EMIGRANTI
Splende, è vero, ne' tuoi ceruli tempj, o cielo
D'Italia, un riso eterno di giovinezza; versa
Fiumi di vita il Sol;
Cantano le Sirene scevre del glauco velo
A fior degli odorosi mari, su cui la tersa
Calma si libra a vol.
Salute, o gloriosa d'eroi madre e di biade,
Stella de'quattro mari, gemma del mondo, brama
Di popoli e di re :
L'abbondanza felice regna le tue contrade,
La fortuna s'asside sul tuo trono, la fama
Intreccia lauri a te!
Eppure essi abbandonano il natio paradiso,
Il ciel chiaro, i pescosi lidi, la terra amica
Dell' aurea libertà,
Perchè tu, cielo azzurro, non hai per loro un riso,
Perchè voi, pingui campi, non crescete una spica
Per chi il sudor vi dà.
Che importa? Mancan forse di cervi e di cinghiali
I regj parchi? Manca di buffoni la reggia ?
Di tresche e di piacer Le alcove?
Forse a' fasti de le stalle regali,
A' passi, a' cenni, a' fiati del Sir non plaude e inneggia
Narciso il gazzettier ?
Forse dalla normanna biga rapita a volo
Per le vie popolose di pezzenti non passa
Clelia baldracca? O il vin
Lauto non rutta in faccia d'un affamato stuolo
Dromo il ricco sensale, Clinia il vecchio bardassa
Dal variopinto crin?
Eppure essi abbandonano il natio paradiso,
Il ciel chiaro, i pescosi lidi, la terra amica
Dell'aurea libertà,
Perchè tu, cielo azzurro, non hai per loro un riso,
Perchè voi, pingui campi, non crescete una spica
Per chi il sudor vi dà.
Immobili, digiuni dalla scogliosa riva
Guatano il mare, il mare; e agli occhi egri sorride
Un miraggio infedel :
Spontanee messi, gente di regj freni schiva,
Mercede all'opra eguale, alme a giustizia fide,
Cui l'onestà è vangel.
E derelitte lasciano le madri e le consorti
Macere, senza pianto : — Ritorneremo, gravi
D' oro ritornerem ;
E allor dalla Fortuna, che si concede a' forti,
Virtù, destrezza, ingegno, illustre ordine d'avi
E onori e glorie avrem.—
Ed ecco, essi abbandonano il natio paradiso,
Il ciel chiaro, i pescosi lidi, la terra amica
Dell'aurea libertà,
Perchè tu, cielo azzurro, non hai per loro un riso,
Perchè voi, pingui campi, non crescete una spica
Per chi il sudor vi dà.
Miseri! Eppure al primo clangor de le tue squille
Corsero, o Patria, al campo: marce infinite, avaro
Cibo, zaino e fucil ;
E avanti, e fra le musiche la morte: erano mille,
E cento appena al vostro bacio, o madri, tornàro
Salvi dal l'erro ostil.
Ma la Vittoria, ganza di chi sta in alto, crebbe
Il venal premio ad altre chiome: alle tue, panciuto
Trimalcione, a te,
Quadrantario Duilio, cui l'onta il nome accrebbe,
A te, Sejan beffardo, che in maschera di Bruto
Fai da mezzano ai re.
Ed ecco, essi abbandonano il natio paradiso,
Il ciel chiaro, i pescosi lidi, la terra amica
Dell' aurea libertà,
Perchè tu, cielo azzurro, non hai per loro un riso,
Perchè voi, pingui campi, non crescete una spica
Per chi il sudor vi dà.
Veleggia, o nave, stridi, vapor. Fredda è la notte,
Sanguigni ardono i lampi, il temporal gavazza
Sopra il livido mar ;
Scoppia un urlo pe'lcieco aere...Fra l'assi rotte,
Fra' galleggianti corpi una vorace razza
Di squali al giorno appar.
Veleggia, o nave, stridi, vapor. Che mira in fondo,
Fra cielo ed acque, il misero superstite? S'affaccia,
Ecco, la terra è là;
Ma ritta su la riva del sospirato mondo,
Col ghigno su le labbra, con spalancate braccia
La Fame orrenda sta.
- "E se anche il momento storico è sorpassato e questa Giustizia è un'impossibilità storica, l'arte ne ha colti alcuni motivi che non morranno in questi canti rivoluzionari, da cui esce — dice il Trezza — « una voce profonda, triste, minacciosa, come di gente che soffre ignorata e calpestata da tutti »." -
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