E se vogliamo dar credito
all’influenza dei pianeti sul carattere dei viventi, scrutiamo i
segni positivi e negativi del neonato Luigi Capuana, nato a Mineo il
28 maggio 1839 (secondo accurate ricerche in giorno di martedì),
che fu molto sensibile alle coincidenze, ai sogni, ai numeri, allo
spiritismo. I nati, come il Nostro, sotto il segno zodiacale dei
Gemelli, prima decade, sono sotto l’influenza di Mercurio, e
secondo la specialista di studi astrologici Ruth Anderson «avranno
una personalità ingegnosa, percettiva, studiosa. Ma, se questo
pianeta è in aspetto negativo porterà loro curiosità,
pigrizia, dissipazione».
A
proposito della dissipazione, è pienamente calzante una profezia
vergata, nel 1887, dal medesimo Capuana quarantottenne, che inviava
all’amico Federico De Roberto compiegata alla prefazione di Homo,
una raccolta di novelle in corso di stampa presso gli editori
Treves
di
Milano: «Troverai in mezzo al ms. una stampa. È una copia d’una
mia profezia; così avrai in mano tutti i documenti per dimostrare
alla mia morte, che io ho fatto tutti i mestieri cominciando dal
poeta e finendo al Profeta. Sì, ho fatto tutto meno di quello
che avrei dovuto fare, di non fare debiti» (Mineo, 29 agosto 1887).
In Luigi Capuana la personalità
«ingegnosa, percettiva, studiosa» si rivelò con
manifestazioni precoci e vistose, così come ebbe in eminente
«curiosità, pigrizia, dissipazione». La versatilità e la
flessibilità dell’ingegno lo spinsero a cimentarsi in quasi tutti
i generi della letteratura (considerato critico incisivo già nel
quadriennio 1865-1868 trascorso a Firenze, e autorevole alla fine
del decennio successivo a Milano); ed altresì in attività di
ordine pratico non disgiunte dalla tecnica dell’artista
(fotografia, incisione, disegno e caricatura). Acquisite in un arco
di tempo lungo, esercitate e dispiegate alcune di esse nelle poche
ore di «otium» pur presenti nella giornata intensa, con
professionalità e disinvoltura, ma anche con l’affanno e
l’angoscia delle scadenze cambiarie che vengono postergate con
provvidenziali interventi (ma ritornano sempre più minacciose
col trascorrere del tempo, perché ancor più onerose per gli
interessi) che, tuttavia, lo spingevano a lavorare sempre di più,
con la breve paura — come vedremo con dati dettagliati — per una
missiva vergata di getto, diretta a un giovane catanese poco più che
ventenne, che si avviava — siamo agli inizi degli anni Ottanta —
al giornalismo di livello nazionale e al romanzo: Federico De
Roberto.
La sonda che illumina l’inconscio
e, insieme, la cartina di tornasole che reca impressa la realtà del
sottosuolo psichico, è costituita appunto dalle lettere qui
esaminate, vergate in due epoche lontane un venticinquennio
(numerose e inedite, l’esame sarà rivolto alla prima del 1857 ed a
un numero minimo del secondo gruppo, della maturità capuaniana, che
può assumere adeguatamente il ruolo di campione rappresentativo).
Un episodio lontano è racchiuso
in una interessante lettera del giovane al «nume tutelare» dei
giovanissimi aspiranti poeti. Alla fine del 1857, il diciottenne
Capuana era un diligente e assiduo alunno di Giurisprudenza
nell’ateneo catanese e, già prima, dimostrava buoni propositi
dichiarati nella lettera «Catania, 27 aprile 1857» diretta a
Lionardo Vigo (la prima in ordine cronologico, ma l'esistenza di
rapporti informali preesistenti si evince dal primo capoverso «Ricevo
da Gioacchino nostro la lettera di Lao, e la noticina della spesa
d’un foglio per la mia stampa»).
Essa fu scritta in previsione
della propria partecipazione al concorso annuale indetto
dall’Accademia dafnica di Acireale: «Non mi dispiace punto che il
concorso si facesse a’ 17 del corrente, quantunque quella
Minerva oscura del Dante sia per me di sinistro augurio; poiché mi
sembra una dura pretensione quella dell’Accademia volendo che si
scegliesse a sorte da tutte e tre le cantiche».
Sappiamo
che il giovane aveva studiato fino a 16 anni nel reale collegio di
Bronte,
irregolarmente
e con mediocre profitto, e quindi nessuna sorpresa se ammetteva
implicitamente di non conoscere il Paradiso. «E le difficoltà
maggiori per me saranno intorno quest’ultima cantica, che mi
converrà studiare ora da capo a fondo». Per completezza aggiungiamo
sul concorso alcuni particolari pochissimo noti. Capuana partecipò
al concorso (nella prima classe, fra i giovani di oltre quindici
anni) svoltosi in Acireale il 18 maggio successivo, non ottenne la
medaglia d’oro, appannaggio del catanese Gioacchino Geremia
Scigliani, ma l'accessit,
ossia l’ammissione. Lionardo Vigo, presidente dell’Accademia
dafnica, nel discorso dedicato alla premiazione, avvenuta il 25
maggio successivo, adoperò espressioni oltremodo lusinghiere e
comunicò all’uditorio un’ambita distinzione conferita al
Capuana: «ma sappi che solo per impreveduti ostacoli Luigi
Capuana e Tommaso Catalano furono impediti a compiere per
intiero i loro scritti: e che tanto essi meritarono la nostra
ammirazione da essere stati chiamati ad assidersi teco fra di
noi col grado di Socii Corrispondenti».
Capuana
chiudeva la lettera con espressioni di gratitudine e devozione «Con
che ricambiarla degl’incomodi che le vò buscando? Niente più che
col riverirla ed amarla come Maestro». Quel ricambiarla,
interpretato freudianamente, assume un significato pregnante:
l’invio, subito dopo (e anche prima di quella data), di ... antichi
canti popolari mineoli di recentissima «invenzione» di Luigi
inseriti nella prima raccolta di Canti
popolari siciliani,
pubblicata dal Vigo nella seconda metà del 1857. In questa lettera —
come nelle successive del quarantenne — si colgono due «costanti»:
un’iniziativa attinente la carta stampata (editore Lao di
Palermo), un programma enunciato da realizzare in tempi brevi.
Il
periodo, forse più intenso e interessante di Capuana e per
l’attività creativa e per i progetti giornalistici (e per gli
incarichi amministrativi gravosi di sindaco di Mineo e di consigliere
provinciale a Catania, svolti contemporaneamente), è quello che
va dal 1884 al 1887, trascorsi a Mineo con brevi permanenze a
Catania. Il quadriennio è illuminato, come dicevamo, dalle
lettere a Federico De Roberto, circa duecento, in gran parte
pubblicate da Sarah Zappulla Muscarà negli ultimi anni,
nell’Osservatorio politico letterario
di Roma. Ed è grave che a fronte di questo numero imponente, le
lettere di De Roberto a Capuana segnalate siano appena sei
(Croce Zimbone, La Biblioteca Capuana,
Catania, 1982, pp. 10, e 112).
Esse costituiscono il resoconto
degli «esperimenti» e dei «cambiamenti» (diversificazioni e
ripensamenti) nell’attività del letterato (con la gestazione,
lenta o veloce, di opere significative), di giornalista, di
fotografo, di audace progettista di imprese da capogiro, sempre
dilaniato dall’angoscia: insomma, uno spaccato della vita
quotidiana con una ricchezza di notazioni e di confidenze —
riservate in esclusiva al giovane Federico —, che ben rappresentano
la proiezione del Capuana della maturità.
L’inizio
dei rapporti epistolari con De Roberto, ventenne appena ma già
direttore del Don Chisciotte,
risale a quella datata «Mineo, 22 febbraio 1881», nella quale
Capuana si rivolgeva al «Gentilissimo Signore», dichiarava di non
avere «visto il 2° numero del Don Chisciotte» e si congedava con
«La riverisco insieme a tutta la redazione». Era già partito da
Catania l’invito a collaborare al settimanale perché in
quella «Mineo, 20 marzo 1881», diretta «All’onorevole Direttore
del Don Chisciotte», si
scusava per non aver potuto spedire la novellina destinata al Don
Chisciotte
e ringraziava «il gentilissimo critico che si nasconde sotto lo
pseudonimo di Cardenio» (uno degli pseudonimi di De Roberto).
Nella settimana successiva manterrà la promessa «Ecco la
novellina. Avrei voluto mandarle qualche cosa di meglio, ma il tempo
stringeva» (Mineo, 30 marzo 1881).
Evidentemente,
è uno scambio di lettere con continuità, se in quella del 7 aprile
1881 Capuana esordisce: «Risposi subito alla sua gentilissima
mandando un canto popolare inedito». Sono quelle del 1881 in totale
sei (una senza data, ma scritta nel corso del 1881), ed è da
segnalare — infine — quella dell’8 maggio, di
ringraziamento delle cinque copie del volumetto Catania
- Casamicciola (edito a cura del
De Roberto), a cui hanno collaborato, con il Capuana, anche Verga e
Mario Rapisardi con Giselda, anche per la qualifica nobiliare
nell’indirizzo «Al sig. Federico De Roberto — Asmundo dei
Marchesi di Montepulciano».
La
prima lettera di Federico — nella qualità di consulente editoriale
di Niccolò Giannotta — del 3 luglio 1881, è segnalata dal
benemerito studioso Gino Raya nella Bibliografia
di L. Capuana,
Roma 1969, p. 51. Dopo, da una parte e dall’altra, l’interruzione
per oltre un biennio, ossia il 1882 e il 1883, anni che Capuana
trascorse a Roma, chiamato alla direzione del Fanfulla
della Domenica
(settimanale prestigioso, fondato nel 1878, che aveva già raggiunto
nei primi del 1880 l’alta tiratura di ventitre- mila copie). Alla
fine del 1883 Capuana rientrava in Sicilia, e dal gennaio 1884
iniziava un quadriennio di fitta corrispondenza.
Possiamo,
in questa sede, riferire solamente pochissimi brani di alcune lettere
su temi ricorrenti: direttive per la stampa dei volumi, fotografie e
progressi fotografici moderni, progetti grandiosi, scadenze
cambiarie e giudizi critici «autentici» da non pubblicare su
Giovanni Verga e Mario Rapisardi: «Gli articoli del Fanfulla
della Domenica devono essere
composti, come testo, in corpo 12» (Mineo, 3 gennaio 1884); invece
in una successiva (28 gennaio) dedicava un’intera pagina alle
«Norme per la riproduzione autografica», ma la lettera è
interessante per la stroncatura del Giobbe
rapisardiano e per la definizione del poeta, e, meglio negazione del
poeta senza attenuanti «[...] mi confermo nella mia opinione
che il Rapisardi è un buon verseggiato re, ma un poeta, no, di
certo: gli manca la facoltà creatrice, organica; la natura
gliel’ha negata».
Un
anno dopo (Mineo, 26 maggio 1885) insiste ancora sul corpo 12, ma
corsivo: «A proposito di Ribrezzo
m’è nata un’idea; stampare tutto il volume in corsivo corpo
12! Che gliene sembra? Ecco un ritorno all’antico che mi piacerebbe
tanto! È possibile? Ne parli al Giannotta. Io ne sarei
contentissimo. È una novità tipografica da tentare da noi. In
Inghilterra si è fatta».
Il tema
riguardante la fotografia è svolto da un’artista e da un
competente con risultati degni di un Cartier
Bresson. Fotografo sempre, si potrebbe
dire del Capuana, anche durante le ultime ore di vita della madre:
«Un’agonia tranquilla, simile a un sonno: una morte che fece
tornare la sua fisionomia allo stato naturale. Io ho avuto il
coraggio di fotografare la Mamma in quello stato, e queste fotografie
sono un tesoro per me; le guardo ad ogni momento e spesso la
chiamo, a voce alta, quasi potesse ascoltarmi! ».
In quella brevissima del 18 agosto
1886 erano compiegate alcune foto per Federico «Arricchisco di nuovi
capolavori fotografici il tuo già ricco, piccolo sì, ma
museo». L’ultima, del 22 aprile 1887, ci illumina veramente su un
Capuana perfezionista «Il ritratto lo avrai appena sarò
provvisto di carta. Ho scritto a Parigi per una nuova carta (papier
Hetmann). Se ne dice meraviglia. Vedi? lo mi tengo all’altezza dei
progressi fotografici moderni».
Poco spazio,
ormai, possiamo dedicare al progetto di fondazione di una
rivista, formulato nel 1885, e successivamente di un giornale
quotidiano a Catania. Per la rivista leggiamo uno schema completo e
particolareggiato (il tipo di carta speciale « facendolo
fabbricare a posta pel formato in 18°»), la campagna promozionale
«nei giornali politici e letterari», i compensi per ciascun tipo di
collaborazione (articolo originale, novella, recensione).
Editore Niccolò Giannotta, direttore Capuana e redattore capo
De Roberto: «Tanti saluti al Giannotta et bien des compliments,
a Monsieur le
redacteur en chef» (Mineo, 7 giugno 1885).
Qualche
anno dopo, nel 1887, il progetto è veramente grandioso, ma ad
alto rischio, anzi azzardato: un nuovo quotidiano a Catania. Sappiamo
che in quell’anno si pubblicavano ben quattro quotidiani:
Gazzetta di Catania, Il Corriere di Catania, Il Telefono.
Eco dell’isola, Il Nuovo Gazzettino della sera-,
quest’ultimo cessava di esistere dopo una vita effimera, nel
mese di maggio.