Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

mercoledì 27 luglio 2011

La critica dei pedanti.

Manfurio, a cui la bile e l'appetito
In legittimo amor par che s'unisca,
Grammatico, retorico, erudito.
Onniloqnente ancor che balbutisca :
Un filologo insomma alla tedesca :
Ferreo cul, cor di stoppia e faccia fresca. 
O eruditissimu
Cacapurtenti,
Ca libri in foliu
Crei di lu nenti,  - (continua qui)


Da « L'Atlantide »
(1894)
- È la  Critica un'arte ideologica. 
Metodica, ermenèutica, liturgica. 
Un' occulta scienza filologica, 
Una pratica medico-chirurgica, 
Un' alchimia, una cabala astrologica, 
Una diavoleria taumaturgica. 
Che a forza di commenti e d' ammenicoli 
Le teste a trasformar giunge in testicoli. -
.................................
- L' armi di questa gente oltre ogni detto
Bizzarre sono: han tutti il ventre ignudo.
Ma fin sopra le orecchie hanno un berretto,
E sul berretto un cardo ispido e crudo;
Un' Enciclopedia lor fascia il petto.
Un Calepino serve lor di scudo,
Un arnese hanno in man lungo a due tagli,
E un diploma di laurea in sui sonagli. -
...............................
- Ma l' arma, che ciascuno, anche il più vile, 
A mo' di freccia, in fiero atto brandisce, 
È una piccola penna, anzi uno stile, 
Cui l'Odio arrota e il Calcolo acuisce: 
D'atro veleno in tinta ha la sottile 
Punta ch' a un tempo insudicia e ferisce ; 
Nè usato mai fu con astuzia tale 
Dardo abissino ed indian pugnale. - (tratto da qui)


AD UN CRITICO
Son le tue dotte critiche
    D'arte e di scienza un codice,
    Per non scordarle, o Gellio,
    Tutte le imprimo al podice.

  • Note:

Qualcuno bramerà sapere chi sia questo Gellio, al quale sono
    indirizzati molti de' miei epigrammi. Dirò: Gellio non è un
    individuo, sibbene il riassunto di molti individui. È un composto
    di asino e di briccone; di asino che sa scrivere, di briccone che
    ha l'aria di gentiluomo; sono tipi che abbondano. Io n'ho visti e
    praticati parecchi, e spero che picchiandone uno, la battitura
    venga sentita da molti. -
CRITICO ILLUSTRE
Tutti plaudiscono?
      L'illustre critico
      Sarcasmi biascica,
      Le ciglia aggrotta.
    Tutti sbadigliano?
      L'illustre critico
      Esclama in estasi:
      «Musica dotta!»
GIUDIZI DEL PUBBLICO
Piace un dramma a Milan.... cade a Firenze;
    Fischia Venezia.... plaudirà Torino.
    Variano i gusti, varian le sentenze
    Del pubblico cretino.
LA CRITICA

Flavio maestro chiamasi,
      Dunque: perchè fa il critico?
      --Flavio fa atroci musiche.


    Sandro pittore nomasi;
      Dunque: perchè fa il critico?
      Sandro fa sgorbi orribili.


    Tullio poeta vantasi;
      Dunque: perchè fa il critico?
      Tullio è poeta pessimo.


    In base a tali esempi,
      Definirei la critica:
      Arte o mestier da invalidi.
  • Note:
Nella _Confessione generale di un critico_ ho sviluppato più
    largamente le idee accennate in questo epigramma. Amo riprodurre
    un frammento di quell'articolo:
    «_Critico letterario_ suol essere ordinariamente uno scrittore
    dappoco, negletto dagli editori e dal pubblico, inetto a concepire
    ed a produrre delle opere attraenti, epperò nemico giurato di chi
    fa, di chi riesce coll'ingegno e collo studio ad
    elevarsi--_Critico musicale_ è quasi sempre un musicista abortito,
    il quale, dopo aver pubblicato una dozzina di _polke_ pel consumo
    dei salumieri, od aver prodotta un'_opera_ altrettanto elaborata
    che stucchevole, pretende erigersi a maestro dei maestri, o
    avventandosi a quanti ottengono dei luminosi successi, crede
    rivendicare, col disprezzo di ciò che è buono e generalmente
    lodato, la propria impotenza e le sconfitte obbrobriose--_Critico
    d'arte_ è sovente un pittore reietto dalle Accademie e obliato dai
    committenti, i cui quadri, venduti sulle pubbliche aste e passati
    dall'uno all'altro rigattiere, vanno poi ad affumicarsi sulle
    ignobili pareti di qualche osteria da villaggio.
    «Non avvi idiota, il quale non sia in grado, al più o meno peggio,
    di esercitare il mestiere del critico. È tanto facile stampare su
    un quadrato di carta: Manzoni è un gramo poeta, Verdi fa della
    musica intollerabile. Vela è uno scrittore mediocre; ma non è dato
    che agli artisti di genio scrivere il _Cinque maggio_, fare
    un'opera come il _Rigoletto_ e trarre dal marmo uno _Spartaco_.
I PSEUDONIMI
Quando d'una effemeride
    Tu imbratti le colonne,
    Presumi invan nasconderti
    Nel vel di un _Ipsilonne_.
    A ognun che il testo esamini
    Subito si rivela
    Che all'ombra del pseudonimo
    Un asino si cela.
  • Note:
Un disgraziato poetastro, autore di romanzi non letti e di
    pessimi melodrammi, in più occasioni, mutando pseudonimi ed
    iniziali per non darsi a conoscere, scrisse di me e di alcuni miei
    libretti d'opera tutto il peggio che la sua bile potesse
    suggerirgli. Egli offerse _gratis_ e ottenne di veder stampati i
    suoi articoli ipocondriaci in parecchi giornali. Io lo riconobbi
    alla punta degli orecchi e rido ancora di lui.
AD UN CRITICO 2

Se per lo stil sol vivono
      I libri, i miei morranno;
      I tuoi volumi, o Gellio,
      Eterna vita avranno.


    Così fia noto ai posteri
      Fin del mio nome ignari
      Che visse al nostro secolo
      Un asino tuo pari.
  • Note:
L'opinione, accreditata dai pedanti, che la vitalità dì un
    lavoro letterario dipenda più che altro dalle bellezze dello
    stile, non trova appoggio nei fatti. Le commedie del Goldoni,
    scritte in lingua negletta, sopravvissero a quelle del Nota
    forbitissime. Si leggono con diletto le tragedie di Shakespeare
    tradotte in prosa non sempre elettissima dal Rusconi, non quelle
    di molti poeti italiani irriprovevoli per la sonorità del verso e
    per altri pregi dì forma. Autori encomiatissimi per la forbitezza
    dello scrivere, quali il Caro, il Giordani, il Tommaseo, ecc.
    ecc., trovano oggidì pochi lettori, mentre il Bandello ed altri
    novellieri antichi, non hanno cessato di dilettare col semplice
    prestìgio della originalità e della naturalezza sbadata. Si può
    essere teste da rapani e far dei libri raccomandabili come testi
    di lingua.
AD UN GIORNALISTA
Per le _inserzioni_--a _pagamento_
      La quarta pagina--hai destinata.
      Perchè da tutti--ripeter sento
      Ch'è di tue pagine--la men pagata?
BANCHETTO GIORNALISTICO
    I giornalisti all'àgape
    Fraterna convenuti,
    L'uno all'altro ricambiansi
    I brindisi e i saluti.
    L'ire gelose e gli odii
    In amistà si cangiano....
    --Sazio han davver lo stomaco;
    Fra lor più non si mangiano.


Riflessioni per gli addetti

« I critici pedanti —  dice il De Sanctis  — si contentano d'una semplice esposizione e si ostinano sulle frasi, sui concetti, sulle allegorie, su questo e su quel particolare come uccelli di rapina sur un cadavere . . . Essi si accostano ad una poesia con idee preconcette : chi di essi pensa ad Aristotele e chi ad Hegel.
Prima di contemplare il mondo poetico lo hanno giudicato : gl'impongono le loro leggi in luogo di studiar quelle che il poeta gli ha date. .... Critica perfetta è quella in cui i diversi momenti (per i quali è passata l'anima del poeta) si conciliano in una sintesi di armonia.
Il critico deve presentare il mondo poetico rifatto ed illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la scienza vi presti, sì, la sua forma dottrinale, ma sia però come I'occhio che vede gli oggetti senza però vedere se stesso. La scienza, come scienza, è, forse, filosofia, ma non è critica ».
F. De Sanctis -  Saggi Critici - Morano - Napoli 1874


****
Esempio di pedanti

" Dante sia posto trai libri di erudizione, e della Commedia si lascino solo taluni pezzi che, raccolti e, come meglio si può, ordinati, formino non più di cinque canti. .,

" Bisogna gettare all'onda letea i nove decimi, più e non meno, della roba (sic) che il Rapisardi ha scritto, carezzato e ristampato, e sulla quale si fonda la sua notorietà: e, in questa cernita, non è facile impedire che le poche pagine degne di essere serbate non si precipitino a seguire la grande massa. 


Il pedante

« — Pedante? E sia. Del mio sapere indegno
Sarei, se contro a’ folli armato uscissi :
Nelle italiche scuole unico io regno,
Astro immortal che non conosce eclissi.

Il popol mio, che prode animo ha pregno
Di radici, di temi e di suffissi,
Presidierà, s’è d’uopo, il mio buon regno
Con pleonasmi, iperboli ed ellissi.

In trono d’aoristi e d’ablativi
Tranquillo io poggio, ma gli strali ho pronti
A punir gli empj, a sgominar gl’iniqui;

E se stretto sarò da’ casi obliqui,
Io scaraventerò contro a’ cattivi
Alcaiche e ipponattèe, giambi e scazzonti! »


venerdì 15 luglio 2011

L'oscurantismo. "Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà ! "

Una sciagurata tendenza ha torturato e tortura ancora l'umano pensiero. È l' oscurantismo, che vuole, ad ogni costo, nascondere il vero, ma inutilmente, perchè, presto o tardi gli infami artifizi vengono smascherati, e la verità, bella della sua luce, risplende e trionfa. Il Messo celeste pien di sdegno rimprovera la gente dispetta, la quale alletta questa oltracotanza, ricalcitrando, sebbene sempre sconfitta, al bene, come dice l'Alighieri nel Canto IX dell'Inferno.
Francesco Voltaire, quando disvela il metodo maledetto  con le parole : -  Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà ! —, addita tale tendenza. Essa fu quella, la quale divulgò che la gran Costanza fu monaca, e così abilmente asserì, che lo stesso Dante credette, e cadde nell' inganno. La mala voce introdusse destramente, come canta don Basilio nella celebre Aria La calunnia del Barbiere di Siviglia, che Costanza era stata monaca, e non fu giammai disciolta dal velo del core; il padre non si può garentire, e così, insultando   una   gentildonna e il regale marito di lei, era possibile affermare che il terzo vento di Soave, fosse l' Anticristo.
Altro esempio: Il 4 Gennaio  1912 cessò di vivere Mario Rapisardi. Qualche tempo dopo si sparse la voce che un certo cappellano, vecchio, fosse, con inverisimile acrobatismo, entrato da un   balcone nella stanza del Poeta morente, il quale era stato lasciato solo (e dire che erano ansiosi attorno a Lui   non   pochi amici !), e l'avesse confessato. Con ciò si mirò a divulgare la voce che il Rapisardi fosse morto da credente. In vita di Lui, molti anni or sono, un sacerdote conferenziere, per dimostrare la superbia del Poeta, disse, con faccia fresca, tosta, dura, bronzea e cornea, che il Rapisardi usava una scrivania del costo di lire sedicimila! Chi scrive, discepolo e amico del Genio catanese, non aveva visto mai in casa del Rapisardi una siffatta scrivania ; nondimeno ne parlò all'Illustre Alfio Tomaselli e al valentissimo Avvocato Monterosso, i quali risero della pretesca invenzione (1). 

Non faccio il nome del maligno inventore, il quale, quando poi una Signora, già esemplare mia allieva e allora e ora valentissima Collega, l'Egregia Signora Linda Magnani Rapisarda (la quale, trovandosi per poco tempo, in Catania, il giorno 8 Settembre, onorandomi di Sua cara visita, consentì che io la nominassi; e di ciò La ringrazio con paterno affetto), osservò al conferenziere che quella scrivania non era mai esistita, citando i testimoni, quegli rispose che egli aveva detto in quel modo, perchè così gli era stato detto da persone, di cui, prudentemente non disse nomi!
Si asserì, adunque, che il Rapisardi fosse morto da credente, fingendo di ignorare le due ultime affermazioni di Lui, l'una rievocante Argante, l'altra di disprezzo ai critici, appartenenti alla congrega impura.
Chi scrive questa Nota si reputa onorato di aver viaggiato in automobile, nello scorso autunno, recandosi da Catania a s. Giovanni la Punta e viceversa, con l'egregia Signora Santina Patamia vedova Chiarenza, proprietaria del bel palazzo di via Etnea, 575. Al secondo piano abitò il Rapisardi, ed ivi si spense. La Signora Patamia Chiarenza, seria, onestissima, dignitosa, gentile, energica, di non comune intelligenza, dinanzi alla quale chiunque deve levarsi il cappello ed inchinarsi, certamente non sospetta di essere una settaria, parlò, con chi scrive, del Rapisardi, di cui egli fu, ed è, umile discepolo e devotissimo. 

La Signora, chiesta, rispose esser vero che il cappellano venne, ma arrivò alla scala, perchè non fu fatto entrare.
Anche l'illustre Alfio Tomaselli, richiesto pure da chi scrive, escluse qualunque possibilità della presenza di un cappellano in casa di Mario Rapisardi, che morì qual visse.

La stessa tendenza cercò, ed anche oggi cerca, di falsare la vera luce del Leopardi, sia con buona intenzione, caso raro, sia con proterva intenzione di infamare di incoerenza la santa Memoria di un Uomo grandissimo. Mi addolora che l'egregio Vincenzo Schilirò si sia fatto trascinare da siffatta tendenza. Ma, sia detto a discolpa dello Schilirò, questi è uno studioso di Dante, come prova la poderosa opera La Divina Commedia di Dante Alighieri, annotata e volta in prosa da Vincenzo Schilirò (Soc. Ed. Internazionale).
Questo Lavoro ha qualche non lieve menda, ma dimostra la buona volontà e l'erudizione dell' Autore. La detta opera io adotto nella mia Scuola. E se il Poeta, a cui lo Schilirò dedicò tanta parte della Sua Mente, fu ingannato dai Guelfi, che maraviglia se il valente studioso di Chi cantò Beatrice, si sia fatto ingannare dai discendenti di coloro, che opposero al pubblico segno i gigli gialli, e furono asserviti alla malvagia lupa ?
Non dobbiamo fare come i poeti e come, secondo il Tolstoj, i medici: - Abbi il  coraggio di ingannarti e di sognare; ma respingiamo le lusinghe dell'inganno, e rinunziamo ai sogni ! Sia anche così la nostra vita notte senza stelle a mezzo il verno (Leopardi, Aspasia).



(1) Dico pretesca non per offendere i preti: noi, liberi pensatori, siamo tolleranti, (chi più intende, più compatisce, e fà apparire possibile l'amore di Empedocle, se un sogno esso non è), ma letteralmente, perchè uscita dalla bocca di un prete, padre F. F., il quale mirava a dimostrare l'indole aristocratica del Rapisardi e la superbia di Lui. Sono preti anche buoni e sinceri, e di tali non pochi ho conosciuti, e conosco, e della cui amicizia sono lieto, e mi vanto.

* Capitolo tratto da Commemorazione Rapisardiana, 4 Gennaio 1942 - XX - di Francesco Marletta.
   Catania, tipografia Fratelli Nobile 1943 - XXI

mercoledì 13 luglio 2011

Per ricordare Carlo Caporossi, libero pensatore. Deceduto venerdi 8 luglio 2011

Per ricordare uno dei pochi signori che ho conosciuto, sempre disponibile nei confronti di un dilettante e improvvisato cacciatore di fantasmi illustri del passato. Grazie, mi mancherà il tuo aiuto. (Pietro Rizzo)




NOVELLE TOSCANE di Carlo Caporossi
Scritte tra il 1880 e il 1890 le Novelle toscane costituiscono la prova migliore dell'ampia produzione in prosa di Everlina Cattermole (1849-1896), celebre scrittrice e giornalista nota con lo pseudonimo di Contessa Lara. Caratterizzate dalla fedelta' ai dettami del realismo allora in voga e arricchite di capacita' introspettiva, le Novelle si sviluppano attorno a un'indagine scrupolosa dell'animo umano, compiuta alla luce di un'esperienza personale divenuta metodo di comprensione dell'umanita'. Quasi come a raccoglierne le segrete confidenze, l'autrice si accosta ai personaggi per condividere esperienze e sentimenti che poi restituisce con quel gusto e quella precisione che caratterizzano il suo particolare stile narrativo. Accanto a Firenze, piccoli paesi della Toscana diventano i protagonisti della scena narrativa; accurate descrizioni fanno da sfondo ai racconti, dai tratti ora comico-ironici, ora tragicamente fatali, e alle pagine di memorialistica che costituiscono un documento umano di indubbio valore. pagine 206, Illustrato, volume in Italiano. 



Novelle toscane
(Graphie)
A cura di: C. Caporossi
Editore: Il Poligrafo
Data di pubblicazione: 2008

(La memoria)
A cura di: C. Caporossi
Data di pubblicazione: 2008

(Fondazione Carlo Marchi. Quaderni)
A cura di: C. Caporossi
Editore: Olschki
Data di pubblicazione: 2006

(La memoria)
A cura di: C. Caporossi
Data di pubblicazione: 2006

(La memoria)
A cura di: C. Caporossi
Data di pubblicazione: 2005


Ascetico narciso. La figura e l'opera di Girolamo Comi
Caporossi Carlo, 2001, Olschki





Dedico questa pagina a Carlo Caporossi, prematuramente deceduto il 8/07/2011, che tanto amò la Vivanti con i suoi studi. Grazie per la cortese collaborazione. (Pietro Rizzo)

domenica 19 giugno 2011

Carlo Ardizzoni. Patriota, filosofo, poeta (Catania, 19 settembre 1808 - 3 gennaio 1886).

 DON CARLO fu uno dei primi a divulgare a Catania l'opera dell'Alfieri, del Foscolo, del Monti e del Parini e a educare i giovani catanesi ai sentimenti di patria. Nel 1831, fonda un istituto di Ideologia, quasi subito soppresso dalla polizia borbonica (che lo considerava un centro di cospirazione), partecipò ai moti dell'estate del 1837 (v. «Figli di Caronda » - Carboneria) insieme con il Barbagallo Pittà . Scampato alla repressione borbonica, fondò nel 1846 il Gabinetto di lettura Ateneo Siculo. Durante la rivoluzione del 1848-'49 fu, per breve tempo, commissario del potere esecutivo ma dopo l'ulteriore fallimento dei nuovi moti rivoluzionari si estraneò dalla attività cospirativa dedicandosi esclusivamente allo studio. Poco prima della venuta di Garibaldi, ritornato a cospirare, patì più volte il carcere. Rapisardi lo ricorda pieno di « entusiasmi di giovane e ingenuità di fanciullo ». Lasciò alcune opere inedite.


1
Carlo Ardizzoni
uomo di vario sapere
di tenace proposito, di sincera virtù
visse con l'animo fra' migliori antichi,
e di loro fu degno.
2
Lo studio amoroso
della lingua d'ltalia
gli alimentò il culto della patria
la piena scienza
delle umane istorie
gli crebbe la religione
dell'Ideale.
3
Quand'era delitto il pensiero
liberamente pensò,
e da libero operò in tempi difficili,
serbando incorrotto il cuore
incontaminate le mani.
4
Sdegnoso di sette,
amatore rude e divulgatore impetuoso
di verità,
fu prediletto da' generosi
da' prepotenti temuto,
rispettato da tutti.
5
Ignaro delle arti giovevoli alla fortuna
mantenne fino agli anni più gravi
entusiasmo di giovane, ingenuità di fanciullo:
visse da poeta, morì da filosofo:
divina schiettezza dell'animo!

Questo autografo Rapisardiano, attraverso il quale appare la figura di Carlo Ardizzoni, ci riporta ad un numero unico divenuto ormai raro e introvabile, che un «giornale politico bisettimanale» del tempo: «Il Mongibello» (che, era diretto da G. Vitale Palazzo; aveva l'ufficio di amministrazione al numero civico 16, secondo piano, di via Biscari; si stampava per i «tipi di Roberto Giuntini» e si vendeva «centesimi 5 il numero, arretrati centesimi 10») dedicò alla memoria del patriota catanese.

Bibliografia:
Enciclopedia di Catania - Tringale editore
Catania vecchia e nuova, di Francesco Granata - Ed. Giannotta 1973 

martedì 14 giugno 2011

Calcedonio Reina (Catania, 4 febbraio 1842 – Catania, 10 novembre 1911) è stato un pittore e poeta italiano


Singolarissimo ingegno nelle molteplici sue manifestazioni. Sul frontespizio delle sue raccolte di versi suole egli aggiungere al proprio nome il titolo di pittore : reciprocamente, non è possibile considerare le sue tele senza chiamarlo poeta. Del poeta egli ha l'alata fantasia, la vivace immaginazione, le invenzioni originali, i lampi rivelatori. 

L'arte sua non si può ascrivere a nessuna delle scuole conosciute, delle categorie definite; quando pare che egli si accosti a qualcuna, tosto con un colpo d'ala se ne dilunga, trascorre ad un genere opposto, serbando sempre un suo proprio indelebile e impareggiabile carattere. 

Il simbolismo della Cucitrice eterna, della Tentazione,Vendetta di Rettile, dà luogo al realismo delle Compagne d'una volta, del Filtro d'amore, al romanticismo della Tentazione, al preraffaellismo della Maddalena e Giuda ; ma il preraffaellismo, il romanticismo, il realismo,il simbolismo, non sono voluti dall' autore, non sono da lui cercati tanto meno studiati : sono invece modi che il suo spirito ha naturalmente ed istintivamente assunti nel dar forma ai fantasmi che lo agitano. 

Tanto è vero, che questi modi diversi si dànno in lui la mano, come non sarebbe possibile se egli si fosse ascritto, sia pure una volta tanto, a qualcuna di queste scuole.




Calcedonio Reina (Catania, 4 Febbraio 1842 - 10 Novembre 1911)

Avviato dal padre, lo scienziato prof. Euplio, alla medicina, studiò contemporaneamente, e da solo, pittura. Il Morelli, visti alcuni suoi lavori, lo ammise fra i suoi discepoli. Temperamento malanconico e mente versatile, si dedicò alternativamente alla pittura ed alla poesia, i suoi numerosissimi dipinti incontrarono scarsa fortuna per i motivi tristi che vi erano raffigurati. Nel 1871 ritornò a Napoli e lo stesso anno fu presente all’Esposizione di Napoli con molti quadri. Egli partecipò a parecchie esposizioni: alle mostre della Promotrice "Salvator Rosa" dal 1873 al 1904: nel 1873 con Sicut mors caecus; nel 1875 con Cuor malato; nel 1877 con Teclam, acquistato dal suo intimo amico Mario Rapisardi; nel 1880, con Dama bianca; nel 1882 con Amore, trovasi nel Museo Civico di Catania, dove pure è conservato Amore e Morte, esposto nel 1881 a Milano; nel 1888, con Il ragno del chiostro, acquistato da re Umberto I. All’Esposizione tenutasi in Napoli nel 1877 presentò: Accaduto nel corretto; Miserere; a Torino, nel 1880, Amore e morte, predetto; a Roma, nel 1883, Per Montecarlo, andato distrutto; a Berlino, nello stesso anno, alla Prima Esposizione d’Arte Italo-Spagnola, La Tentazione; a Palermo, all’Esposizione Nazionale del 1891-92: Campagne di una volta ed Espiazione; a Milano nel 1897, alla Triennale di Brera, Vendetta. Oltre che del Rapisardi, fu molto amico del Verga. Pubblicò un volume di poesie, "Canti della Patria".

Sue opere sono visibili presso Banco di Napoli e Galleria Nazionale di Capodimonte(NA) .

Per G. Barbera," la sua figura fu tra le più interessanti nel panorama artistico meridionale " .

Poesia e musica
Romanze
   Destati, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Lucca, 1878
   Abbi pietà, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Ricordi, 1885
   Folchetto,versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Ricordi, 1885
   Orientale, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, s.m.napolitana, 1898
   Serènadè Arabe, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Carisch
  


Produzione letteraria

   I canti della patria — versi — Firenze 1872.
   Per la morte del padre — elegia — Napoli 1877.
   Chiaroscuri — versi — Catania 1885.
   La Fata e la Mara
   I notturni
   Leggende reali — Napoli 1894.
   Sa Kuntàla — dramma di Calidasa ridotto a scene liriche in 4 parti, messo in musica dal Maestro S, Malerba Catania 1896.
   Opsara — leggenda drammatica — Catania, 1898.
   Dio — Affermazione dell' incredulità e della Filosofia — Catania 1900
   Vincenzo Bellini — (1801-1835) con un'ode di Mario Rapisardi, 1902.
   Caronda e le sue leggi — Catania, 1906.
   Voci dello spirito — Catania 1907


" pittore strano e poeta gentile, uomo di antica temperanza, anima abbrutita dall'Ideale". 
( di Mario Rapisardi )


Mario Rapisardi - da Giustizia
La cucitrice
(per un dipinto di Calcedonio Reina)


Seduta sopra un trono d'ossa, alla scialba luce
Del tramonto, in un vasto campo la Morte cuce,
Infaticabilmente cuce, avvolta in un bianco
Lenzuolo, incoronata d' asfodeli: al suo fianco
Una forbice acuta dal pernio adamantino,
Dall'affilate lame d'acciajo; sul cuscino
Di porpora, ove adagia i piedi ischelitriti,
Che mostran dalla veste Candida i gialli diti,
Una civetta immota dagli occhioni ritondi
Di topazio; lontano per gli spazj profondi
Un suon d'orgie e di fieri gemiti. Ed ella, sopra
Le ginocchia piegando il teschio, affretta l'opra:
Un'ampia coltre nera di velluto, che ingombra
Con ricchi ondeggiamenti l'arido piano. L'ombra
S'avanza, ed ella cuce : infaticabilmente
Mena tra le falangi rigide il rilucente
Ago d'acciaro; e l'aureo fil che mai non si spezza
Tira tira con alta mano al lavoro avvezza.
E più e più s'addensano, s'addensan l'ombre;ed ella
Assidua sgobba al raggio d'una vermiglia stella.
L'opera è presso al fine; e già fornita; scocca
Un'ora; ed ella, a un ghigno dilatando la bocca,
Balza, la coltre stende, gli stinchi scricchiolanti
Agita al ballo, c l' aure empie di strilli e canti.

-Voi che in seta ed in velluto
Sbadigliando le groppe adagiate,
E su lane istoriate
Strascinate augusti il piè,

Voi che in morbido origliere,
Aspettando del sole il saluto,
Vi crogiate, vi crogiate
Come papi e come re;

O paffuti e tondi eroi,
Che dal lombo d'Anchise calate,
O dall'anca d'un droghiere,
E il mestiere di godere
Con gran plauso esercitate,
O paffuti e tondi eroi,
Qui posate, qui posate :
Quosta coltre e ben da voi!

-

Alla plebe, alla bordaglia,
Che a servire ed a piangere è nata,
Altra sorte ha il ciel serbata
Di lei degna, oscura e vil:

Per lei, viva e morta infame,
C'è la forca, il baston, la mitraglia,
C'è la fame, c'è la fame
Che la porta al nero asil.

O paffuti e tondi eroi,
Che dal lombo d' Anchise calate,
O dall'anca d'un droghiere,
E il mestiere di godere

Con gran plauso esercitate.
O paffuti e tondi eroi,
Qui posate, qui posate:
Questa coltre è ben da voi ! —

Così canta per l'alta notte.Alle voci strane
Sbucano sperisierati dalle marmoree tane
(Tane che sembran reggie) da' casini, odorosi
Di muschio e di godute carni, da' clamorosi
Teatri, dalle bische, ove in abito nero
Di matrona panneggiasi la Frode, e con austero
Volto di gentiluomo il Furto infila i guanti;
Dalle tradite alcove sbucano i tracotanti
Figli della Fortuna, sfatti dall' ozio, bianchi
Dalla veglia, d'amore sazj, di danze stanchi,
Tumidi e sofferenti di cibo e di piacere,
(Poveretti, il destino li ha dannati a godere !);
Si affrettano, si pigiano, s'abbandonano vinti
Dal sonno, o dalla ferrea Necessità sospinti,
La nel campo deserto, ove con man secura
Li ravvolge la Morte nell' ampia coltre oscura.