Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

domenica 5 febbraio 2012

Giacomo Sacchero, chi era costui? (Catania, 1813 – 1875)

Giacomo Sacchéro (Catania14 gennaio 1813 – Catania16 settembre 1875) è stato un librettistapoeta e botanico italiano.

AI LETTORI
Ho scritto questi miei versi in differenti condizioni della vita, come veniano dall'anima; o per dir meglio, secondo che il cuore o il pensiero ricevean moto o calore dalle memorie dalle contemplazioni e dalle fantasie meste o gioconde— aborrendo sempre dalla tormentosa ipocrisia dei sistemi. G. S.

(collezione Frontini, 1844)
FANTASIE LIRICHE
Delle memorie il languido
Bacio mi resta..............
                               Tommaseo
Un Pellegrino
La più bella tra le rose 
Ne' miei campi un di fioria ; 
Nelle note armoniose 
L'usignuol per lei languia. 
Ben per essa ad un sorriso 
Schiusi il core in gioventù ; 
Or quel fior di paradiso 
Sullo stel non sorge più.

Dentro gli umili imareti,
Tra'palmizii, al Fiume-d'oro, 
Nelle reggie dei profeti, 
Corsi in cerca al mio tesoro. 
Finalmente io ritrovai 
Quell'amor che mio già fu; 
Ma dormia — nè lo svegliai 
Perchè il ciel non volle più.

Pei giardin del Suristano 
Presso a'talami di fiori 
M'aggirai sperando invano 
D'obliar gli antichi amori; 
Ma quell'aura di diletto 
Non avea per me virtù ; 
Tutto assorto in quell'affetto 
Piansi lei che non è più.

Gli anni giovani ho passato 
Sotto i chioschi di cristallo, 
Le odalische ho visitato 
Tra le conche di corallo ; 
Ma scontento questo core 
D'ogni gioia di quaggiù, 
Pensa sempre al primo amore 
Che veder non può mai più.
*****
Marinaresca (Il Gondoliere)





******

Mattinata 

Sorgi, o il più bel degli angeli,
Lascia il guacial di fiori;
Già spiran dolci l'aure,
E l'alba i freschi umori
Stilla dall'aureo crin;
E sorridente e bella
Rallegra il ciel la stella...
Foriera del mattin.

Sorgi: vestito è l'aere
Di limpido zaffiro,
Simile a quel che splendere
Negli occhi tuoi rimiro,
Fanciulla mia fedel ;
E alla sua amica accanto
Scioglie d'amore il canto
L'armonioso augel.

Sotto i romiti salici
D'ombra ospital cortesi,
D'ove d'amor le timide
Tue prime voci intesi,
Vieni mio dolce amor;
E dai soavi incensi
Rapiti ancora i sensi
Ti volerò sul cor.

Ma non tardar-l'indugio 
Or m'è più reo che mai;
Tre lunghe notti io vedovo
Son dei tuoi baci, il sai
Nè ha tanta il cor virtù.
Vieni; abbracciarti io spero
Unico mio pensiero,
Per non lasciarti più !
ROMANZE



Il Masnadiero
Giovinetto, nei giorni felici
Ebbi anch'io fidi amici e fratelli;
Ma i fratelli, ma i reprobi amici
Mi lasciàro al lasciarmi di quelli:
E fratello ed amico leal
Mi rimase l'acuto pugnal.


Ebbi un padre — e la scure cadente
Pose fine a sua vita infamata ;
Una madre — ed è morta demente;
Un'amica—e me l'hanno involata...
Ahi! nel gaudio il superbo rival
Non temè quest'acuto pugnal.

In quell'ira un'orrenda vendetta,
Bestemmiando, giurai nel Signore.
Scorse un lustro — e in quell'anima abietta
Disbramai l' implacato furore :
E fumante del sangue rival


Solo e muto per monti e per grotte
Vo ramingo nel capo dannato;
Pur su'sterpi nell'umida notte
Dormo un sonno tranquillo e pacato,
Perchè sotto al mio rude guancial
Sta riposto l'acuto pugnal!
Volsi al cielo l'acuto pugnal.




*****
Caro Frontini,
Ho gustato e ammirato le vostre squisite romanze; bellissima la « Marinaresca ». Me la son fatta ripetere non so quante volte e ne sono commosso, e me la vado rimormorando nell' anima come un soave ricordo della giovinezza lontana. Lasciate che io vi abbracci e vi baci, mio caro, e mi dolga della fortuna che non v' ha dato ancora quei sorrisi che commuovono il mondo e consacrano la virtù. Mario Rapisardi

Biografia - Scritta per wikipedia



L'attività del Sacchèro si divide in due periodi, il primo dedicato alla letteratura e alla poesia, il secondo alle scienze con applicazione all'agricoltura.
Avviato alla carriera commerciale, nel 1835 si trova a Trieste, qui si dedicò agli studi letterari, verso i quali si sentiva attratto, stringendo relazione, a Venezia, con uomini eminenti. Scrisse da prima nei giornali; quindi seguendo l'impulso tentò la prova dei componimenti poetici. Negli anni 40 si trova a Milano, centro importantissimo della cultura italiana. "Scrisse non meno di 30 libretti d'opera, che furono tenuti in gran pregio, sia per la spontaneità del verso, sia per la rivelazione degli affetti, sia ancora per la forma, poiché uno fra i tanti meriti di quei suoi componimenti, fu quello di essersi cominciato a staccare dal così detto convenzionalismo, per quanto lo comportassero le ragioni artistiche dei tempi; sicché da taluno fu detto che molti dei libretti di lui, parevano scritti 20 anni dopo. La maggior parte di essi, dettati pel Teatro della Scala, per la Fenice di Venezia, pel Carlo Felice di Genova ebbero l'onore di venir musicati da Donizetti, dal Ricci, dal Pacini e da altri rinomati maestri" (G. Leonardi). Dopo il 48 è costretto all'esilio a Parigi, dove si appassionò degli studii botanici. Quando cadde il regime borbonico fu eletto deputato del nuovo Regno d’Italia, ma rassegnò il mandato di lì a poco. Continuò in politica, facendo parte della giunta comunale di Catania presieduta dal Cav. Antonino Alonzo. Morirà a Catania il 16 settembre 1875, all'età di 62 anni, in Via Garibaldi 154. Per i suoi meriti, i Savoia lo insignirono dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro(9 giugno 1861).                                                
« A GIACOMO SACCHERO anima gentile di poeta e di cittadino,
che gli ozii dolorosi dell'esilio decenne consolò con lo studio dei fiori
e con i fiori della. poesia,
la patria non immemore
pone questo ricordo. »
(Mario Rapisardi - Poemetti-Iscrizioni(1885))

Libretti d'opera 

  • Galeotto Manfredi, o Manfredi re delle due Sicilie, musica di Natale Perelli (Pavia, T. Re, 1839);
  • La Cantante per Gualtiero Sanelli (Milano, T. Re, 1841);
  • Corrado d'Altamura (Milano, Scala, 1841) e Vallombra (ivi, ivi, 1842) entrambi per Federico Ricci


  • Odalisa (Milano, Scala, 1842) 

  • Margherita di York (Venezia, Fenice, 1841)  per Alessandro Nini;

  • Caterina Cornaro p. Gaetano Donizetti (Napoli, S. Carlo, 1844);

  • L'ebrea p. Giov. Pacini (Milano, Scala, 1844) L;
  • I Luna ed i Pedrollo p. Pasquale Bona (ivi, ivi, 1844);

  • I Burgravi p. M. Salvi (ivi, ivi, 1845);

  • I Baccanti p. Uranio Fontana (ivi, Carcano, 1847)
  • Il profeta velato, dr., 4 parti, musica di Ruggero Manna (Trieste, Tr. Grande, autunno 1846)
  • Ariele, melo-dr., 3 atti, mus. Alberto Leoni (Milano, Tr. Filodrammatici, estate 1855)
  • Clarissa Harlowe p. Nat. Perelli (Vienna, Tr. Di Corte, 1858).

Poesie 

  • Fantasie liriche e Romanze, ed. Tipografia del Real Ospizio - Catania, 1844

Romanze 

(parziale)
  • Mattinata - melodia in sol - ed. F. Lucca
  • Marinaresca - ed. G. Perrone 

Bibliografia 

  • Giacomo Sacchero, un librettista Catanese alla Scala di Milano - di Giovanni Pasqualino - ed. Bastogi 2009
  • G. Leonardi, Elogio Accademico di Giacomo Sacchèro, nella seduta straordinaria dell'Accademia Gioenia il 16 luglio 1882, in "Atti dell'Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania", Serie Terza - Tomo XVI, Tipografia di C. Galatola nel R. Ospizio di Beneficenza, Catania, 1882.
  • C. Schmidl, Dizionario Universale dei Musicisti, 2 voll. (Milano, 1887-89; 2a edizione, ivi, 1926-29; suppl, ivi, 1938; 3a edizione in 3 voli., Milano, 1938, vi. 2., pag. 445).

venerdì 3 febbraio 2012

Francesco Buccheri detto Boley (poeta e giornalista - Catania, 1878-1961)


Giacchì la me' carusa mi tradìu, 
Comu ricordu a lu so' tradimentu, 
Ju vogghiu dari a tia, litturi miu, 
'Stu libricèddu; e fazzu un juramentu 
Di non stampari cchiù 'sti fissarii 
Pirchì sicura e certu ti siddii. 
Ed ora cumpatiscimi si leggi 
'Sti versi scritti d'unu ca non reggi!
*****


Quando si parla di Francesco Buccheri-Boley non si può tacere che la bruttezza del suo naso contribuiva alla popolarità del poeta, così come ad essa contribuiva altresì il suo pseudonimo Boley che era piaciuto a tutti e particolarmente al ceto popolare a cui Boley, da quell'autentico poeta che era, fu sempre vicino e dal quale fu sempre amato.
Poeta  satirico  dialettale,  piccolo di statura, con occhi da bassotto e baffoni. I suoi versi mordaci colpivano col motto e la sferzata chi non s'adoperava per il bene della collettività.
*
(Risposta - a Crisantemu Rosa.)
Doppu di Rapisarda, cci scummettu, 
Lu secunnu puèta siti vui; 
Però tiniti, amicu, un gran difettu, 
Ca vi lu dicu e 'rresta tra di nui: 
Ca vi sintìti grossu... mentri siti 
Un' acidduzzu 'i virga 'ntra la riti.

Ed ju ccu genti grossi e prufissuri, 
Non cci vurrìssi avìri mai chi fari, 
Pirchì mi scantu ed haju lu timuri 
Di sceccu... comu ad jddi addivintari. 
E giacchì siti, amicu, di 'sti tali, 
Tinitivillu forti... 'stu tistali !



A seconda dell'ispirazione,  anche lui ha i momenti romantico-sentimentali, allora scrive dei veri e propri canti d'amore.
*
(a la Signurina A... S...)


Quannu lu Signuruzzu fici a Tia,
Senza vulirlu, cridu, appi a sbagghiari; 
Ju mi suppongu chi fari duvìa 
Un' angileddu pri 'ncelu rignari.

Ti desi li biddizzi di 'na Dia,
Ti fici un paru d' occhi pri 'ncantari 
A cu', pri so' furtuna, ti talìa 
Di 'ssa facciuzza li biddizzi rari !

Scrisse,  su giornali e riviste, molte centinaia di poesie, che raccolse in ventuno volumi (Cari ricordi, Tempu persu, Raggia d'amuri, Cosi co' micciu, Mali frusculi, Cannunati, L'ultimi cuzzati, eccetera): con la satira, ben si vede, anche il sentimento. Alcune sue composizioni furono musicate dai maestri Aiello, Lombardo, Reina, Salvatore Pappalardo e Nunzio Tarallo.
Boley amava Catania. Era perciò sempre pronto a difenderla da chiunque le facesse o ne parlasse male. In questo somigliava, si capisce a modo suo, a Saverio Fiducia. Per questo i catanesi gli volevano bene. La popolarità di Boley era fatta del suo amore per Catania e dell'amore dei catanesi per lui. Quando De Felice lo incontrava, si fermava: — oh caro Cicchi!, e lo abbracciava.
*
Lu me ritrattu! « Si sugnu bruttu non ci fari casu! / Quannu mi guardi non ti spavintari! / Si teni moddu lu tò nasu / Guardannu a mia ti lu farà attisari! / Tenimi espostu dintra la tò stanza, / Ti portirò furtuna a tutta ultranza! »




Bibliografia
Catania a zig zag, di F. Granata
Enciclopedia di Catania, ed. Tringale

lunedì 30 gennaio 2012

POESIA BARBARA a Sant' Agata - Don Chisciotte 1881


La Campana non gridi allo scandalo. Di barbaro in questa poesia non c'è che il metro; del resto le intenzioni sono delle più ortodosse.
Essa si trova inserita nel libro che porta per titolo: La poesia barbara nei secoli XV e XVI di Giosuè Cardacci. È dovuta alla penna, come si dice in istile giornalistico, di Leonardo Orlandini, accademico degli Accesi di Palermo. Ricorrendo la festa della Patrona catanese, abbiamo creduto di far cosa grata ai nostri lettori, mettendo loro sottocchi questa curiosità letteraria.
Ecco la poesia:

ALLA BEATA AGATA

De la fervente de' divini amori, 
Cui nè minacce, cui nè crudo scempio 
Torse dal camin vero de le stelle, 
Il coro canti.

D' Agata canti valorosa e saggia 
Il coro nostro. S' odano le voci 
Or da que' puri luminosi et almi 
Cori celesti.
         
Vint' ha sè stessa e di  lusinghe fitte 
Mondo fallace, ed animosa ha vinto 
Drago superbo, insidioso e fiero 
Al seme umano

Svelse la mamma duro ferro d' ella, 
Tal che poi lieta merito in prigione 
Dal divo vecchio e venerando aver la 
Mamma celeste.

Spense le fiamme lieta e tutt'umile; 
E furo morti i più diletti e fidi 
Del tiranno empio; ove stupì tremando 
Catania tutta.

Diva celeste, che la patria nostra 
Rend' onorata, o glorioso spirto, 
Prega tu 'l sommo re, la tua Triquetra 
Scorga benigno.

Agata, or mira da le stelle, e vieni, 
Agata, or lieta da i superni regni, 
E teco il coro de gli eletti spirti 
A la tua festa.


giovedì 26 gennaio 2012

Sant'Agata, poesia e musica nella Catania dell'ottocento - di Mario Rapisardi, Pietro Mobilia e Frontini

L'Ode di M. Rapisardi a S. Agata, per il 5 febbraio 1859

(S. Agata - Tela di Francesco Guarini)


Bellezza? a fiore è simile
Che sorge ed appassisce ;
Abbaglia, ma di subito
Nel suo baglior languisce ;
Nasce col sole e chinasi 
Come si china il di.
Scettri, corone, porpore
De l'alma son tormento ;
Ad un leggiero soffio
S'involano qual vento,
Lasciando in core un palpito,
La gloria che svanì.
Ch'è mai la vita ? un calice
Ricolmo di veneno ;
Il vuota il forte, intrepido
Col volto suo sereno ;
Il vuota il vile e l'empio
Pien di rimorsi e orror.
Tutto quaggiuso è labile,
Tutto appassisce e muore:
E' tutto un sogno rapido,
Sogno di sdegno e amore:
Ogni terrena gloria
E vanità del cor!
Là nei superni Circoli
Ove Virtù risiede,
Là il bene incorruttibile
La gloria là si vede,
Ove non regna invidia,
Sciagura e avidità.
Di questo regno agli aliti
Agata fu nutrita :
Sprezzò l'umana gloria,
Celeste fu sua vita,
Serbando senza macula
L'onore e la beltà.
Non valser spine e triboli,
Non volsero catene;
Né il minacciar d'un Preside
A trarla dal suo Bene,
A cui dall'età tenera
Fu sacro il vergin fior.
Ben tutto vince, e all'etere
Spicca i celesti vanni;
Conquide ogni pericolo
Affronta atroci affanni;
Ogni tormento mitiga
L'aita del Signor !
Il figlio dell'infamia
Con labbro pien di tosco
La mira allora impavido
Con guardo torvo e fosco,
La mira, in cor dilaniasi
Pien d'ira e di terror.
E tosto il Cielo un fulmine
Scocca dall'arco Eterno:
Fende fischiante l'aria...
Rimbombane l'Averno,
Impallidisce l'empio,
Trabocca... è più non è.
Agata, oh ! ve' Catania,
Commisera il suo stato:
Ella non ha chi regoli
Il suo funesto fato.
Deh ! Tu, sua figlia, accelera
Ad aiutarla il piè.
Mira... Con strido lugubre
L'alma virtù la lascia.
Già le s'appressa il vizio,
Crescer vi fa l'ambascia...
Se a fato tal sottraggasi
Sarà sol tua mercè !
                                Mario Rapisardi  

Vincenzo Casagrandi riproducendo l'«Ode», titola «Per il dì cin­que febbraio 1859 - Ode»

« Non valser spine e triboli,
non valsero catene;
né il minacciar d'un Preside
a trarla dal suo Bene,
a cui dall'età eterna
fu sacro il vergin fior »
L'«Ode a Sant'Agata» condensa nelle sestine (in totale 72 versi) una gamma di sentimenti e di stati d'animo: un cupo pessimismo di tipo schopenhaueriano espresso inizialmente («Ch'è mai la vita? un calice/Ricolmo di veneno...»//«Tutto quaggiuso è labile, / Tutto appassisce e muore;...»), cui segue l'esaltazione delle virtù eroiche della giovanetta Agata che «Affronta atroci affanni; Ogni tormento mitiga / L'aita del Signor!», e, infine, una richiesta d'aiuto per la città etnea, come una piccola vena affiorante di civismo per la realtà cittadina: «Agata, oh! ve' Catania, /Commisera il suo stato: / Ella non ha chi regoli / Il suo funesto fato / Deh! Tu, sua figlia, accelera / Ad aiutarla il piè».

L'ode a Sant'Agata non solo rappresenta un felice esordio lirico del nostro Poeta, ma significa anche uno spirituale ritorno dell'adolescente al Tempio in cui il suo sguardo innocente si era incontrato con quello divino della Vergine martire catanese. Sì, appunto perché nella chiesa di San Biagio, comunemente chiamata 'a Carcaredda o a' Fumaci, Mario Rapisardi fu battezzato.

L'argomento per l'ode a Sant'Agata era stato dato al pìccolo Mario Rapisardi, per farlo esercitare nel genere sacro, dal canonico Mario Torrisi, uno dei suoi tre maestri, che fu pure maestro di Verga e di Francesco Rapisardi, e che oltre la poesìa amava il vino, le donne e la musica. E il Poeta, mentre non nega che il suo maestro « ci aveva messo lo zampino », afferma con una certa albagia che « la sostanza era tutta roba sua ». Ma, letta l'ode, non solo il R. Revisore « fece gli occhiacci », ma mandò a chiamare il poetino all'Intendenza. Al padre, « uomo onestissimo e paurosissimo », vennero « i brividi della febbre » e voleva che il figlio non andasse. Il figlio, invece, acquietato il padre promettendogli che non sarebbe andato, uscì di casa con una scusa e corse ad affrontare il pericolo. Accolto, però, dal Revisore con un sorriso, si rasserenò. Questione d'un attimo. Perché, quando il Revisore gli disse che se voleva che la sua ode fosse pubblicata doveva sopprimere una strofa o almeno cambiare una « parolaccia », il poetino si incaponì e tenne talmente duro che il Revisore perdette la pazienza e lo licenziò bruscamente. Intervenuto il maestro e appianato il contrasto, l'ode fu pubblicata. Scrive però lo stesso Rapisardi « con qualche lieve mutamento di parole che in fondo dicevano la stessa cosa di prima ». Riprodotta poi in volantini variopinti, essi furono lanciati dai balconi del palazzo Tezzano, in piazza Stesicoro, al passaggio della Santa il 4 febbraio 1857, se si deve credere al Poeta. Se invece si deve credere al prof. Vincenzo Casagrandi e al poeta Alfio Tomaselli, l'anno è il 1859. Nel qual caso il Poeta non l'avrebbe scritta quando aveva tredici anni, bensì quando ne aveva quindici.
Quanto alla « parolaccia », essa era libertà. Il Revisore forse non ricordava o ignorava la « epigrafe angelica », il cui originale, fin dall'anno 568, si conserva, come è noto, a Cremona.

A proposito infine del Casagrandi, vorremmo aggiungere che egli, rilevato che lo « influsso del Manzoni sul Rapisardi è attestato dall'ode a Sant'Agata », afferma che essa « ben merita di essere ridata alla luce », giacché, a suo giudizio, non solo non è, come certa critica sostiene, « una contraddizione spirituale a tutta l'opera poetica di Mario Rapisardi », ma è anzi « una prova della precocità del suo genio poetico »


*****
A Sant'Agata
INVOCAZIONE

Scendi, invocata, dall' eterea sede
O sovrana beltà, pura, celeste;
O fanciulla, il tuo popolo ti vede
Dei più candidi fior sparsa la veste.
Tu sei l' astro più bello, ed al tuo piede
T' imploriam nell' ore afflìtte e meste:
Qual madre sei che intorno i figli mira !
Vieni, Diva del Ciel, vieni, e c' ispira !
Per te la dolce patria
Solo conforto avrà:
Per te la tua Catania
In Ciel si cangerà.

Dal Sansone di P. Mobilia

Il Figaro (Milano)
Settembre 1882

IL MAESTRO FRANCESCO PAOLO FRONTINI
ed il suo Sansone a CATANIA.

La stampa Catanese rese giustizia alla bravura del Maestro Frontini in occasione delle ultime feste in cui fu eseguito il suo Sansone Riportiamo gli articoli dei giornali locali
Gazzetta di Catania:
Finite le feste sentiamo l'obbligo di parlare di una novità musicale scritta per l'occasione cioè: del Sansone,  azione biblica messa in musica dal Maestro F.P.Frontini.
Il Sansone è un lavoro di polso, specialmente dal lato strumentale, però non mantiene sempre le norme prescritte per la musica sacra, né perciò potrei dare torto al Maestro, che, naturalmente ha voluto sciogliersi dalle pastoie per dare maggiore slancio alla sua giovane fantasia; ecco perché la musica del Frontini arieggia molto la scena ed ha un'impronta spiccata di teatralità.
Venendo ai dettagli dico che il preludio è di una fattura finissima ed imita molto bene il concetto dell'autore, quantunque nella forza ci sia una lontana reminescenza; è bella pure l'aria del baritono ed il seguente duetto col soprano.
Il pezzo più saliente della seconda parte è il brindisi per soprano, ma è pur anche molto apprezzabile il duetto col tenore ed il finale.
La più bella, però, sia per forma come per concetto, è l'ultima parte; essa comincia con un coro assai originale accompagnato con certi arpeggi che imitano perfettamente il suono argentino e monotono della lira dei tempi andati, e poi segue un duetto tra soprano e baritono veramente stupendo, e quindi un magnifico terzetto col tenore.
In conclusione il Frontini ha vinto la sua seconda battaglia col Sansone come vinse la prima con la Nella.
L'esecuzione fu abbastanza lodevole per parte della Signora Giulia Soarez, e dei signori Pignalosa e Guillaume, sia per parte della numerosa orchestra diretta dallo stesso autore.

Don Chisciotte:
Venerdì, primo giorno, c'è stato in piazza degli Studi il Sansone del Maestro Frontini.
Comincio col dire che questi spettacoli di musica in una vasta piazza dove i suoni si disperdono, non lo ho mai capito. Se almeno sovrapponessero una volta sul palco, in modo da riporre all'inconveniente! Ma no: ogni anno quella baracca è sempre più impossibile.
Questo in genere. Venendo poi alla musica del giovane Frontini, per quel che se ne può giudicare da una prima udizione, mi è parsa di una i strumentazione magistrale, ed è un peccato che i finissimi ricami degli strumenti a corda predominanti vadano dispersi in mezzo al mormorio della folla irrequieta. 
Anche la parte corale è espressiva e sapientemente coordinata colle parti a solo; il che aggiunse molto effetto quantunque l'esecuzione, forse pel peccato d'origine della piazza, non contribuisca molto a dare spicco al componimento.
Molti applausi accolsero i punti salienti.
Sono lieto di constatare che il Frontini fa nuovi passi nel cammino difficile dell'arte.



*****


"Il Martirio di S. Agata"



Antonio Alonzo (sindaco di Catania) diede incarico a Martino Frontini (Catania, luglio 1828-ivi, 7 novembre 1909), padre del più famoso Francesco Paolo, di musicare il libretto dell'oratorio: 
"Il Martirio di S. Agata", rappresentato a Piazza Università nell'agosto del 1863 e che ottenne un tale successo da venire eseguito anche l'anno appresso.


*****

Inno a S. Agata
parole di Salvatore Nicolosi Sciuto
musica di F. P. Frontini 1886






Bibliografia
«Archivio Storico per la Sicilia Orientale», S. 2a, Anno lll-IV (1927-29), Cata­nia, 1928
* Catania a zig zag, di F. Granata
* Giacomo Sacchero, di G. Pasqualino 

martedì 24 gennaio 2012

Mario Rapisardi e gli "errori" di internet.

In occasione del centenario della morte del Poeta si riscontra un minimo fermento da parte di articolisti del web. Che ben vengano! Basta che si scrivi del Poeta, bistrattato dalla "cultura" ufficiale. Ma, l'avvertimento è d'obbligo, alcune notizie biografiche hanno poco dello storico e sono superficiali. Qui si riportano alcuni esempi che, vogliono indurre gli autori a non rincorrere dicerie infondate e prive di bibliografia.



Trascrizione atto di nascita
« Comune di Catania. Ufficio dello Stato Civile. Estratto dal Registro degli Atti di nascita dell'anno 1844. Rapisardi Mario. L'anno 1844 il dì ventisei del mese di febbraio alle ore diciotto avanti di Noi D. Giuseppe Pappalardo Senatore agg. ed uffiziale dello Stato Civile del Comune di Catania, Distretto di Catania, Provincia di Catania, è comparso D. Salvatore Rapisarda di anni trentaquattro di professione Patrocinatore domiciliato strada del Penninello quale ci ha presentato un maschio, secondoché abbiamo ocularmente riconosciuto ed ha dichiarato che lo stesso è nato da D. Maria Patti sua moglie di anni ventisei domiciliata ivi col marito e da detto dichiarante di anni come sopra nel giorno venticinque del mese di febbraio anno 1844 alle ore ventuno nella casa di detto dichiarante. Lo stesso ha inoltre dichiarato di dare al fanciullo il nome di Mario. La presentazione e dichiarazione anzidetta si è fatta alla presenza di Giovanni Distefano di anni cinquanta di professione possidente, regnicolo, domiciliato strada Montesano e di Alfio Zuccarello di anni trentuno di professione mediatore, regnicolo, domiciliato strada Maddalena testimoni intervenuti al presente atto, da esso Signor Rapisardi padre prodotti. Il presente atto che abbiamo formato all'uopo è stato scritto in due registri, letto al dichiarante ed ai testimoni, ed indi nel giorno, mese ed anno come sopra firmato da noi Salvatore Rapisarda, Giovanni Distefano. Alfio Zuccarello, Pappalardo ».


2) Rapisardi iniziò i suoi studi dai gesuiti (?)
 * Sembra voler fare intendere che, Rapisardi era internato presso i Gesuiti.
La risposta migliore è in una sua intervista.  Da ragazzo, ebbe come istitutori due preti ed un frate: i primi due gli insegnarono “grammatica, retorica e lingua latina”; il terzo “ un intruglio psicontologico che egli gabellava per filosofia “. Vedi QUI

3) Amelia Poniatowski, figlia di genitori ignoti (?)
*(tratto da Breviario Rapisardiano, di Alfio Tomaselli).... C'è da notare intanto l'animo aperto e risoluto della fanciulla che ben sentiva di esser la figlia del principe Carlo Poniatowski «gran signore fiorentino _- scrive Ugo Pesci nel suo libro Firenze capitale — d'origine polacca e reale discendente da Stanislao Poniatowski, re di Polonia».
Non è poi superfluo aggiungere che del padre e dei suoi antenati ella era la viva riproduzione nei nobili-tratti del viso e delle fattezze. 
Il Rapisardi nell'87 mandò al principe Carlo Poniatowski una lettera, credendo suo dovere dargli notizie di Amelia e informarlo come essa da due anni si trovava in casa sua benvoluta e rispettata. Gli diceva fra l' altro: « Ma le nostre cure più affettuose non valgono a distrarla dal pensiero dolorosissimo che i suoi genitori l'hanno abbandonata e dimenticata. Non se ne può proprio dar pace. C'è dei giorni che par d'impazzire. Non potrebbe Ella, sig. principe, scriverle qualche volta e confortarla, assicurandola del suo affetto paterno e dandole almeno sue nuove? ».
Gli spediva nello stesso tempo una copia del Giobbe.
Non rispose il principe. Ma in data 21 maggio 1887, da S. Pancrazio presso Lucca, scrisse la P.ssa M.sa Montecatini, con la compitezza di patrizia analfabeta, in questi termini : « Signore Professore — Non potendo mancare ai doveri di Educazione che si devono alla Sua destinta persona rispondo Io alla Sua lettera diretta al Principe. Devo dunque avvertirlo che il Sud.to [suddetto] è malato di parecchi mesi e che non riceve lettere di nessun genere ne si occupa più di quella ne di nessuno ne gli sarebbe permesso di farlo, ne potrebbe farlo. Tutte le lettere passano per le mie mani. Tanto per sua regola... Ho ricevuto pure il Bellessimo Poema e aspetto gli ordini da lei sig. Professore se devo ritenerlo o rinviarlo, giacché è impossibile presentarlo al Principe nelle condizioni attuali ». Più, nulla.
VI.
L' Amelia morì il 19 settembre 1914 alle ore diciannove e trenta minuti, nella medesima casa, in cui aveva passato ventisei anni di clausura.
Adesso riposa nel camposanto di Catania.
La sua tomba di pietra lavica lisciata, che ha il basamento di m. 2,14 X 1,03, è sormontata da una statua di bronzo, grande al vero, la Vestale.
Sotto il medaglione, pur di bronzo, è l'epigrafe: Creatura unica — Amelia — inspiratrice del genio — di — Mario Rapisardi.

I genitori di Amelia
Amelia
 Bibbliografia
* Catania a zig zag, di Francesco Granata - ed. G. Brancato
* Breviario Rapisardiano, di Alfio Tomaselli - ed. Fratelli Viaggio-Campo
* Il primo passo - Note autobiografiche - ed. A. Sommaruca & c. 

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