Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

giovedì 19 agosto 2010

Alessandro Abate pittore, note critiche di Gesualdo Manzella Frontini


Alessandro Abate appartiene all' ultimo ottocento e la sua attività si riversa in questo secolo, senza soluzione di continuità spirituale. Nato a Catania nel 1867, egli risentì gli ultimi guizzi del romanticismo, in ciò che di più caratteristico fu l'apporto di quella scuola, vale a dire nella teatralità di certi quadri, nella "composizione" convenzionale, nella cura dell'effetto, ottenuto a discapito della profondità psicologica.


L'innato senso pittorico e coloristico, però salvò il giovane artista dalla sciatteria e monotonia cromatica dei romantici.
Del resto egli si affaccia all' osservazione e allo studio dei maestri del tempo, sotto la guida sagace e geniale di un nobile pittore, che in quel tempo faceva scuola a Catania, e che lasciò segni incancellabili sulla personalità del suo giovane discepolo.
Parlo di Antonino Gandolfo, colorista vaporoso e umido, disegnatore efficace ricco di sentimento, e che talvolta, nelle trasparenti carni delle sue donne, vi dà il presentimento del cromatismo gioioso e vitale dello Spadini.
Ma il Gandolfo, che in un certo periodo della vita non rifuggì dal quadro sociale di derivazione continentale, certo degli Induno, fu disegnatore coscienzoso e attento, e al suo discepolo che si produsse anch' egli, nei primi anni, in quadri di vita quotidiana, istillò il rispetto di questo elemento primo ed essenziale, che per volgere di anni e di tende.....(testo non leggibile)..e di mete diverse, costituirà sempre, come per la poesia il ritmo, il (.... )mento primo
e la legge (...... )cibile della pittura. L'Abate passò poi a Napoli alla scuola del Marinelli , in seguito a Roma completò i suoi studi con Iacovacci. Ivi ottenne lusinghieri giudizi e riconoscimenti ufficiali.
A noi non interessa che in misura assai relativa il curriculum del nostro e lasceremo alla curiosità burocratica del lettore scrupoloso e pedante, in una nota, le notizie delle esposizioni e onorificenze e degli incarichi ricevuti, e delle più importanti ordinazioni passate e recenti.
Importa qui delineare il carattere dell'arte dell'Abate, fissarne i segni, espellere ciò che di spurio, di accademico, di giustapposto e di commerciale è nella sua molteplice attività e ricondurre all'effettivo valore la sua personalità artistica.

Il torto dell'Abate, è stato uno, se torto può chiamarsi uno stato di fatto che dipende da circostanze tiranniche di vita, ma che, purtroppo decidono spesse volte la sorte di un uomo, nella valutazione obbiettiva che ne farà la storia.
L'Abate, che indubbiamente à qualità di primo ordine e numeri eccezionali a suo vantaggi è rimasto troppo isolato nell'ambiente provinciale e chiuso della sua città, estraneandosi completamente dalle correnti e dagli spiriti nuovi, che da trent' anni a questa parte ànno percorso l' Italia, per influssi esterni o per movimenti interni. Così che egli è venuto a trovarsi in una posizione di inferiorità rispetto ad artisti di minor valore,
ma che sono stati toccati, scossi e rinnovati da tendenze molteplici, acquistando una sensibilità più moderna, e da gusti e anche da mode, che si sono seguite a volte troppo vertiginosamente. Con ciò non si dice che l'artista debba lasciarsi trascinare dal momentaneo isterismo del pubblico, spesso turlupinato e accarezzato nelle sue incoerenze superficiali e passeggere. L' arte non può essere una moda.
Ma avviene che l'isolamento, a meno che non si tratti del genio, può condurre alla cristallizzazione, alla maniera, o alla riproduzione a serie di se stessi. Per contro poi nei temperamenti fiacchi, la vita tumultuosa di un centro dinamico d'arte può determinare dispersioni fatali e irreparabili. L'Abate però si trova nelle privilegiate condizioni di non subire a fondo, fino al perturbamento, le influenze dei maestri coi quali si è trovato a contatto, o di cui à studiate le opere, e però gran lume sarebbe venuto alla sua arte in un centro di cultura e di vita artistica.
Egli avrebbe potuto, come gli è capitato talvolta, e come risulta da sue tele, sentire le tendenze varie ma riportarle, attraverso la elaborazione, al suo temperamento, come correttivo.
In altri termini le opere altrui non lo polarizzano, nè lo soffocano : egli sa vedere in orizzonti non suoi, non appena a questi egli arriva, per caso o per uno sforzo d'intuito.
E dico "per caso,, non per comodità espressiva, ma a ragione veduta, perchè gli accostamenti fra l'Abate a qualche pittore di maggiore e più spiccata e diversa personalità sono casuali, e non ànno lunga risonanza: trascorso il momento simpatico, in cui pare che egli abbia inteso un rapporto di affinità con l'oggetto del suo studio, egli lo abbandona.
Un altro e non meno serio effetto negativo sullo sviluppo della sua personalità, nelle condizioni d'isolamento in cui egli si è trovato, è dovuto alla mancanza di una critica illuminata e illuminante.
Cresciuto fra la stima dei suoi concittadini, unico superstite di un dignitosa tradizione pittorica (Rapisardi, Reina, Sciuti, Gandolfo) egli non à mai trovato chi lo avesse distolto o incoraggiato sulle varie strade su cui si è condotto per istinto e per indefinito malessere : è andato a tentoni.
Il ritrovarsi ch'egli fa di volta in volta e il riprendere la sua, la vera strada, lo deve al suo equilibrio o forse ai primi elementari, direi, essenziali insegnamenti avuti dal Gandolfo e dall'Accademia. La critica à fra l'altro la grande responsabilità di chiarire spesso all'artista l'artista, e però il critico è anche un collaboratore dell'artista.
Questi collaboratori l'Abate non à avuto.
*
L'Abate à dovuto sottoporre alle esigenze della piccola e grande borghesia provinciale, le ragioni dell'arte, così che il sacrificio à nociuto alla sua opera, dando spesso la sensazione del mestiere e del commercialismo, là dove era soltanto necessità; della faciloneria e della superficialità, là dove era invece bisogno di piegarsi alle prestazioni d'opera a tempo, e di adattamento al gusto dei committenti. L'eroismo non è moneta corrente.
Lo storico dell'arte nostra che dovesse misurare domani le possibilità e le realizzazioni dell'Abate, dovrebbe poterne valutare, alla stregua di queste condizioni e considerazioni, tutta la vasta produzione, e con criterio unitario e lineare, selezionando, cogliere la vera natura e il carattere del nostro.
Nelle illustrazioni interposte o che seguono a queste note sintetiche ò voluto riprodurre qualcuna delle opere, che nulla aggiungono alla valutazione di questo artista, poco favorito dalla sorte e molto dalla natura, ma lo ò fatto a fine dimostrativo. Acquarellista, affreschista, decoratore, paesista e ritrattista, l'Abate à trattato il quadro di genere come il grande quadro sociale, la composizione allegorica o storico-allegorica, il soggetto religioso e la decorazione a grande stile di palazzi e chiese.
Quando si esce dal suo studio e si istituiscono confronti e parallelismi fra le sue produzioni se ne riporta un senso di fastidio, giacchè vorremmo potere annullare certi aspetti della sua attività, ignorarli, per ridurla a qualcosa di unitario, di sostanziale e organico : alla vera essenza.
Che per fortuna sua e con nostra soddisfazione, ciò che rimarrà di lui, di più suo, di naturalmente aderente al suo spirito è tanto, ed è tale, che non vale la pena di lasciarsi distogliere dai valori negativi.
Nè qui si tratta di un artista che non abbia linearità o abbia smarrito il senso dell'orientamento, o abbia ceduto per via, o abbia lasciato allo sbaraglio gli elementi costituitivi della sua individualità, ma di un caso non raro purtroppo della malefica opera della vita di provincia. L'innato buon gusto però non sempre si è piegato alla pacchianeria e alla richiesta e alle esigenze dei committenti, e la sua mitezza e delicatezza d' animo à saputo spesso resistere e ribellarsi. Sono seguiti allora felici periodi di libero respiro, in cui l'artista à lasciato cantare la sua anima e à creato opere belle e talune perfette.
Tralasciamo di occuparci di alcuni quadri, che pur sono piaciuti e non soltanto nell'ambiente provinciale.
Il più vasto allegorismo ricostituito a base dei più crudi element(.......)sti e realisti, non è stato vinto, ma appena attenuato dall'ab..(........ )ittorica, che à tentato di vaporizzare con la magia del colore la pesantezza e la piattezza del simbolo. La distribuzione delle masse e un vigore espressivo di grande rilievo, la sapienza prospettica, che non rifugge da ricordi classici, rimangono sopraffatte dalla teatralità e dalla superficialità e da una certa trascuratezza dei particolari, che è indice di fastidio nell'autore stesso.
Tralasciamo pure le grandi tele religiose, perchè riteniamo l'Abate troppo turgido di qualità pagane e troppo moderno spirito, perchè possa umiliare l'istintiva gioia della vita al mistico fervore e alla sottigliezza teologica o al romanticismo sentimentale di certi aspetti modernizzati di pittura sacra.
Infatti il sentimento della natura e della sanità, che chiameremo panteistica, che è la sorgente vera e profonda del suo temperamento, è stata travasata in alcuni quadri di questo genere che sono più riusciti.
La riprova di questo nostro apprezzamento è stato dichiarato da alcuni particolari notevoli e sottolineati nel martirio di Sant'Euplio e nella Apoteosi di San Martino.
E poi che questo sentimento profondo e largo della natura non poteva esprimersi compiutamente che in un soggetto, con cui potesse aderire e connaturarsi, richiamiamo l'attenzione del lettore sul "Poverello di Assisi „ (pag. 17) che, con la "Pietà „ (pag. 22) del mausuleo dei Caduti nella Chiesa di San Benedetto, sono i più severi e realizzati quadri religiosi dell'Abate.
A scanso di equivoci diremo che l'elogio alla Pietà ci è suggerito dalla umanità del dolore materno, espresso con colore drammatico sul volto della Madre e dall'armonia e dalla distribuzione delle masse, dalla velatura e diafanità dello sfondo, più che dal misticismo, che avrebbe potuto esigere un tale soggetto. Vi campeggia un raro intuito architettonico.

E che il religioso qui non esuli dal quadro è un corollario: chè noi abbia segnalato nell'Abate, quale una delle sue virtù principali, la profonda umanità: infatti i due termini umanità e religiosità coincidono e non sono contraddittori come superficialmente potrebbe apparire.
Alessandro Abate è un ritrattista documentario e un costruttore di tipi.
Abbiamo presentato una serie di teste piene di vigore e di carattere, in cui l'interiorità trasfigura il soggetto, dando alle linee del volto, talvolta in una pennellata, che sembra buttata giù o sfuggita al pennello indocile, una rivelazione psicologica. Giovani donne fiorenti, dalle cui carni salde e luminose traspira la vita e la sanità, illuminate da sorrisi invitanti, o sensualmente procaci e pensose , con occhi opachi e ardenti sotto malinconici veli di desiderio; bocche carnose, tumide, seni turgidi e morbidi e ricchi ; volti accaldati sotto capelli scomposti e disfatti. La loro essenza bacchica è appena frenata dalla castità ed onestà della razza. Il giuoco delle luci è in ragione diretta della sobrietà della pennellata, che non s'indugia, ma pare invigilata e affrettata, mentre risulta decisa, calcolata, sapiente.
Alessandro Abate è colorista ed è pittore genuino. Se in qualcuna di queste sue tele il ricordo del Mancini violento e sconcertante colorista, apparisce, subito l'equilibrio del nostro rientra nei propri limiti.
La pennellata dell'Abate allora non à pentimenti, egli si abbandona alla sua ispirazione, all'impeto, alla canzone della luce, alla forza del suo temperamento concretizzatore e dipinge con larghezza, ma senza esagerazione.
Avviene che questa forza espressiva vinca anche le ragioni tecniche, e così assistiamo alla visione di acquarelli che anno la consistenza, la saldezza e la sostanzialità dell'olio, e ad oli che sembrano acquarelli, sì fatta ne è la trasparenza.
Mi piace qui ricordare un quadro, Aci e Galatea (pag. 26) ove il mito acquista una sua evidenza lirica straordinaria, dovuta alla sinfonia vibrante dei colori, alla medi-terraneità interpretativa della natura e alla trasparenza.

Sullo sfondo aerato sorge l'Etna, resa impalpabile dal suo candore di neve, l'atmosfera è impregnata di profumo, che il colore assume tale una spiritualità da derivare dai fiori, e le acque del fiume e quelle del mare, che si fondono in una trasfusione di delicata e forte bellezza, cantano nel bacio di Aci e Galatea allacciati.
Il quadro fu offerto a S. A. il Principe di Piemente nelle sue nozze e fu lodatissimo dagl'intenditori. Credo che sia uno dei documenti più efficaci di dimostrazione del valore pittorico dell'Abate, e quale colorista e interprete della atmosfera dell'Isola, e paesista vasto, lirico e sinfonico.
Sotto questo aspetto l'Abate à detto una sua parola inequivocabile e personale.
I cieli azzurri inconsistenti dei paesaggi etnei e il vulcano che caratterizza la nostra terra, che la suggella in una sua gagliarda e solenne bellezza, àn trovato in Alessandro Abate il loro cantore eccezionale. C'è uno spirito dentro quelle tele, che non si contenta di osservare passivamente, ma vi si trasfonde e liricizza la visione.
Se poi vi soffermate a guardare le incassate teste dei suoi contadini e dei suoi popolani vi troverete tanto carattere e tanta radicata umanità, che non potrete concepirli facendo astrazione dall'anima dell'Isola, anzi della campagna etnea, di questa bruciata terra di forte, rude e generosa gente.
Volti gravi in cui c'è la rassegnazione con la volontà in armonia, pacatezza e aperto animo; l'Abate à ottenuto con esiguità di mezzi e con solo gioco di pennellate dense ed espressive direi, somatiche, i più vivaci e definitivi effetti : l'evidenza plastica risulta da sapienza di toni.
Questo conoscitore e maestro di disegno à bruciate tutte le conoscenze tecniche, e la vita nelle sue figure risulta complesso di fattori inscindibili: luce, linea, colore.
Era facile prevedere che la sua esperienza tripolina, in una atmosfera in cui il colore pare che consumi i volumi, dovesse sboccare in prove e in realizzazioni compiute.
Così infatti è avvenuto.
Lontano da ogni maniera decorativa, egli à saputo rendere l'animo, il significato, la vita della luce, l'ambiente della nostra colonia.

Ma era anche facile scivolare nel decorativo e nelle arbitrarie maniere oleografiche: ma l'Abate aveva tutte le virtù per intendere la sinfonia della luce africana : c'è riuscito : egli à inoltre colto il senso della vita di quella gente, lo spirito di quella terra che si avvicina alla nostra.
I suoi interni, le sue arabe, i suoi larghi paesaggi, vasti da togliere il respiro, da sopraffare, dicono meglio di qualsiasi discorso illustrativo, le ragioni della nostra discussione sul vero temperamento di questo saldo talento pittorico.
Il colore non è fine a se stesso, ma l'Abate guarda con gioia e con gioia si arrende al colore, che talvolta diventa volume, si risolve in volume, come il volume si risolve in luce e levità.
Per questa sua abilità molte opere decorative di largo respiro, in saloni monumentali, ricordano, oltre che per gli scorci audaci, il tripudio leggero e sensuale delle carni, il barocco glorioso del Tiepolo.
L'Abate è radicato alla sua terra, la sente e ne vive la paganità, è padrone di mezzi eccezionali di tecnica, à precise qualità ed è nella stagione matura delle grandi risorse e delle definitive opere.
I suoi ritratti lo dichiarono un psicologo avvertito.
La critica può attendersi opere ancora più compiute, se egli vorrà ridursi con fedeltà e solo alla sua vera natura e al suo istinto.
NOTE BIOGRAFICHE
Alessandro Abate è nato il 25 novembre 1867 da Carmelo e Giovanna Reitano a Catania.
Dai 15 ai 18 anni frequentò il corso di disegno e di pittura tenuto a Catania dal pittore Antonino Gandolfo. Si trasferì subito dopo a Napoli dove studiò all'Istituto di Belle Arti, restando contemporaneamente sotto la guida del prof. Vincenzo Marinelli.
Nel '93 ottenne dal Municipio di Catania la borsa di studio per un corso di perfezionamento a Roma presso il prof. Iacovacci, frequentando i corsi di studio di nudo presso 1'Istituto delle Belle Arti e i corsi del Museo Artistico Industriale, da cui ottenne la medaglia d'oro.
Nel '94 espose per la prima volta a Roma all'Esposizione Nazionale col quadro «Dolore e miseria » e successivamente nel '95 a Palermo, nel '97 a Milano.
Nel 1902 espose alla Quadriennale di Torino " E pur si muove n che fu acquistato all' Esposizione di Santiago nel Cile ; nel 1906 ancora a Milano e infine nello stesso anno all' Esposizione summenzionata di Santiago.
Dal 1907 è rimasto, tranne brevi parentesi, a Catania, dove à condotto a termine parecchie opere di notevole importanza, nella Chiesa dei Bianchi, in quella di Sant' Euplio, e in palazzi privati.
Nel 1927 ottenne il gran prix all'Esposizione di beaux arts di Parigi.
Recentemente è stato nominato da S. M. Vittorio E. III, motu proprio, Commendatore della Corona d' Italia.
Dal 1929 al 1931 lavorò ed espose alla Fiera di Tripoli. Nella stessa città eseguì per ordine del Governatore il grande telone del Teatro Reale, e un quadro allegorico "Le Colonie e la Patria ".
Adesso decora il Palazzo della Provincia di Siracusa, in seguito ad un concorso, e decorerà quello della Provincia di Catania.
ritratto di Francesco P. Frontini

venerdì 23 luglio 2010

MARIO RAPISARDI SECONDO DE GUBERNATIS

Tratto da .paroledisicilia.it, di Silvio Ulivelli

Il profilo biografico di Mario Rapisardi scritto da Angelo De Gubernatis nel 1912, e mai più ristampato esce in una nuova edizione completa di introduzione, nota biografica e commento al testo. L’Autore indugia soprattutto sulla personalità morale del poeta catanese, cercando di riscattarla dalla «fosca leggenda» costruitagli intorno dai suoi nemici; sono invece trascurate le contingenze private e pubbliche della sua vita, d’altronde povera di accadimenti. Il libretto comincia con il ritratto del carattere e dello stile di vita del Rapisardi, abbozzato in una nota di Amelia Sabernich, sua fedele compagna dal 1885; seguono pagine autobiografiche del Rapisardi, tratte da Peccati confessati del 1883, che rievocano la formazione morale e letteraria del poeta fino ai vent’anni.

De Gubernatis delinea poi la carriera accademica di Rapisardi, accenna alla polemica con il Carducci e conclude con una veloce descrizione della sua opera letteraria, un personale giudizio e infine una panoramica sulla fortuna del poeta in Italia e all’estero.
Il lavoro di De Gubernatis è ancora oggi un prezioso strumento di conoscenza per chiunque desideri avvicinare la controversa personalità umana e artistica di Mario Rapisardi, che ai nostri giorni è praticamente sconosciuto ma occupa un posto rilevante nel panorama della poesia italiana del secondo Ottocento.

Mario Rapisardi, di Angelo De Gubernatis. Edizioni Remo Sandron. Pagine: 60. Prezzo: € 9,00.

Il libro si può acquistare sul sito www.sandron.it

giovedì 1 luglio 2010

A Cavalleria rusticana, la Sicilia rispose con Malìa (la storia)


Dalla sua polemica al successo bolognese: questa è la storia dell'opera Malìa di F. P. Frontini oggi, ingiustamente posta in oblio.

Non sempre il maestro Frontini era propenso a far confidenze, ma negli ultimi anni della sua vita ne fece qualcuna assai interessante.

Si tratta della storia della “Malìa”, il maggior lavoro del musicista catanese e certamente uno dei più bei melodrammi “veristi" dell'ultimo ottocento, degno della più fortunata popolarità se non fosse nato sotto cattiva stella.
“Malìa” ebbe una genesi polemica.

L'idea di un'opera di argomento e carattere siciliani nacque, nella mente del Frontini, poco dopo l'apparizione della “Cavalleria “ mascagnana.

Non fu sentimento di invidia quello del musicista catanese - ma una specie di risentimento campanilistico.

Frontini aveva, fin dal 1882, iniziato la raccolta di cantilene e arie popolari catanesi che - sotto il titolo “Eco della Sicilia” - aveva pubblicato presso Ricordi.

Per merito suo l'Italia aveva potuto conoscere ( per la prima volta Mi votu e mi rivotu, Ciuri..ciuri, Amuri, amuri e altri 47 canti ) i veri sentimenti che si nascondono in questa ermetica anima siciliana e che sogliono effondersi attraverso i canti popolari.
Dal canto suo Giovanni Verga - e nei libri e sul teatro - ne aveva saputo mettere in giusta luce tutti gli aspetti della primitiva psicologia.
Frontini era molto amico del Verga e non gli garbò molto vedere tradotta la scarna e densa prosa verghiana ai versi piuttosto retorici intonati da una musica che recava accenti dialettali toscani.
La Sicilia è dei siciliani pensò, e raggiunse Luigi Capuana che, in quel tempo viveva a Roma.
Poeta e musicista dopo molte discussioni, si accordarono su un soggetto originale e di grande evidenza scenica.
L'argomento era verista s'intende, non per nulla il Capuana era il propugnatore italiano della nuova corrente estetica.
Ma il musicista chiese un verismo che non mettesse in evidenza un fattaccio: desiderò la narrazione di una vicenda passionale imperniata si su un “documento umano” ma trasfigurata e purificata dalla musica.
Frontini ritornò a Catania con la testa in fiamme e aspettò il libretto che Capuana gli aveva promesso.
Passarono settimane, quindi qualche mese.
Poi la poesia del libretto cominciò ad arrivare a squarci, a brani, a pezzetti e a Frontini, oltre che il musicista, toccò fare il sarto per ricucirli insieme.
Poesia ottima, versi incisivi si, ma troppo scarni, troppo laconici nei quali la musica - nella sua espansione sentimentale - mal si costringeva.
Il musicista cercò di allungare i versi con qualche ripetizione in attesa che il poeta gli inviasse sviluppi richiesti e il resto del libretto.
Ma Capuana tacque del tutto e Frontini rimase, inoperoso a rodersi nell'attesa.
Fortunatamente non era uomo da abbattersi.
Ripartì per Roma e Capuana se lo vide piombare inaspettato, in quell'ultimo piano della casa dove abitava.
Le parole del musicista furono secche e concise come, fino allora, erano stati i versi del poeta.
Non mi muoverò più da qui se non prima potrò portare con me il libretto di “Malia” completo.
Capuana cedette.
Mise da parte gli altri lavori incominciati, raccolse gli appunti sparsi del libretto di “Malìa” e vi si buttò a corpo morto.
Il lavoro, in breve prese forma.
Il libretto venne acquistato dal musicista che ritornò a Catania elargendo sorrisi, ringraziamenti e tante scuse al poeta: poi lo fece leggere a Mario Rapisardi, lo lesse lui stesso ad una piccola cerchia di amici: tutti lo trovarono bellissimo.
Con questi consensi, il musicista si mise a lavoro e terminò l'opera in poco tempo.
Con il manoscritto Frontini si recò a Milano da Giulio Ricordi, suo editore.
Il quale ascoltò e lodò molto l'opera, però…. però quell'anno c'era troppo lavoro: bisognava rimandare la stampa e la rappresentazione di “Malìa” per l'anno seguente, Frontini, che bolliva non se ne persuase affatto.
Chiuse la partitura e infilò l'uscio con tanti saluti per l'editore famoso il quale lanciò al musicista focoso la sua pacata profezia: Ve ne pentirete.
Li per li Frontini non ci badò affatto.
Un nuovo Editore di musica, il Demarchi, voleva insediarsi a Milano e cercava giovani musicisti da lanciare .
Era una manna. Frontini si presentò a lui e gli fece sentire la sua opera.
“Malìa” venne subito accettata e inclusa nel cartellone del teatro Brunetti di Bologna.
La sera del 30 maggio 1893 Frontini diede la sua risposta a Mascagni: una risposta rispettosa ma fiera.
Ecco La Sicilia, parve dire il musicista catanese e l'entusiastico successo che accolse l'opera parve confermare la sua aspirazione.

Dopo Frontini dovette fare i conti con il destino avverso profetizzato da Giulio Ricordi.

L'editore Demarchi fallì, Frontini si affrettò a riacquistare la proprietà della sua opera che venne rappresentata anche a Catania, l'ultima volta nel 1957.

Poi fu condannata a giacere, sotto chiave.

L'opera - ancora viva e vitale - continua a restare chiusa dentro lo scaffale e aspetta che qualche buon santo la proponga. ( Per approfondire Malìa - qui ) 

lunedì 28 giugno 2010

Epigrammi








Virtù mi parve, e forse era da pria,

Ma pestifero morbo ora diviene
Questo del mio pensiero abito intenso
Di penetrar le cose, e il come e il quando
D'ogni minimo effetto, e la ragione
D'ogni forma indagare, e scarnar tutte
Le viventi sembianze, e il verme e il nume
A inesorata anatomia supporre.
Perfin l'alto perchè (già che l'audace
Mente un perchè si finge) entro alle cose
Scovar presume, e con solenne sfida,
Poi che indarno il braccò, fremendo il chiama.
Tutta così mi si scolora intorno
La vita, tutto si disforma, e vano
Re d'un deserto io gemo. Il mio pensiero
Avvoltojo s'è fatto, e ne' miei caldi
Visceri il rostro insaziato affonda.
--- Mario Rapisardi

mercoledì 16 giugno 2010

"Non rifarei la via del sud, temendo di essere preso a sassate." G. Garibaldi ad Adelaide Cairoli

Questione fra settentrionali e meridionali d'Italia.

Non avendo né voglia né autorità di far lungo discorso sull'immancabile questione fra settentrionali e meridionali d'Italia, mi restringo ad osservare che dal fraterno dissidio a me paiono principalmente colpevole i primi, che le Provincie nostre han considerato sempre come terra di conquista; e precipua cagione dei loro falsi giudizi è l’ ignoranza lacrimevole che essi hanno della nostra storia, della condizione del nostro popolo, della vita insomma e dell'esser nostro: ignoranza gradita alle camorre più o meno politiche e industriali, che ne fan prò ; alimentata stoltamente da un branco di novellatori che ci descrivono, per partito preso e per ragion di mestiere, come un popolo di accoltellatori e di bruti ; suggellata e quasi santificata dai biciclettisti di una scienza novissima, che ci ha marchiati e gabellati per barbari e condannati a barbarie perpetua.

Ma le male arti dei diffamatori, dei calunniatori e dei mestieranti hanno ormai tanto di barba; e il popolo se ne accorge e ne freme.

La parola d'ordine « Unione e non unità » si va, dopo quarantanni d'esperienza, facendo strada nell'animo degli onesti; e coloro che ci voglion tenere in perpetua tutela, per dissanguarci a lor comodo, si accorgeranno finalmente che le province meridionali, e la Sicilia in ispecie, non hanno mai tollerato a lungo le male signorie.
Ci pensi e provveda chi può. Mario Rapisardi

Pensieri e giudizi / con l'aggiunta delle Odi Civili e degli aforismi di L. A. Seneca e P. Siro,
a cura di di
A. Tomaselli - G. Pedone Lauriel, 1915, Palermo

martedì 15 giugno 2010

L'assenzio e i poeti della rivolta in musica

Per altre vie, avevo formulato l'ipotesi di un contatto di Frontini con l'ultima "scapigliatura" milanese, adesso, grazie a Saverio Fiducia, ho certezza.
..col Fontana col Marenco col Praga junior........| .....chè durante la sua permanenza a Milano e dopo il successo ottenuto dalla prima raccolta di canti popolari Eco della Sicilia che lo rivelò, in ispecie il Marenco gli si era affezionato e gli aveva offerto un libretto tratto dal suo Il Falconiere di Pietra Ardena......

  •  Lucifero/Il canto di Ebe , versi di Mario Rapisardi, per So. o Te. (1883) 
  •  Lauda di suora , versi di Mario Rapisardi, (1889)
  •  Eros , versi di Giovanni Prati, melodia in chi. di sol (1878)
  •  Oblio !, versi di Luigi Gualdo, melodia (1879)
  •  Luna che spunti, versi di Domenico Milelli, (1904)
  •  Il tuo ritratto, versi di Domenico Milelli,(1911) 
  •  Inno delle colonie Italiane, versi di Domenico Milelli, (1912)
  •  Vieni Nerina, versi di Olindo Guerrini, (1878)
  •  Fior di siepe, versi di Olindo Guerrini, pseudonimo Lorenzo Stecchetti,(1878)
  •  S'io fossi, versi di Olindo Guerrini, (1883) 
  •  Tu non m'ami, versi di Heinrich Heine, (1878)
  •  Paggio e Regina ,versi di Heinrich Heine, (1884)
  •  Ama!, versi di Antonio Ghislanzoni, (1898) -
  •  Il Canto di Mignon, versi di Antonio Ghislanzoni, (1898) 
  •  Morta!, versi di Giulio Pinchetti , (1881) -
  •  Libertas! versi di Giulio Pinchetti ,(1866)
  •  Notturno, a due voci, versi di Giovanni Marradi, (1885) -
  •  Voi, sonetto tratto da Preludio, versi di Giovanni Marradi, (1881)
  •  L'amor sen va, lamor sen viene, versi di Iginio U. Tarchetti
  •  Non me lo dir, versi di Iginio U. Tarchetti, (1878)
  •  La ritrosa, versi di Luigi Morandi, (1905)
  •  Il mio poeta , versi di Giacomo Longo, (1883)
  •  Senza Baci , versi della Contessa Lara, (1898)
  •  Baci mortali, versi di Annie Vivanti, (1904)
  •  Nel tempo d'una volta, versi di Leopoldo Marenco, (1905)
  •  I Baci, versi di Alfio Belluso, (1886)
  •  Non pensi ame..., versi di Alfio Belluso, (1893)

« "..tutti amarono l'arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori" »
(Introduzione, cit. p. XXVIII.)

lunedì 14 giugno 2010

Il diavolo non è poi così brutto come si dipinge

«Io preparo le valige per il viaggio nell'ombra, e la notizia d'un tuo lavoro sulla mia vita mi giunge grata come il saluto d'un buon amico al momento della partenza.
La mia vita è povera d'avvenimenti, e chi ha la generosa idea di narrarla, ha da contentarsi di uno studio sullo svolgimento delle mie opinioni, dei sentimenti, degl'ideali che hanno guidato la mia vita e che tutti si trovano riflessi nei miei libri.
D'inedito non intendo di lasciar nulla.
Le molte lezioni scritte, non avendo più il tempo e la pazienza di farne un libro, le distruggerò probabilmente. Più che all'erudizione e alla filosofia io, in qualità di professore, mirai sempre all'educazione del carattere, cavandone gli esempi dalla nostra « storia letteraria ».
Nient'altro di me saprei dirti; la mia modesta vita non merita molte parole, la descrizione che ne farà il principe dei biografi gioverà, spero, a far ricredere parecchi sul conto mio, a diradare la fosca leggenda, di cui mi hanno ravvolto i nemici, a far constatare che il diavolo non è poi così brutto come si dipinge, a servir di guida onesta e autorevole a coloro che avranno curiosità di conoscermi». "Eccomi dunque all'opera, senza l'aiuto diretto dell'amico, che io spero, del resto, conoscere abbastanza".
Mario Rapisardi - di A. De Gubernatis - R. Sandron 1912