questo spasimo mi ipose? 
perchè irido  e  in  cor  mi  piange 
il dolor dell'allegrezza? 
perchè piango e in cor mi ride 
l'allegria della tristezza? 
Chi  di voi  codesto  enigma 
può  spiegarmi  in  cortesia? E le genti — è questo il fiore 
della dolce  poesia.

Ma la tempesta s'abbatte, e schianta ben presto i dolci sogni del poeta ; alla dolcezza del canto della giovinezza si contrappongono i singhiozzi, le lacrime amare della catastrofe che bussa prepotente e spietata alle porte della sua casa : muore il padre, e, come le foglie, il fato terribile stacca dal tetto natio Lidia, cui l'implacata tosse aveva infranto il giovane petto e poi Lelio ghermito alla madre in sì giovane etade e poi Lina, « ultima aurora di pace », e a tanto strazio la madre come pazza scoppia nella tragica interrogazione :

Dio,   s'è  ver  che  tu  ci  sei, 
Dio,   perchè   questo  supplizio? 
Che ti han fatto i figli miei?

sublime impeto di umano dolore che come un ruggito erompe dall'anima sconvolta e sanguinante... Ricordiamo __

Nè le lacrime a' materni 
occhi  espresse dagli  affanni, 
nè i dì nudi ad uno ad uno 
noverati   in   sedici   anni

rallentar della maligna 
sorte gli odii un'ora sola, 
colpa  il  pianto   in   sulle   ciglia 
e  sul labbro  la  parola.

Quante volte,  al poveretto 
gramo desco il pan mancando, 
scarso un obolo ci corse 
per   le  vie  limosinando :

Quante volte irrigidito 
dal fatal verno inclemente 
alle  lacere  si   chiese 
coltri il sonno  inutilmente,
mentre   tu,   madre,   tremando 
della vita de' tuoi figli 
t'affannavi  a  consolarli 
di amorevoil consigli.

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Alle fosse avide intanto 
spalancate   in   cimitero 
preparava il pasto infame 
il  bisogno   orrido e nero;

e  di Lidia macerando 
pria le fibre delicate 
alla triste  iliade  schiuse 
le   miserrime   giornate.

Su quel volto a poco a poco 
come più si fea nel core 
vivo il senso della vita 
si  effondea letal pallore.

Della  luce  azzurra  il raggio 
nei sereni occhi languìa 
il sospiro era un lamento, 
il sorriso un'elegìa.

Triste larva,   ella passava 
come  nebula d'incenso 
della sua dolente casa 
pel deserto arido,  immenso;

finchè  un dì,   dalla  implacata 
tosse infranto il giovin petto 
le sue diè, povera martire, 
membra bianche al cataletto.

E la madre come pazza : 
— Dio s'è ver che tu ci sei, 
Dio perchè  questo  supplizio? 
Che  ti han  fatto i figli  miei?

E, qual ramo a giovin faggio, 
dalla grandine  strappato, 
l'esil  corpo dalle pustole 
del vaiuolo difformato,

dall'attigua,  invan pregando, 
sua  stanzetta,   intanto  aita, 
Lelio il fior vedea perire 
della sua giovine vita.

— Oh! levatemi da  questo 
di  carboni orrido letto, 
piombo fuso ho nelle vene, 
ho l'inferno entro nel petto,

per  pietà da  questinc'endio
che mi brucia e mi divora
chi  mi  salva?   O  madre,   aiutami,
per  pietà non  far  ch'io  mora!  —

E il funesto estremo  rantolo 
afferrandolo alla gola, 
gli togliea tra le sue spire 
rabbiose  la  parola.

Così giacque e gli luceva 
nella immobile pupilla
 come gocciola gelata 
del dolor l'ultima stilla.
*
*    *
E soffiando umido il vento 
dell'autunno le penose 
grigie nebbie dell'ottobre 
avvolgea tutte le  cose.

E te pur,  chiusa ne'  loro 
scuri e tetri abbracciamenti 
te,  di pace ultima aurora 
tolser, Lina, a' tuoi parenti.

Fur trent'ore di martirio 
per te lunghe interminate; 
trenta secoli d' anelito 
per quell'anime affannate.
Finchè — madre,  ahimè! — dicesti:
—   Muoio !  —  e  tacque  la tua voce 
strangolata  dal   difterico
uccisor spasimo  atroce.

E la madre il macro e lìvido 
corpicin forte abbracciando, 
nei tuoi  spenti  occhi i suoi  freddi 
impietrati occhi fissando :
—  Tu  —  gridò :   —  Morta  tu   pure, 
Lina,  o santo angelo mio;
Ah! Tu sei padre d'infamia, 
non d'amor,  perfido Dio! —
(Bare, da Kokodè).

Ma finalmente l'alba spunta « la rosea desiata alba dei forti » e ritorna con essa quella dolcezza a carezzare il canto del poeta : insuperabile virtù di contrasto che anima il temperamento artistico del Milelli che con travolgente forza suggestiva passa dal dolore alla gioia, dall'estasi allo schianto, dalla maledizione alla vita all' inno all' amore, dal sorriso del vincitore al truce sguardo del disfatto. Ritorna così il dolore e l'anima ricomincia a sanguinare : epilogo d'una lotta interiore che travaglia l'artista, lotta senza tregua tra una realtà fitta di sventure e la forza smagliante degli ideali che lo spirito umano sublimano : sublime travaglio spirituale finchè quegli ideali lo avvolgono in una fiammata di entusiasmo e nella Trilogia ch'io chiamo a contenuto sociale, (Prometeo - Laocoonte -Ercole) hanno la più alta e bella affermazione.
IL PATRIOTTISMO DEL POETA.
Prometeo è incateanto alla rupe scitica delle ingiustizie sociali, e l'avvoltoio della società gli rode il fegato : sola speranza tra i dolori di quel più antico dei martiri dell'idealità umana ; il canto delle Oceanidi. Non è il Prometeo della tragedia eschilea, simbolo della lotta fra la ricerca umana della verità e della scienza contro la somma potenza del nume offeso e neppure è il Prometeo dello Schelley che in esso impersonò l'ideale supremo dell'uomo, ma è il simbolo della resurrezione delle plebi contro l'oppressione dei privilegiati, resurrezione che trionfa nella fratellanza umana della terza parte della Trilogia.
Tali ideali sociali, però, non scoloriscono affatto nel Milelli l'amore che egli tributava immenso per la Patria e, quando l'aspirazione di un'Italia infiammò i giovani petti, egli combattè con Garibaldi al Volturno dando magnifica prova di grande attaccamento verso di essa. « In giovinezza è tutto un fremito di romanticismo patriottico come essenzialmente romantico fu il nostro Risorgimento :

Viva! — egli grida — omai dall'Alpe al mare 
Leva Italia un sol vessillo; 
Viva!  i  tempi  ormai ritornano
di Duilio e di Camillo.

Pertanto quei concetti sociali dovettero formarsi nel Milelli proprio quando, realizzato il sogno dell'unità nazionale, si fece strada in Italia un vigoroso movimento di riscossa contro viete costruzioni d'una classe privilegiata che con la rivoluzione francese aveva perduto il dominio politico, movimento di intellettuali cui certo il poeta bohémien, il romantico non potea non partecipare.
Così tale suo atteggiamento spirituale ha la spontanea e sincera spiegazione.
E pur sbattuto incessantemente dalla bufera di loco in loco, il Poeta sempre in core sigillato conserva col ricordo della patria il ricordo della sua terra natale :

Io t'ebbi sempre in core e tu del mio 
lavoro, onde levarmi alto tentai, 
non di conforto un picciol segno, un pio 
segno d'affetto non avesti mai.

E volser gli anni. E poi ch'oltre il desìo 
qualche cima dell'arte anch'io toccai, 
che dissipasse di sì triste oblio 
la nebbia un raggio solo invan sperai.

Forse legge dei fati. Eppur se alcuna 
lode concederanno i dì venturi 
al mio nome, vincendo la brutale
gara degli odii, io pago di quell'uno 
sarò,  che almeno a' miei figli assecuri 
l'amore della mia città natale.
(Al mio  paese)

E  ancora in   « Notte umbra » :
Del mio Jonio io non so, del mio bel sole
Io non la so scordar la poesia.....
Affascinante Poeta che dei romantici aveva le qualità migliori : l'abbondanza sentita, la melodia colorita, l'abbandono al fantasticar melanconico, tutto amore e gentilezza!
ALTRE OPERE MINORI.
ÌL SENTIMENTO DEL POETA.
IL SUO NAUFRAGIO.
Rifugiatosi nella bellezza della Conca d'oro dopo un pellegrinaggio senza posa, astretto dalla necessità imperiosa, volle raccogliere molte poesie inedite in un volume: « Nell'isola », che poi non potè vedere la luce perchè pazzescamente stampato da un editore siciliano al quale dovette vietare la pubblicazione, in quel torno di tempo abbozzò l'« Ercole », l'ultima parte della Trilogia e raccolse sotto il titolo : Le Cristiane » alcune poesie che rappresentavano il ritorno del Poeta all'antica fede religiosa.
Ma il bisogno lo assillava, lo spettro della miseria batteva tristemente alle sue porte ed in alcimi momenti di terribile sconforto egli aveva accenti di commozione straordinaria :

A me. intorno il deserto, a me davanti 
l'ombra e la morte, esco il retaggio mio, 
e chiuse dentro al cor, fiere, incessanti, 
due voglie,  anzi due furie : ira ed oblio.

Ed ancora :
Dentro le tempie il vuoto,  entro le ansanti 
vene la febbre ed il delirio,  ond'io 
oltre posar non so gli spirti erranti 
che del nulla nel gelido desio
E l'invoco e l'affretto..

Non aveva amato la natura, la Patria, la sua terra natale, la sua famiglia di cui parlava con le lagrime agli occhi? Ed allora perchè tanto soffrire?
Non aveva sì caldo affetto pei figli che finisce col dire :

..... dacchè Guido m'ama
ed Ugo mi sorride e mi accarezza
mi par bella la vita e dolce il mondo?
Non aveva oviunque cuore e gentilezza? Ma a che gli valsero? A che gli valse l'ingegno?
Di parecchi poeti suoi contemporanei che hanno avuto il vento in poppa, più arrisi dalla fortuna egli è certamente superiore e e perciò io credo che il tempo farà a Domenico Milelli giustizia riconoscendo i meriti non comuni che egli ebbe, dopo lo sprezzo che i contemporanei gli gettarono addosso e dopo l'oblìo cui dai contemporanei fu condannato. Le sue poesie non furono, come oggi si usa, declamate nelle sale e nei teatri, ne ebbero quella sapiente reclame che oggi sanno fare i poeti alla merce loro, ecco perchè non vinsero tutte le resi-stense per farsi leggere ed ammirare lungamente.
Fatalmente doveva naufragare e naufragò.
La paralisi che già lo aveva colpito gli dette, sul tramonto del -905, il colpo di grazia : la parola gli morì sulle labbra, e la dolcezza dei suoi carmi coi quali lui, meraviglioso dicitore, avea ottenuto in altri tempi umanimità e deliri di applausi si smorzò fulmineamente nelle tenebre del sogno che non ha più risvegli !...
Pochi, e la più parte giovani, accompagnarono il feretro al Cimitero ove gli stessi giovani che tanto lo amarono, sparsero fronde d'alloro sulla nuda tomba del Poeta.
Ed è tutta un'immensa poesia intorno al cippo che tra le croci di quel Camposanto distingue le ossa dello sfortunato cantore ...
E Palermo soffusa di splendore, in eterna primavera smagliante di luce, olezzante di fiori, gli canta nella bellezza della Conca d'oro l'immortale elegia.
FINE - 1932.



Mori a Palermo nella notte tra il 22 e 23 Dicembre del 1905, "povero come era sempre vissuto, realizzandosi quasi con fedeltà sconcertante ciò che lo stesso Milelli aveva poeticamente sognato in gioventù":
Povero e vagabondo anch 'io vorrei
di terra in terra errar di gente in gente,
Nè mi dorria se avessi i giorni miei
a consumar piangendo assiduamente.
Vorrei provar l'angoscia e l'irrequieta
febbre, o Torquato, che struggeati il cor..



Fotografia
Domenico Milelli
1911
s.m.napolitana
F.P. Frontini
Il tuo ritratto
Domenico Milelli
1911
Carisch
F.P. Frontini
Inno all'italia delle colonie
Domenico Milelli
1902
Carisch
F.P. Frontini
Luna che spunti
Domenico Milelli
1904
Venturini
F.P. Frontini