Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

mercoledì 13 luglio 2011

Per ricordare Carlo Caporossi, libero pensatore. Deceduto venerdi 8 luglio 2011

Per ricordare uno dei pochi signori che ho conosciuto, sempre disponibile nei confronti di un dilettante e improvvisato cacciatore di fantasmi illustri del passato. Grazie, mi mancherà il tuo aiuto. (Pietro Rizzo)




NOVELLE TOSCANE di Carlo Caporossi
Scritte tra il 1880 e il 1890 le Novelle toscane costituiscono la prova migliore dell'ampia produzione in prosa di Everlina Cattermole (1849-1896), celebre scrittrice e giornalista nota con lo pseudonimo di Contessa Lara. Caratterizzate dalla fedelta' ai dettami del realismo allora in voga e arricchite di capacita' introspettiva, le Novelle si sviluppano attorno a un'indagine scrupolosa dell'animo umano, compiuta alla luce di un'esperienza personale divenuta metodo di comprensione dell'umanita'. Quasi come a raccoglierne le segrete confidenze, l'autrice si accosta ai personaggi per condividere esperienze e sentimenti che poi restituisce con quel gusto e quella precisione che caratterizzano il suo particolare stile narrativo. Accanto a Firenze, piccoli paesi della Toscana diventano i protagonisti della scena narrativa; accurate descrizioni fanno da sfondo ai racconti, dai tratti ora comico-ironici, ora tragicamente fatali, e alle pagine di memorialistica che costituiscono un documento umano di indubbio valore. pagine 206, Illustrato, volume in Italiano. 



Novelle toscane
(Graphie)
A cura di: C. Caporossi
Editore: Il Poligrafo
Data di pubblicazione: 2008

(La memoria)
A cura di: C. Caporossi
Data di pubblicazione: 2008

(Fondazione Carlo Marchi. Quaderni)
A cura di: C. Caporossi
Editore: Olschki
Data di pubblicazione: 2006

(La memoria)
A cura di: C. Caporossi
Data di pubblicazione: 2006

(La memoria)
A cura di: C. Caporossi
Data di pubblicazione: 2005


Ascetico narciso. La figura e l'opera di Girolamo Comi
Caporossi Carlo, 2001, Olschki





Dedico questa pagina a Carlo Caporossi, prematuramente deceduto il 8/07/2011, che tanto amò la Vivanti con i suoi studi. Grazie per la cortese collaborazione. (Pietro Rizzo)

domenica 19 giugno 2011

Carlo Ardizzoni. Patriota, filosofo, poeta (Catania, 19 settembre 1808 - 3 gennaio 1886).

 DON CARLO fu uno dei primi a divulgare a Catania l'opera dell'Alfieri, del Foscolo, del Monti e del Parini e a educare i giovani catanesi ai sentimenti di patria. Nel 1831, fonda un istituto di Ideologia, quasi subito soppresso dalla polizia borbonica (che lo considerava un centro di cospirazione), partecipò ai moti dell'estate del 1837 (v. «Figli di Caronda » - Carboneria) insieme con il Barbagallo Pittà . Scampato alla repressione borbonica, fondò nel 1846 il Gabinetto di lettura Ateneo Siculo. Durante la rivoluzione del 1848-'49 fu, per breve tempo, commissario del potere esecutivo ma dopo l'ulteriore fallimento dei nuovi moti rivoluzionari si estraneò dalla attività cospirativa dedicandosi esclusivamente allo studio. Poco prima della venuta di Garibaldi, ritornato a cospirare, patì più volte il carcere. Rapisardi lo ricorda pieno di « entusiasmi di giovane e ingenuità di fanciullo ». Lasciò alcune opere inedite.


1
Carlo Ardizzoni
uomo di vario sapere
di tenace proposito, di sincera virtù
visse con l'animo fra' migliori antichi,
e di loro fu degno.
2
Lo studio amoroso
della lingua d'ltalia
gli alimentò il culto della patria
la piena scienza
delle umane istorie
gli crebbe la religione
dell'Ideale.
3
Quand'era delitto il pensiero
liberamente pensò,
e da libero operò in tempi difficili,
serbando incorrotto il cuore
incontaminate le mani.
4
Sdegnoso di sette,
amatore rude e divulgatore impetuoso
di verità,
fu prediletto da' generosi
da' prepotenti temuto,
rispettato da tutti.
5
Ignaro delle arti giovevoli alla fortuna
mantenne fino agli anni più gravi
entusiasmo di giovane, ingenuità di fanciullo:
visse da poeta, morì da filosofo:
divina schiettezza dell'animo!

Questo autografo Rapisardiano, attraverso il quale appare la figura di Carlo Ardizzoni, ci riporta ad un numero unico divenuto ormai raro e introvabile, che un «giornale politico bisettimanale» del tempo: «Il Mongibello» (che, era diretto da G. Vitale Palazzo; aveva l'ufficio di amministrazione al numero civico 16, secondo piano, di via Biscari; si stampava per i «tipi di Roberto Giuntini» e si vendeva «centesimi 5 il numero, arretrati centesimi 10») dedicò alla memoria del patriota catanese.

Bibliografia:
Enciclopedia di Catania - Tringale editore
Catania vecchia e nuova, di Francesco Granata - Ed. Giannotta 1973 

martedì 14 giugno 2011

Calcedonio Reina (Catania, 4 febbraio 1842 – Catania, 10 novembre 1911) è stato un pittore e poeta italiano


Singolarissimo ingegno nelle molteplici sue manifestazioni. Sul frontespizio delle sue raccolte di versi suole egli aggiungere al proprio nome il titolo di pittore : reciprocamente, non è possibile considerare le sue tele senza chiamarlo poeta. Del poeta egli ha l'alata fantasia, la vivace immaginazione, le invenzioni originali, i lampi rivelatori. 

L'arte sua non si può ascrivere a nessuna delle scuole conosciute, delle categorie definite; quando pare che egli si accosti a qualcuna, tosto con un colpo d'ala se ne dilunga, trascorre ad un genere opposto, serbando sempre un suo proprio indelebile e impareggiabile carattere. 

Il simbolismo della Cucitrice eterna, della Tentazione,Vendetta di Rettile, dà luogo al realismo delle Compagne d'una volta, del Filtro d'amore, al romanticismo della Tentazione, al preraffaellismo della Maddalena e Giuda ; ma il preraffaellismo, il romanticismo, il realismo,il simbolismo, non sono voluti dall' autore, non sono da lui cercati tanto meno studiati : sono invece modi che il suo spirito ha naturalmente ed istintivamente assunti nel dar forma ai fantasmi che lo agitano. 

Tanto è vero, che questi modi diversi si dànno in lui la mano, come non sarebbe possibile se egli si fosse ascritto, sia pure una volta tanto, a qualcuna di queste scuole.




Calcedonio Reina (Catania, 4 Febbraio 1842 - 10 Novembre 1911)

Avviato dal padre, lo scienziato prof. Euplio, alla medicina, studiò contemporaneamente, e da solo, pittura. Il Morelli, visti alcuni suoi lavori, lo ammise fra i suoi discepoli. Temperamento malanconico e mente versatile, si dedicò alternativamente alla pittura ed alla poesia, i suoi numerosissimi dipinti incontrarono scarsa fortuna per i motivi tristi che vi erano raffigurati. Nel 1871 ritornò a Napoli e lo stesso anno fu presente all’Esposizione di Napoli con molti quadri. Egli partecipò a parecchie esposizioni: alle mostre della Promotrice "Salvator Rosa" dal 1873 al 1904: nel 1873 con Sicut mors caecus; nel 1875 con Cuor malato; nel 1877 con Teclam, acquistato dal suo intimo amico Mario Rapisardi; nel 1880, con Dama bianca; nel 1882 con Amore, trovasi nel Museo Civico di Catania, dove pure è conservato Amore e Morte, esposto nel 1881 a Milano; nel 1888, con Il ragno del chiostro, acquistato da re Umberto I. All’Esposizione tenutasi in Napoli nel 1877 presentò: Accaduto nel corretto; Miserere; a Torino, nel 1880, Amore e morte, predetto; a Roma, nel 1883, Per Montecarlo, andato distrutto; a Berlino, nello stesso anno, alla Prima Esposizione d’Arte Italo-Spagnola, La Tentazione; a Palermo, all’Esposizione Nazionale del 1891-92: Campagne di una volta ed Espiazione; a Milano nel 1897, alla Triennale di Brera, Vendetta. Oltre che del Rapisardi, fu molto amico del Verga. Pubblicò un volume di poesie, "Canti della Patria".

Sue opere sono visibili presso Banco di Napoli e Galleria Nazionale di Capodimonte(NA) .

Per G. Barbera," la sua figura fu tra le più interessanti nel panorama artistico meridionale " .

Poesia e musica
Romanze
   Destati, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Lucca, 1878
   Abbi pietà, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Ricordi, 1885
   Folchetto,versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Ricordi, 1885
   Orientale, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, s.m.napolitana, 1898
   Serènadè Arabe, versi di C. Reina, musica di Francesco Paolo Frontini, Carisch
  


Produzione letteraria

   I canti della patria — versi — Firenze 1872.
   Per la morte del padre — elegia — Napoli 1877.
   Chiaroscuri — versi — Catania 1885.
   La Fata e la Mara
   I notturni
   Leggende reali — Napoli 1894.
   Sa Kuntàla — dramma di Calidasa ridotto a scene liriche in 4 parti, messo in musica dal Maestro S, Malerba Catania 1896.
   Opsara — leggenda drammatica — Catania, 1898.
   Dio — Affermazione dell' incredulità e della Filosofia — Catania 1900
   Vincenzo Bellini — (1801-1835) con un'ode di Mario Rapisardi, 1902.
   Caronda e le sue leggi — Catania, 1906.
   Voci dello spirito — Catania 1907


" pittore strano e poeta gentile, uomo di antica temperanza, anima abbrutita dall'Ideale". 
( di Mario Rapisardi )


Mario Rapisardi - da Giustizia
La cucitrice
(per un dipinto di Calcedonio Reina)


Seduta sopra un trono d'ossa, alla scialba luce
Del tramonto, in un vasto campo la Morte cuce,
Infaticabilmente cuce, avvolta in un bianco
Lenzuolo, incoronata d' asfodeli: al suo fianco
Una forbice acuta dal pernio adamantino,
Dall'affilate lame d'acciajo; sul cuscino
Di porpora, ove adagia i piedi ischelitriti,
Che mostran dalla veste Candida i gialli diti,
Una civetta immota dagli occhioni ritondi
Di topazio; lontano per gli spazj profondi
Un suon d'orgie e di fieri gemiti. Ed ella, sopra
Le ginocchia piegando il teschio, affretta l'opra:
Un'ampia coltre nera di velluto, che ingombra
Con ricchi ondeggiamenti l'arido piano. L'ombra
S'avanza, ed ella cuce : infaticabilmente
Mena tra le falangi rigide il rilucente
Ago d'acciaro; e l'aureo fil che mai non si spezza
Tira tira con alta mano al lavoro avvezza.
E più e più s'addensano, s'addensan l'ombre;ed ella
Assidua sgobba al raggio d'una vermiglia stella.
L'opera è presso al fine; e già fornita; scocca
Un'ora; ed ella, a un ghigno dilatando la bocca,
Balza, la coltre stende, gli stinchi scricchiolanti
Agita al ballo, c l' aure empie di strilli e canti.

-Voi che in seta ed in velluto
Sbadigliando le groppe adagiate,
E su lane istoriate
Strascinate augusti il piè,

Voi che in morbido origliere,
Aspettando del sole il saluto,
Vi crogiate, vi crogiate
Come papi e come re;

O paffuti e tondi eroi,
Che dal lombo d'Anchise calate,
O dall'anca d'un droghiere,
E il mestiere di godere
Con gran plauso esercitate,
O paffuti e tondi eroi,
Qui posate, qui posate :
Quosta coltre e ben da voi!

-

Alla plebe, alla bordaglia,
Che a servire ed a piangere è nata,
Altra sorte ha il ciel serbata
Di lei degna, oscura e vil:

Per lei, viva e morta infame,
C'è la forca, il baston, la mitraglia,
C'è la fame, c'è la fame
Che la porta al nero asil.

O paffuti e tondi eroi,
Che dal lombo d' Anchise calate,
O dall'anca d'un droghiere,
E il mestiere di godere

Con gran plauso esercitate.
O paffuti e tondi eroi,
Qui posate, qui posate:
Questa coltre è ben da voi ! —

Così canta per l'alta notte.Alle voci strane
Sbucano sperisierati dalle marmoree tane
(Tane che sembran reggie) da' casini, odorosi
Di muschio e di godute carni, da' clamorosi
Teatri, dalle bische, ove in abito nero
Di matrona panneggiasi la Frode, e con austero
Volto di gentiluomo il Furto infila i guanti;
Dalle tradite alcove sbucano i tracotanti
Figli della Fortuna, sfatti dall' ozio, bianchi
Dalla veglia, d'amore sazj, di danze stanchi,
Tumidi e sofferenti di cibo e di piacere,
(Poveretti, il destino li ha dannati a godere !);
Si affrettano, si pigiano, s'abbandonano vinti
Dal sonno, o dalla ferrea Necessità sospinti,
La nel campo deserto, ove con man secura
Li ravvolge la Morte nell' ampia coltre oscura.


venerdì 20 maggio 2011

Gaetano Emanuel Calì (Catania 1885 - Siracusa 1936)


Musicista, compositore, direttore di orchestra e di banda . 
Fu allievo di Francesco Paolo Frontini, che lo inizio, tra l'altro, allo studio dei classici della musica e gli rivelò i valori culturali e sociali della musica popolare: due poli, questi, tra i quali si svolse poi la sua attività artistica, con decisa prevalenza del secondo. 
Giovanissimo si cimentò nell'opera lirica con una Elvira da Montefeltro cui seguirono nel corso degli anni composizione d'ogni genere, dai poemetti sinfonici alla musica da camera, dagli intermezzi lirici alle musiche liturgiche, dagli inni patriottici alle operette. 
Nel 1910 a Malta, dove si trovava per motivi professionali (direttore sostituto dell'orchestra del Real teatro e direttore delle filarmoniche « Rohan » e « Vilhena » ) e dove aveva sposato la concertista d'arpa Anna Battista, che perdette giovanissima, compose l'ormai celeberrima « mattinata » ...e vui durmiti ancora, romanza di sapore squisitamente siciliano con cui si inizia quella vastissima produzione di composizioni etnofoniche che fecero di lui un classico del genere, al punto che e quasi nel suo nome che la Sicilia musicale si riconosce (la canzone Sicilia bedda e divenuta addirittura una sorta di inno nazionale dei siciliani): e davvero egli interpretò musicalmente l'anima del popolo siciliano. 
Notevole la sua attività professionale come concertatore e direttore in varie stagioni liriche in Italia e all'estero e come direttore del coro e maestro sostituto al teatro Massimo Bellini di Catania. Insegnò musica e canto negli istituti scolastici statali, fondò e diresse l'istituto musicale annesso al reale ospizio di beneficenza di Catania e diresse la scuola musicale dello stesso ospizio. 
Nel 1929 fondò il gruppo folkloristico « Canterini etnei » che sotto la sua direzione raggiunse alti vertici artistici e consegui straordinari successi e primati assoluti in tutti i concorsi del genere. Compose le musiche per dieci drammi dialettali siciliani che furono rappresentati con alterna fortuna nell'isola e nel continente. 
Mori a Siracusa dove era stato ancora una volta chiamato per istruire e dirigere i cori delle rappresentazioni classiche.
A. COR.


Opere:
Cali, Gaetano Emanuel - Lierre : Valse lente, pour piano - Milan - 1914 
Emanuel Cali, Gaetano - Album di 12 canzoni popolari siciliane / [musica di] Gaetano Emanuel-Cali - Firenze - 
Cali, Emanuel Gaetano - La vo : ninna nanna siciliana / musica di G. Emanuel Cali ; versi di F. Impellizzeri - Catania stampa Roma - 1931 
Cali, Gaetano Emanuel - Taormina : Canzone-tango [per canto e pianoforte]. Versi di A. L. Emmanuele - Catania Firenze - 1930 
Cali, Gaetano Emanuel - Danza dei colori : One-step [per pianoforte] - CataniaFirenze - 1928 
Cali, Gaetano Emanuel - Capelli Neri : Canzone tango per pianoforte con testo. Parole di Giuseppe Gargano - Firenze - 1928 
Cali, Gaetano Emanuel - Primavera Siciliana : Canzone per canto e pianoforte. Versi di G. Formisano - Firenze - 
Cali, Gaetano Emanuel - E non ritorna piu... : Canzone per canto e pianoforte. Versi di Pietro Guido Cesareo - Firenze - 1922 
Cali, Emanuel Gaetano - Sicilia 'ncantata : canzone siciliana / musica di Gaetano Emanuel-Cali ; versi di Giuseppe Olivieri - Catania Firenze - stampa 1933 
Emanuel Cali, Gaetano - I want to go to Sicily : [per canto e pianoforte] / words by Daniel V. Valenfort - Firenze - 1927 
Emanuel Cali, Gaetano - Siciliana : One-step [per orchestrina] - Catania - [1929] 
Emanuel Cali, Gaetano - Danza dei colori : One-step [per] orchestrina con pianoforte conduttore - CataniaFirenze - 1928 
Emanuel Cali, Gaetano -E vui durmiti ancora - video ] : mattinata siciliana per pianoforte, con testo / versi di Giovanni Formisano - Catania-Firenze - 1927 
Emanuel Cali, Gaetano - Sicilia bedda! : Versi di Sebastiano Grasso - Catania - 1929 Firenze 
Emanuel Cali, Gaetano - Siciliana : Canzone one step [per canto e pianoforte] - CataniaFirenze - 1929 
Emanuel Cali, Gaetano - Two-step dei monelli : [per] orchestrina con piano - CataniaFirenze - 1930  

Ultimo colloquio col Maestro Frontini 

.........Ci trovavamo spesso, nel vostro studio, insieme col povero Emanuel Calì. E le ore scorrevano lietamente. I vostri occhi, posandosi su ognuno di noi, sembravano accarezzarci paternamente.

-~ Siete i miei più cari amici - ci dicevate spesso.

Poi Emanuel Calì morì, Fu uno schianto pel vostro cuore paterno.
Quando ci si rivide, dopo la disgrazia, non trovammo parole. Soltanto dopo un poco che ci guardammo stringendoci fortemente le mani, mi buttaste le braccia al collo e mi diceste stringendomi sul vostro cuore:
- Ora non mi resti che tu solo.  -  E piangemmo entrambi..(continua)

Francesco Pastura, 1939

mercoledì 18 maggio 2011

Per Carlo Pisacane, dall'Atlantide di Mario Rapisardi

Nel 1894 Mario Rapisardi dedica dei versi (del poema l 'Atlantide a pag. 172, ed. R. Sandron.) a Pisacane, descrivendolo come l'uomo, del risorgimento italiano, che precorre il socialismo:
.........................
O Pisacane, o prima itala mente
In cui la nova Idea fiammando scese,
Ben hai tu loco in questa sfera ardente, 
Tu cui la pigra età tardi comprese. 
Generoso! Di gioghi impaziente, 
D'alti esempi bramoso e d'alte imprese, 
Pura serbando al Ver l'anima ardita, 
A men fulgida Idea dèsti la vita!

Ma l'Idea, che diè luce al tuo pensiero, 
Or più non vive dispregiata e sola, 
Anzi uno stuol magnanimo e guerriero 
L'ardue leggi ne afferma e a lei s'immola: 
Morì per essa or or Carlo Cafiero
Cor d'asceta e d'eroe ch'alto qui vola, 
E del Ver che sognò splendido in vista 
Le morte forze e la ragione racquista.
............................................



Carlo Pisacane (Napoli22 agosto 1818 – Sanza2 luglio 1857) è stato un rivoluzionario e patriota italiano. Partecipò attivamente all'impresa della Repubblica Romana ed è celebre soprattutto per il tentativo di rivolta che iniziò con lo sbarco a Sapri e che fu represso nel sangue a Sanza.



venerdì 29 aprile 2011

Mors et Vita di Mario Rapisarsi


  PREFAZIONE L'arte austera di Mario Rapisardi, che non è la facile retorica dei classici di mestiere, l' arte di Lui che è palpito di vita di un pensiero poderoso, che è manifestazione possente del genio che crea l' idea e non ha parola risonante, non è certo il campo che può essere battuto dai molti avventurieri della letteratura ufficiale. Ed è certamente per questo che, l'opera Rapisardiana è stata insidiata dalla congiura del silenzio, quando non è stata fatta segno agli strali velenosi della critica idiota ed interessata da tutti i mercanti che si annidano nel tempio dell' Arte Italiana. Spezzare i pregiudizi dell'ostilità che la stupidaggine e la malafede altrui ha tessuto intorno alla poesia del Rapisardi, penetrarne e comprenderne tutta la bellezza intima e la vigoria di pensiero per mostrarla agli altri, è l'opera coraggiosa ed ardita che il Nicolosi ha compiuto nel suo lavoretto che, se non è classicamente perfetto, dimostra un ingegno non comune. Questo il merito del Nicolosi che non si può negargli, e ch'è il migliore incoraggiamento per proseguire.   Catania, agosto 1921. G. Battiati

..... che mai sperate
Dalla giurata propaganda ostile,
Se più il gigante, che abbassar tentate,
S' erge nel gran pensier, nell'aureo stile !
Lucio Finocchiaro

Quando penso alle poderose concezioni filosofiche che costituiscono il nucleo delle ispirazioni poetiche Rapisardiane, mi sento interessato dall'opera stessa, che, a traverso la notte dei secoli, lancierà il grido di protesta e di rivoluzione ideale contro le moderne scuole che non attingono mai alle pure fonti della vita e della natura per darci, che eletta creazione artistica, che sarà come oggi, anche domani, la placida poesia umana dell'avvenire. Così anche questo poemetto del catanese scomparso inosservato dalle turbe plaudenti ed isteriche, irrigidite dallo ibridismo e dallo egotismo, resta sopraffatto e travolto nell' oblìo per la povertà di spirito che è nei critici di oggi. Ma fra tanto parlar di metodi e sistemi non inutilmente io oso affermare che:
Questo componimento poetico è un capolavoro sia per vigoria di stile, che per vivente bellezza d'immagini, e per profondità di pensiero. Dal poeta fu diviso in tre parti: nella prima appare la Morte, regina degli uomini e dei Numi; nella seconda la Vita sorge e trionfa; nella terza la Vita e la Morte regnano insieme sui destini dell' Essere. Esaminiamo queste parti e le strofe di cui consta ciascuna: parte I, Str. I.
Su su dalle tenebre fitta.
Che sopra alle cose si stende,
La Morte, fantasima invitta,
Al trono dei secoli ascende.
Lo sfondo sul quale sorge la Morte è dipinto con sobrietà ed efficacia. Della Morte, nessuna descrizione; un solo appellativo racchiude quello che ne hanno detto altri poeti. Non è l'Atropo dei Greci che tronca con le forbici lo stame della vita; non è la pallida Mors di Horatius Flaccus, che batte con eguale piede alla capanna ed al superbo palazzo; ma è una figura grandiosa che domina tutti i secoli. Qui, fatta astrazione delle circostanze e di luogo e tempo, è rappresentato il trionfo della Morte. Parte I, Strofa II.
Al gelido soffio dell'ale
Abbrivida l'ampia Natura,
Vacilla la face vitale,
L'aureola de' numi si oscura.
Essa non atterisce pochi paurosi, non si contenta d'immerger nel dolore anime umane; bensì arresta tutta la Natura nella sua creazione, toglie ogni splendore alle divinità. E purtroppo ne sono tramontate religioni che, sembravano imperiture alle caste sacerdotali da cui erano amministrate. Si spense la religione d' Egitto come quella di Grecia e di Roma. Chi sa quanto dureranno ancora il Cristianesimo, il Buddismo, il Maomettismo ? Strofe III.
Che fuga di trepidi dorsi !
Che eccidio di glorie, d'amori !
Sui campi mietendo trascorsi
L'obblio sparge i nivei suoi fiori.
La furia devastatrice della Morte produce effetti simili a quelli d'un uragano o d'una battaglia. L'obblio è come la quiete dopo la tempesta; i suoi fiori sono bianchi, perchè dalla fusione di tutti i colori si ottiene il bianco. In « trascorsi » è sottinteso il complemento di agente: della Morte. Strofe IV.
Silente ella sorge, ella ingombra
Del cielo la vivida mole;
E immane allargandosi ad ombra
Gli specchi fiammanti del sole.
Anche la materia cosmica che si muove nello spazio senza confini, anche il Sole sono immersi dalla Morte nelle tenebre. «Gli specchi fiammanti» per esprimer la luce ed il calore solare, è frase efficacissima, e suscita in noi l'idea dell'abbarbagliamento. Parte II. Strofe I.
Ma come di nubila balza,
Che fosca nell'aria torreggia,
Se il roseo mattino s'inalza,
Indorasi l'orlo e fiammeggia.
Qui abbiamo il primo termine d'una similitudine non iperbolica, ma naturale. E' un quadro, ove spiccano in diretto contrasto il color fosco della balza nell'ora antelucana e la nuova tinta che prende sul far del giorno, all' apparir del sole. L'ultimo verso ricorda il dantesco:
.......le sue spalle
vestite già dei raggi del pianeta
Ma in questo il fenomeno è già avvenuto; nel verso rapisardiano il fenomeno è colto nel suo svolgimento. Classica è la semplicità della descrizione; nell'oro dell'orlo c'è la tinta; nella fiamma d'un indefinibile colore di porpora, di zafferano c'è la sfumatura. «Nubila» è detta la balza perchè attinge le nubi con la sua altezza; con la sua brevità; la parola rende fedelmente l'immagine. Se invece il poeta avesse inteso dire cinta di nubi, e ciò per accrescerne l'orrido aspetto, qui meglio ci sarebbe stato l'aggettivo nebulosa; in altra composizione poetica « La montagna fatale », il Rapisardi scrisse: Di nuvole perenni atea ha la vetta. Ma se la balza fosse cinta di nubi, non potrebbe produrre il fenomeno luminoso descritto nei versi seguenti; quindi nubila vuol dire che si eleva sino alle nubi. Strofe II.
Così dietro all'ombra solenne
Se un raggio d'amore la invita
Furtiva, tenace, perenne
S'affaccia, si spande la Vita.
Qui si compie il paragone. L'ombra è solenne per il trionfo della Morte che in essa si è svolto; solenne è ciò ch' è grandioso e severo, che ispira timore e rispetto, che costringe dall' ammirazione. L'amore è causa diretta della vita , perchè quasi tutti gli esseri nascono dalla fusione di due germi, avvenuta per quella forza di attrazione che Empedocle chiamò Amore. È vero che alcuni esseri monocellulari si riproducono per scissione, il qual fenomeno i naturalisti chiamano endogenesi o esogenesi, secondo che la scissione va dal nucleo al protoplasma o viceversa; ma questi microrganismi, che nell'Atlantide il Rapisardi chiama
......genti viscide e strane
Che hanno per patria un cacherel di cane,
non sono mai entrati nel mondo poetico. Gli ultimi due versi contengono una bella gradazione costituita dall' affacciarsi furtivo e dallo spandersi tenace. Strofe III
Ignara di fato, di dio,
Di luogo, di tempo, di mira,
Beata in un florido oblìo
L'eterno presente respira.
Qui la Vita è contemplata nel suo significato più esteso di energia che popola la terra di piante e d' animali sempre riproducentisi. Invano i filosofi si affannano a meditare sui destini dell'Essere, sul dio che l'ha cercato, sel tempo ed il luogo in cui apparve per la prima volta. La vita si svolge nella estremità. Strofe IV.
E mentre ogni cosa in lei muta,
E il tutto di lagrime stilla,
Sul torbido oceano seduta,
Come iride immota essa brilla.
In questa strofe come anche nella precedente si accennava alla teoria per cui niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma. L'Essere piange colpito da mille sventure, perchè non può effettuare il sogno di felicità cui tende; e si agita come un mare tempestoso, ma la Vita risplende per sempre. Parte III Str.I
O tenero verde ridente
Per l'avide rime dei lidi
O appeso alla roccia imminente
Fecondo tripudio di nidi.
In « avide rime » abbiamo un aggettivo e un sostantivo latini trapiantati in italiano. Rime significa spaccature, crepacci; angusta rima che usò Horatius Flaccus, ed è del latino classico. In italiano la parola rima con questo senso fu usata da Francesco Berni, da Antonio Cocchi, medico napoletano del sec. XVIII, e da Niccolò Tommaseo. Avide qui significa ampie, che prendono intorno a loro da ogni parte. Questo significato acquistò per metonimia l'aggettivo avidus in Titus Lucretius della cui opera De Rerum Natura, il Rapisardi fece una traduzione che parve al Trezza meravigliosa. Una gentile imagine suscitano i due ultimi versi dì questa strofe in cui il poeta si rivolge alla Natura vegetale ed animale; vediamo la roccia sospesa nel vuoto per un miracolo di equilibrio e i nidi di graziosissime forme, fecondi di nuova prole, lieti di trilli d'amore. Strofe II.
O anima umana, fanciulla,
Che il nume fuggevole agogni,
E assisa fra un'urna e una culla
Ritessi la tela dei sogni.
E' questa la strofe più bella di tutta l'ode. Stupendamente vi è compendiata la vita dell' anima ; il bisogno irresistibile di credere in un Ente superiore; il desiderio di un ideale nel quale rifugiasi dopo aver gustato le prime amarezze della realtà. Dalla culla all'urna, vuol dire dal primo sorriso di chi apre gli occhi alla vita sino all'ultimo addio pien di tristezza dei morente che, si avvia verso l'Ignoto. Strofa III.
O armato pensiero, che movi
Di strani castelli all'assalto,
E attorto da serpi e da rovi
Prorompi svolgendoti in alto.
Armato si deve intendere come cinto, fornito di sapienza, che appresta le armi per combattere i mostri dell'ignoranza, annidati nelle menti dei più. Gli " strani castelli n sono i cumuli delle superstizioni che sono aumentate attraverso i secoli di decadenza intellettuale, Rovi sono i triboli che il pensiero deve soffrire prima che una sua gloriosa scoperta venga da tutti riconosciuta; simboleggiano il martirio che deve subire il bene, il vero, il bello prima di entrare nella coscienza degli uomini. In « prorompi » sentiamo l'impeto vivo e ardente di chi combatte per una causa santa. C'è qui il progresso del pensiero umano che s'è compiuto attra-verso tutti gli ostacoli frapposti da chi aveva interesse di soffocarlo. La parola serpi sì riferisce ai preti cattolici in particolare, ed alle caste sacerdotali tutte, che sono state colpevoli di aver ritardato il progresso del pensiero, facendo della dottrina un loro monopolio privato, anzi segreto. A conferma di questa interpretazione della parola serpi, cito due strofe dell'ode rapisardiana : Per la venuta dei Gesuiti al collegio Cutelli in Catania:
Poichè dai nostri mali imbaldanzita
La lojolesca biscia
Sopra la mensa al popolo imbandita
Viscida striscia
O verità, vibra un tuo raggio, e straccia
Dal mostro empio le trame;
O storia, abbassa il piè di bronzo e schiaccia
Il capo infame.

Strofe IV.
La Vita e la Morte abbracciate
Vi guardan dall' arduo sentiero,
E al baratro immenso piegate
Le testi sussurran: Mistero !
La Vita e la Morte agiscono insieme: l'una creando, l'altra distruggendo. L'arduo sentiero e l'atmosfera; oggi che l'areonantica ha fatto nuovi progressi, attraversando l'atmosfera, è meno arduo di quanto lo era ai tempi in cui il Rapisardi scrisse questi versi. Il baratro immenso è l'ignoto; le fronti che vi si piegano, sono le menti che, nella risoluzione dei grandi problemi profondano lo sguardo scrutatore. Mistero: ecco la parola che sorge spontanea sulle labbra di chi, studiando la Biologia, non ha saputo trovar la legge che governa una relazione così intima com'è quella tra la Morte e Vita.  
Giuseppe Nicolosi


Mario Rapisardi (QUI)


note, la poesia Mors et Vita è tratta da Le poesie religiose.