Povero Praga! Oggi si fa ancora del chiasso attorno alla sua tomba, si agitano i campanellini e si battono le mani al richiamo della sua memoria e si tenta di soffocare, coll'applauso, l'ultima bestemmia che potrebbe uscir di sotterra. A lui vivo si porse il tributo dell'imprecazione e della calunnia — la sua anima fu punzecchiata a colpi di spillo — furono derisi i suoi affetti — fu inzaccherata di fango la sua aureola di poeta. Gli uomini seri si degnarono financo di sputare nella sua ultima tazza d'assenzio.
Ma al giorno d'oggi il vento spira cattivo per tutti coloro che in arte adoperano la squadra e il compasso e hanno il cuore imbottito di lardo e le vene ricolme di siero — per tutti coloro che vanno a passo di lumaca; col capo chino, per non inciampare nei sassi — e domandano alla maggioranza dei grulli la casacca ad usum delfhini - e misurano co lo sguardo il cammino prima d'andare innanzi - e accostano di continuo al naso una boccettina d'essenze per non venir meno lungo la via.
Al giorno d'oggi la bohème letteraria ha presa la sua rivincita; essa è rientrata nel mondo a tamburo battente e a bandiere spiegate — può spendere due soldi per tenere gli stivali inverniciati e venti lire per portare un cappello nuovo — è ammessa nei ginecei — rispettata dai parrucconi — applaudita dalla folla — e man mano va conquistando la posizione coi suoi volumi in elzevir.
Povero Praga! Anch'egli lo voleva il suo volume civettuolo ed elegante; e, parlandone cogli amici, non sapeva esprimersi bene e muoveva le mani come se accarezzasse una statuetta greca. Quasi quasi egli presentiva questa piccola rivoluzione in elzevir!
Nondimeno non c'è ancora da fare molte illusioni. La mia divagazione un po' azzurra sulla nuova èra che si va schiudendo per l'arte, serva di conforto ma non accenda troppo la fantasia di coloro che fanno presto a correre in groppa a mille seducenti chimere. La Bohème è eterna e nel suo grembo si ascondono e si asconderanno sempre i disillusi e gl'impotenti — coloro a cui manca il terreno sotto i piedi, quegli altri che tentano invano di strappare una scintilla dal cervello insugherito. La posa qualche volta soffoca in sul nascere dei giovani ingegni che sognano il poema o il romanzo dai banchi del liceo. La posa spessissimo apre delle vie che hanno la funesta attrazione dell'abisso. E allora al poeta, al pittore, al musicista sfuggono il ritmo, il colorito e l'armonia e i loro pretesi capolavori fanno ridere la gente!
Questa benedetta posa che noi rimproveriamo acerbamente ai droghieri arricchiti e ai farabutti in guanti gialli lasciamola stare al posto che merita. L'arte scevra d'artificio e di convenzionalismo e i suoi militi devono avere per essa un culto sincero, senza quei fronzoli che luccicano al sole ma che poi in sostanza sono calta dorata. Preferisco il calice di legno dei primi papi che celebravano la messa nelle catacombe, ai calici tempestati di gemme della basilica vaticana. Il povero Praga che beveva dell'assenzio e bestemmiava alla vita, sapeva scrivere anche il Canzoniere del bimbo e le Memorie del presbiterio. Quel tipo d'angelo avvizzito non osò mai far tacere nell'animo quelle note d'affetto che bastano a caratterizzare i suoi sentimenti e i suoi ideali da tanti bistrattati.
Nei suoi versi infatti s'indovina l'uomo insieme al poeta. È proprio una rivelazione quella sua lirica spontanea senza veli e senza ipocrisie. Una rivelazione di patimenti e d'angosce, di gioie e di desideri — uno strano e confuso miscuglio di risate e di lacrime, di bestemmie disperate e di sogghigni beffardi — una musica stupenda che colpisce il pensiero e penetra nel cuore. Nei versi del Praga c'è l'arte e c'è la vita — quella folla di pensieri che albergarono nel cervello del cantore di Bella e di Serafina, quante volte hanno albergato nel nostro e lo hanno vellicato come la ca rezza d una mano gentile o lo hanno sconvolto come le chiome d un bosco fra cui sibila il vento!
È proprio di certi uomini il far vibrare tutte le corde dei sentimenti — di quegli uomini che s'avventano alla vita baldi e speranzosi, pieni di cuore, d'ingegno e di fede, e che della vita vogliono assaporare le ebbrezze senza i dolori, e della gloria i trionfi senza gl'inciampi, e dell'arte i fascini senza gl'insulti e le amarezze — e vogliono andare innanzi, colla fronte sempre alta e la pupilla sempre gaia — e ad ogni difficoltà si turbano e cadono nell'affanno e si afferrano ad ogni oggetto colla disperazione del naufrago e giungono al termine della loro carriera moralmente suicidi, fisicamente affranti — se per caso un lembo di cielo si scopre al loro sguardo, esso lo salutano come l'ubbriaco che vede spuntar l'aurora, dopo aver passata la notte nell'orgia. Ma oramai del Praga non rimane che l'artista. Non turbiamo più la pace di quel povero morto. Noi sappiamo anche di Praga che bordellava avvinazzato a notte; ma sappiamo anche di Praga che si fa prestare da un amico due lire per regalarle ad una povera mendicante affamata e tremante di freddo assieme a due figliuoletti. Noi sappiamo di Praga che parlava di suo figlio coll'entusiasmo febbrile di una giovane sposa — noi sappiamo di Praga che sognava perennemente una casetta in campagna, mezzo nascosta tra gli alberi ed allietata da primavere e da canzoni. Sicché nelle Trasparenze, insieme allo scetticismo che ribocca da una Camera ammobiliata, insieme all'acre voluttà che spirano i versi Alla Sultana, insieme al mezzo cinismo delle Veglie, abbiamo anche In Pace, Il bimbo malato, A Enrico Iunk. È proprio allora che si manifestava un altro Praga; il Praga che amava i bambini, la pace, il cielo sereno, i vecchierelli, la campagna, la solitudine, tutto quanto possiede il fascino del puro ideale.
Amo sedermi, quando spunta il sole
Fra queste blande aiuole,
Nel silenzio infinito.
Nella pace profonda
Che il buio orbe circonda.
E nel Bimbo malato
Bimbo, non tossir più! Son tanti e tanti
Gli error di questa vita!
Perché farmi tremar come un pusillo?
Dormi, guarisci, la coltre è pulita,
Tepida è l'aura e tutto è pace intorno...
Sai che per te vo' comperar domani
Un famoso gingillo?
La poesia A Enrico Iunk è una delle più belle delle Trasparenze :
Della città, madre d'inganni e toschi
Sei stanco, amico, e aneli ai verdi boschi
E a un pò d'acqua corrente;
A un po' d'acqua corrente in cui si specchia
La ricciuta fanciulla oppur la vecchia
che ti guarda ridente.
Aneli alla mestizia solitaria
Per cui l'arte respira insieme coll'aria
Coll'aria imbalsamata!
Vuoi della vita frivola l'oblio
E da lontan già senti il brulichio
Di un'allegra borgata!
Di una borgata allegra e faccendiera
Dove si ciarla da mattina a sera
Di cento mila cose;
Dove a ogni angol di muro il sol rischiara
O ombreggia qualche imaginetta cara:
O bimbi, o cenci, o rose.
Dove il paffuto oslier li accoglie umano,
E la cuoca stringendoti la mano,
Par che un bacio ti scocchi.
Dove ti sveglia all'alba il bue che mugge
O la giovenca, che il figlio che sugge
Contempla coi grandi occhi.
Questo Praga, ch'è sì buono e sì affettuoso, non insultatelo, per dio! e s'egli dice
quest'etica Musa
Che m'apparve matrona ed era ganza,
Che il poema promise ed ora ricusa
Perfino una romanza.
lasciatelo bestemmiare senza arricciare il naso. Povero giovane, non aveva torto!
Come dissi più sopra, si giudichi l'artista — l'uomo si lasci in pace. Quella pace ch'egli sospirava nei suoi versi, l'ottenne là, nel cimitero di Porta Magenta, dov'egli in vita, soleva spesso recarsi insieme a Tarchetti, l'instancabile visitatore di tombe. — Lasciatelo in pace; egli nemmeno vi disturba più coll'incomodarvi a leggere un solo rigo d'epitaffio. Sulla sua fossa non si legge neppure il suo nome e cognome. Vi è solo incastrata una croce di ferro — il lugubre simbolo della sua vita che lo perseguita fin laggiù, nell'eterno nulla...
Povero Praga!
***
Il volume di versi inviatomi dall'editore Casanova vale proprio la pena di svolgerlo e di leggerlo attentamente. Sono i versi di un poeta lombardo, notissimo per suo ingegno e le sue sventure divenuto celebre dopo morto, e della cui bizzarra indole, della cui fine tristissima e immatura s'è tanto e si diversamente parlato.
Voi sapete già ch'io accenno ad Emilio Praga di cui il Casanova aveva pubblicato un postumo volume di versi, le Trasparenze, e ristampato le Penombre, cupo e forte canzoniere, e stampato anche le Memorie del presbiterio blando romanzo, che il Praga lasciò interrotto e scucito, e che si prese la briga di finire, curandone l'edizione, un altro scrittore, amico di Emilio, anima squisitissima di artista, oggi morto — Roberto Sacchetti.
Il volume che adesso ci presenta il Casanova — Tavolozza — al quale precede uno studio biografico di Ferdinando Fontana intorno al poeta lombardo — è il primo volume di versi che avesse pubblicato il Praga, allora ventenne, ricco e felice.
Ricco! ecco la grande e magica parola. Giacché, questo bisogna dire anzi tutto: Emilio Praga cominciò ad essere infelice allorquando nella sua casa finirono le agiatezze. Di gracile corporatura, di salute un po' cagionevole, sensibile, voluttuoso, animo delicato e ingegno fine di artista, il nostro Emilio viveva bene dipingendo paesaggi, scrivendo versi, viaggiando ignorando affatto le difficoltà e le asprezze della vita
La Tavolozza, da lui pubblicata a vent' anni fa fede di tale suo benessere. Da codesto libro, infatti, spira come un'aura di giovanile freschezza e di tranquilla felicità. Il poeta canta le cose belle e i miti affetti, canta qualche volta gli umani dolori, ma da uomo che non conosce gl'intimi recessi della sventura, senza bestemmiare, senza disperarsi, come farà in seguito in qualche tetra lirica delle Penombre. La Tavolozza, infine, è un canzoniere gentile di un gentile poeta. E a Milano, a quel tempo, piacque. Emilio Praga frequentava i salotti eleganti, e le signore stesero la mano inguantata al giovine artista, che rompeva la tradizione degl'Inni Sacri e delle liriche dal rumoroso decasillabo, ed i cui versi mandavano fresche folate di letteratura francese — di quella letteratura che aveva già illuminato di fugaci bagliori il trono borghese di Luigi Filippo.
Ma la felicità di Emilio Praga durò poco. A ventidue anni egli perdette il padre, ricco industriale, che possedeva una florida conceria di pelli a pochi chilometri da Milano.
Poco tempo dopo, l'industria delle pelli fu colpita da una crisi, e la fabbrica dei Praga andò in rovina. Ed il povero Emilio, in un attimo si vide a tu per tu con le mille difficoltà della vita.
Tutto il rimanente si comprende. Emilio Praga non era nato per lottare, e in quella sua lotta asprissima soccombette. La sua debole fibra si spezzò ai primi urti. Ed egli cadde, cadde irremissibilmente, per non più rialzarsi, il suo cuore fu dilaniato dall'angoscia, il suo intelletto offuscato vide il mondo e gli uomini attraverso un grigio velo densissimo, e la sua musa ub briaca d'assenzio, suggerì spesso alle nemiche labbra dell'infermo poeta la bieca rampogna o il lugubre inno nella desolazione.
Ma, in mezzo a tanta tetraggine di vita e di pensiero, quante volte il suo animo si schiuse dolcemente al sorriso! Allorché la sua mente snebbiavasi dei fumi del verde liquore, com'egli tornava ad essere il buon Emilio, l'amico dei bimbi e dei vecchi, il poeta sospiroso della pace idillica e degli odori freschi dei prati!
Conducetelo un po' in campagna, di buon mattino, ed il suo animo esulta in quella festa di fiori, di profumi e di canti. Parlategli un po' del suo bambino e nel suo occhio stanco tremola una lacrima di tenerezza.
È appunto per questa sua istintiva bontà d'animo, che qualcuno, rievocando gli ultimi anni della sua vita privata, ha voluto difenderlo ad ogni costo, gittando magari qualche parola amara sulla moglie del poeta, una buona signora, che a certo punto, si vide costretta a separarsi dal marito.
Or io non posso seguire codesti difensori in tale scabrosissimo compito; io non difendo, né accuso Emilio Praga; solamente dico ch'egli mi desta commiserazione. Ma non posso ammettere il panegirico ad ogni costo. Non posso vilipendere una povera signora, la quale a certo segno disdegnò la compagnia di un poeta, che a notte tarda, ritornava in casa ubriaco, e, annaspando nel letto coniugale, bruttava di vomito la moglie.
Sono tristi verità, dolorose a dirsi — ma valgono almeno a calmare gli artificiali entusiasmi di qualche inesperto letteratucolo, che vuol fare della scapigliatura a buon mercato, e chiama volgare pregiudizio tutto ciò che la società ammette come onesto, come doveroso, come gentile.
Le chiacchiere son belle a farsi dinanzi a un tavolino da caffè, col sigaro in bocca, in mezzo a un crocchio di amici che ti danno ascolto; ma i fatti son fatti. Sta a vedere che un poeta, solo perché è poeta, può permettersi di essere un porco. Sia porco finché gli piace, ma lontano mille miglia dalla gente pulita!
E questo non lo dico io soltanto; lo dicono tutti coloro che hanno un briciolo di buon senso. Ferdinando Fontana, amicissimo di Emilio Praga, nel suo studio biografico premesso alla Tavolozza, inveisce contro i falsi boemi, adulatori ad ogni costo della memoria dell'infelice poeta lombardo; ed il Fontana fa bene; e, tanto per mettere le cose a posto e placare cotesti entusiasmi a freddo, ricordando gli ultimi anni del Praga, accenna al ludibrio del talamo nuziale insozzato bestialmente, alla « depressione del senso morale fino al punto di riscuotere del denaro per conto d'un amico (che patisce la fame) e andarlo a sprecare in una notte... e l'amico crepi! fino al punto di amare teneramente e di cantare meravigliosamente il proprio bambino, e poi di cadérgli al fianco, ubbriaco fradicio sulla pubblica via ».
Ed il Fontana, che fu intimo del Praga ed abitò qualche tempo insieme a lui, può discorrerne con piena coscienza di causa. Anzi, se volete saperla intera, quel vago accenno ad un amico che patisce di fame si riferisce al Fontana medesimo, ed al seguente aneddoto che adesso vi racconterò.
Il Fontana ed il Praga abitavano insieme, lottando contro la miseria che li assaliva spietatamente. Lavoravano come negri per guadagnare qualche soldo: insomma, una vita infame!
Una notte, vegliando fino all'alba, erano riusciti a finire un libretto d'opera, che, per un magro compenso, avevano promesso ad un editore. Ci avevano lavorato entrambi, e, nella speranza di quel po' di denaro, si erano rassegnati a rimanere tutta la notte a stomaco vuoto.
l domani di buon'ora il Praga esce col manoscritto, promettendo di tornare subito coi quattrini. Il Fontana resta in casa ad aspettare — ed aspettò tutto il santo giorno. La sera, tardissimo il Praga ritornò ubbriaco da fare schifo e... con le scarselle vuote.
Notate: trattavasi dell'amico affamato!
Ma lasciamo questo doloroso argomento. Io però non mi pento di averlo trattato; anzi insisto su ciò che ho detto, perché è bene che la verità si sappia, e intera, anche a costo di vedere svanire qualche entusiasmo che bolle di soverchio. Le peripezie della vita mi hanno insegnato ad andare un po' cauto e di non lasciarmi far trascinare troppo facilmente dalle lusinghiere parvenze.
E adesso lasciamo stare l'uomo, e torniamo al poeta, la cui Tavolozza io ho riletto con piacere e interesse grandissimo. Certamente da qualche anno in fatto di poesia si è progredito non poco, e la forma della lirica italiana ha andato riacquistando quella pulitezza e quella grazia e quella eleganza e quella concisione a cui non eravamo più abituati; sicché riesce più notevole nelle liriche del Praga il lor maggior difetto: la scorrettezza. Nondimeno quanta ispirazione, quanta freschezza, quanta ingenuità di poesia!
Sentite, per esempio, questa prima strofe d'una bella lirica: Il poeta ubbriaco:
Datemi un nappo, datemi dei versi;
Le imposte aprite, entrino i venti e il sole;
Quanti fantasmi nel cervel dispersi!
Che musica di forme e di parole!
Il lettore finisce per sentirsi un po' ubbriaco anche lui.
E sentite queste altre due strofe d'im'altra bellissima poesia, I pescatori notturni. Par di leggere dei versi del Carducci :
Portan la vela lacerata ai venti,
Come stendardo che in battaglia errò;
Portano remi e canapi stridenti.
Che il nerbo delle braccia affaticò;
E nella tolda silenziosa e bruna
Restan le lunghe notti ad aspettar,
Ad aspettar sotto la fredda luna
Che il pan dell'indomani apporti il mar!
on è vero che sembrano versi del Carducci? Ma il Praga li scrisse nel 1860, e a quel tempo Enotrio era presso che ignoto.
Ciò che prova? Prova che se il Praga fosse vissuto ancora, avrebbe dato più splendide prove del suo grande ingegno di quelle che gli riusci di dare. Ma egli invece preferi di morire poco dopo i trent'anni, bruciato dall'assenzio. Tutti i gusti son gusti!
* « La Meteora », Cagliari, 4 marzo 1878. E. Onufrio
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