Ma che ! " Voi solo — gli scrive Arturo Graf dopo la lettura del " Giobbe „ — in mezzo a tanta sciatteria e vigliaccheria tornate pur sempre con la mente ai grandi dolori, alle grandi lotte, alle faticose fortune dell'umanità, e tessete il verso di lacrime e di grida di ribellione e di canti di trionfo. Lasciate i rospi diguazzare e gracidare nella pozzanghera: lasciate che sputino la bava ond' hanno pieno il corpo! Il poeta d'Italia siete voi. Anzi, non pure d'Italia, ma un poeta voi siete dell'umanità; e coi dolori e con le speranze della umanità a cui li avete sposati, rimarranno i vostri versi, quando di quelli degli altri sarà spenta perfino la memoria „
Esaminando tutta l'opera poetica, che nel corso di circa vent'anni è venuta fuori dalla mente del Rapisardi, rilevasi tutto il travaglio del pensiero moderno in questi ultimi tempi.
Sui canti della Palingenesi (primo lavoro poetico del catanese) aleggia un'alta idealità divina. Fra le malinconiche strofe delle Ricordanze si asside la triste ombra del dubbio. Prorompe, in seguito, il Lucifero, forte e audace poema del razionalismo, combattimento contro le parvenze e i fantasmi di cui era sgombro da poco l'umano pensiero. Ma ecco che, dopo tanta rovina di idoli, sparisce anch'esso l'ultimo idolo, che è Satana: la sua vita è brevissima; esso non rappresenta che un periodo passeggiero di facile rivolta, anzi non esprime che un altro grido di vittoria.
Sopraggiunge un nuovo e grande ideale: la scienza.
Il poeta vi si abbandona interamente, consacra il suo ingegno agli studi positivi e scientifici, rinsangua la sua mente già esausta di ogni ideale, e, illudendosi per avventura che la scienza possa essere elemento di fede, nella foga del suo nuovo amore, traduce il poema di Lucrezio Caro.
Adunque, fino a questo punto, il poeta ha percorso tutta la grande orbita del pensiero moderno. Egli è stato teista, scettico, razionalista, positivista. Il suo canto si è innalzato fra le azzurre idealità di Mazzini, di Quinet, di Victor Hugo; cadendo poscia da tant'alto, ha aleggiato sui campi della desolazione, tutto assorto come in una visione leopardiana.
Poscia, inebbriandosi della abbagliante luce di magnesio, che mandavan le torce de' razionalisti, il Rapisardi lanciò anch'egli il suo dardo contro il debellato Olimpo.
Seguì indi, come abbiam detto il periodo del sano e vital nutrimento: Spencer, Darwin, Stuart-Mill, Buchner, Feuerbach, gli forniscono il cibo agognato, ed egli, dopo sì lauto pasto, parve acquetarsi nel sereno soddisfacimento della scienza.
E adesso ecco venir fuori il Giobbe. Che cosa è dunque questo Giobbe?
Tre anni or sono, essendosi il Rapisardi accinto da poco a codesto poema, così brevemente piacevagli esprimermene il concetto: — Dopo l'epopea del diavolo, l'epopea dell'uomo.
Dunque il Giobbe è il poema dell'uomo. Ma non basta.
Il Giobbe è il poema dell'uomo, pensato e scritto da un poeta che dell'uomo e delle sue sorti è conscio, che dell'umana sapienza è consapevole, e la cui mente è libera da qualunque idealità.
Il Rapisardi è stato teista, scettico, razionalista, positivista; e positivista rimane tuttavia; ma la scienza per lui non è fede, è esclusivamente conoscenza : egli dunque guarda i destini degli uomini e delle cose con la malinconia serenità del chiaroveggente.
Hanno detto che il Giobbe sia il poema del dolore: il Rapisardi medesimo, illudendosi intorno all'opera sua, ha espresso tal pensiero in una breve prefazione. Ma questo dolore non è elemento estetico o sentimentale del poema; non scaturisce nemmeno da esso, o, se verso la fine in qualche modo vi alita, ha un tal carattere di subiettività e di fugacità che non lo si può chiamare parte inerente all'organismo del poema, che, essendo come un epilogo dell'opera umana, esprime le idealità fatali e meccaniche delle varie generazioni attraverso i secoli.
*
Esaminando il Giobbe, ancor questo è da notare: delle tre parti in cui dividesi il poema, la prima è affatto disgiunta dalle altre. Dirò anzi: il concetto sostanziale del poema svolgesi nelle ultime due parti. La prima parte è storica, è drammatica, è esclusivamente lavoro d'arte. Il poeta toglie dalla Bibbia la grandiosa figura di Giobbe, e, seguendo il testo biblico, la tratteggia ampiamente e splendidamente.
Solo quando giunge al punto delle famose lamentazioni, egli nella figura del patriarca incarna tutta l'umanità, e dalla bocca del vegliardo par che prorompa l'alta voce de' secoli.
Impadronitosi di questa figura di Giobbe, il poeta se ne serve per accompagnarla attraverso il faticoso procedere del pensiero umano, e, volendo scegliere un periodo che a noi personalmente interessa e la cui storia è completamente nota, egli svolge tutta la grande orbita del pensiero e della civiltà cristiana nel suo splendore, nelle sue battaglie, nelle sue sconfitte e nel suo decadimento, venendo fino alla morte dell'ultimo idolo, cioè di Satana, ed entrando poscia nel trionfale splendore del rinnovamento scientifico.
E la terza parte è tutta consacrata a questo grande e nuovo ideale del positivismo. E il poema, che nella prima parte è drammatico, nella seconda è allegorico, con molto ma debole elemento drammatico e con abbastanza di lirico, nella terza parte è affatto didascalico, o, per dir meglio, scientifico.
Nella prima parte il poeta è dominato dall'opera d'arte; nella seconda e nella terza è il concetto sostanziale che lo conduce.
Verso la fine, Giobbe non è pago del grande sapere fornitogli dalla scienza; vuole andare più in là, si mostra scontento, vorrebbe rompere i limiti all'uomo assegnati dalle leggi di natura. In conclusione Giobbe rappresenta l'uomo ormai sciente, non più soggiogato da verun ideale, e che racquista la propria individualità. Questo è il Giobbe.
E l'opera d'arte?
Il Rapisardi, è noto, è grande artefice di versi, e, nel dar vita e forma ai suoi fantasmi d'arte, ha un'impronta di originalità incontestata. Nella seconda parte l'azione è varia e rapida; molte delle laudi e delle odi che vi son frammiste riescono interessantissime; il canto de' goliardi è come un allegro raggio di sole che balza fuori dalle mistiche tetraggini medievali, in cui si è dibattuto per lungo tratto il poema:
O fanciulla che languida giaci
Fra le piume, e sognando sorridi,
Il ciel suona di canti e di baci,
Freme il bosco d'amplessi e di nidi:
O fanciulla, son rapide l'ore
Della gioia, a te mormora il rio;
Sorgi, vieni, ti dice il cor mio;
O l'amore, l'amore, l'amore !
Nella terza parte, sebben didascalica, tutta la gran vita della natura è così largamente ed epicamente tratteggiata, che obliasi affatto l'aridità dell'argomento, per tener dietro co' sensi innamorati a quella larga onda d'armonie.
Ma, sopra tutte, notevole è la parte prima. Ivi c'è il dramma, muovonsi figure umane, campeggiano sentimenti e passioni umane ; e per conseguenza c'è la vita, e la grande arte sfavilla. Con minuziosa maestria son descritti i vasti possedimenti di Giobbe:
.........Il vagabondo
Arabo avventurier, che con la lercia
Famiglia e col destrier fido e il camello
L'orme inseguiva della sua fortuna,
Consistere vedea sui verdi colli
Come un'immensa candidezza, e tosto
Riconoscea le innumerate gregge
Di quel felice, onde suonava il grido
Per ogni terra orientale...
Rabbrividente per verità di colori e di immagini è la descrizione della morte degli animali colpiti dalla lue. Dolce e soave è la figura di Sara; bella e fiera quella di Zilpa. Spirano una fraganza tutta orientale le canzoni di entrambe. L'una dice così :
Ho pregalo pregalo, e il ciel s'è aperto,
E n'è disceso un giovine signor:
D'erbe si copre l'arido deserto,
Un limpido ruscel corre tra' fior.
Neri ha i capelli come gran di pepe,
Ha gli occhi di gazzella il mio fedel;
Il mare e il monte hanno i suoi campi a siepe,
I padiglioni suoi levansi al ciel.
.......................
Bello è il mondo, ma bello anche è il mio core,
Come il sole il mio cor di fiamme è pien:
Resti il sole ed il mondo ara al Signore,
Regno ed ara d'amor solo il mio sen.
Un vero quadretto di genere è la scena domestica in casa di Sara, con quella caratteristica figura di Anna, la vecchia nutrice. Questa Anna sembra veramente una figura dipinta da Giacomo Favaretto: il poeta la tratteggia minutamente, con intelligente maestria di coloritore. Guardate ad esempio questi graziosissimi tocchi di pennello. La vecchia Anna corre, e, nella corsa, perde un zoccolo:
Sgusciato nella corsa erale un grave
Zoccolo, ond'essa a questo ed a quel fianco
Preso e tratto a ginocchio il grigio sajo,
Sul pie mal fermo balzellon venia,
Come gallina che correndo al cibo
In arruffato canapel s'impigli.
Veramente epico è quel brano delle lamentazioni di Giobbe, dove, per la bocca del patriarca, favella l'umanità. Vorrei riportarlo per intero se le esigenze dello spazio in un foglio politico non fossero veramente ti ranniche. Io rimando gl'intelligenti alla lettura di tutto il poema.
Intorno al quale dirò solamente questo: esso segna nel campo filosofico l'ultima meta a cui l'umano pensiero, dopo tanto travaglio, artisticamente o scientificamente possa pervenire. L'arte s'è rivestita dell'ultima e nova idealità moderna dandole forma e drappeggiamento epico. I posteri, nello studiare l'agonia di questo nostro secolo strano e tormentoso, guarderanno certo a quest'orma artistica lasciata dal Giobbe. E se tale orma sia stata lieve o profonda, essi li diranno.
* « Giornale di Sicilia », 8 febbraio 1884. E. Onufrio
Amore, amore non dammi riposo,
Amore, amore il mio seno ha corroso;
Alzar le ciglia, e guardarlo non oso
Quel Dio pietoso, che me volse amare.
O santa piaga del lato di Cristo,
Da che al tuo sangue il mio pianto s'è misto,
Il paradiso dell' anima ho visto,
Al cui conquisto mi voglio affrettare.
Con le mie mani tremanti t'attingo,
Con labbra smorte ti bacio, ti stringo,
Del tuo colore quest' anima tingo,
E più la spingo e più vuol penetrare.
Il sapor dolce, la grata fragranza
Più sempre accende la mia desianza;
O mia dolcezza, mia sola speranza,
Mia sola amanza, in te vommi mutare.
Amore, amore, amor solo, amor santo,
Deh! com'è dolce morirti da canto,
Com'è suave distruggersi in pianto,
E in un mar santo di luce affogare!
LAUDA DI SUORA - dal "Giobbe"
Musica di F. P. Frontini
Amore, amore non dammi riposo,
Amore, amore il mio seno ha corroso;
Alzar le ciglia, e guardarlo non oso
Quel Dio pietoso, che me volse amare.
O santa piaga del lato di Cristo,
Da che al tuo sangue il mio pianto s'è misto,
Il paradiso dell' anima ho visto,
Al cui conquisto mi voglio affrettare.
Con le mie mani tremanti t'attingo,
Con labbra smorte ti bacio, ti stringo,
Del tuo colore quest' anima tingo,
E più la spingo e più vuol penetrare.
Il sapor dolce, la grata fragranza
Più sempre accende la mia desianza;
O mia dolcezza, mia sola speranza,
Mia sola amanza, in te vommi mutare.
Amore, amore, amor solo, amor santo,
Deh! com'è dolce morirti da canto,
Com'è suave distruggersi in pianto,
E in un mar santo di luce affogare!
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