Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

mercoledì 29 settembre 2010

Ecco cos'è Frontini per gli attuali eruditi e gli amministratori di Catania

Una colonna vuota o meglio, il nulla
Nel 1939 con F. P. Frontini scompariva l'ultimo ramo di quel vecchio tronco catanese dal quale erano nati Verga, Rapisardi, Gandolfo…
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Immaginate un nobile salotto milanese del 1883, in una di quelle belle serate, in cui signore eleganti e artisti e poeti disputavano d'arte, di letteratura e d'amore, dove, il già famoso “Vate” ( Mario Rapisardi ), Luigi Capuana, Francesco Paolo Frontini, Federico De Roberto, Giovanni Alfredo Cesareo mescolati con gli altri a conversare, a scherzare e a discutere, fermarono i criteri di poesia, per i quali i Siciliani a tutt'oggi conservano quel carattere proprio, originale e potente. 

Fu allora dibattuto ed affermato l'avvenire del poema scientifico e della lirica, che, mettendo da parte il vuoto lusso delle descrizioni e le morbose efflorescenze dell'alessandrinismo, cantò dell'uomo forte, dell'uomo prudente e dell'uomo dominatore. In pochi anni i destini di questi giovani artisti si separarono, per poi ritrovarsi, in avanzata età, nella loro amata Sicilia. Moltissimi furono gli elogi che essi ricevettero dai più importanti esponenti della cultura  italiana ed europea, ma la fortuna non fu a loro propizia; anzi per M. Rapisardi e per F. P. Frontini, c'è da pensare che furono vittime di una vera e propria congiura, quella del silenzio, dell'invidia, dell'industrialismo settario, regionale e sfruttatore che hanno calpestato le migliori glorie del genio siciliano. 

Fu così che il ”Poeta” tanto stimato sia da Victor Hugo, che a lui testualmente disse : “J'ai lu, monsieur, votre noble pòeme. Vous ètes un prècurseur…….”, sia da Garibaldi, che scrivendo al Rapisardi affermò : “ Ho divorato il vostro Lucifero. L' Opera grande! Voi avete scalzato l'idolo di tanti secoli e vi avete sostituito il vero. Se la metà degli italiani potessero leggerlo e comprenderlo, l'Italia avrebbe raggiunto il suo terzo periodo d'incivilimento umano……….”, venne attaccato senza una fondata giustificazione da Benedetto Croce e dagli amici del Carducci.

Stessa sorte spettò al Musicista Frontini, che nonostante artisti come  J. Massenet  gli scrivessero: ho letto le vostre composizioni e vi dico con gran piacere la bellezza che v' ho ritrovato. Quella musica m'ha fatto desiderare di confidarvi le mie impressioni. Invidio le vostre opere e voi scrivete in una lingua musicale che io amo!”, ancora E. Zola: “Votre mèlodie est charmante et d'un caractère èlevé” e G. Pitrè “ Tra gli artisti e compositori dell'isola, Voi siete, se non il solo, uno dei pochissimi che comprendono la bellezza e la grazia delle melodie del popolo…”. venne snobbato da quei critici del settore che peraltro furono capaci, in malafede, di mettere in cattiva luce la  Malìa”

I due artisti, niente potettero contro la camorra dei critici, dei politici, dei cattedratici , e ancor più grande fu il nocumento che ne derivò dopo la loro morte, posto che furono dimenticati anche dalla  loro amatissima Catania.

Del Rapisardi le ultime ristampe risalgono ai primi del 900, mentre del Frontini solo qualcuno ricorda vagamente la “Malìa”, rappresentata un'ultima volta nel 1957 al Teatro Massimo Bellini, per volontà del Pastura.  Significativa , a tal proposito, è una delle poche confessioni del Frontini, che vi lascio in ricordo : 

" Morirò con una spina nel cuore, chi non mi conosce crederà che io non abbia saputo scrivere altro che "Il piccolo montanaro" e la "Serenata Araba
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Ripeto questo scritto significativo per ieri ed oggi, i Due sono totalmente dimenticati, insieme al resto.
Catania è solo Vincenzo Bellini, anche la lapide stanno raschiando per trovare..?, dopo di lui il deserto. (forse per comodità?)

sabato 25 settembre 2010

Inaugurazione in pompa magna del Giardino Bellini, ma il busto di Frontini dov'è?




La vita artistica di Frontini non è stata mai facile, tutti i riconoscimenti ottenuti, li ha strappati con le unghie e con i denti. Adesso avviene un altro intoppo, dopo 20 anni, ancora, non è stato ripristinato il busto del compositore Francesco Paolo Frontini, al viale degli uomini illustri del Giardino Bellini di Catania. Posso capire che il mondo della musica e dell'arte, composto di maestri sotto pagati e sfiduciati, non ricordi la Sua musica, ma un'Amministrazione Comunale non può tralasciare una mancanza così evidente.
Catania, 25/09/2010



 Vedi anche qui

mercoledì 22 settembre 2010

Serenata Araba, musica orientale dedicata a Jules Massenet

Serenata Araba Conosciuta anche con il titolo: Orientale
Parole di: Calcedonio Reina Musica di: Francesco Paolo Frontini - 1898


Nell' ore de' sogni ti miro
Amore, celeste tesor,
Vagare pel ciel di zaffiro
Su nube di porpora e d'or.

Fuor della sua tenda rapito
Ti guarda e si umilia il Re,
Le palme che ombreggiano il lito,
Apsara, s' inchinano a te.

Ariman che intorno t' aleggia
Con te verrà forse a dormir;
Già varchi del sole la reggia,
Io vado geloso a morir.

C. REINA


Paris, 12 frèvier 1900
Mon cher confrère,
Je rentre à Paris et je trouve le cahier de vos mélodies !... Non soulement je suis ravi de leur sentiment et de leur Musicalitè sì interessante, mais tellement honorè de la dédicace !... A vous, à votre ville, à votre pays, de coeur.
- In occasione dell'Orientale, dedicata a J. Massenet -






Della "Serenata araba", il 6 luglio 1953, Domenico Danzuso scriveva «che essa rappresenta un gioiello di impareggiabile valore e dimostra la genialità di un artista, il quale, pur non conoscendo l'Oriente, ne seppe rendere appieno lo spirito, scrivendo la più bella musica araba ». 


E Ferdinando Caioli, nel « Giornale d'Italia » del 26 agosto 1939. « Quante fanciulle non sospirarono, quante non trattennero i singhiozzi ascoltando delle composizioni orientali come Sérénade arabe o Barcarolle o Danza orientale ».




sabato 18 settembre 2010

Giselda Fojanesi, Giovanni Verga e Mario Rapisardi, visti da Vitaliano Brancati


Più volte, in note di diario e nelle “lettere al direttore” sull'“Omnibus” di Longanesi, Vitaliano Brancati confrontò il successo, la verbosità e le stranezze di Rapisardi all'insuccesso, al silenzio e all'assoluta “normalità” di Verga: e muoveva il confronto sullo sfondo della città di Catania, come sempre nelle sue pagine investita di comica luce. 

Catania amava Rapisardi: il poeta che usciva col parapioggia, che portava con fiero cappello e una cravatta a fiocco; non poteva amare Giovanni Verga, che vestiva come un qualsiasi galantuomo, non era distratto, non faceva stramberie e parlava poco. 

Lo zar di tutte le Russie veniva a sentire all'Ateneo catanese, le lezioni di Rapisardi; Garibaldi gli scriveva: “All'avanguardia del progresso, noi vi seguiremo”, e Victor Hugo, che non aveva nemmeno ringraziato Carducci per l'ode che gli aveva dedicato, a Rapisardi diceva: “Voi siete un precursore” (parole che il Municipio di Catania ha fatto incidere sotto il busto del poeta). 
Tanto amava Rapisardi, il popolo catanese, che quando si seppe del tradimento della moglie, e il terzo era per l'appunto Giovanni Verga, ad esprimere solidarietà al poeta tradito i catanesi gli portarono sotto casa una festosa fiaccolata: il che, per un popolo che solitamente disprezza e dileggia i cornuti, è una strabiliante prova di affetto. 

Nemmeno la tresca con la moglie di un amico, azione che di solito rende stimabile un uomo, in una società fitta di miti e vagheggiamenti erotici, riuscì a sollevare Giovanni Verga nella stima dei suoi concittadini: diventò anzi motivo di accresciuta avversione. ( tratto da Pirandello e la Sicilia, di Leonardo Sciascia.)





XIV (Poemetti)


Dopo tanti anni la rividi, oh quanto
Diversa ! Quella sua fulva, selvaggia
Chioma, che stretto avea con serpentine
Spire il mio cor, fatta era grigia, e come
Nebbia su' greppi d' una brulla rupe,
Le sue tempie lambiva in preda al vento.
Quel sopracciglio suo, che folto e bruno,
Al furiar d'un improvviso sdegno,
Uniasi all'altro, e fra l'eburnea fronte
E il fiammeggiar dei grandi occhi segnava
Una torbida striscia, onde più bello
Nel suo fiero pallor faceasi il volto,
Quel sopracciglio era spianato, e quasi
Stanco di raggrottarsi agl'improvvisi
Moti de la vorace anima, inerte
Stendeasi come lento arco, che tutti
Lanciò i suoi dardi e in polveroso oblio
A una vecchia parete immobil pende.
E le labbra, oh le labbra, a cui nell'alto
Abbandono di me tutto a ber diedi
Il più puro licor de la mia vita ;
Quelle labbra sì belle anco nel pianto,
Che nello sdegno, nel piacer, nell'ira
Avean tremiti arcani, e da cui tanta
Spirava aura di canti e di malìe :
Incantatrici labbra, ove ahi sì spesso
La bugia turpe o il meditato oltraggio
Toni usurpava di gentil fierezza,
Vezzi assumea di verginal candore,
Nappo vuoto or parean, che in geniali
Banchetti prodigato avea l'ebrezza
Al pensiero dell'uomo, e poi caduto
Di mano in man nell'umile bacheca
D'un rigattiere ebreo, la liberale
Bizzarria d'un Inglese indarno aspetta.
Rassegnata al dolore, alla vecchiezza,
Alla morte mi parve. Era un tramonto
D'autunno, e pe' viali ampi del bosco,
Odorati di musco e di languenti
Foglie (oh dolce stagione, a cui da tanto
Fascino il senso del morir vicino !)
In allegre brigate, in rilucenti
Cocchj ondeggiava la città, rapita
Un'ora, forse, alle diurne cure.
Passar la vidi senz'alcun rimpianto,
Senza un sospir. Ma quando al sole opposto
La rosea, vaporosa ombra sua vidi
Allungarsi al mio piede, e lentamente
Confondersi con altre ombre e sparire ;
Quando pensai che dietro a quella umana
Ombra io sfiorato avea le più superbe
Rose della mia vita, un sentimento,
Non so se d'ira o di pietà, m'invase
Tutto, a un punto; contrassi ad un amaro
Ghigno le labbra, ma fra le contratte
Labbra insieme sentii, non meno amara,
Insinuarsi una cocente stilla .

(Mario Rapisardi)

 Egli muore nel 1912 a Catania: al suo funerale parteciparono oltre 150.000 persone,con rappresentanze ufficiali che giunsero addirittura da Tunisi.
Catania tenne il lutto per tre giorni.

martedì 14 settembre 2010

Questa lotta indecorosa non di principi ma di persone, non di partiti ma d'individui...

Questa baraonda elettorale, questa lotta indecorosa non di principj ma di persone, non di partiti ma d'individui, giova pure a qualcosa : ci dà la misura della politica e della morale italiana in questa agonìa del secolo.
I partiti si scindono, si suddividono, si sminuzzano in un bulicame di esseri anfibi che lottano e s' addentano l' uno con l' altro ; tutti vogliono tutto ; l' egoismo è lo stato, il tornaconto è l' ideale.
Da per tutto l' impotenza che coccoveggia il potere : unica leva l' ambizione, unica arma l' insidia.
La politica si muta in casistica di teologanti ; la morale in esercitazione di retori ; la legge in cavillazione di legulei ; l' arte e la letteratura in raffinatezze smancerose e voluttuose di dilettanti e di rimbambiti; le vecchie Muse, rimbellettate e rimpiccicottate, colanti tutte di bava e dì sanie, hanno imparata l' alta scuola nei casini e l' insegnano ai ragazzi stemprati dall' amor solitario e agitati da un erotismo infecondo.
La critica mimiziosa, espressione ultima dell'ingegno e del carattere della borghesaglia putrefatta, s' è impadronita di tutte le manifestazioni della vita.
I vermi trionfano.
Ricostituiamo i partiti, si grida. Illusione o frode.
Per ricostituire i partiti bisogna ricostituire i caratteri.
I partiti si sono disgregati e disfatti, perchè i nostri uomini politici non hanno più fede in un ideale qual sia: mancano cioè di carattere.
Senza fede in un alto ideale di libertà e di giustizia sociale, senza la virtù del sacrificio di tutte le proprie forze a questo fine, ogni ricostituzione di partiti è un sogno. Si avranno fazioni e sètte, tutt'al più ; mobili gruppi d'individui legati da un interesse effimero, che si sposteranno e si confonderanno e si sparpaglieranno da un giorno all'altro a un mutar di vento.
Da questa babilonia di interessi privati, mascherati dalla commedia del patriottismo, non può sorgere che il governo-monopolio, un'accozzaglia di elementi diversi, tenuti insieme dall' ambizione e dall' avarizia, pronti a trasformarsi di bianchi in neri, pur di serbarsi al potere : un mostro da sette od otto trombe aspiranti, dalle branche innumerevoli, sparse tutte d'innumerevoli coppette.
È lo stato - monopolio, che tutto vuole per sé : un privilegio immane.
Non si giova della violenza, ma dalla frode ; vuole assorbire e distruggere tutto, ma legalmente : la legge è la sua maschera.
I ministri e i così detti rappresentanti del popolo (di quale?) rappresentano la commedia del Patriottismo.
Si adunano quali rappresentanti del popolo, sì squadrano, fan quattro chiacchere, si bisticciano, vengono a' capelli : e, recitata ciascuno la sua parte, sia di tribuno o di lanzichenecco, sia di legislatore o d' apostolo, si fanno la riverenza, e, ghignando del popolo e di sé stessi, torna ognuno alle proprie faccende.
Ha distrutto parecchie industrie private, facendosene appaltatore, cioè sfruttatore irresponsabile.

Ora delle cose del corpo vuol salire a quelle dello spirito : dal sale e dai tabacchi alla istruzione.
Vuole innalzare il livello della nazionale cultura, lui !
E come ? Restringendo il numero delle scuole.
Bel metodo d' illuminare, spegnendo i lumi !
L'istruzione diventerà un privilegio dei ricchi.
Avremo l' istruzione aristocratica !
Per potere esercitare il nobile mestiere di medico o di avvocato bisognerà procurarsi un diploma nelle città privilegiate. Chi non ha gambe da recarvisi e quattrini da mantenersi, crepi ; o vada a zappare la terra.
E gli apostoli legalitari pensano intanto e si arrabattono e si accoltellano per ricostituire.......che cosa ? i partiti o sé stessi ?
Non ricostituiranno un bel nulla. Il popolo lo comincia a comprendere, e un giorno o l'altro farà da sé.


"Ho creduto e crederò sino allultimo istante che flagellare i malvagi e smascherare gli ipocriti sia opera generosa e dovere massimo di scrittore civile." M. Rapisardi

Tratto da, Mario Rapisardi - Pensieri e giudizi / con l'aggiunta delle Odi Civili e degli aforismi di L. A. Seneca e P. Siro,a cura di A. Tomaselli - G. Pedone Lauriel, 1915, Palermo

giovedì 9 settembre 2010

Siciliani dimenticati, Giuseppe Aurelio Costanzo l'eroe della soffitta.

« Gli Eroi della Soffitta

Chi sono? - Quanti assetano
Di vasto impero e di superba altezza,
Quanti piegar disdegnano
La groppa al basto, il collo a la cavezza.
(continua qui).

In G. A Costanzo, abbiamo, due poeti, due maniere diverse, l'una diversa dall'altra! Abbiamo il poeta dell'affetto e abbiamo il poeta della ribellione, dell'umorismo.



Frammento
..........................................
Che rimarrà di noi, di quanti assetano,
Riarsi, di giustizia e di vendetta?

Nulla! in affanno tormentoso, assiduo
Si corre tutti come acqua a la china;
Ma il nulla ci sovrasta, il nulla, l'ultima.
La gran parola de la gran ruina!

Archi, colonne, obelischi, piramidi,
Massi di bronzo, massi di granito,
Opre di cento razze e cento secoli,
Che siete voi dinanzi all' infinito ?

Tela di ragno, macerie, giocattoli
Di fanciulli, ora in pace ed ora in bizza,
Giocattoli e macerie in cui la picciola
Scintilla di Prometeo indarno guizza.

Ahi, tutto muore e tutto nasce: e, ogni attimo,
Tra vita e morte, ondeggia la natura;
Ma in questo cozzo, in questo dramma assiduo
C'è pur qualcosa che mi fa paura!

Tela di ragno! Sì, quanto t'invidio,
O vecchierella, che, de'tuo'destini
Ignara o certa, in riva al padre Tevere,
La tua tela bianchissima sciorini.

Vivi sempre, così, ne la tua semplice
Fede, tra' rosei nipotini, e sia
La famigliuola tua l'ultimo palpito,
L'ultima tua parola: ave Maria!

Meno trista di me che scruto e investigo,
O vecchierella da le argentee chiome,
Se, in ansie veglie, non ti rode l'anima
L'intimo tarlo d'un perchè, d'un come.

In nove carte io più stempro e macero,
Più corro de la morte in su la traccia;
Ne la gran lotta più mi affanno a vincere,
E più sento l'eterno che mi schiaccia.
...............................................................

Quando, alcuni belli spiriti l' attaccarono, egli disse sorridendo agli amici:
Si, hanno ragione. Ma si sono dimenticati di una cosa. Non hanno ricordato che, quando essi vagivano in cuna, io ero lanciato nella rivoluzione del 1860 o davo la caccia a' briganti della Calabria.

(si riscontreranno similitudini con links esterni, fanno parte di miei contributi, fatti antecedentemente- P. R.)
* BIBLIOGRAFIA
Frammento, tratto da Album dell'Associazione della stampa periodica - Roma, 1881 ed. Forzani & c.
Giuseppe Aurelio Costanzo, di Giuseppe Cimbali, 1886.





Poeta e letterato, professore e Direttore del R. Istituto Superiore di magistero femminile di Roma.
Ebbe il primo indirizzo letterario da Emanuele Giaracà di Siracusa.
Frequentò l'Ateneo napoletano (1861-1864) sotto Francesco De Sanctis, Luigi Settembrini, Antonio Tari, Augusto Vera, Silvio Spaventa, Federico Persico ed altri.
A Napoli compose i primi versi che attirarono l'attenzione di letterati, e ispirarono al Settembrini una lunga prefazione.
Nel 1869 fu chiamato dal Ministero della P. I. all'insegnamento delle lettere italiane al Liceo di Cosenza, alla cattedra medesima lasciata dallo Zumbini, e quando nel 1878 il Ministro Francesco De Sanctis fondò a Roma l'Istituto superiore di Magistero, Costanzo fu chiamato ad insegnarvi letteratura, e più tardi, alla morte del Direttore di quell'Istituto, Giovanni Prati, Costanzo ebbe affidata la Direzione.
Partecipò insieme ad altri, ad un volume commemorativo sullo Zola, pochi mesi dopo la morte (cfr. Per Emile Zola, numero unico a cura di Salvatore Rago, Avellino, Tip, Pergola, 7 dicembre 1902).
Questo scrittore fu anche Segretario particolare dei ministri Correnti (1872) e Perez (1879), fu in contatto con Alessandro Manzoni, Ruggiero Bonghi e altri letterati italiani.

Oltre ad un immenso numero di scritti sparsi per le riviste di ogni specie, il Costanzo ha pubblicato i seguenti lavori:


  • Versi - Napoli, 1869.
  • Nuovi Versi — Napoli,1873.
  • Fragmentum Carminis epici, exametra- J.Prati(Versione)Napoli, 1873.
  • Un'anima — Napoli, 1874.; Milano 1894 e 1899.
  • I Ribelli - Napoli, 1876.
  • Berengario II — Napoli, 1876.
  • Cenni storici sul sec. X — Napoli,1876.
  • Gli Eroi della soffitta - Roma, 1880;Milano, 1894 e 1897; Messina, 1903;Roma, 1904.
  • Nuovi versi — Roma,1882.
  • Funeralia — Roma, 1886
  • Minuzzoli — Roma, 1886.
  • Nuovi Canti — Roma, 1892.
  • Fosforescenze — Messina, 1903.
  • L'Essere — Roma, 1903.
  • Dante — Poema lirico — Casa editrice Roux Viarengo, Roma-Torino, 1903.
  • Bricciche letterarie — Catania, cav. N. Giannotta editore, 1904.

Poesia - Baci - di Giuseppe Aurelio Costanzo
Musica - Confidence amoureuse - di Francesco Paolo Frontini


Baciami, baciami, baciami ancora ...
Meglio che un secolo, vale quest'ora,
Che in lungo e tenero sospir d'amore
Due cuori battono come un sol cuore.
Ah, tutta un bacio la vita sia,
Sia tutta baci l'anima mia!
CONTINUA QUI

sabato 28 agosto 2010

LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a Gesualdo Manzella Frontini

-Futurismo e Passatismo -
Per quanto riguarda l'appartenenza di Gesualdo Manzella Frontini al movimento futurista, bisogna risalire a quando lo scrittore, ventenne, aderisce ai motivi e alle forme di quella generazione irrequieta che sotto il Consolato austriaco grida “Viva Trento e Trieste”, generazione, inoltre, carica di una certa insofferenza per tutto ciò che andava determinandosi del tramontato Ottocento. (vedi anche qui )
Così, insieme ai compagni di studio, attacca la vecchia cultura e tutto ciò che si riferisce al passato.
Il Manzella, nel gennaio del 1907, lancia un manifesto dove sono già espresse, prima che lo facesse il Marinetti, le idee e la rivolta futurista. E a questo punto penso interessante riportare gli stessi appunti manoscritti del Manzella raggruppati in una carpetta dal titolo “Futurismo e Passatismo”.
Gli appunti servirono al Manzella per una conferenza tenuta al Kursal di Luino il 29 marzo del 1913.
Ecco cosa scrive: “ Nel gennaio del 1907 io lanciavo un manifesto che preludeva la pubblicazione d'un giornale letterario, “Critica ed Arte” forse non ignoto a qualcuno di voi. Il manifesto fu accolto con ostilità molte: esso portava fra le righe frasi stilizzate la rivolta futurista, ma non ne conteneva il nome, né la prepotenza aggressiva. Ebbi pochi aderenti e tra questi un giovane di genio, Filippo Tommaso Marinetti, che fu collaboratore nel mio giornale e che mi divenne amico affettuoso.
Era trascorso un anno quando il Figaro, il giornale diffuso parigino, lanciava al mondo col nome di futurismo un grido di elevazione di rinnovamento di nuovo orientamento, e il Marinetti eroicamente affrontava con la stessa idealità e con mie identiche la lotta ch'io non avevo saputo sostenere...”
Il manifesto lanciato dal Manzella nel gennaio del 1907, prima ancora di quello del Marinetti del 1909, non ha fortuna e la rivolta, ch'era futurista, esposta-vi dal Manzella Frontini viene accolta senza entusiasmo. 
Ma continua Gesualdo Manzella: “ Così nasceva il futurismo. Il proclama (del Marinetti) piacque a me, ed era umano che fosse piaciuto, poiché io vi leggevo la eco dell'anima mia, eco lontana che datava fin dal 1903 quando pubblicavo il mio primo volume dal titolo “Novissima – semi ritmi” ove per primo in Italia cantavo in metri liberi canzoni che la critica giudicò audaci, sconvenienti, poco sereni... Io intesi il bisogno di scrivere al Marinetti non già per aderire – ch'egli era stato un mio efficace collaboratore un anno prima – ma per ricordargli che sotto la forma di aggressiva irruenza egli non faceva che ripetere quanto avete voi già inteso nel mio manifesto...


Mi sembra opportuno, a questo punto, riportare le parole che la redazione di “Critica ed Arte” indirizza “ agli artisti giovani e alla gioventù contemporanea”: “ Parta dalla terra del sole, dalla feconda terra fiorita, e dalla città ardita sotto l'incubo ognora minaccioso del possente ubèro di fuoco, o fratelli giovani, dispersi fra le ruine d'Italia, la voce di rinnovamento. Rispettosi verso coloro che abbiamo ammirato, non chiederemo il loro contributo; vogliamo che il glorioso passato giudichi il presente ardito e l'avvenire che NOI rechiamo in Noi. Cadremo forse nella lotta, ma superbi di una tale caduta”. (Critica ed Arte – Catania, gennaio 1907).  Il giornale procura tali noie al Manzella, che al quinto numero si ritira.

Proseguendo la conferenza di Luino (1913) così egli si esprime: “ So che alcuni di voi, parenti della mia piccola falange scolaresca, sono già scandalizzati per il fatto, in verità non nuovo, d'un insegnante che si occupi d'altro che non sia la scuola ed i registri e le medie e le raccomandazioni. Quest'uomo fortunatamente non è vecchio e possiede perciò quella grande virtù che il mondo non ha saputo e non saprà cantare: la fede audace, ed è così che egli vi parlerà stasera del Futurismo, convinto, convintissimo di arrecare alle vostre menti chiarezza di idee e convinzione perché possiate giudicare questi pochi apostoli fiduciosi ed esaltati di volontà”. Continuando: “ Il buon pubblico nostro non vuole operare alcun sforzo, ama che gli si dia la sua brava porzioncina di poesia o di pittura o di musica... per aperitivo o digestivo, e non crede opportuno spiegarsi alcun tentativo di novità, sia pure fatale, rispondente a necessità ideologiche o sociali. Non dice: forse non comprendo; - ma s'affretta a gridare: - siete pazzi – a coloro che sono stati chiamati dalla Natura a precorrere le vie nuove e ardite”.
Significativa è la definizione che da del Futurismo, prima del 1909: “ Se Futurismo significa esaltazione della vita, di quella vita energica ch'è moto, velocità, irruenza, violenza significa espressione perfetta della nostra anima di arrivisti, di industriali audaci e avidi, di commercianti subdoli, d'operai scontenti e rivoluzionari”. 


Lettera indirizzata a Giuseppe Lipparini il 7 luglio 1911, che riporto: “ Credetemi, caro Lipparini, noi abbiamo inventato il “futurismo” per la gravezza paludosa dell'aria che ci sta attorno e ci corrompe e ci pervade entro le vene il sangue e le carni ed il cervello; abbiamo inventato il “futurismo” per bisogno ineffabile ed impellente di nuovo, ci siamo ribellati a tutto e a tutti perché volevamo scorgere, dopo l'empietà dell'incomposta distruzione, qualcosa la quale non fosse il putrido presente incolore, astioso, convinti magari di non aver niente da dire, se non parole di ira, accenti rotti di sdegno, sconvenienze; ma era fede profonda la nostra, ed ora si è capito anche dalle persone serie, era speranza d'invenire fra i rottami il segno vivo di ciò che volevamo.
E se non esistesse bisognerebbe crearlo un movimento simile.. e chiamatelo se più vi piace anarchismo”. 
Intanto il Marinetti, pubblica il suo Manifesto e da questo momenteo inizia la corrispondenza con Manzella-Frontini. “ ….....Marinetti è un uomo che non è affatto pazzo, ma uno degli uomini più rappresentativi e geniali di questo primo quarto di secolo. Marinetti che è tempista come Mussolini e come Mussolini è d'una straordinaria sensibilità politica, abbandonando agli ulteriori sviluppi i vari futurismi, volle porsi all'avanguardia dell'anima nazionale e creò il Futurismo nazionale italiano.


L'errore nostro fu quello di aver confuso gl'indistinti moti di rivolta contro la podagrosa Italietta umbertina con l'ispirazione e con la serena visione della vita e del mondo” (L'arte fascista non sarà l'arte futurista - 1926)



***
lavori per wikisource, vedi qui



Canto  d'allarme.«Novissima Semi ritmi» (1904)

Perché,  o mio cuore,  questa sera  impaziente
tu  batti con fremito d' allarme ?
Senti tu forse il lontano ululato de la livida schiera
minacciosa dei pensieri ?
Penetra il soffio violento do la lotta e si stende
su la landa arida del cervello.
Tu fremi,  o mio cuore fedele,  nel vano  richiamo
de le disperse speranze, degli ideali lontani ;
ma non vedi gli stinchi al suolo
e l'olezzo non  senti de le carcasse imputridite?
Non vedi la schiera de le mulacchie
gracchiani su gli scheletri spogli
volteggiare ne 1' aria ?
Tu batti ancora il funebre canto de la sconfitta !
Io sento a la gola i singhiozzi de le ruine.



Bibliografia
G. Manzella Frontini, di D. Di Bella - relatore Prof. Ermanno Scuderi  1976/77
Futurismo e Passatismo, manoscritto per conferenza tenuta al Kursal di Luino, 29 marzo1913
G. Manzella Frontini, Corriere di Sicilia, 13 aprile 1963
La Redazione, Agli artisti giovani e alla gioventù contemporanea, in Critica ed Arte gennaio 1906
A Giuseppe Lipparini, Corriere di Catania, 7 luglio 1911 

Biografia – G. Manzella Frontini di Vito Finocchiaro, 1985.

Il ricordo di Gesualdo Manzella Frontini è ritornato piacevole e grato alla mia mente con lo «speciale» di Gaetano Zappalà, «Don Gesualdo di Trezza», pubblicato su «La Sicilia» del 28 ottobre 1985, nella ricorrenza del centenario della nascita del letterato catanese. Definire letterato il Manzella Frontini è, forse, un poco riduttivo, anche se l'essere cultore della letteratura, e cultore come lo fu lui, è pregio non da poco. Riduttivo, nel suo caso, perché egli non fu soltanto un eccezionale, coltissimo conoscitore e profondo studioso dell'«insieme delle opere, pertinenti ad una cultura o civiltà, affidate alla scrittura», non un semplice fruitore delle opere altrui, ma un soggetto attivo, un protagonista del fatto letterario. Fu, infatti, scrittore, poeta e giornalista raffinatissimo, impegnato, espressivo e fecondo (dei suoi ottantanni di vita ne dedicò più d'una sessantina allo scrivere!), un nome autentico a livello nazionale ed europeo, se è vero, com'è vero, che lo troviamo con Filippo Tommaso Marinetti tra i fondatori del futurismo, nel 1910 tra i firmatari del «Manifesto dei drammaturghi futuristi» dello stesso Marinetti (è con i poeti Gian Pietro Lucini, Paolo Buzzi, Federico De Maria, Enrico Cavacchioli, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Libero Altomare, Luciano Folgore, Giuseppe Carrieri, Mario Bètuda, Enrico Cardile, Armando Mazza, assieme ai pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini ed al musicista Balilla Pratella) e tra le personalità che figurano nel «Manifesto delle avanguardie letterarie ed artistiche europee» firmato da Guillaume Apollinaire nel 1913 a Parigi (nell'elenco vi sono Marinetti, Picasso, Carrà, Matisse, Palazzeschi, Strawinsky, Papini, Soffici, tanto per fare dei nomi che dicono molto a tutti).
Laureato in lettere e diplomato in filologia, insegnante nei licei classici di Prato, Luino, Cassino e Catania («Cutelli» e «Spedalieri») nonché nel liceo dell'Istituto San Michele di Acireale, Gesualdo Manzella Frontini diresse i giornali romani «L'idea liberale» (1914), «Le fonti» (1918), «Corriere africano» (1930) e collaborò a numerosi giornali e riviste, tra cui «Delta», «Vita nova», «Popolo di Roma», «Anthologie», «Lavoro fascista», «Corriere emiliano», «Ausonia», «Misura», «La rassegna», «Il resto del Carlino», «Novella», «Corriere della sera», «Corriere di Sicilia», «Popolo di Sicilia», «La Sicilia», «L'ora», «Giornale di poesia», «La fiera letteraria» e «Poesia», la rivista di F. T. Marinetti. Fu autore prolifico e versatile, come si conviene a chi nutre molteplici interessi ed ha il desiderio intenso (direi meglio, figurativamente, la smania) di soddisfarli tutti. Scrisse, infatti, ben ventisei opere (e va da sé che mi riferisco a quelle pubblicate in volumi), spaziando dalla poesia al teatro, dai racconti alla letteratura ed alla retorica, dagli studi critici e dai saggi ai romanzi. Val proprio la pena di elencare i suoi libri (e lo farò in appendice, anche per ricordarne alcuni che oggi sono poco noti), divisi per sezioni, non senza notare che ognuna di queste l'Autore curò non episodicamente ma per lunghi periodi della sua intensa vita, con ampio respiro di continuità, dando corpo a coerenti sequenze temporali, che si avvertono particolarmente nei campi della poesia, della saggistica e della narrativa.
Non è, comunque, questa la sede, per chi, come me, non è un critico letterario né sa portare avanti con autorevolezza disquisizioni in chiave di puro estetismo, per approfondire il discorso su Gesualdo Manzella Frontini, scrittore ed operatore di cultura nel senso più largo dell'accezione. ........


OPERE DI G. MANZELLA FRONTINI
 
POESIA: 
«Novissima Semi ritmi» (1904),
«Le rosse vergini. Rime pagane»(1905),
«Il prisma dell'anima» (1911?),
«Sul gigli gocce sanguigne»(1920),
«Il mio libro dai campi P.W.» (1949).

RACCONTI: 
«Le lupe» (1906),
«Quando la preda è stretta» (1921).Premio “Il Seminatore”

STUDI CRITICI E SAGGI:
«La Lozana Andaluza» (1910),
«Contemporanei e futuristi» (1910),
«Auro d'Alba» (1927),
«Mario Puccini» (1927),
«Il Santo mediterraneo» (1931).
«Abate» (1932)


TEATRO: 
«L'altro sangue» (1922?),
«Verso le ombre» (1923),
«La madre immortale» (1935).

LIBRI DI LETTERATURA E DI RETORICA:
«Note di letteratura» (1921),
«Lingua e stile» (1931),
«Idee estetiche e gusto»  (1924).

ROMANZI: 
«L'Uomo che non seppe odiare» (1924),
«Il testamento di Giuda» (1925),
«Pupetta» (1926),
«Circo Barum, naja e sciacalli» (1933), premio “Accademia d'Italia”
«Scale» (1935), premio “Foce”
«Crocifissi alla terra» (1953),
«Sorte» (1961), quest'ultimo con presentazione di Bonaventura Tecchi.

VARIE: 
«Volare» (1927),
«L'eroico imperiale» (1928),
«Italia una e diversa, tutte le regioni» (1923).

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Vedi anche: 

COSA É IL FUTURISMO ? Commento al decalogo di Gesualdo Manzella Frontini (1910) e Critica a MAFARKA-EL-BAR romanzo africano - QUI

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Dal 1903 al 1965 scrive per La Sicilia, il Corriere dell'Isola, La voce dell'Isola, Orizzonti, Libera parola, Il Tevere, Quadrivio, La Gazzetta delle Arti, Ultimissime, Momento Sera, Le Lettere, Il lavoro Fascista, Tribuna Agricola, La Gazzetta del Sud, Il Resto del Carlino, Pomeriggio, Il Risveglio, Milano Sera.
I due pseudonimi (in sicilia) Eligio Flora e Deodato Perduti.

Collabora alle riviste
1903 Fantasmagoria
1904 La Lettura
1906 Critica ed Arte
1909 Poesia
1915 Imo de Pectore
1920 Rivista delle Signorine
1921/28 Le Fonti
1922 Il Polline
1923 Delta
1925 Polemica
1926 Bibliografia Fascista
1926/27 Le Thyrse
1926/28 Vita Nova
1926/29 L'Arte Fascista
1927 Quaderni Fascisti. Volare.
1930/31 Il Corriere Africano
1932 L'Asceta
1932/33 In Aevum
1938/39 Il Nuovo Stato
1946 Rassegna
1947 Misura
1947/48 Le Arti Belle
1947/48 Camene
1950/53 Doctrina
1955 Rassegna
1956/62 Catania
1957 Realtà
1957/60 Battaglia letteraria
1959 La Lucerna
1960 Vie Mediterranee.

A la sala anatomica. «Novissima Semi ritmi» (1904)

Oh,  ricordo perenne ! 

Un profumato autunno di tuberose, 
un acre odore d' acido fenico. 
Entrai  ne la sala anatomica  illuminata 
da le ultime fiammate d'un vespero di viola e di croco. 
Stavano stesi i cadaveri, squarciati, 
di sangue e di  grumi su le tavole chiazzate; 
Un vecchio, con l' occhio schizzato, 
avea un torace microscopico, 
su la glutine de l'occhio fetente le mosche 
importune un inno cantavano liete. 
Uno straccio di vecchio giornale turava la bocca d' un tisico, 
sul quale attenti lavoravano dei giovani : 
cedette lo sterno
fremettero i consunti, lividi polmoni 
imputriditi.
Quando su l' ultimo marmo, 
una donna vidi, da le anche spiccate, 
ed il seno avea floscio, 
ed il ventre squarciato colante materia, 
l'immagine vostra,  divina creatura, 
ne la sua carne di molle biancore 
improvvisa mi svelò la sua fresca.... 
ma pur vana bellezza.

Il dramma "La madre immortale" di Gesualdo Manzella Frontini





 Archivio Storico Luce - Attrice Marcella Albani
Giornale Luce B0485 del 06/1934