Mio caro Frontini,
Son degli anni parecchi che io, intrattenendomi con voi di canti popolari, vi esprimevo il desiderio che voi stesso, così profondo negli studi musicali come valente ne' letterari, vi applicaste a trascrivere quelle tra le melodie siciliane che per la loro grazia meritassero di veder la luce.
Le Melodie popolari siciliane che io misi in calce al II, volume de' miei Canti popolari siciliani mi avevano sempre più persuaso che molte di esse sono preziose e per l'arte musicale e per quella scienza che oggi tutti conosciamo col titolo inglese di Folk-Lore. Vedete, dunque, con che piacere abbia io accolta la notizia dell'incarico affidatovi dalla benemerita Casa Ricordi, di preparare la Raccolta, che ora fortunatamente pubblicate, e di cui avete avuto la gentile premura di farmi vedere le ultime prove di stampa. (• Questo scritto doveva precedere l'Eco della Sicilia; Cinquanta Canti po-polari siciliani con interpretazione italiana raccolti e trascritti da F. PAOLO Frontini. R. Stabilimento Ricordi. Milano [settembre, 1883). In-4*, pp. 148; ma non giunse in tempo, e perciò viene qui pubblicato come introduzione e complemento dì quel libro).
Le cinquanta melodie di questa Raccolta sono, per lo più , scelte con giudizio, e trascritte con la fedeltà voluta in così fatti lavori. Tutte meritano la qualificazione generale di siciliane, perché son nostre e perché l'elemento orientale dell'Isola non prevale nè sopraffa in esse 1' elemento meridionale ed occidentale. L'aver voi arricchito delle più caratteristiche tra le suddette mie cantilene la vostra raccolta, fa si che essa rappresenti non solo il canto etneo e messinese, ma anche il trapanese ed il palermitano, che son tanta parte della Sicilia.
Capite bene, egregio maestro, che io parlo non di quella melodia che nacque ieri, ed è l'espressione più o meno felice di un uomo, che con la grazia della sua ben trovata nota seppe scendere nell'animo del popolo; ma bensì del canto veramente tradizionale, della melodia qualche volta aritmica, e non di rado indocile d'un ritmo esatto e ben figurato, con la quale s'accompagna la ottava siciliana a rime alterne detta canzuna, e quegli stornelli, che volgarmente s' appellano ciuri, (fiori); tipi veri del nostro canto popolare. I nn. 9, 13, 20, 27, 28, 31, 32, cioè Mi vótu ' e mi rivótu suspirannu; Mamma, nun mi mannati all'àcqna sula; Amici, amici, chi 'n Palermu jiti; Giustizia, giustizia, mè signuri ! Cori, curuzzu: Amuri, amuri,chi m'ha' fattu fari,'Nta sta vanedda, sono esempi genuini delle nostre cantilene; checchè possa esservisi intruso o commisto. Ed è a notare che anche i vari mestieri vi hanno la parte loro, i carrettieri, i campagnuoli, i fornai, le tessitrici.
Sarebbe non pur curioso ma anche utile il ricercare , ciò che non potrebbe aver luogo in queste poche e fugaci linee, se e fin dove si estendano nel mezzogiorno d'Italia gli echi di queste cantilene, perchè io dubito non se n'abbia a riscontrare qualcuna nella vicina Calabria.
Certo è, però, che le nostre canzoni hanno un carattere speciale che si allontana dalle napolitane stesse.
La melodia della canzone ad ottava è, per avventura, la più divulgata e, vorrei dire, la melodia indigena del nostro popolino. Ma essa non trova sempre e dappertutto il favore di cui in certi luoghi ed occasioni gode l'aria o arietta. Là dove l'amante creda la canzone roba troppo antica, o non efficace abbastanza perchè faccia intendere alla sua bella che egli si spira per lei, l'aria è il canto preferito. Ed eccolo :
Pri tia diliru e spasimu
Cridimì, armuzza mia :
Riduttu su' fantasima,
Bedda, p'amari a tia.
La notti, o sia lu jornu,
Sempri pinsannu a tia,
Giru limura 'ntornu,
Bedda, p'amari a tia !
La canzone non ha i titoli di nobiltà dell' aria, e quando si vuol riuscire a qualche cosa di buono non si rinunzia alla attrattiva di tenere un notturno o una serenata d' amore, nella quale i migliori canti sieno di arie. La ragione di questa preferenza è tutta nel componimento, fattura non ispontanea di persone di lettere o mezzo letterate, le quali disdegnano la canzone come troppo umile a celebrar l'amore e le varie sue vicende. Novanta su cento arie riconoscono quindi un'origine meno modesta, meno oscura delle canzoni; e voi, caro Frontini, sapete che tra le arie popolari dell'Isola vi sono anacreontiche scritte dal celebre ab. Giovanni Meli, e messe in musica dal compianto vostro concittadino Giovanni Pacini, l'uno e l'altro imitati da una schiera di giovani poeti e di maestri siciliani.
Non occorre aver molte conoscenze d'armonia per vedere che dove la melodia delle arie e delle canzonette corre libera del fren de l'arte » e dei legami di una successione armonica, abbandonandosi solo al sentimento che la ispira, essa e espressione genuina di popolo. Il cantore che ignora le regole dell'armonia, con due o tre accordi di chitarra o di sistro, o di scacciapensieri, o di piffero, secondo che si canti in città o in campagna, scioglie tutte le questioni d'arte e di scienza(Saggi di melodie pop. romane di A. PaRISOTTI, nella rivista di Letter. pop., fasc.III. p. 190.). A questa non volgare origine ed al carattere stesso delle melodie che arie rivestono, io non son lontano dell'attribuire la modernità e la limitata popolarità di queste melodie medesime, le più antiche tra le quali non saprei riportare di la dagli ultimi del secolo passato; ed antiche, relativamente parlando, sono per me quelle dei nn. 1, 3, 5, 7, 15, 34 ecc. La Rosa; La Ficu; l'amanti cunfissuri; La figghia di lu massaru; Pri tia diliru e spàsimu; 'Bedda mia, lu tempu vinni ecc. Ed intanto , notate differenza di gusti e di giudizi ! più la melodia è antica, e più per un cultore di tradizioni popolari è pregevole come cimelio d'arte o come documento dello spirito umano; più la melodia e le parole di essa sono moderne o recenti, e più sono gradite a' cantatori ed a' dilettanti di chitarra, di sistro, di scaccia pensieri, amanti di novità.
Io non so da chi, dove e quando sieno nate quelle che nella vostra Raccolta portano i titoli: Lu 'ngui; Ciccina e D. Cocò; Cum-mari Nina; Sunnu li fimmini; Cu la chitarra, e che formano i numeri 14, 19, 30, 37, 44, ecc. ma io le credo, e forse non m'inganno, recentissime; anzi la 39, Sunnu li fimmini, è una imitazione d'una non originale poesia dell'aretino Antonio Guadagnoli, dove son questi versi di satira, (cito di memoria):
In fin le femmine,
O belle o brutte,
O vecchie o giovani,
Mi piaccion tutte;
e nella vostra questi altri versi:
O bianchi o niuri,
O pallidetti,
Si sù brunetti
Pincunu cchiù.
La 17" da voi trascritta dalla bocca del popolo:
O bedda Nici,
Scuma di zuccaru,
E chi ti fici
Ca 'un m'ami cchiù ?
poesia, come sapete, del Meli, è composizione di A. Romano, col cui nome venne anche pubblicata o ripubblicata dall'editore signor Salafia nella Raccolta di Canzoni siciliane in chiave e voci diverse, con accompagnamento di pianoforte di diversi autori. La 40" dello stesso Meli, Lu Labbru;
Dimmi dimmi, apuzza nica,
Unni vai cussi matinu?
Nun cc'è cima chi arrussica
Di lu munti a nui vicinu.
cosi cara, così dolce a tutti noi, è si del Pacini, come voi notate; ma gioverebbe vedere perchè altra ben diversa ne corra dello stesso maestro pubblicata prima d'ora nella cennata raccolta del
Salafia. Scrissi: davvero il Pacini l'una e l'altra ? ovvero ne scrisse, come io credo, una sola? E se così è, quale delle due è del Pacini?
L'elemento satirico è quello che più dà a divedere l'arte si del poeta e si dell'autore della musica, se pure versi e musica non sono d'una stessa persona. Ma !a satira non è la più felice tra le composizioni popolaresche siciliane, perchè è quasi sempre occasionale, e, cessate le ragioni per le quali fu fatta, cessa la sua esistenza. Sono soltanto le composizioni d'amore che trovano eco nell'animo di tutti e, come espressione d'un sentimento comune, hanno lunga vita in ogni tempo e in ogni luogo.
Per lo studio delle melodie popolari gioverebbe vedere se nelle cinquanta canzoni di questa Raccolta ve ne siano di non siciliane. Mi pare che qualche nota del Continente sia nel n. 46. Mi pozzu maritari, che richiama ad una canzone simile dell'Italia meridionale, e nel n. 45 di Messina, Catarina, Catarinella, che mi fa ricordare di una maliziosa canzonetta palermitana, da me ripetutamente udita quand'ero fanciullo, nella quale un calzolaio va a provar la scarpina nuova ad una sua cliente, con quel che segue...: ragione di velleità pornografiche, che io allora non capivo.
È risaputo, del resto, che molte delle canzoni nuove, le più vivaci, le più allegre ci vengono di fuori.senza nulla detrarre alla produzione naturale della Sicilia, e fanno il giro di tutta l'isola rimanendovi per degli anni nella forma originaria delle parole, riconoscibili sempre sono le mentite spoglie dialettali assunte saltellando di bocca in bocca siciliana. Ma sono canzoni d'amore, nè entrano mai, o rare volte entrano, a rallegrare le malinconiche serenate dei nostri contadini e dei nostri popolani, né restano lungamente nel repertorio del canzoniere siciliano.
Un'ultima parola e basta.
A voi che con tanta intelligenza vi siete occupato di musica popolare, non sarà sfuggita un'osservazione d'un certo significato. Fra le canzoni che nascono in città e quelle della campagna qualche differenza corre; nelle une prevale la tonalità minore, e non maggiore, come parve ad alcuno; nelle altre ha base la tonalità maggiore, e si cantano a coro. Se non che, la tonalità non ha regola fissa, cambiando a seconda di quello che deve esprimere; ma il minore campeggia sul maggiore, almeno per quel che è dato vedere su questi saggi. Quali ragioni psichiche e forse anche etniche concorrano a questi fatti, io non sono in grado di giudicare per ora; ed e a desiderare che qualche valente ingegno, intendente molto di arte musicale e di studi demografici, vi si applichi con intelligenza ed amore.
Tornando alla vostra pubblicazione, lasciate, caro Frontini, che io mi rallegri con voi, ed abbiatemi con affetto di stima Palermo, 26 settembre 1883.
Tutto vostro G. PITRÈ.